Lech lechà!

Fra i tanti “dibattiti” in corso, magari effimeri su cose proprio non utilissime (il ritorno della minigonna, la dieta mediterranea, i video hard della mussolini), ha preso qualche spazio la lettera di Celli al figlio, uscita su Repubblica di qualche giorno fa, con l’esortazione a lasciare il belpaese per (ri)farsi una vita (inciso: se un grand commìs di Stato come Celli ammette il fallimento della sua generazione, non sarebbe meglio che lui e tutti quelli come lui se ne andassero loro all’estero?). La cosa, in qualche modo, mi interessa, mia figlia non sì è iscritta all’università per andarsene in Germania a studiare tedesco in vista di un futuro accesso a facoltà internazionali. Da Berlino, dove si trova ormai da tre mesi, l’invito è caloroso: “Mollate tutto e venite anche voi”. La risposta è la solita: “Avessi vent’anni in meno…”. Lo so, se ce ne andassimo tutti lasceremmo questo povero paese in mano ai leghisti e ai fedeli del vecchio satiro. Negli anni della mia giovinezza girava il motto “Chi si estranea dalla lotta è un gran figlio di mign..”, però…
Però una cosa non esclude l’altra. Come racconta Gad Lerner nelle pagine del suo bellissimo “Scintille”, quando la voce di Dio si fa sentire per la prima volta ad Abramo è per dirgli “Vattene dalla tua terra natale e dalla casa di tuo padre verso la terra che io ti mostrerò”. Lech lechà! Frase in ebraico che può anche scomporsi in Lech le-cha “vai verso te stesso!” L’esperienza dell’abbandono della casa è importante, la nascita dell’Università a Reggio ha avuto questo solo lato negativo, di consentire a tanti ragazzi di non lasciare mai la casetta natale, di continuare a vivere nella facilità quotidiana. Lech lechà! Vattene, esci, impara che fuori c’è un mondo in cui dovrai vivere e da cui potrai, se vuoi imparare. Vattene, magari per tornare, se ne varrà la pena.
Andarsene all’estero non è fuggire, andare all’estero non è un esilio. Ma come fermare un figlio di fronte alla putrefazione quotidiana che abbiamo davanti agli occhi? I figli non appartengono ai genitori, ai genitori il compito di offrire loro il massimo delle possibilità. Ho aperto questo blog anche per rispondere alla domanda che mi fece allora proprio mia figlia: “Papà, quando tutto questo sarà finito, cosa diremo di aver fatto, noi?”. Lei se n’è andata-per ora-all’estero, a scoprire che ci possono essere paesi normali, io resto qui a Fortezza Bastiani a guardarmi attorno e chiedermi “Sentinella, a che punto è la notte?”.

“Calpestare l’oblio”

La differenza tra calpestare l’oblio e calpestare la verità
In questi giorni abbiamo assistito ad un piccolo miracolo, un feroce ed organizzato attacco da parte degli organi di informazione legati al potere politico (Il Giornale, Il Corriere della Sera, Libero, Il Foglio, La zanzara) contro un e-book di poesia, “Calpestare l’oblio”, liberamente scaricabile dal sito de “La Gru” (www.lagru.org), che consiste nell’unione di trenta poeti italiani “contro la minaccia incostituzionale, per la resistenza della memoria repubblicana”.
I toni sono per lo più dileggiosi e volti ad operare una riduzione macchiettistica finalizzata allo sfottò nei confronti dei partecipanti, dipinti come una “corazzata Potëmkin” (Il Giornale) di vecchi ed “oscuri” (Libero) poeti nostalgici del ’68 e carichi di “odio” nei confronti di Silvio Berlusconi (Il Giornale, Il Foglio), e nei confronti dell’operazione in sé rinominata “Poeti contro Silvio” (Il Giornale).
Alcune precisazioni.

