Il neo-anticomunismo

Il neo-anticomunismo
Ilvo Diamanti

E’ il tempo dell’anticomunismo senza il comunismo. In cui il “comunismo” ritorna come un mantra, nei discorsi del premier, dei suoi ministri, degli uomini del suo governo. Proprio-e tanto più-perché non c’è più. Ma serve. Come ha confessato Confalonieri a Sabelli Fioretti sulla Stampa: “E’ un ottimo argomento di vendita”. Utile a catalogare gli Altri, quelli che stanno a centrosinistra. Ma anche al centro, perfino a destra. Comunque: a est del muro di Arcore che ha sostituito quello di Berlino. Dove si stende la terra del neo-comunismo. Costellata di riferimenti reali ad alto contenuto simbolico e di simboli ad alto contenuto realista. Recitati ad alta voce da testimonial e leader d’opinione. Gli ideologi del neo-anticomunismo (senza il comunismo). Che colgono fratture antiche e latenti e le proiettano nel presente. Con un linguaggio e argomenti popolari. Parole gridate, sempre più forte, secondo le regole della “politica pop”.
Pensiamo, in primo luogo e soprattutto, al ministro Brunetta Onnipresente sui media. Sempre alla ricerca della provocazione. Buca lo schermo. Suscita, epr questo, grande consenso, ma anche ostilità. Nel suo stesso governo (com’è avvenuto di recente con Tremonti). Il suo marchio è la missione contro l’inefficenza della pubblica amministrazione. Contro i “fannulloni” che vi si annidano. Nell’intento-meritevole-di coniare un’etichetta onnicomprensiva e indelebile, per chiunque insegni oppure operi negli uffici pubblici. Condannato, ora e sempre, a una carriera da “fannullone”.
Altra figura importante-e popolare-è la ministra Gelmini. Si occupa della scuola e dell’università. Persegue, in modo determinato, l’obiettivo di ridurre gli sprechi e aumentarne l’efficienza. Anche la riforma dell’università, appena presentata, segue un disegno virtuoso. Introdurre criteri di qualità ed efficienza: nell’offerta formativa, dell’insegnamento, nel reclutamento, nell’organizazione. Ma appare mossa da una preoccupazione dominante-anche legittima per carità. Destrutturare il sistema di potere fondato sul ruolo dei professori ordinari. Disarmare i famigerati “baroni”. Senza chiarire cosa dovrà diventare questa università. Scossa da un processo di riforma continua. Da oltre 10 anni. Con una sola costante: la riduzione continua di risorse destinate all’università e alla ricerca. Prevista, puntualmente, anche da questa finanziaria. Con il rischio che insieme ai baroni affondi anche l’università. La meno finanziata di tutti i paesi dell’Ocse.
La scuola, l’università, la burocrazia, insieme, definiscono il regno della sinistra. Che ancora oggi attinge i suoi consensi maggiori proprio in quest’area sociale. Nell’impiego pubblico, fra gli insegnanti e nelle professioni intellettuali. Gli intellettuali.
Invece il neo-anticomunismo rappresenta il mondo di “quelli che lavorano sul serio”. Interpretato efficacemente dal ministro Sacconi. Spietato con gli ex-comunisti o presunti tali. Con la Cgil. Il sindacato comunista (e chi lo è stato in passato è destinati a rimanerlo per sempre). Accusato di agire ispirato da pregiudizio politico più che dagli interessi dei lavoratori. I suoi iscritti operai, d’altra parte, resistono solo nelle grandi fabbriche. Quasi estinte. Oppure sono pensionati. Ex lavoratori che non lavorano più. Assistiti dallo Stato. Anche per questo votano prevalentemente a sinistra.
Contro la sinistra pubblica e intellettuale agisce la Lega popolana plebea. Immersa nel territorio delle piccole imprese. Ma anche nelle campagne. Come rammenta Zaia. Ministro dell’agricoltura. Un drago della comunicazione. Contadino fra i contadini, allevatore fra gli allevatori. Anche se non è mai stato né l’uno né l’altro.
E’ su questa linea di demarcazione che è stato costruito il muro del neo-anticomunismo senza il comunismo. Il nuovo muro. Da una parte, a ovest, il mondo dei lavori e dei lavoratori “che usano le mani”. Gli imprenditori e gli artigiani che producono, faticano. Fanno. Dall’altra parte, quelli che parlano, dicono, predicano. A spese dello Stato. Da un lato il privato e dall’altro il pubblico. Da un lato le cose concrete dall’altro quelle virtuali. Da un lato i “fannulloni” e dall’altro i “fantuttoni”, per citare Francesco Merlo. Quelli che fanno e quelli che dicono. I piccoli imprenditori e i lavoratori “veri” contro gli statali, i maestri,i professori, i baroni. Contro i giornalisti. Ma anche contro “attori e attrici, artisti e commedianti, registi e teatranti, cantanti e cantautori…Schiavi e proni. In attesa di una nuova rivoluzione”. Come li ha apostrofati il ministro Bondi, in una lettera al Foglio, a commento della visita degli artisti al Quirinale. Bondi: fino a ieri persona mite e rispettosa. Si è adeguato al linguaggio e allo stile del tempo. All’ideologia  che fa ritenere “L’industria culturale” quasi un ossimoro.
Berlusconi non si limita a ispirare questa rappresentazione del mondo. Ne scrive il copione, ne sceglie i personaggi. Delinea la scena con obiettici simbolicamente reali e realmente simbolici. Offerti dall’emergenza presente. Luoghi come Napoli-da liberare dall’immondizia; L’Aquila-da ricostruire sulle macerie del terremoto. Oppure il ponte sullo Stretto. Più che una infrastruttura: una sovrastruttura marxiana. Ideologia allo stato puro. Berlusconi è l’uomo-che fa, alla guida del governo italiano, che-ha fatto-più di tutti-negli ultimi 150 anni. Cioè da quando esiste l’Italia unita. Un vitalismo che schiaccia l’opposizione. Rappresentata e guidata da funzionari, uomini di Stato. Politici di professione. Giornalisti. Artisti. E intellettuali. Quindi ex oppure neo-comunisti. L’opposizione. Dovrebbe certamente avvicinarsi di più al mondo dei lavori. E magari rifiutare, senza rassegnarsi, questa ideologia. Che considera la cultura inutile. E l’intellettuale una figura improduttiva. Più che una categoria: un insulto.

La Repubblica, 15.11.2009

Il neo-anticomunismoultima modifica: 2009-12-07T00:33:00+01:00da pelikan-55
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