Cinepanettoni d’essai (2)

Farefuturo contro i film di Natale: «Basta, boicottiamo il cinepanettone»

ROMA – Natale in India, Natale a New York, Natale in crociera, Natale a Rio (con il concorrente «La fidanzata di papà») e finalmente Natale a Beverly Hills. La saga dei cinepanettoni continua per la gioia degli amanti dei film facili, all’insegna degli intramontabili Boldi e De Sica. Ma inaspettatamente sul clima festoso delle pellicole che fanno cassetta – nei primi tre giorni di uscita, «Natale a Beverly Hills» ha fatto incassare 3 milioni 472 mila euro, come «Natale a Rio» nel 2008 – si abbattono gli strali della politica. Anzi del politically correct. La Fondazione Farefuturo attacca infatti l’ultimo prodotto da record di Neri Parenti: «Boicottiamo il cinepanettone».


FINIANI CONTRO – Mentre a Roma e Milano le sale sono piene, Farefuturo affonda senza mezzi termini. Bocciando il film, afferma: «Non ci si può stare… Speriamo che qualcuno dalle parti del ministero della Cultura possa rivedere un po’ le cose, o almeno provarci. Noi quest’anno, per protesta, il cinepanettone lo boicottiamo». Insomma, il ministero chiarisca perchè darà dei soldi al produttore per un film miliardario che non è certo un prodotto culturale.
Nella sostanza, il web magazine della fondazione del presidente della Camera Gianfranco Fini critica la normativa in base alle quale film come «Natale a Beverly Hills», «avranno la possibilità di usufruire dei finanziamenti pubblici». Il tutto, sottolineano altri detrattori del genere cinematografico, «mentre il governo persevera in inauditi tagli al Fondo unico per lo spettacolo (Fus)».
QUESTIONE DI STILE – Insomma, mentre non si finanziano più trasposizioni teatrali di Shakespeare o Pirandello, con i soldi dei contribuenti si pagano le costose trasferte all’estero di intere troupe impegnate a girare quelle che – accusano i puristi – non solo certo pellicole d’essai io esercizi di stile. Eppure, come scriveva il 23 dicembre Paolo Mereghetti sulle colonne del Corriere della Sera «Nemmeno nei suoi sogni più azzardati Christian De Sica aveva osato tanto»: il cinepanettone è stato dichiarato ufficialmente “film d’essai”, «e non per un qualche colpo di mano dei fan del supertrash o una resa incondizionata del fronte unito Critici & Castigamatti, ma per “merito” della legge italiana sul cinema».
«Il punto – scrive su Farefuturo Cecilia Moretti – non è se ti piace ridere con Christian De Sica, Sabrina Ferilli, Massimo Ghini, Michelle Hunziker, Alessandro Gassman e Gianmarco Tognazzi e dare i soldi del tuo biglietto alla pellicola di Neri Parenti. Ci mancherebbe. Il punto è, invece, che è assurdo che la stessa pellicola benefici dei crediti d’imposta e degli aiuti fiscali e monetari pensati per sostenere gli esercenti più attenti e coraggiosi, quelli che, cioè, dovrebbero dare spazio ai film culturalmente più stimolanti».
LA REPLICA DEL MINISTRO – Il ministro dei Beni Culturali Sandro Bondi, dal canto suo, era già intervenuto sulla questione scrivendo al Corriere della Sera per commentare un pezzo di Ernesto Galli della Loggia. Chiarito che sarebbe erronea «la notizia della concessione a tale genere di film del riconoscimento di film di interesse culturale», il ministro sottolinea che «il film in questione, inoltre, non ha chiesto nessun contributo diretto allo Stato ma, si ribadisce, il mero riconoscimento per i requisiti di spettacolarità al fine di ottenere la possibilità di ottenere il credito di imposta così da poter reinvestire l’anno prossimo».
Bondi ha quindi annunciato che limiterà «d’ora in avanti il finanziamento diretto, in conseguenza del riconosciuto valore culturale di un’opera cinematografica, solo alle opere prime, cioè solo ai giovani registi che hanno davvero bisogno di essere sostenuti all’inizio della loro carriera in ingresso al mercato».