1) I nomi
Al di là di autori più anziani e di facile riconoscibilità come Roberto Roversi (1923), Giuliano Scabia (1935), Alberto Bellocchio (1936), Maurizio Cucchi (1945), Franco Buffoni (1948) e Gianni D’Elia (1953), e al di là anche dei più giovani ma già conosciuti Alba Donati (1960), Giancarlo Sissa (1961) e Maria Grazia Calandrone (1964), l’antologia “Calpestare l’oblio” è costituita per i suoi due terzi da poeti della nuova generazione, nati negli anni ’70 ed ’80.
Per la precisione, da alcuni dei suoi esponenti di maggiore rilievo come Flavio Santi, Massimo Gezzi, Marco Giovenale, Enrico Piergallini, Luigi Socci, Martino Baldi, Matteo Zattoni o Raimondo Iemma, di cui chiunque abbia una pur vaga familiarità con la storia critica della poesia italiana degli ultimi quindici anni è a conoscenza.
Domanda: le redazioni culturali dei quotidiani italiani di oggi hanno una pur vaga familiarità con la storia critica della poesia italiana degli ultimi quindici anni o la ignorano completamente?

2) Gli stili
Gli autori contenuti nell’antologia “Calpestare l’oblio” sono di diversa provenienza estetica, vale a dire che l’opera risultante è assolutamente eterogenea nei contenuti e negli stili di scrittura. Si va dall’intervento civile alla meditazione metafisica sul tema della memoria, dal poemetto espressionista alla radiografia post-human della mutazione antropologica, così come formalmente si passa dal metro tradizionale alla prosa ritmata, o dal genere lirico allo sperimentalismo narrativo.

Ridurre a genere anti-berlusconiano un’antologia vasta e densa di autori e di percorsi, è solo l’ennesima offesa che la destra italiana rivolge volgarmente alla poesia contemporanea.
Basti perlomeno ricordare il celebre intervento “Il poeta povero? Ormai è un falso mito” (Il Giornale), uno degli innumerevoli sfottò nei confronti dell’arte più umiliata, ferita ed offesa dall’ultimo trentennio di storia nazionale.
“Calpestare l’oblio” vuol dire anche che i nuovi poeti italiani non intendono più restare in silenzio di fronte allo sfacelo culturale del proprio Paese, sfacelo che se può essere definito sinteticamente “berlusconismo”, più propriamente è la Storia del trentennio dell’interruzione culturale e della colonizzazione televisiva della società italiana.

3) I temi
Contro questo Trentennio di interruzione culturale i poeti di “Calpestare l’oblio” si ribellano.
Essi dicono anche che l’ideologia della separazione, per cui alla poesia sarebbe dato di occuparsi solo del bello e del poetico, è finita.
I poeti di “Calpestare l’oblio” reclamano il proprio diritto alla cittadinanza nella Polis del dibattito politico e culturale.
I temi del pretesto antologico (La memoria della Resistenza, la resistenza della memoria) sono definiti dal giovane storico Luigi-Alberto Sanchi in apertura dell’e-book “Calpestare l’oblio”, introduzione la cui lettura avrebbe forse consentito ai giornalisti che si sono occupati in questi giorni del caso dei “poeti in rivolta”, una lettura più pertinente e consapevole dei fatti.

4) “Calpestare l’oblio” non è un lavoro antologico concluso, l’azione va avanti e tutti i poeti italiani sono invitati ad unirsi inviando alla redazione de “La Gru” un proprio testo poetico che sottoscriva il nostro atto di rivolta culturale e poetica contro l’ideologia italiana della separazione, contro l’oblio dello spettacolo, per la resistenza umanistica e della memoria repubblicana.
Venerdì otto gennaio, dalle ore 18 sino a tarda notte, “Calpestare l’oblio” sarà un’assemblea di poeti ed intellettuali, con reading e concerto musicale, presso il locale “Beba do Samba”, nel quartiere San Lorenzo di Roma.
In tale occasione sarà presentata l’antologia rinnovata e definitiva di “Calpestare l’oblio”.

Per la redazione de “La Gru”,
Davide Nota

Testamento biologico: la Chiesa valdese istituisce il registro

Testamento biologico: la Chiesa valdese istituisce il registro
di Cecilia Maria Calamani, cronachelaiche.it

“Non fare agli altri quello che non vuoi che gli altri facciano a te; fai agli altri quello che vuoi che gli altri facciano a te”. Con questo principio ispiratore, tratto dal Vangelo, la Chiesa valdese di Milano ha attivato uno sportello pubblico per la raccolta delle dichiarazioni anticipate di fine vita di tutti i cittadini, valdesi e non.

