“Politica alla puttanesca”

Il Guardian: politica alla puttanesca
“Dal Pdl intimidazioni inaccettabili”

LONDRA – Un editoriale del Guardian, il più importante quotidiano filolaburista britannico, interviene sulle polemiche che divampano in Italia sull’attacco a Silvio Berlusconi. Con un titolo mezzo in inglese, mezzo in italiano, “Politics alla puttanesca” (Politica alla puttanesca), il commento nella pagina degli editoriali e senza firma, dunque espressione della direzione del giornale come è tradizione della stampa anglosassone, comincia osservando che da due giorni il nostro Paese è in preda a un dibattito per stabilire se l’aggressione al premier è il prodotto di quello che egli ha definito il “clima di odio” contro di lui.

L’articolo parla quindi del discorso tenuto da Fabrizio Cicchitto, leader del Pdl alla Camera dei deputati, che ha elencato i “presunti responsabili della suddetta campagna di odio” contro il primo ministro: la Repubblica, L’espresso, Marco Travaglio, i partiti di opposizione, certi giudici. “Indicare un giornalista come qualcuno che ha a che fare, direttamente o indirettamente, con l’attacco di un folle, è una vecchia tecnica sperimentata nel periodo più buio della storia europea”, afferma l’editoriale. “Non contento di dichiarazioni offensive, Berlusconi intende legiferare. Il suo ministro degli Interni ha annunciato che domani il governo valuterà due nuove leggi che limitano le dimostrazioni di protesta e i ‘siti dell’odio’ su internet. Ma invece di cercare un capro espiatorio politico, il 73enne tycoon dei media dovrebbe chiedersi perché 250 mila italiani sono scesi in piazza per il No Berlusconi Day”.

Nel resto d’Europa, continua il Guardian, “ci sono dimostrazioni contro una politica o un governo. In Italia la gente protesta contro il primo ministro non per ciò che rappresenta, ma per quello che è. Ed è una protesta con buone ragioni. E’ un uomo coinvolto in scandali di sesso che rivelano il suo uso di prostitute. Persa l’immunità giudiziaria, egli è ora sotto processo per frode, corruzione ed evasione fiscale. E per tutto questo, cerca di dare la colpa a giornalisti, giornali, magistrati che insistono a fare il proprio mestiere e rifiutano di farsi intimidire da lui”.

L’attacco fisico che Berlusconi ha subito è stato “perfido ed esecrabile”. Ma “non ci sono prove che sia stato organizzato da altri”. I gruppi spuntati su Facebook che inneggiano all’aggressione sono “di cattivo gusto”, ma non richiedono una campagna per chiudere siti internet giudicati “incitatori della violenza”. In conclusione, scrive il Guardian, la risposta di Berlusconi e del suo partito “ricorda una repubblica dell’Asia centrale”. E a questo punto “i leader mondiali dovrebbero cominciare a prendere le distanze da un uomo simile”.

Giornali e telegiornali di tutto il mondo continuano a seguire gli sviluppi del caso, riportando bollettini sullo stato di salute di Berlusconi e le conseguenze politiche dell’attacco. L’Independent nota che l’aggressore rischia una pena di cinque anni di carcere per il suo gesto e scrive che le statuine del Duomo di Milano, del tipo usato da Massimo Tartaglia per colpire Berlusconi, “si vendono più in fretta del panettone e sono addirittura esaurite in certe bancarelle del centro” nel capoluogo lombardo. Il Times pubblica invece una riproduzione di una statuina di Berlusconi sanguinante col volto tumefatto, rimarcando che va a ruba a Napoli e in altre città, dove alcuni la mettono fra le statuine del presepe.