COSTOSI PRECEDENTI – Ma la polemica, va detto, non nasce solo da Farefuturo. In realtà già nei giorni scorsi l’agenzia Il Velino aveva sottolineato lo sconcerto di molti protagonisti della cultura davanti ai numeri dei finanziamenti pubblici al cinema.
«Il produttore Aurelio De Laurentiis potrebbe ricevere fino a due milioni di contributi dallo Stato – scriveva il Velino alla vigilia di Natale – grazie al riconoscimento di “Natale a Beverly Hills” come film di interesse culturale. Il decreto ministeriale 28 del 2004 (il cosiddetto decreto Urbani) riconosce infatti finanziamenti pari al 7% degli incassi per i lungometraggi che al botteghino abbiano ottenuto “da 10.329.138 a 20.700.000 euro”». Negli ultimi anni i cinepanettoni firmati da Parenti han sempre superato questa cifra: si va dai 21 milioni di «Natale a Miami» del 2005 ai 25 milioni di «Natale a Rio» del 2008.
AIUTINO E AGEVOLAZIONI FISCALI – L’ultima fatica californiana dei registi del panettone potrebbe facilmente superare i 20 milioni di incasso. Il tal caso – essendo stata classificata «di interesse culturale» dalla Sottocommissione cinema del ministero dei Beni e le Attività culturali – potrebbe fruttare al produttore un «aiutino» di Stato; un contributo pubblico di 1 milione e 500 mila euro.
Non solo. Grazie al meccanismo fiscale del tax credit, ogni film italiano può chiedere un credito d’imposta: un altro vantaggio per la produzione. La legge vigente stabilisce che il credito d’imposta possa arrivare al 15% del budget per i lungometraggi: tra 10 e 12 milioni di euro per la pellicola girata a Beverly Hills. «Anche se solitamente solo il 75-80% di tutte le spese di produzione sono “eleggibili” – chiarisce Il Velino -, il produttore partenopeo potrebbe ottenere fino a tre milioni di euro di credito nei confronti del fisco».

Luca Zanini

http://roma.corriere.it/roma/notizie/cronaca/09_dicembre_26/cinepanettoni-polemica-farefuturo-1602209588797.shtml

Piccola riflessione: anche in questo modo si lavora al disfacimento culturale di un paese. I nostri giovani come possono farsi una cultura cinematografica senza aver mai visto nulla di Bergmann, Fellini, Dreyer o quasi nulla di Kubrick, Truffaut, Antonioni? Il linguaggio filmico, come tutti i linguaggi, si impara dalla frequentazione dei classici, si impara guardando, pensando, riflettendo. Si impara a scrivere leggendo un menù, un orario delle ferrovie, un catalogo di un sexyshop?

Avrà un senso se il film più visto è “Natale a Beverly Hills” e il libro più letto è “Il tempo che vorrei” di Fabio Volo. Certo, ci si può consolare con il secondo “Il peso della farfalla” di Erri De Luca, ma subito si riprecipita con il terzo “Il simbolo perduto” di Dan Brown. E questa è la classifica IBS, figuriamoci le altre…

Ultima cattiveria: le critiche sopra esposte vengono dalla Fondazione Farefuturo di G.F.Fini. Una volta era la sinistra a incacchiarsi su queste cose, ora invece, ad esempio, la Fondazione Italiani europei (sì, quella del nostro Aureliano Buendia di Gallipoli) pensa ad altro, a cose più elevate. Significativamente l’iniziativa in corso promossa da questa  Fondazione si intitola “La linea inesistente”. Sarà solo un caso… (http://www.italianieuropei.it/)