Nel modulo da riempire, si può dare o negare l’autorizzazione a trattamenti sanitari nel caso ci si trovasse “in situazione di perdita della capacità di decidere o di impossibilità di comunicare, temporaneamente o permanentemente le decisioni ai medici”. Tra i trattamenti, anche idratazione e alimentazione forzata, trasfusioni di sangue, respirazione meccanica, chirurgia d’urgenza.

Tutt’altra posizione rispetto alla Chiesa cattolica (e di conseguenza alla maggioranza parlamentare). Eppure i testi ispiratori sono gli stessi, Bibbia e Vangelo. La differenza è che la Chiesa cattolica si pone come intermediario – attraverso il Papa – tra l’uomo e Dio, mentre per i valdesi il filo è diretto. Il che significa sfrondare la “parola di Dio” da tutte le infallibili interpretazioni  papali trasformate nei secoli in “leggi divine”.
E infatti i Valdesi promuovono la ricerca scientifica e sulle staminali (bollata da Santa Romana Chiesa), la contraccezione, l’aborto e l’eutanasia. E ora anche il testamento biologico.

Già nel 2007, il Sinodo della Chiesa valdese aveva dichiarato in un documento: “E’ principio di civiltà dare voce, attraverso una legge, alle scelte della persona compiute con coscienza e volontà e in previsione di una futura incapacità nell’esprimere validamente il suo pensiero. L’approvazione di una legge sulle direttive anticipate costituirebbe, tra l’altro, semplice adempimento della Convenzione di Oviedo del 1997, già ratificata dallo Stato italiano, e in particolare dell’art. 9 laddove si afferma che “i desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte del paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà, saranno tenuti in considerazione“.

I Valdesi ci dimostrano, ancora una volta, che credere nel dio cristiano non significhi necessariamente  negare all’uomo i diritti fondamentali o depredarlo della libertà di decidere per la propria vita. Il loro modello di religiosità è profondamente diverso da quello coercitivo cui la Chiesa cattolica ci ha abituati da duemila anni.
Ma soprattutto, per i valdesi, le uniche leggi che valgono per tutti sono quelle dello Stato, non quelle della coscienza.

Non a caso, il modulo per il testamento biologico da loro proposto si chiude con l’articolo 32 della Costituzione italiana: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana“.

L’istituzione di registri per il testamento biologico sta dilagando un po’ ovunque in tutta l’Italia laica, ad anticipare la discussione parlamentare  su un testo di legge, il ddl Calabrò, che nega a ogni italiano il diritto primario, e inconfutabile, di disporre della propria vita. Se verrà approvato, è probabile che le dichiarazioni dei cittadini fino ad allora raccolte diventeranno solo carta straccia. Per il momento, però, danno un segnale forte che in un Paese civile non dovrebbe essere sottovalutato. In un Paese civile, appunto.

Povero Charlie! Povera Itaglia!

 

Homer-Sapiens-fun-Simpsons_large.jpg.jpegPovero Darwin. Assalto cristiano dal CNR

