Quando finirà la notte (B.Spinelli)

Quando finirà la notte
di Barbara Spinelli, da Repubblica, 23 febbraio 2011

C’è qualcosa, nel successo strappato a Sanremo dalla canzone di Vecchioni, che intrecciandosi con altri episodi recenti ci consente di vedere con una certa chiarezza lo stato d’animo di tanti italiani: qualcosa che rivela una stanchezza diffusa nei confronti del regime che Berlusconi ha instaurato 17 anni fa, quando pretese di rappresentare la parte ottimista, fiduciosa del Paese.
Una stanchezza che somiglia a un disgusto, una saturazione. Se immaginiamo i documentari futuri che riprodurranno l’oggi che viviamo, vedremo tutti questi episodi come inanellati in una collana: le manifestazioni che hanno difeso la dignità delle donne; la potenza che emana dalle recite di Benigni; il televoto che s’è riversato su una canzone non anodina, come non anodine erano le canzoni di Biermann nella Germania Est o di Lounes Matoub ucciso nel ’98 in Algeria. Può darsi che nei Palazzi politici tutto sia fermo, che il tema dell’etica pubblica non smuova né loro né la Chiesa. Ma fra i cittadini lo scuotimento sfocia in quest’ansia, esasperata, di mutamento.
A quest’Italia piace Benigni quando narra Fratelli d’Italia. Piace Vecchioni quando canta la “memoria gettata al vento da questi signori del dolore”, e “tutti i ragazzi e le ragazze che difendono un libro, un libro vero, così belli a gridare nelle piazze perché stanno uccidendo il pensiero”. Quando conclude: “Questa maledetta notte dovrà pur finire”. Poiché si estende, il senso di abitare una notte: d’inganni, cattiveria,
sfruttamento sessuale di minorenni. C’è voglia che inizi un risveglio. Che la politica e anche la Chiesa, cruciale nella nostra storia, vedano la realtà dei fatti dietro quella pubblicitaria.
Massimo Bucchi aveva anticipato, in una vignetta del 19 gennaio 2010, questa rivolta contro il falso futuro promesso dai signori del dolore: “Ha da passà ‘o futuro!”. Erano i giorni in cui il governo non s’occupava che di legittimo impedimento, di lodo Alfano costituzionale, di processo breve. Immobile, il tempo ci restituisce senza fine l’identico. Quel 19 gennaio, il Senato si riunì per commemorare Craxi. Colpito poco prima a Milano dalla famosa statuetta, Berlusconi annunciava “l’anno dell’amore”.

Forse ricorderemo gli anni presenti per questa collana di eventi, che pian piano travolse giochi parlamentari, patti con un potere imperioso e tassativo con gli altri, mai con se stesso. Ricorderemo questa domanda di politica vera. Ricorderemo, infine, i tanti che non hanno visto montare la marea della nausea, che hanno consentito al peggio per noia, o rassegnazione, o calcolo di lobby. Cerchiamo di non dimenticarlo: ben 315 parlamentari hanno votato un testo, il 4 febbraio, in cui si sostiene che Berlusconi liberò Ruby perché, ritenendola nipote di Mubarak, voleva “evitare un incidente diplomatico”.

Ma soprattutto, colpirà nei documentari futuri l’inerte ignavia dei vertici della Chiesa, l’orecchio aperto solo ai potenti, il rifiuto – così poco cristiano – di dire male del male solo perché da questo male sgorgano favori; perché i governanti concedono alla Chiesa il monopolio sui cosiddetti valori non negoziali (il dominio sulla vita e la morte, essenzialmente) purché siano lasciati in pace quando violano la Costituzione, fanno leggi per sottrarsi alla giustizia, mostrano di non sapere neppur lontanamente cosa sia la decenza pubblica. La canzone di Vecchioni, la recita di Benigni, sono punti di luce in una chiusa camera oscura; sono una forza che sta di fronte alla formidabile forza del regime. Una forza cocciuta, insistente, cui l’opposizione è estranea e ancor più la Chiesa.
L’insurrezione interiore avviene anche dentro il mondo cattolico: si parla di un 30 per cento di refrattari, tra frequentatori della messa e presbiteri. Basta scorrere le innumerevoli lettere che parroci e preti scrivono contro i dirigenti in Vaticano, per rendersene conto. Sono lettere d’ira, contro la loro acquiescenza. Micromega dà ai dissidenti il nome di altra Chiesa e sul proprio sito li rende visibili. Le pagine dei lettori sulla rivista di attualità pastorale Settimana sono fitte di denunce del berlusconismo.
Quest’altra chiesa non ne può più dei compromessi ecclesiastici con una destra che nulla ha ereditato dalla destra storica che fece l’unità d’Italia. Ha riscoperto anch’essa il Risorgimento, la Costituzione del ’48. Condivide il dover-essere dei cattolici che Alberto Melloni riassume così: “Una dedizione alla grande disciplina spirituale, un primato vissuto del silenzio orante, un abito di umiltà, un’adesione alla democrazia costituzionale come ascesi politica” (Corriere della Sera 19-12-10, il corsivo è mio).