Cinepanettoni d’essai

“Natale a Beverly Hills” è film d’essai. O almeno così lo riconosce la legge

MILANO — Nemmeno nei suoi sogni più azzardati Christian De Sica aveva osato tanto: il cinepanettone dichiarato ufficialmente «film d’essai». E non per un qualche colpo di mano dei fan del supertrash o una resa incondizionata del fronte unito Critici & Castigamatti, ma per «merito» della legge italiana sul cinema. Per aggirare i deprecati cedimenti ideologico-consociativi (leggi: favori ai fanigottoni del cinema sempre pronti a autofinanziarsi coi soldi dello Stato), la riforma dell’allora ministro della Cultura Urbani istituiva precisi parametri matematico-quantitativi per valutare i meriti di un film. Era il reference system che dava punti alla solidità produttiva, alla ricchezza del cast, al valore dei registi o dei direttori della fotografia, eccetera eccetera.
Quei punteggi servivano, e servono, per ottenere finanziamenti «bipartisan» oppure per accedere alla qualifica di «film d’interesse culturale e nazionale». Naturalmente le domande si presentano prima che il film sia girato (per ottenere le sovvenzioni) o comunque prima dell’uscita (per avere la qualifica) e la commissione che li concede si riserva poi di confermarli «previa visione della copia campione». Ma salvo improbabili colpi di scena, nessuna qualifica viene mai revocata. Da qualche mese, poi, questa qualifica è diventata vitale per ottenere i tanto agognati «crediti d’imposta»: per ridare fiato all’industria del cinema senza ricadere nelle sovvenzioni d’antica memoria, sono stati introdotti dei meccanismi di riduzione fiscale (i crediti d’imposta, appunto) capaci di favorire il reimpiego di capitali nella produzione. Ma per evitare che diventassero finanziamenti indiscriminati (e quindi fuori legge), la Comunità europea ha imposto che ne potessero usufruire solo i film di qualità, quelli cioè dichiarati «di interesse culturale e nazionale».
E qui si torna a «Natale a Beverly Hills», che ha chiesto e ottenuto la qualifica in questione per aver diritto ai sacrosanti crediti d’imposta ma che si è conquistato in sovrappiù una «qualifica di film d’essai» che per la legge Urbani spetta di diritto a tutti i film di interesse culturale e nazionale. E qui le cose si complicano. E in peggio. Perché diventare film d’essai vuol dire permettere al cinema che ti programma di ottenere quegli aiuti (fiscali e monetari) che sostengono gli esercenti più attenti e coraggiosi, quelli cioè che dovrebbero dare spazio ai film più difficili, controversi, stimolanti e culturalmente validi. Non certo a quelle megastrutture che magari riempiono tutte le sale con tre o quattro blockbuster e non si preoccupano di far quadrare le logiche del botteghino con quella della qualità. Invece «trasformando» in cinema d’essai anche i multiplex che proiettano opere come «Natale a Beverly Hills» (nella stessa riunione ha già ottenuto lo stesso riconoscimento «Winx Club 2») si finisce solo per sottrarre ulteriori finanziamenti a quei piccoli esercenti che, con un pubblico più attento alla qualità dei film che del pop corn, sono l’ultimo baluardo per la difesa di un cinema degno di questo nome. Altrimenti rischiano di diventare pura demagogia tutte le richieste di maggior efficienza e moralizzazione che la Politica rivolge a questo settore: se non si cambia al più presto questa legge, le occasioni per essere orgogliosi della nostra cinematografia diventeranno ogni giorno più esigue. Con o senza il marchio d’essai.