Cristiana Pulcinelli

L’evoluzionismo? Non è scienza, ma “una fantasiosa storia”. A dirlo questa volta non è un creazionista qualunque, ma addirittura il vicepresidente del Cnr, il Consiglio Nazionale delle Ricerche. Cosa ne penseranno i biologi che lavorano nel maggiore istituto di ricerca del nostro paese?
La storia comincia a febbraio scorso, quando Roberto De Mattei, storico e vice presidente del Cnr, organizza un convegno a porte chiuse nella sede del Cnr per confrontarsi “sulla fortuna delle teorie darwiniane, mettendone in luce le diverse criticità”. Dagli atti del convegno viene fuori un libro dal significativo titolo: “Evoluzionismo: il tramonto di un’ipotesi” pubblicato da poco dall’editore Cantagalli. Il libro è stato salutato da Fausto Carioti, vicedirettore del quotidiano “Libero”, in un articolo del 3 novembre scorso, come un volume “importante” in cui finalmente “gli scienziati iniziano a rendere pubbliche le loro critiche” a Charles Darwin. Una sorta di outing della comunità scientifica che finora non aveva avuto il coraggio di opporsi al dogma dell’evoluzionismo. Un “corpus teorico” che “secondo i documenti che il Cnr sta per rendere pubblici, fa acqua da tutte le parti”.
All’articolo risponde Marco Cattaneo, direttore de Le scienze, in un articolo del 23 novembre in cui si racconta che il convegno in realtà ospitava una dozzina di autori internazionali “quasi nessuno dei quali si occupa, nella sua vita, di biologia. E nessuno di biologia evoluzionistica”. Successivamente,
Telmo Pievani, docente di filosofia della scienza alla Bicocca di Milano ed esperto di evoluzionismo, riprende la storia con un lungo articolo su Micromega in cui, oltre a raccontarci le più recenti prove della scientificità della teoria di Darwin, entra nei dettagli e racconta chi erano gli invitati al convegno di febbraio scorso. C’è ad esempio un sedimentologo francese in pensione, Guy Berthault, il quale non è persuaso dell’esistenza dei “lunghissimi tempi geologici” presupposti dall’evoluzione darwiniana. Secondo i suoi calcoli, la Terra è giovane e il tempo è stato “insufficiente per l’evoluzione delle specie, come risulta concepita dai sostenitori dell’ipotesi evoluzionista”. Berthault è anche convinto di poter mostrare che il Grand Canyon si è formato, nel corso di un solo anno, in conseguenza del diluvio universale. Una teoria audace, capace di sbarazzarsi in un sol colpo dell’evoluzione darwiniana, della tettonica a placche e anche delle teorie sulla formazione del nostro pianeta.
Assieme a lui sedevano nella sala del Cnr un medico francese che si è occupato di chirurgia robotica ma viene indicato come biologo. Un ex dendrologo polacco, ovvero un signore che si occupa di alberi, che viene spacciato per genetista, ma fa parte per davvero della Lega polacca per le famiglie ed è un alfiere di battaglie contro l’omosessualità e il relativismo morale. E via così.
Del resto, neppure De Mattei è un biologo. Insegna Storia del cristianesimo e della chiesa all’università europea di Roma, una università non statale ma riconosciuta che ha come missione promuovere “l’autentico sviluppo della persona; una cultura profondamente cristiana; l’approfondimento della verità attraverso la ricerca scientifica; la diffusione della civiltà della giustizia e dell’amore”. De Mattei è anche direttore della rivista “Radici cristiane” e presidente della Fondazione Lepanto (una fondazione che richiama nel nome la famosa battaglia di Lepanto del 1571, vittoria della cristianità sui musulmani dell’impero ottomano). Tutto bene, se non fosse che De Mattei è anche il vicedirettore del Cnr, il convegno si è tenuto nella sede del Cnr e gli atti di quel convegno vengono definiti “documenti usciti dal Cnr”.
Sia come sia, l’articolo di Pievani irrita De Mattei che replica con un articolo pubblicato da Il Giornale il 28 novembre in cui c’è la definizione dell’evoluzionismo come una “fantasiosa storia” e in cui si attacca il totalitarismo scientista, affermando che “oggi siamo passati dalla dittatura del proletariato alla dittatura del relativismo”. Lo stesso giorno anche Libero torna sull’argomento con un commento di Marco Respinti che legge l’attacco di Pievani come un attacco a De Mattei perché cattolico praticante,
Due giorni dopo, interviene anche Marco Ferraguti, presidente della Società Italiana di Biologia Evoluzionistica, con un articolo su Micromega on line. Ferraguti è andato a Chiasso per assistere alla presentazione del libro di De Mattei. Lì, dice Ferraguti “Abbiamo udito che festeggiamo i 20 anni dalla caduta del muro di Berlino, e quindi del comunismo, ma l’evoluzionismo è un dogma che sopravvive incomprensibilmente; che si può affermare “che l’uomo discende dalla scimmia come che gli asini volano, ma senza dati scientifici”; che Darwin era “teofobico” e “monista””. De Mattei si è spinto a dire che “l’evoluzionismo è una tipica forma di letteratura fantastica”. Di biologia, però, si è parlato ben poco, nota Ferraguti. E conclude con una domanda: “Continuo a pensare che il vero problema con persone come De Mattei non è di carattere scientifico (inesistente, almeno se si applicano i criteri correnti per definire che cosa sia scienza), bensì politico: che ci sta a fare una persona che non crede che la vita sulla Terra abbia una storia alla vicepresidenza del CNR?”.