Il francese Le Monde parla di “isteria” del dibattito politico italiano e scrive che “la statuetta lanciata al volto del Cavaliere a Milano somiglia molto al temuto epilogo di una lunga stagione di odio”. Dopo aver analizzato la situazione sul versante dell’opposizione e dei media, il quotidiano definisce quello italiano “un clima da fine regno”. E conclude che “Berlusconi ha poche possibilità di ottenere un quarto mandato nel 2013, al termine di quello in corso”. Questo perché “debolezza politica, conflitto di interessi, fibrillazioni della maggioranza, esasperazione dell’opposizione, semplificazione del dibattito e saturazione dello spazio mediatico” constituiscono “un cocktail che forse è esploso il 13 dicembre (il giorno dell’aggressione, ndr) portanto a una prima risposta alla domanda che pone Berlusconi: “Perché tanto odio?””.

http://www.repubblica.it/2009/12/sezioni/politica/giustizia-22/rassegna-16dic/rassegna-16dic.html

Internet: vetrina del mondo

Il solerte “ministro” marroni progetta interventi sul web per tagliare, censurare chi incita alla violenza.Giusto, perchè il web è vergine da ogni tipo di messaggio violento o antidemocratico.

Godiamoci questo video dal titolo programmatico “Benito Mussolini. Ecco chi era veramente”.

http://www.youtube.com/watch?v=81mIXuWMhGo&NR=1&feature=fvwp

Poi, per rifarci occhi e orecchie “Fucilazione di Mussolini – Comunicato del CLN”:

http://www.youtube.com/watch?v=SfZCrXteftc&feature=related

Ma forse più interessanti degli stessi video sono i commenti….

Test socio-psico-comportamentale: “Perchè mi odiano?”

Proponiamo il test socio-psico-comportamentale elaborato dal prof.Hezemans dell’Università di MagnyCours.

Se abitate in un condominio: Ogni mattina suonate alla porta del dirimpettaio e, quando verrà ad aprirvi, urlategli un improperio a scelta: “Str…o!”, “Farabutto!”, “Coglione!”, “Mascalzone!”, “Pervertito!, “Figlio di troia!”.

Proseguite questa azione per almeno 15 giorni. Terminate i quali se si verificheranno i seguenti fenomeni:

a. La vostra auto sarà stata segnata in parcheggio da profonde rigature orizzontali e verticali;

b. Qualcuno avrà orinato sui vostri vasi di fiori;

c. Quella volta che siete scivolati per le scale avete avuto la sensazione che qualcuno vi spingesse.

A chi attribuirete la colpa di tali azioni:

1. Al dirimpettaio perchè è comunista;

2. Al dirimpettaio perchè fomenta l’odio verso di voi;

3. Al dirimpettaio perchè vuole delegittimare la vostra presenza nel condominio.

Inviate le vostre risposte a “Perchè mi odiano?”, c.p. 2020, Trapani, entro le ore 24 del 23/12/2009. Fra i primi 100 solutori saranno sorteggiati n.10 Duomi di Milano in scala 1:100 in puro marzapane.

Il corpo ferito del Capo (Marco Belpoliti)

Che cosa suggerisce la visione del viso insanguinato del Presidente del Consiglio? Quello di un uomo che ha subito un incidente, che si è rotto il labbro, che si è fratturato il naso, che sanguina copiosamente. Un accidente casalingo, un incidente d’auto, un’effrazione improvvisa e inattesa. Qualcosa di fortuito e casuale. In realtà, come sappiamo tutti per averlo visto nei telegiornali, o su You Tube, Silvio Berlusconi è stato colpito da un oggetto scagliato con forza da un uomo.
Un attentato dissennato, dato l’oggetto usato per ferirlo – un souvenir, un simbolo della città di Milano in miniatura –, e vista la situazione. Un gesto folle, eclatante, assurdo. Un attentato in miniatura, si dovrebbe dire, perché non mortale, nonostante la situazione e il contesto, simile a quello di mille altri attentati a uomini politici negli ultimi due secoli: all’aperto, tra la folla, all’inizio o alla fine di un comizio. Qualcuno si sporge tra la massa dei sostenitori e compie l’atto fatale. Ma qui non accade.