Tra i criticati il cardinale Bagnasco, che critica il Premier ma per non sbilanciarsi vitupera non meno impetuosamente i magistrati. O che denuncia un disastro antropologico contro il quale però non pronuncia anatemi, preferendo alla chiarezza il torbido di alleanze tra Pdl e Casini che mettano fuori gioco Fini e le sinistre, troppo laici. Contro questo insorgono tanti preti: “Vedete quanto è pericoloso tacere?”, chiedono citando Agostino. L’empio pecca, ma è la sentinella che ha mancato: “Chi ha trascurato di ammonirlo sarà giustamente condannato”.

Nei paesi nordafricani vigeva simile spartizione di compiti: ai despoti il dominio politico, alle moschee la libertà di modellare l’intimo delle coscienze. L’accordo di scambio sta saltando ovunque, tanto che si parla di fallimento colossale di quella che gli Occidentali chiamavano stabilità. È in nome della stabilità che Berlusconi ha chiamato Mubarak un saggio, e ha detto non voler “disturbare” Gheddafi poco prima che questi bombardasse i libici facendo centinaia di morti. È la stabilità il valore che anima tanti responsabili in Vaticano, perché essa garantisce prebende varie, sconti fiscali per le case-albergo dei religiosi, finanziamenti per scuole.

In cambio si elargiscono indulgenze. Berlusconi dice parole blasfeme, e mons. Fisichella invita a “contestualizzare” la bestemmia. Il Premier è accusato di concussione e prostituzione minorile, e la Chiesa giudica “abnorme” la sua condotta come quella dei magistrati. Afferma Nogaro, vescovo emerito di Caserta: “Noi rimaniamo nello sgomento più doloroso vedendo i gesti farisaici delle autorità civili e religiose, che riescono ad approdare a tutti i giochi del male, dichiarando di usare una pratica delle virtù più moderna e liberatoria.” (Micromega 1/11).

Altri presbiteri ammoniscono contro leggi liberticide sul testamento biologico. Don Mario Piantelli, parroco di San Michele Arcangelo, si associa “alle richieste che da molte parti d’Italia sono indirizzate ai vertici ecclesiastici di alzare forte la voce e di compiere azioni profetiche nei confronti del governo Berlusconi. È necessario un supplemento di libertà evangelica per sganciarsi decisamente da un sistema di governo che, attraverso benefici e privilegi, sembra avvantaggiare il “mondo ecclesiastico”, e in realtà aliena e impoverisce i credenti”.

La Chiesa ebbe comportamenti non diversi nel fascismo. Sta macchiandosi di colpe simili, e nessuno sguardo profetico l’aiuta a vedere gli umori d’un paese che cambia, che magari non vota opposizione ma è stufo di quel che succede. Che comincia a guardare se stesso, oltre che l’avversario. Il cartello più nuovo, nella manifestazione delle donne, diceva: “Bastava non votarlo”. Bastava la virtù dei primordi cristiani: la parresia, il parlar chiaro.
Nel filmato futuro che dirà il nostro oggi saranno convocati gli storici. Potranno imitare Benedetto Croce, quando nei Diari, il 2-12-’43, si mise nei panni di Mussolini e scrisse: “Chiamato a rispondere del danno e dell’onta in cui ha gettato l’Italia, con le sue parole e la sua azione e con tutte le sue arti di sopraffazione e di corruzione, potrebbe rispondere agli italiani come quello sciagurato capopopolo di Firenze(…) rispose ai suoi compagni di esilio che gli rinfacciavano di averli condotti al disastro di Montaperti: “E voi, perché mi avete creduto?””.