http://www.unita.it/news/scienza/92102/povero_darwin_assalto_cristiano_dal_cnr

Libri da leggere, film da vedere

Costretto davvero stavolta nella Fortezza Bastiani, ho avuto tempo per dedicarmi alla lettura, ai film, alla scrittura a pensare (beh, vabbè, quello che si può con i miei tre stanchi neuroni…) segnalo agli amici un paio di libri e qualche film degno di nota:

Gad Lerner, Scintille, Feltrinelli 2009

Mario Calabresi, Spingendo la notte più in là. Storie della mia famiglia e di altre vittime del terrorismo, Mondadori 2007.

Giovanni De Luna, Le ragioni di un decennio. 1969-1979. Militanza, violenza, sconfitta, memoria, Feltrinelli 2009.

Film:

L’uomo che non c’era (J.Coen, 2001)

Sleuth. Gli insospettabili (K.Branagh, 2007)

Giù al nord (D.Boon, 2007)

 

There’s anybody in there?

There’s anybody in there? Si chiedevano i Pink Floyd nel loro mitico “The wall”. C’è qualcuno lì dentro? Ed è quello che viene da chiedere all’affaticato potenziale elettore del PD, leggendo le varie prese di posizione di questi giorni. Prima il buon Violante (sì quello dei “ragazzi di Salò”) salta fuori a dire che lui ce l’avrebbe una soluzione per i problemini del premier, poi Letta che riconoscce il diritto del vecchio satiro a difenderesi non solo “nel” processo, ma anche “dal” processo. Oggi la Bindi ci dice che si è “confuso”. In Puglia il nostro Aureliano Buendia di Gallipoli vuol far fuori Vendola per perdere le elezioni, ma insieme all’Udc (sai che gusto!). Sabato ci sarà la manifestazione No-B Day e si stanno a masturbare (intellettualmente) su “se…ma…forse…però”, con la solita solfa demenziale che ad essere troppo antiberlusconiani si fa il gioco del vecchio satiro. Mah!

There’s anybody in there? O meglio, si chiedono mai, quelli là, se There’s anybody OUT there? c’è qualcuno là fuori? Che saremmo noi, elettori potenziali che non capiscono e sono stufi di adeguarsi a giochi, giochini di sponda, rimbalzi di terza con scarroccio al centro. Oltretutto nella agghiacciante constatazione che l’unico capace di aver vinto il vecchio satiro due volte su due è stato fatto fuori, mentre loro, che hanno sempre perso, sono ancora tutti lì. Squadra che vince non si cambia, bene, ma squadra che perde sempre? There’s anybody in there?

Filippi un candidato che accetta i regali

Filippi un candidato che accetta i regali

“Per me i candidati al consiglio sono tutti uguali”: così diceva Fabio Filippi all’inizio del 2009 allorquando, da candidato sindaco del Popolo della libertà, sfornava ogni giorno sondaggi iperbolici che a suo dire avrebbero dovuto garantirgli il ballottaggio “o contro Delrio o contro la Spaggiari”.

I candidati erano tutti uguali, ma uno di essi era evidentemente più uguale degli altri, se è vero – come è stato confermato da più fonti – che Annamaria Terenziani, trentunenne avvocato consulente della Confedilizia, ha regalato all’aspirante sindaco gli uffici al piano terra di via Tavolata 6, in pieno centro storico, per ospitarvi gli eventi e la logistica della campagna elettorale del cosiddetto “Filippi Point”.