La follia ha sempre metodo, e più di una ragione. Chi ha scagliato l’oggetto contro il Presidente del Consiglio, Massimo Tartaglia, voleva violare il corpo del Re, un corpo sacro, che diventa tale attraverso l’investitura del potere, i rituali della vestizione, le cerimonie della proclamazione, il culto che lo circonda. In queste settimane Silvio Berlusconi ha spesso parlato dell’investitura che avrebbe ricevuto dal Popolo; ha parlato, seppure con metodi mediatici da telegiornale e tele-spot, del proprio potere in termini sacrali, simili a quelli dei sovrani medievali e rinascimentali. Ha caricato di segni e simboli la sua stessa persona.
Si tratta di un processo che va avanti da tempo, in modo postmoderno, e non più medievale, attraverso tecniche che tendono a rendere giovane e quasi eterno il suo corpo: fitness, lifting, liposuzioni, trapianti dei capelli, cure di vario tipo e grado. L’eternità del corpo di Berlusconi sfida la mortalità stessa del corpo tradizionale del Re, destinato, alla pari di tutti i corpi, a invecchiare e morire. Nella tradizione medievale e moderna la regalità, il corpo immortale del Re, è trasmessa ai discendenti: “Il Re è morto, viva il Re”, si proclama quando muore il vecchio re e gli succede il nuovo.
Nel caso di Berlusconi il corpo vivo coincide con la regalità. Il corpo del Capo è diventato il corpo politico stesso, la sua regalità riposa sul suo stesso corpo che egli cerca di sottrarre al passare del tempo, al suo naturale logoramento, per renderlo, e qui sta il paradosso, eterno nel tempo: “una giovinezza eterna senza passato”.
È una mescolanza di aspetti antichi e moderni, medievali e postmoderni. L’aver posto tutta l’attenzione sul proprio corpo, in sintonia con quello che accade all’intera società occidentale, fondata sul “narcisismo di massa” e sulla cura ossessiva del corpo, è l’elemento centrale della sua politica. Abbiamo un solo corpo, ci dice continuamente la pubblicità, bisogna curarlo. Si tratta dell’unico bene di cui disponiamo, per questo va conservato, modellato, ringiovanito. Berlusconi si trova al culmine di questo processo, lo incarna e lo orienta con i suoi stessi comportamenti.
Ma la sacralizzazione del corpo mortale del Capo ha sempre messo in moto meccanismi opposti di desacralizzazione, come è accaduto molte volte nella storia. Nel 1990 a Sofia, la folla inferocita assaltò il mausoleo del Capo, Gheorghi Dimitrov, fondatore del Partito comunista bulgaro, e cercò di bruciare la sua mummia. Nel 1945 il corpo morto di Benito Mussolini fu gettato sul selciato di Piazzale Loreto, e dissacrato mediante una sconcia impiccagione a testa in giù. La folla l’aveva acclamato, ora la folla l’ha deturpato. Sono tanti i gesti del genere che traggono la loro motivazione nel rovesciamento della sacralità stessa del leader.