(23 febbraio 2011)

Lettera aperta al vescovo di Modena

Abbiamo bisogno di sentire l’eco delle parole di Gesù nelle parole dei Vescovi !

Caro vescovo Antonio, siamo un gruppo di cristiani della Chiesa di Modena e ci rivolgiamo a lei perché è il nostro pastore. Sappiamo che il suo ruolo e il suo ministero è proprio quello di ascoltare, confortare, tenere unito il gregge, cioè guidare il popolo cristiano e aiutarlo a vivere nella fede, nella speranza e nella carità. Vogliamo quindi esprimerle alcune nostre gravi preoccupazioni, con semplicità ma anche con tutta franchezza.

–    Siamo preoccupati perché vediamo il nostro Paese scivolare sempre più in una crisi generale, vissuta da molti con disperazione e senza vie d’uscita, crisi che rischia di compromettere l’unità stessa della Nazione, nei suoi aspetti istituzionali, politici e sociali. E la disperazione non è una virtù cristiana.

–    Siamo sconvolti perché vediamo la classe politica che governa questo paese sprofondare sempre più nel degrado morale, nell’arroganza dell’impunità, nella ricerca del tornaconto personale e dei propri amici, nel saccheggio della cosa pubblica e nella distruzione sistematica delle basi stesse del vivere civile e democratico.

–    Siamo indignati perché questa stessa classe politica al governo ha ingannato e continua a ingannare i poveri con false promesse, con un uso spregiudicato e perverso dei mezzi di comunicazione, con l’esibizione ostentata di modelli di comportamento radicalmente contrari al comune sentimento morale della nostra gente. Pian piano sono riusciti a corrompere il cuore e le menti dei più semplici. Guai a chi scandalizzerà questi piccoli…!

Ma la preoccupazione maggiore, in quanto credenti, riguarda la nostra Chiesa e in particolare i nostri Vescovi. Ecco i pensieri che ci fanno star male e che manifestiamo a cuore aperto.

–    sappiamo che i vertici della CEI e gli ambienti della curia vaticana hanno deciso già da tempo di appoggiare la maggioranza di destra ancora oggi al governo. È opinione sempre più diffusa, anche tra i cattolici credenti e praticanti, che questa alleanza sia frutto di accordi di potere, volti a ottenere  privilegi per la Chiesa e legittimazione per il governo. Vale la pena di compromettere la credibilità dell’annuncio del Vangelo e l’immagine della Chiesa per un piatto di lenticchie?

–    In nome di questo sostanziale accordo si sono di fatto avallate politiche, alcune di stampo prettamente xenofobo,  del tutto contrarie non solo al Vangelo ma anche alla dottrina sociale della Chiesa. Per denunciare questa deriva molte voci si sono alzate nel mondo cattolico, sempre ignorate o censurate o minimizzate. Non appartengono forse anche questi ai cosiddetti “principi non negoziabili”?

–    Neppure adesso, quando l’abisso morale e lo stile di vita inqualificabile dello stesso presidente del consiglio sono sotto gli occhi di tutto il mondo, neppure adesso i vertici della CEI trovano la forza e la dignità di pronunciare parole chiare, di uscire dalle deplorazioni generiche che riguardano tutti e quindi nessuno, di usare finalmente il linguaggio evangelico del sì  sì, no  no.

–    In ben altro modo fu trattato l’ultimo governo Prodi, debole ma onesto e capace, di ben più alto profilo morale, che non solo non fu sostenuto ma venne addirittura osteggiato, forse proprio perché più libero, sicuramente più laico e quindi meno disponibile ad accordi sotto banco. Vogliamo rivendicare con forza questo fatto: molti di noi, cattolici credenti e praticanti,  hanno sostenuto quell’esperienza politica,  condividendone fatiche e speranze e anche delusioni. Di certo ci ha molto ferito l’ostracismo di allora come ci ferisce la complicità di adesso.