La vicenda merita un approfondimento, non fosse altro perché qualsiasi cittadino che volesse affittare un ufficio in centro storico dovrebbe firmare un contratto e mettere mano al portafogli.

Circostanze stabilite dalla legge e certamente note all’avvocato Terenziani, che di proprietà immobiliari e di pratiche di locazione si occupa quotidianamente nello studio fondato dalla madre, l’avvocato Gabriella Mariani Cerati, già assessore sul finire degli anni Ottanta nella giunta di sinistra Pci-Psi-Psdi e Verdi guidata dall’allora sindaco comunista Giulio Fantuzzi.

Parlando a Reggio24Ore, Filippi ha affermato che il rapporto di locazione con il proprietario degli uffici, ossia i Terenziani, sarebbe stato regolato da un non meglio precisato “contratto verbale”. Il che appare decisamente anomalo per una forza politica che si candidi ad amministrare il pubblico interesse, chiedendo per questo il voto agli elettori.

Ne derivano alcune semplici domande: perché non è stato stipulato un regolare contratto di affitto? E quale tipo di ricompensa, il candidato sindaco Filippi, ha stabilito per premiare una candidata tanto generosa da regalargli un affitto in centro storico per la durata di almeno tre mesi (e non per “poche settimane”, come sostenuto)?

La vicenda ha attirato critiche all’interno del Pdl, dove la vicenda non è mai stata ufficialmente chiarita. Alcuni tra i candidati alle elezioni hanno lamentato una disparità di condizioni poste tra la Terenziani e gli altri trentanove concorrenti.

Filippi assicura di non avere dirottato preferenze a favore della candidata-avvocato, che pure si è affermata al di là delle previsioni sopravanzando diversi tra gli esponenti storici del berlusconismo reggiano e risultando eletta contro i pronostici dei più. Ma, ovviamente, c’è chi non la pensa così. Anche perché un altro episodio narrato da un esponente del Pdl locale testimonia dell’appoggio decisivo di Filippi a favore della Terenziani in occasione della designazione della stessa alla presidenza della commissione comunale Affari Istituzionali.

In assenza di chiarimenti da parte degli interessati, alla luce della pubblica opinione rimane visibile quella singolare circostanza: il candidato sindaco del Pdl ha potuto utilizzare un ufficio di prestigio in centro storico senza dover sborsare un euro e senza vincoli contrattuali. In cambio di che? Non è stato spiegato.

Sarebbe utile che i protagonisti della vicenda volessero sgombrare il campo dai sospetti che un comportamento simile finisce oggettivamente per generare. Anche perché la materia dei “favori”, seppure articolati all’interno della medesima organizzazione politica di appartenenza, soggiace non solo alle valutazioni dello stile e dell’opportunità, ma anche alla legge.

http://reggio24ore.netribe.it/reggio24ore/Sezione.jsp?titolo=Filippi,%20un%20candidato%20che%20accetta%20i%20regali&idSezione=8247

Mussolini era razzista dal 1921 (N.Tranfaglia)

Mussolini era razzista dal 1921
di Nicola Tranfaglia

L’Italia, dopo la sua tardiva unificazione nazionale, ha avuto (possiamo dirlo con sicurezza, almeno fino a questo momento) un solo dittatore ed è stato il romagnolo Benito Mussolini. Certo uomini politici dell’età liberale, come Crispi e Giolitti, hanno dominato per alcuni anni l’orizzonte politico nazionale ma non si può parlare di dittatori, nell’uno come nell’altro caso. L’unico che ha fissato la sua egemonia personale in maniera stabile, per più di vent’anni, abrogando di fatto lo Statuto Albertino e chiudendo parlamento, sindacati e giornali di opposizione, è stato Mussolini. Di qui il grande mito nato nell’immaginario collettivo degli italiani, le numerose biografie che sono state scritte, nonché l’esaltazione smisurata che anche uomini che venivano dalla sinistra hanno coltivato del caposupremo del regime e del partito unico, fondato per sostenerlo. Ora, a distanza di 70 anni dalla catastrofe del regime fascista nell’aprile 1945, vengono pubblicati presso Rizzoli i Diari 1932-38 (a cura di Mauro Suttora, Mussolini segreto, pp. 522.euro 21) di Claretta Petacci che di Mussolini fu la giovanissima (20 anni nel 1932) e poco segreta amante per tutti gli anni trenta e quaranta fino alla morte per fucilazione con il suo uomo presso Dongo. Sono diari conservati prima nel giardino della villa della contessa Rina Cervis, poi nel 1950 confiscati dai carabinieri e conservati nell’Archivio Centrale dello Stato, con il vincolo del segreto di Stato. Soltanto quest’anno sono stati resi accessibili ai ricercatori fino al fatidico anno 1938.