Paolo Mereghetti

http://www.corriere.it/spettacoli/09_dicembre_23/Natale-a-Beverly-Hills-paolo-mereghetti_3d8e43f4-ef9a-11de-b696-00144f02aabc.shtml

Moderazione modello Carroccio (Marco Travaglio)

Da giorni assistiamo alla telesfilata di verginelle con fazzoletto o cravatta verde che denunciano pensose i “seminatori di odio” e i “mandanti morali” del folle attentatore di Milano, invitando la sinistra a “moderare i toni”. Questi piromani leghisti possono travestirsi da estintori grazie alla generale smemoratezza sul loro recentissimo passato. Il loro enfant prodige, il sindaco di Verona Flavio Tosi, ha una condanna definitiva per istigazione all’odio razziale contro i rom. Il loro veterano, il prosindaco-prosecco di Treviso Giancarlo Gentilini, vanta una condanna in primo grado per lo stesso reato. E il loro ministro dell’Interno Bobo Maroni s’è buscato 4 mesi e 20 giorni di reclusione in Cassazione per aver menato e addirittura addentato agenti della Digos impegnati, nel 1996, in una perquisizione della Procura di Verona nella sede della Lega a Milano. L’intero stato maggiore del Carroccio è finora scampato, grazie a spericolate votazioni immunitarie del Parlamento, a un’altra inchiesta veronese per le bande paramilitari denominate ‘Guardia Padana’.

Senza dimenticare le loro parole di affettuosa solidarietà agli sciagurati ‘Serenissimi’ che sequestrarono un traghetto a Venezia per occupare armi in pugno il campanile di San Marco. Come irenici nemici dell’odio e della violenza, non c’è male. Contro l’allora procuratore capo di Verona, Guido Papalia, che oltre alla tara della funzione giudiziaria ha pure l’origine meridionale, la Lega dell’Amore scaricò una gragnuola di minacce e insulti, culminati il 13 febbraio 2005 in un corteo di 10-15 mila fanatici capitanati dal ministro Roberto Calderoli, agghindato pagliaccescamente in toga. La squisita sfilata urlava “Papalia il tuo posto è in Turchia”, “Papalia terrone il tuo posto è in Meridione”, “Papalia il più terrone che ci sia”. Il tutto condito dal dolce stil novo di Mario Borghezio: “Magistrati facce di merda”. Gran finale con falò di immaginarie sentenze e una finta lapide dedicata al procuratore. Vivi applausi dal futuro ministro Luca Zaia (“Papalia si crede Dio”), dal sindaco Tosi (“Chi dice la verità sugli zingari ladri di bambini diventa razzista”) e da Bossi (“Gente così dovrebbe essere bandita dalla società civile e non fare più il magistrato”). Papalia fu poi promosso e trasferito a Brescia. Il nuovo procuratore, Mario Giulio Schinaia, fu quasi subito aggredito da una gang di giovani facinorosi, uno dei quali l’accoltellò alla schiena. L’aggressore, 17 anni, appena arrestato dichiarò di odiare il magistrato perché indagava sulle bande giovanili violente di estrema destra. Ora, per Natale, Schinaia ha allestito in Procura un presepe antirazzista, con la Sacra Famiglia di colore. Subito gli son saltati addosso il ministro Zaia (“inutile provocazione”) e il prosindaco-prosecco Gentilini (“disprezza il presepe bianco, non è più al di sopra delle parti”). Sono fortunati a essere leghisti: fossero di sinistra, il centrodestra li avrebbe già additati come mandanti morali postumi dell’attentato al procuratore.

L’espresso, 23 dicembre 2009

Un ricordo per…

Un ricordo per due artisti che in queste giornate di festa ci hanno lasciato. Il primo è Giulio Bosetti, attore teatrale e televisivo (chi-over 40-non ricorda La vita di Leonardo da Vinci (1971) o i più giovani la sua interpretazione di Eugenio Scalfari in Il Divo (2008)?).

Il secondo è Giancarlo Sgorlon, autore di Il trono di legno (1973), La regina di Saba (1975), Gli dei torneranno (1977), La carrozza di rame (1979), fino all’ultimo  La penna d’oro (Morganti, 2008). Uno scrittore forte, legato alla sua terra friulana, l’autore italiano forse più vicino a Garcia Marquez.