Occorre che ci si renda conto davvero che alla base della Chiesa sta aumentando il disagio, il dissenso, la sofferenza, il lento e silenzioso abbandono. L’amara sensazione di molti, giusta o sbagliata, è che i pastori hanno tradito il loro gregge, hanno preferito i morbidi palazzi di Erode alla grotta di Betlemme, hanno colpevolmente rinunciato alla profezia. E questo non fidarsi di Dio, tecnicamente, è un comportamento ateo.

Avanziamo una piccola proposta, che può sembrare provocatoria, della quale lei stesso potrebbe farsi portavoce: la CEI e il Vaticano dichiarino pubblicamente di rinunciare all’esenzione del pagamento dell’ICI sulle proprietà della Chiesa che siano fonti di reddito; che abbiano il coraggio di dire di no a questa proposta scellerata. Acquisterebbero un po’ di stima e credibilità, perché questo, fra i tanti, è uno scandalo che grida vendetta.

Caro vescovo Antonio, preghiamo insieme perché lo Spirito ci aiuti tutti a una vera conversione, a un saper ritornare sui nostri passi, a riscoprire la dimensione di un servizio povero e disinteressato, a seminare gioia e bellezza e speranza, nella libertà e nella verità.

La comunità cristiana di base del Villaggio Artigiano
Modena, febbraio 2011

PS  Questa lettera è una lettera aperta e sta già circolando nella nostra città tra cattolici e tra persone che comunque hanno a cuore queste questioni. Non abbiamo alcuna intenzione di raccogliere firme, tuttavia sappiamo che nei suoi contenuti essenziali essa è largamente condivisa da tantissimi.

A Berlino! A Berlino!!!!

berlino.jpgIl ministro della Difesa tedesco Karl-Theodor zu Guttenberg si scusa e rinuncia temporaneamente al titolo di dottore di ricerca in giurisprudenza, fino a quando le accuse di plagio nei suoi confronti per aver copiato la tesi non saranno chiarite. Il caso ha fatto scalpore in Germania, e ha messo in imbarazzo uno dei ministri più popolari e in ascesa. Ieri l’Università di Bayreuth (Baviera), che ha affidato la questione all’ombudsman dell’ateneo, ha chiesto al ministro una spiegazione formale entro due settimane.

http://www.repubblica.it/esteri/2011/02/18/news/ministro_tedesco_rinuncia_dottorato-12609009/?ref=HREC2-1

Capito? Il ministro viene accusato di aver copiato la sua tesi di dottorato e lui che fa? Se ne fotte? Chiama gli avvocati? Paga il rettore? Gli manda a casa due bagasce? Noooo, chiede scusa, anzi dice

“”Rinuncio temporaneamente e sottolineo temporaneamente al mio dottorato”, ha spiegato Guttenberg, annunciando che collaborerà “attivamente” all’indagine dell’Università di Bayreuth. “Non voglio ricevere trattamenti diversi da quelli di chiunque altro”, ha detto ancora, precisando che non fornirà altre comunicazioni sulla questione. “La gente”, ha osservato, “si attende che svolga la mia impegnativa funzione di ministro della Difesa con tutte le mie forze”.

Senza parole. Fra dieci giorni sarò a Berlino e se chiedessi asilo politico?

 

 

 

Violenze contro rom e migranti, la lezione di Primo Levi

La morte di quattro bambini rom nell’incendio di una baracca è frutto di una politica fatta di vessazioni inutili: sono inutili gli sgomberi, perché la sicurezza della società non è certo favorita dal fatto che migliaia di persone vaghino da un luogo all’altro, in condizioni di sempre maggior degrado; non è vantaggioso per nessuno impedire ai minori un inserimento scolastico stabile, che sarebbe l’unico modo per aiutarli a crescere come buoni cittadini; è una violenza fine a se stessa lasciare le famiglie senza riparo in pieno inverno o distruggere, insieme con le baracche, libri e quaderni di scuola.