Il messaggio sacrale della ritualità moderna, ci spiegano gli antropologi, fa a meno della sfera religiosa tradizionale, e non ha più bisogno di ricorrere alle magie e alle superstizioni del medioevo, quando ai Re di Francia veniva attribuito il potere taumaturgico del tocco che guariva dalle malattie perniciose della pelle. Tuttavia il sacro non è scomparso, si è solo trasformato. Meglio: si è travestito, è entrato a far parte della nostra vita quotidiana attraverso gli schermi televisivi, le riviste patinate, i messaggi pubblicitari, i personal computer. Che lo sappia o no, che sia studiato o meno, Silvio Berlusconi mette in moto meccanismi che funzionano per gli attori come per i santi, per Marylin Monroe e per Padre Pio. Il corpo è sacro nella sua stessa materialità, in quanto corpo che muore, per questo viene investito di una significato totale e totalizzante.
Due gesti compiuti da Silvio Berlusconi ferito dall’atto del folle di ieri colpiscono. Col primo egli si china, si copre il viso con un pezzo di stoffa. Qui c’è il gesto umano, della persona ferita, che cerca riparo, che è stordita, che non capisce cosa gli è accaduto, e vacilla. Col secondo il Capo ritorna tale: dopo essere entrato nell’auto, spinto dai suoi guardiaspalle, esce di nuovo. Si mostra alla folla. Vuole far vedere che è vivo, certo, rassicurare i suoi sostenitori, ma vuole anche compiere un gesto di ostensione. Una sorta di Sacra Sindone al vivo: viva e sanguinolenta.
Si mostra perché è nell’ostensione che il suo potere corporale esiste e prospera. Ha compiuto tutto questo in modo istintivo, senza ripensamenti. Fossimo stati negli Stati Uniti, la sicurezza lo avrebbe caricato in auto e sarebbe partita a tutta velocità. Poteva esserci ancora pericolo. No, Silvio Berlusconi sfida il pericolo, si espone di nuovo, seppur dolorante, col sangue sul viso, atterrito ma vivo, allo sguardo dei fedeli, perché questo è la natura stessa del patto che ha stretto con loro.
La politica dell’immagine di Silvio Berlusconi, che passa attraverso sempre più attraverso la politica del proprio corpo, mostra qui qualcosa d’inquietante: il suo legame con la vita e insieme con la morte.
Il folle gesto simbolico di Tartaglia rivela quel lato in ombra che la sacralizzazione quotidiana delle immagini televisive e fotografiche nasconde, e che al tempo stesso ne è il rovescio: l’inconscio desiderio di desacralizzazione. Lo sfregio, l’abrasione, il colpo al viso sono antropologicamente – sacralmente, si dovrebbe dire – parte stessa di quella politica d’incentivazione del corpo. L’ostensione chiama implacabilmente la violazione. Il gesto di ieri a Milano è stato compiuto da un folle, che nella sua follia ci manifesta qualcosa di terribile. Il potere del sacro non perdona.