Il tempo che passa significa anche vedere andar via scrittori e attori senza che nulla di meglio venga a sostituirli, ecco perchè la scoperta di nuovi autori (come è stato per me, recentemente, quella di Safran Foer, classe 1977 o dei fratelli Cohen) lascia un brandello di speranza per il futuro.

Il senso del dono: per un Natale di gratuità (E.Bianchi)

Il senso del dono: per un Natale di gratuità

Assaliti dall’ansia del regalo, nel mese di dicembre sembriamo ormai smarrire il legame con l’Avvento e, con esso, anche l’autentica dimensione umana e cristiana del dono. Sommersi dai doni da fare o da ricevere, abbiamo perso il senso della gratuità, non riusciamo più a vederla come ricchezza nelle nostre vite e nelle nostre relazioni, convinti di essere noi gli unici protagonisti di ogni cosa, coloro che determinano l’evolversi delle vicende e delle società. Eppure il Natale cui ci prepariamo dovrebbe ricordarci sia il dono per eccellenza che è ogni vita nuova che nasce, sia il dono inaudito che Dio ha fatto all’umanità e alla creazione intera con la venuta nella carne di Gesù, vero Dio e vero uomo.

Come la vita, infatti, il dono è qualcosa che ci precede, che esula dai diritti-doveri, che non può mai essere pienamente ricambiato, che nasce da energie liberate e origina a sua volta capacità inattese. La gratuità non è tale solo perché non comporta un prezzo, ma più ancora perché suscita gratitudine e, più in profondità ancora, perché sgorga da un cuore a sua volta grato per quanto già ha ricevuto. Nel dono autentico non si riesce mai a tracciare un confine certo e invalicabile tra chi dà e chi riceve: non perché vi sia il calcolo di chi pesa il contraccambio, ma perché, come dice Gesù, “c’è più gioia nel dare che nel ricevere” (Atti 20,35). Chi dona, infatti, gode a sua volta della gioia che suscita in chi riceve. D’altronde, il fondamento dell’amore è la rinuncia alla reciprocità e alla sicurezza che ne deriva: occorre indirizzare l’amore verso l’altro senza essere sicuri che l’altro ricambierà.

E non dovremmo pensare al dono solo come a una possibile forma di scambio tra le persone: riscoprire la gratuità come istanza anche sociale costituisce un’esperienza liberante e arricchente per ogni tipo di convivenza. Lo ricorda con parole forti Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in veritate: “La gratuità è presente nella vita dell’uomo in molteplici forme, spesso non riconosciute a causa di una visione solo produttivistica e utilitaristica dell’esistenza… Lo sviluppo economico, sociale e politico ha bisogno, se vuole essere autenticamente umano, di fare spazio al principio di gratuità come espressione di fraternità”.

Forse il tempo del Natale e la maggiore sensibilità alla dimensione del dono che questa festa suscita potrebbe aiutarci proprio in due percorsi di approfondimento del senso delle nostre vite. A livello personale e relazionale, possiamo riscoprire la libertà profonda che il donare richiede e la gioia che suscita sia in colui che dona che in colui che riceve: A livello sociale, ci è dato di prendere coscienza di come, anche nell’ottica mercantile ormai dominante, si possano concretamente immettere istanze di gratuita fraternità: la solidarietà umana, uno stile di vita più sobrio ed essenziale, una ritrovata dimensione di fratellanza universale non sono alternative alle ferree leggi economiche o all’esercizio della giustizia, ma sono anzi correttivi preziosi per una più equa distribuzione di quei doni naturali che sono intrinsecamente destinati a tutti. Come cristiani testimonieremo così l’unicità del Signore di cui celebriamo la venuta nella carne e attendiamo il ritorno nella gloria: un dono sceso dall’alto che non ha cercato né atteso il nostro contraccambio per portare a tutti le ricchezze della sua grazia, il volto divino della gratuità. Senza il concetto di dono e di dono gratuito non sarebbe possibile un parlare cristiano perché, non lo si dimentichi, nel cristianesimo persino l’alleanza, che di per sé è bilaterale, è diventata alleanza unilaterale di Dio offerta all’uomo nella gratuità.