Ma quale è l’aspetto più interessante dei Diari emersi dopo tanto tempo dai nostri archivi? Ce ne sono almeno due che guidano il lettore interessato al passato del nostro paese, ai suoi costumi, alla sua cultura, a personaggi (parlo di Mussolini anzitutto) che hanno contato per molto tempo nella mentalità media degli italiani. Il primo aspetto evidente è la disparità tra l’uomo e la donna che emerge con grande evidenza nelle pagine di Claretta Petacci. I due amanti sono molto gelosi l’uno dell’altra ma c’è una differenza fondamentale: Mussolini fa di continuo “scappatelle” con altre donne (la ex favorita del Duce Romilda Ruspi Mingardi che alloggia addirittura a villa Torlonia dove il suo amante vive con la moglie Rachele e i figli ma anche altre amanti del passato che ogni tanto tornano da lui e lo sollecitano a riprendere il rapporto); Claretta, invece, non ha altre avventure ma viene di continuo sospettata da Benito e minacciata di essere lasciata per sempre. Emerge con chiarezza il diverso significato dei tradimenti di lui e di quelli, peraltro inesistenti, di lei: Claretta lo rimprovera e si arrabbia per le “scappatelle” ma non pensa mai di lasciarlo. E lo stesso Mussolini si scusa, chiede perdono ma in più occasioni dice che non ha potuto far diversamente. Come se alle donne fosse possibile e richiesto di non lasciarsi andare ad altri amori e lo stesso non dovesse valere per gli uomini. Mi viene in mente di fronte a queste pagine dei Diari una delle prime sentenze della Corte Costituzionale, appena dopo il suo tardivo insediamento a metà degli anni cinquanta, quando i giudici, dovendo stabilire, su richiesta di un tribunale, se la norma del codice penale che fissava un diverso trattamento per l’adulterio se compiuto dall’uomorispetto a quello compiuto dalla donna, si arrampicavano sugli specchi per differenziare i due adulteri invocando l’allarme sociale. L’intento era quello di salvare la norma del codice Rocco e non dichiararla incostituzionale, malgrado il contrasto evidente con l’articolo 3 della Carta sull’eguaglianza dei cittadini di fronte ad ogni differenza. Dovettero passare alcuni anni prima che la Corte riconoscesse quella incostituzionalità. L’altro elemento che emerge con chiarezza dai Diari riguarda le posizioni politiche e culturali che assumeMussolini nel dialogo quasi quotidiano con la giovane amante.

L’aspetto più interessante riguarda l’atteggiamento del dittatore rispetto al razzismo che appare, moderato, nei primi anni nel regime e frutto piuttosto del fanatismo di alcuni personaggi come Preziosi e Interlandi ma diventa nella seconda metà degli anni trenta la dottrina ufficiale sancita da leggi apposite e persino più precoci di quelle naziste nell’autunno 1938. «Ero razzista dal 1921. Non so come possano pensare che imito Hitler, non era ancora nato. Mi fanno ridere. La razza deve essere difesa».(4 agosto 1938). Simili affermazioni contrastano, evidentemente, con quella visione storica di cui Renzo De Felice è stato iniziatore e caposcuola, che dipinge il razzismo fascista come subalterno e di qualità diversa, culturale piuttosto che biologica, rispetto a quello nazionalsocialista costitutivo dell’ideologia tedesca.

01 dicembre 2009

http://www.unita.it/news/italia/92034/mussolini_era_razzista_dal