http://www.nazioneindiana.com/2009/12/14/il-corpo-ferito-del-capo/

Il piano “M”

Galeazzo Fornicetti è da 23 anni infermiere all’Ospedale S.Raffaele di Milano, questo il dialogo che giura di aver afferrato iersera mentre portava la pillola serale (no, non la solita blu, quella bianca di Piramidone antalgico) al premier:

“Cribbio, siete una banda di pirla…”/”ma, capo…noi pensavamo…”/Bondi…ma da quando tu pensi?”/”No, volevo dire che abbiamo fatto le cose in buona fede…”/”Buffoni, incapaci, siete peggio che un impiegato del catasto…cribbio! Ero stato chiaro? Qui non mi si sta più cagando nessuno…al prossimo processo mica possiamo pagare tutti i testimoni, c’ho il divorzio da pagare…anche alla gnocca adesso devo starci attento…Ci voleva il colpo di teatro…no? facile…Ma voi…pirla che non siete altro…”/”Ma Capo…ci hai dato poco tempo…non siamo come te…”/”Capezzolone, non dire le solite minchiate…il tempo che ci vuole vi ho dato…era semplice, no? Il piano “M”, ve l’ho spiegato: M come martire, mica M come MAGUARDACHEBOTTACHE HO PRESO!”/”Abbiamo dovuto improvvisare con quel che abbiamo trovato…”/“Aaargh! Improvvisare? Con me? Ma sapete chi sono io?”/”Sì, siremaestàDio…perdono…”/“Cribbio, era così semplice, trovare uno mezzo scemo, meglio se dei centri sociali, negro, ebreo e comunista, lo si caricava come un bufalo, gli si faceva avere una lettera di Di Pietro che gli dava l’orrendo ordine (che Bondi scrive così bene quando non bada all’italiano) e via…uno sputazzetto, una scoppolina, un buffetto…”/ “Noi pensavamo…”/ “Pensavate che cosa? Cicchitto, l’ultima volta che hai pensato c’erano i russi a Budapest!”/”Sì capo, slap, scusa capo, slap…”/“Cosa fai? Lecchi? mi infetti le ferite, schifoso!”/”Beh, capo, però alla fine è andata bene, abbiam fatto un bel casino…”/”Un bel casino? C’ho rischiato l’occhio, cribbio!”/”Abbiamo fatto spostare anche i bodigard, gli abbiamo detto cucù c’è la yespica che incespica…”/“Diotaiuti! Lascia perdere l’Aida, che come me la canta quella al mio radames…E poi, con tutta la plastica che c’è in giro, cribbio! Un Duomo di marmo dovete dargli!? Non bastava un palloncino, un bignè, no! Un Duomo! Cribbio, con le guglie affilate, guarda, Bondi come la guglia fese la sacra plastica, guarda! Il sangue scorse sulla gota…!”/“Sì capo, abbiamo già organizzato l’ostensione della sacra sindone, cioè il tuo fazzoletto sporco di sangue sarà esposto qui con don Verzè che canta il silviodeum…”/“Ohh, bondi, questa è la prima cosa saggia che dici dal sessantadue…mi tira su di morale!”/”Evviva il capo, evviva il capo…!”/“Bene, lasciate ora che le mie palle espletino il loro lavoro…in fondo t’ho cuccato anche quel gnagno di bersani, e adesso chiamami l’aida, la Violetta, Liù e tutta la compagna cantante…che so, magari i ministri li rimpasto un po’ per la Befana…”, ehh, vita dura per i feriti…“/

I punti fermi del “Fatto”

Viviamo momenti difficili ed è quindi necessario fissare alcuni punti fermi a cui noi del Fatto Quotidiano intendiamo attenerci. Primo. Silvio Berlusconi è stato oggetto di un’aggressione violenta che sgomenta e che deve suscitare in tutti la più ferma condanna. Il suo volto insanguinato e sofferente è una pagina nera per il nostro Paese. Secondo. L’autore dell’aggressione è uno psicolabile da dieci anni in cura per problemi mentali, e tanto basta per individuare la matrice del gesto. Terzo. Ieri a Milano il tanto celebrato sistema di sicurezza del premier ha fallito su tutta la linea. Si doveva e si poteva impedire che l’esagitato si avvicinasse a Berlusconi anche perché il suo atteggiamento era apparso subito sospetto. Quarto. La domanda sul clima infame che ha provocato l’aggressione è fuori luogo vista la personalità dell’aggressore. Ma se si vuole porre il problema di chi questo clima ha creato sottoscriviamo il giudizio di Rosy Bindi: il responsabile di questo clima è chi da mesi attacca tutte le istituzioni di questo paese, dal Quirinale, alla Corte costituzionale, alla magistratura. Quinto. Subito le teste di cuoio berlusconiane, politiche e giornalistiche si sono mobilitate per scatenare la caccia all’opposizione, politica e giornalistica. Sappiano costoro che per quanto ci riguarda non arretreremo di un millimetro nella contrapposizione civile e rigorosa al peggior governo della storia repubblicana.

Antonio Padellaro

http://antefatto.ilcannocchiale.it/glamware/blogs/blog.aspx?id_blog=96578

Auguri, Presidente…

Ora che tutto è finito bene, facciamo gli auguri di pronta guarigione all’illustre infermo, condannando fermamente ogni gesto di violenza etc, etc… Espletate le formalità, possiamo così tornare a celiare in attesa che l’alba si chiarisca all’orizzonte.

Prima domanda: ma il chirurgo del premier ha studiato alla Cattolica o alla Pirelli? Perchè deve essere bravo a rimettere in sesto tutta quella plastica….