Enzo Bianchi

Avvenire, 13 dicembre 2009

Il «post Duomo» e la fiction a reti unificate

Il «post Duomo» e la fiction a reti unificate
Enzo Costa
Anche Mario Pirani odia? Lunedì 21 dicembre, l’editorialista di Repubblica è tornato a Bonn, riavvolgendo il nastro a prima del lancio sconsiderato e criminale del souvenir, per rileggere quel discorso del Premier e definirlo come un manifesto di un nuovo Stato totalitario. In cui un Capo votato dal popolo annulla gli altri poteri, i contrappesi di una normale democrazia liberale. Questo, era il discorso di Bonn. Basato su presupposti tanto indimostrati (i giudici sono al servizio della sinistra; i giudici della Consulta favoriscono la sinistra giacché in gran parte nominati da Presidenti di sinistra; gli ultimi tre Presidenti della Repubblica, essendo stati votati dalla sinistra, non agiscono imparzialmente) quanto gravi e offensivi, per le persone cui si riferivano e le istituzioni che esse rappresentano.
Un quadro deliberatamente distorto (un “violento attacco”, per Napolitano), propedeutico a un disegno alternativo: uno Stato dall’unico Potere. Totalitario, per Pirani (e Scalfari e Barbara Spinelli). Definizione tecnicamente perfetta, ma moralmente colpevole? Impiegarla per descrivere il progetto di Berlusconi, significa odiare quest’ultimo, e attentarne l’incolumità armando la mano dei più fragili? Così è, per la vulgata (maggioritaria) Cicchitto. E il vittimismo feroce con cui lo si ripete in tv è già una prova tecnica di moderno totalitarismo.
Esemplare, su questo, il dopo-Duomo: nell’etere posseduto e controllato dal Capo ogni giorno, per ore e ore, si è inscenata una rappresentazione unica, a base di Sangue e Fede: le immagini cruente del volto insanguinato si accompagnavano a litanie ossessive, beatificanti la vittima fino a elevarla, con don Verzé a Porta a Porta, a novello Cristo («Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno»); chi osava rifiutare l’equiparazione aggressione-opposizione ri-bollato da tutti, da Capezzone alla Zanicchi, come odiatore e mandante morale dell’aggressore.
Colpiva, da quello show, la sparizione dei fatti. Di molti fatti: gli insulti scagliati da anni da Berlusconi e sottoposti contro chi, per credo politico o dovere istituzionale, ne avversa i piani; le contestazioni toccate a suo tempo a Prodi, tra il tripudio ghignante della destra e la civile accettazione di Prodi stesso; l’attentato patito da quest’ultimo nel 2003, e da lui vissuto con riserbo, senza grancasse mediatiche, vittimismi ringhiosi o patenti di odiatori affibbiate a nessuno. Il fatto che oggi, dai sondaggi, tale rappresentazione risulti premiante, ne conferma il carattere totalitario: le fiction a reti unificate trionfano inevitabilmente.

http://www.unita.it/news/enzo_costa/93055/il_post_duomo_e_la_fiction_a_reti_unificate

Un paese in declino (intervista a Ludovico Einaudi)

“L’Italia è un paese in declino, in preda alla cultura televisiva, a un misto di violenza e sensazionalismo, al gossip sfrenato. Fatico a riconoscermi nell’Italia che conoscevo….” Racconta della domanda ossessiva dei giornalisti stranieri: come fa a sopportare l’Italia di Berlusconi? “E’ mortificante riascoltarla per mesi…anch’io a volte facevo domande su Bush agli americani, ma non tutti erano portatori dei valori di Bush, tanti non vedevano l’ora di liberarsene. Così rispondo: vi sembra incredibile, ma Berlusconi è stato eletto. E’ una pianta spuntata da una terra molto ben concimata. Concimata per anni, bruciando il prato intorno…Il terreno l’ha preparato attraverso la tv commerciale, che è oggi la nuova coscienza culturale italiana. Io non la guardo. La trovo triviale.…La televisione in Italia interpreta lo stesso spirito, greve e maschilista, che berlusconi cavalca da anni: Quest’estate ne abbiamo avuto la massima evidenza con i suoi comportamenti pubblici e privati. Io sono legato a Milano e ai miei figli, ma sto meglio a Londra o a Berlino. Provo un senso di pena per un paese sempre più cialtrone, ripiegato sull’insulto reciproco. Dove anche la sinistra sa solo demolire, incapace di un progetto credibile, senza un leader in cui mi possa riconoscere. Il paese dell’arrangiarsi e del salvarsi improvvisando.”

L’Espresso, 29 dicembre 2009, pp.100-102

A Natale si può…

A Natale siamo tutti più buoni. Bel problema per il sottoscritto che, come gli amici sanno, è cattivo d’animo (ha avuto un’infanzia difficile). Uno ci prova anche, ma poi il pensierino carogna, lo spiritello bastardo, oplà, saltano sempre fuori. Pazienza. Tanto il Paradiso me lo sono già giocato da un bel pezzo…

Notte di Natale, Basilica di S.Pietro. Una squilibrata salta le transenne e spintona il papa facendolo cadere. Anche Benedetto XVI è chiaramente vittima del clima d’odio che si è instillato contro di lui. Pare che alla notizia il vecchio satiro ricucito abbia esultato, gridando: “Cribbio, il tedesco mi ha copiato!” e poi è corso subito a scrivere (oddio, a chiedere a Letta di farlo) una lettera apostolica di partecipazione. Nel fondo buio (ma proprio buio) del suo animo ha pensato: “A me un Duomo intero, a lui neanche una colonna, tzè..”

Aureliano Buendia di Gallipoli s’è offeso: contro di lui una “Una campagna di calunnie per aggirare il congresso e spaccare il nostro partito”. Diciamolo, ha ragione! Chi si permette di rompere il monopolio, ormai consolidato, del nostro Aureliano di fare, disfare, accoltellare, sabotare, segretari, partiti, coalizioni? Un po’ di ordine! Mettersi in fila e prendere il numero: quando lui, il “più migliore” avrà finito, se ci resterà qualcosa da distruggere arriveranno anche gli altri. Ma non prima. E che diamine!

PEC (Kosovo) – Il 2010 potrebbe essere l’anno buono per le riforme, anche perchè, per il presidente del Senato, renato schifani, «stiamo chiudendo l’anno in un clima politico quasi di riappacificazione». «Io lavoro per questo, e insieme a me lavorano anche tanti altri uomini della politica e delle istituzioni – ha detto Schifani a margine della visita ai militari italiani impegnati in Kosovo -. Io trovo dei grandi spiragli. Questo non può che essere salutato con grande ottimismo e con grande fiducia per un domani dove la politica sia meno litigiosa e conflittuale, ma più dialogante sulle grandi riforme sulle quali ci richiama sempre il Capo dello Stato». Sentir parlare uno che si chiama schifani (i nomi avranno un senso, o no?) di “grandi spiragli” dà semplicemente i brividi, come parlare di “facile avanzata” ai nostri alpini ai tempi dell’invasione della Russia. Ma chi è quel demente con tendenze suicide che davvero pensa che con questi schifani si possa discutere di qualcosa che non sia l’orario del bus o il pronostico di milan-inter?