Seconda domanda: il premier si è chiesto oggi “Ma perchè tanto odio?”. Forse perchè da anni va insultando metà del paese, dicendo che chi non lo vota è un comunista, coglione, debosciato, fancazzista, nemico dell’umanità, corrotto, comprato, venduto, fglio di madre ignota, pedofilo, assassino, etc..? Non è così che si costruisce un’amicizia. O no?

Terza domanda: si può sfuggire alla logica folle degli anni di piombo per cui o si era di qua o di là? Si può dire che la violenza è sbagliata ma che il vecchio satiro ammaccato ha fatto di tutto e di più per tirarsela addosso? Si può o si diventa pericolosi terroristi?

Ultima domanda (la più angosciosa): per quante settimane ora ci romperanno i cabasisi con il martirologio del premier? “Santo subito” è il grido che si leva dal popolo, già era confessore, vergine e vescovo, figurarsi, ora, anche “martire”.

Articolo 54

Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore.
(Costituzione della Repubblica italiana, articolo 54
)

Una bomba per fermare la storia col sangue (O.Pivetta)

Gli italiani appresero della bomba dal telegiornale della sera, Rauno. A Milano si sapeva: dapprima la caldaia che era esplosa, abbastanza presto dell’attentato. Appena dopo che erano stati i “comunisti”, ma subito prese a girare una raccomandazione: «Bisogna chiedersi a chi giova». Il senso comune stava già aggiustando le cose. La Rai non aveva pensato a edizioni straordinarie. Aveva richiamato un operatore da Bolzano e l’aveva spedito in piazza Fontana, alla Banca dell’Agricoltura. Fu lui a riferire in redazione: «Altro che caldaia. Una caldaia al tritolo». Glielo aveva sussurrato un ufficiale della Digos.