A proposito:

Su Reggio24ore potete firmare una appello al sindaco DelRio perchè non inviti schifani il 7 gennaio a Reggio.http://www.reggio24ore.comSezione.jsp?titolo=Appello+a+Delrio.+Schifani%3F+No%2C+grazie&idSezione=8639

Natale

Natale

Non ho voglia
di tuffarmi
in un gomitolo
di strade

Ho tanta
stanchezza
sulle spalle

Lasciatemi così
come una
cosa
posata
in un
angolo
e dimenticata

Qui
non si sente
altro
che il caldo buono

Sto
con le quattro
capriole
di fumo
del focolare

G.Ungaretti

da Vita d’un uomo, Tutte le poesie, Mondadori, Milano 1977

Un Natale colorato

Altro che White Christmas! Qui il Natale è coloratissimo
di Igiaba Scego

19.jpg.jpegI bambini amano colorare. Un foglio bianco è l’inizio di un’avventura bellissima. In mano matite, pennarelli, pastelli e quello che era di un solo colore si trasforma in una foresta fantastica fatta di tutte le nuances del mondo. In questi giorni un miracolo simile è avvenuto qui all’Unità. Via posta elettronica è arrivata la vita, VOI. Foto, Pensieri e tanti tantissimi sorrisi. Siete stati in tanti a rispondere all’iniziativa del Natale colorato lanciata sulle pagine del giornale. La triste vicenda di Coccaglio, del White Christmas, non è piaciuta a nessuno. Controllare a tappeto i permessi di soggiorno dei residenti migranti è sembrato a molti di noi un’eco di qualcosa che non volevamo più vivere. Personalmente mi ha ricordato i cartelli del ventennio, quelli appesi all’ingresso dei negozi con su scritto «qui solo ariani».

Il Guardian, autorevole giornale inglese, ha dedicato a questa triste vicenda addirittura la prima pagina, considerando la faccenda non una bravata (come alcuni qui in Italia hanno sostenuto con una scrollatina di spalle), ma un atto grave di violazione dei diritti fondamentali dell’uomo. Purtroppo il White Christmas invocato dalla Lega è stata la punta dell’iceberg di una situazione italiana tragica fatta di intolleranza istituzionale e soprusi mediatici. Un mix letale. Dalla morte di Abba, il giovane ragazzo italiano originario del Burkina Faso, ne vediamo ormai di tutti i colori. È quasi un bollettino di guerra. Viviamo in un triste clima di apartheid, dove clandestini alla fine siamo tutti, estranei a una situazione in cui si creano cittadini di serie A con diritti e cittadini di serie B da considerare carne da macello, inutili, sacrificabili. Però le vostre foto ci dicono altro, parlano di speranza.

Quando leggo Antonella che dice «Per me il natale è sapere che un’amica Rom ha trovato lavoro in un’azienda onlus» mi si gonfia il cuore di contentezza. C’è amore, amicizia, solidarietà nelle vostre foto. Coppie che si amano, giovani che si divertono, bambini che giocano. Mauro Baioni ha inviato i volti multicolori di un corso di italiano di un Ctp a Brescia, Sabrina ha promesso in una mail di mandare le foto dell’associazione mamme afroitaliane, mamme bianche di bambini misti o adottati, mentre Luca e Andrea ci hanno fatto partecipi del loro viaggio in Sudan e in una foto fa capolino anche Moni Ovadia. Il Natale 2009 da queste foto già so che sarà memorabile. Vivere insieme in una società complessa non è facile, lo so, ma non è impossibile. E queste foto lo dimostrano. Un’altra Italia c’è (e perdonatemi lo slogan facile). Ora sarebbe bello che tutto questo colore lo vedesse anche il sindaco di Coccaglio. Gli mandiamo la pagina dell’Unità come biglietto d’auguri? Io domani lo farò.

La galleria fotografica con le foto che ci avete inviato a unitaonline@unita.it in:

http://www.unita.it/news/l_iniziativa/93028/altro_che_white_christmas_qui_il_natale_coloratissimo