Dallo schermo in bianco e nero Rodolfo Brancoli cominciò a raccontare di tredici morti e settantotto feriti, di un buco largo un metro nel pavimento e delle assicurazioni del ministro dell’Interno Restivo: che si sarebbe fatto tutto il possibile per trovare i colpevoli. Già Brancoli chiarì: la caldaia era rimasta intatta, non ci sono dubbi che ci sia stata una bomba. Brancoli informò anche delle tre bombe di Roma, all’Altare della Patria, all’ingresso del museo del Risorgimento, nel sotterraneo della Banca nazionale del lavoro. Pochi minuti e chiuse: «Colleghiamoci con Milano, con Elio Sparano». E finalmente, oltre la voce grave di Elio Sparano, le immagini: dentro la banca le macerie, gli infissi divelti, i vetri infranti e il buco; fuori la gente al di là delle transenne nel buio di una serata fredda, nebbiosa, uggiosa. Sparano confermò: tritolo, sette otto chili, tredici morti… Poi gli ospedali: i feriti, bendati, fasciati, che dai loro letti sembravano guardare nel vuoto, incapaci a capire. Infine si seppe di un’altra bomba, collocata in una valigetta davanti alla Banca commerciale, poco lontano. Quella venne fatta esplodere per ordine del procuratore capo Enrico De Peppo: così si persero possibili tracce. A Mario Pastore toccò il pastone politico, cominciando dal messaggio del presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat. Dall’inizio alla fine in sei minuti e mezzo. La bomba era esplosa alle 16,37 del 12 dicembre, un venerdì pomeriggio. La Banca dell’Agricoltura era aperta, come non capitava per le altre banche: era un luogo di contrattazione e lì si ritrovavano commercianti e produttori per discutere di affari. Poco più in là, verso corso Vittorio Emanuele e piazza del Duomo, s’erano accese le luminarie di Natale. Le strade erano affollate. Lo scoppio si sentì anche lontano. Alla Statale gli studenti del movimento erano riuniti in assemblea. Qualcuno cercò di sapere che cosa fosse mai successo. Tornò in aula e riferì. Mario Capanna, il leader, invitò tutti a lasciare l’università e a tornare a casa in piccoli gruppi, senza dar nell’occhio: temeva provocazioni fasciste. Lo scoppio lo avvertì anche Ugo Paolillo, il pubblico ministero di turno. Paolillo avrebbe iniziato con scrupolo l’indagine, che però gli venne sottratta e subito trasferita a Roma, nonostante il giudice naturale fosse quello di Milano. Paolillo s’era avviato da casa in via Corridoni verso il Palazzo di giustizia. Arrivando, trovò una macchina pronta a condurlo in piazza Fontana. Là c’era già il sottufficiale di pubblica sicurezza Michele Priore. Viaggiava sull’autobus N, che faceva fermata pochi metri in là rispetto all’ingresso della banca. L’autobus dovette fermarsi, lui scese e si precipitò nel salone devastato. «Ai primi accorsi l’interno della banca offriva un raccapricciante spettacolo: sul pavimento, che recava al centro un grande squarcio, giacevano, tra calcinacci e resti di suppellettili, vari corpi senza vita ed orrendamente mutilati, mentre persone sanguinanti urlavano il loro terrore…»: così sta scritto nella sentenza di primo grado, la sentenza di Catanzaro, il 23 febbraio 1979, quella che condannò all’ergastolo per strage i fascisti Freda e Ventura e Guido Giannettini, il giornalista che era diventato con il nome in codice “Zeta” un agente del Sid, il servizio italiano di spionaggio. Il giorno dopo sarà il giorno dello sgomento, della paura, delle domande. Il telegiornale ne raccolse qualcuna tra la gente, al microfono di Romano Battaglia. La telecamera percorse i corridoi e gli stanzoni degli ospedali soffermandosi sul viso dolce di un bimbo: Enrico Pizzamiglio, tredici anni, che perse una gamba. Alla fine i morti furono diciassette: quattordici subito, altri due in ospedale, un altro morto si aggiunse un anno dopo, per le conseguenze delle ferite. Passati quarant’anni, anche lo Stato italiano riconobbe la diciottesima vittima: Giuseppe Pinelli, che tre giorni dopo la strage volò dalla finestra della Questura. «Morte accidentale di un anarchico», scrisse Dario Fo. Il telegiornale comunicò: «Giuseppe Pinelli stanotte veniva interrogato in una stanza al quarto piano della Questura. Durante una breve sosta dell’interrogatorio si è gettato nel vuoto da una finestra rimasta socchiusa, nonostante il tentativo di trattenerlo da parte del personale di polizia presente in quel momento… è caduto in questa aiuola…». La telecamera inquadrò il selciato e alcune pianticelle spezzate.

Tra le immagini degli archivi Rai anche quelle (mai andate in onda) della prima conferenza stampa di Marcello Guida, il questore che era stato durante il fascismo direttore delle guardie a Ventotene, l’isola degli antifascisti al confino. Sullo sfondo il quadro di un paesaggio invernale. Guida, panciuto con i capelli impomatati, come due funzionati che gli stavano accanto, assicurò i giornalisti che le indagini sarebbero state condotte nel migliore dei modi. Sorrideva sempre, come i due colleghi, come avesse dovuto raccontare una favoletta. La seconda conferenza stampa, indimenticabile, Guida la tenne la notte dopo la morte di Pinelli, davanti a cinque giornalisti (tra i quali la nostra Renata Bottarelli), con toni da aperitivo in salotto, fino alle tre del mattino. In sostanza, come racconta Corrado Stajano, altro testimone, disse di Pinelli: «Aveva gli alibi caduti. Un funzionario gli aveva rivolto contestazioni e lui era sbiancato in volto». «Un pezzo da antologia – scrisse Ibio Paolucci nel suo libro Il processo infame – per chi voglia insegnare a distinguere, in un resoconto ufficiale, le menzogne più sfacciate dalla verità…». La strada era stata però aperta dal ministro Restivo, in un telegramma alle polizie europee: non abbiamo nulla in mano, «ma dirigiamo le nostre supposizioni verso i circoli anarchici». Così toccò pure a Pietro Valpreda, proprio il 15 dicembre, riconosciuto come l’uomo della valigetta dal tassista Cornelio Rolandi, «che abita a Corsico”, Il giorno dopo Valpreda sarebbe diventato il “mostro”. Lo annunciò Bruno Vespa: «Pietro Valpreda è un colpevole…». Valpreda divenne il mostro sulle prime pagine di quasi tutti i giornali. L’Unità fu più prudente: «Ancora una fitta rete di misteri». Qualcuno si spinse in là: «Sono stati i comunisti». Un salto logico, ideologico, stupefacente. Non bastavano gli anarchici. Tutto quel venerdì 15 dicembre, anche i funerali in Duomo, con il cardinale Giovanni Colombo e il presidente del Consiglio Mariano Rumor, tanta gente, trecentomila persone e le sedici bare allineate, tanta gente e sopra la nebbia… In piazza era già stato alzato l’albero di Natale. Da quel giorno per quarant’anni, e non è ancora finita, davanti a giudici e tribunali sono sfilati i personaggi più diversi e insospettabili: esaltati manovali del crimine, generali e colonnelli, da Miceli a Maletti, capi del Sid, al capitano Labruna, che aveva favorito la fuga di Giannettini, e tanti ministri, da Andreotti a Rumor a Mario Tanassi. Valpreda fu del tutto discolpato. Per Pinelli non vi fu mai incrimazione. Si capì che la bomba avrebbe dovuto seminare il panico nel paese e provocare tensioni, scontri, violenze, giustificando l’intervento repressivo. Entrò in ballo anche la Cia. Il modello era la Grecia. Si capì che lo Stato occultava, copriva, tollerava, aiutava e si giunse però a una verità storica: che l’officina delle bombe era di estrema destra, la destra dei fascisti di Ordine nuovo, quello fondato da Pino Rauti.

http://www.unita.it/news/italia/92577/una_bomba_per_fermare_la_storia_col_sangue

L’equivoco dei falsi sinonimi (Moni Ovadia)

La mancata adesione ufficiale del Pd alla straordinaria manifestaszione “viola” dello scorso sabato è stata davvero una grande occasione mancata. Profondi sono stati il disagio e la delusione della maggioranza degli elettori dello stesso Pd. Ma oltre alla delusione si percepisce nell’elettorato del centro-sinistra una crescente incredulità di fronte alle titubanze, ai comportamenti ondivaghi ed alle inesplicabili prudenze di parte significativa della dirigenza del grande partito riformista. Quale senso può avere la costituzione di un nuovo ed inedito partito riformatore se non quella di essere leader nel cogliere le novità epocali e i nuovi orizzonti del quadro politico? Quale ruolo può esercitare in una società degradata da un governo padronale con vocazioni populiste ed anticostituzionali se non quello di mettersi alla testa di un’opposizione netta e riconoscibile in cui possano trovare cittadinanza gli italiani che credono alla democrazia? Il Pd sembra invece avvitato sugli schemi frusti della politique politicienne del dopo crollo del Comunismo, sembra preda del ricatto di una destra avventurista e cortigiana che li intimidisce con il vecchio trucco dell’anticomunismo senza comunisti, sembra afflitto da una morbosità endemica che gli fa temere la propria ombra ombra che, Dio ci scampi, potrebbe ancora rivelare qualche traccia rossa. È ora di risvegliarsi da questa sorta di maleficio, ora di liberarsi dagli insensati complessi di colpa e dall’equivoco dei falsi sinonimi: lotta non è sinonimo di violenza, ma di passione, decisione non è sinonimo di aggressività, ma di chiarezza, fermezza non è sinonimo di intolleranza ma di responsabilità, coraggio non è sinonimo di mancanza di pragmatismo, ma di visione del futuro e senza futuro non c’è vita, c’è solo una malinconica sopravvivenza da zombie.

http://www.unita.it/news/moni_ovadia/92571/lequivoco_dei_falsi_sinonimi