Anche i migranti sono vittime di misure persecutorie inutili. È significativa la vicenda di Fossalta di Piave, dove il sindaco leghista ha impedito ad alcune maestre di cedere il proprio pranzo a una bimba di origine africana i cui genitori non sono in grado di pagare la mensa. Poiché l’iniziativa delle maestre non costava un centesimo al Comune, la violenza inflitta non ha avuto alcuna utilità concreta: il solo scopo era dare una dimostrazione di forza, umiliando una famiglia colpevole di essere povera e straniera.

Viene in mente la «violenza inutile» di cui parla Primo Levi nel libro I sommersi e i salvati: gran parte delle sofferenze inflitte nei lager non avevano altro fine se non quello di umiliare e far soffrire i prigionieri, in base al «presunto diritto del popolo superiore di asservire o eliminare il popolo inferiore». Oggi il grado di violenza è diverso rispetto al nazismo, ma il principio è lo stesso, e il moltiplicarsi di violenze gratuite contro chi è ritenuto inferiore mostra che la nostra società ha imboccato una strada pericolosa: «È avvenuto, quindi può accadere di nuovo» scriveva Primo Levi riferendosi all’orrore dei campi di sterminio.

Roberto Blanco

(15 febbraio 2011)

http://temi.repubblica.it/micromega-online/violenze-contro-rom-e-migranti-la-lezione-di-primo-levi/

Chiesa, democrazia e bunga bunga (Michele Martelli)

Perché la Chiesa ufficiale non condanna, senza se e senza ma, il bunga bunga (dissociandosi per esempio, dalla campagna ateo-devota di Giuliano Ferrara, la cui devozione mescola le porpore cardinalizie con le mutande arcoriane)? La questione ha un duplice aspetto: politico e morale. Riguarda il rapporto della Chiesa al tempo stesso con la nostra Costituzione e col Catechismo.

Nello scandalo del Rubygate e dintorni sono coinvolti, politicamente, il premier, cioè la quarta carica dello Stato (il B-telefonista salva-Ruby alla Questura di Milano), la consigliera lombarda Minetti, smistatrice di escort dalla villa arcoriana agli alloggi dell’Olgettina, e la Camera dei deputati: la maggioranza forzaleghista, dopo aver deliberato, al di là di ogni senso del ridicolo, che la B-telefonata – forse non prevedendo le imminenti dimissioni di Mubarak, di cui spacciava Ruby per “nipote”! –, avrebbe evitato un incidente diplomatico internazionale, ora è pronta a nuove leggi ad Caimanum (processo breve e divieto di intercettazioni). Il raìs di Arcore grida al “golpe morale” contro la magistratura, che ne ha chiesto il processo con rito immediato, mentre sparuti gruppi di acefali fedeli manifestano davanti al Palazzo di Giustizia a Milano. Siamo alla stretta finale. Aut Aut. O Caimanato o democrazia. L’esito dipende dalla parte incorrotta delle istituzioni, e dalla mobilitazione della società civile (Egitto docet!). Di questa fanno parte anche preti e vescovi, che, in quanto «cittadini italiani», «hanno il dovere di essere fedeli alla Costituzione repubblicana» (Cost., art. 54, c.1). Quindi di difenderla dai suoi nemici.

Il saccheggio caimani(a)co della Costituzione è sotto gli occhi di tutti. Non intervenendo, la Chiesa italiana, ovvero la Cei, tradisce i suoi doveri di cittadinanza e la sua lealtà democratica. Vendendo l’anima al mercimonio di Arcore in cambio di soldi e privilegi (vedi, per ultimo, il pacco-regalo governativo dell’esentasse agli alberghi ecclesiastici, la cui irregolarità è stata già impugnata dall’Ue); anzi, criticando i presunti «eccessi della magistratura», come ha fatto il cardinal Bagnasco in riferimento al pool giudiziario di Milano (ma forse anche ai giudici di Roma che indagano sull’ipotesi di reato di riciclaggio di denaro sporco di cui è accusato lo Ior, la banca vaticana), oltre a fornire una mezza copertura ai reati penali di cui B. è indagato (concussione e favoreggiamento della prostituzione), si rende complice dell’eversione in atto. Non ci sarebbe purtroppo da meravigliarsi, vista la complicità delle gerarchie ecclesiastiche col fascismo, durante e dopo la sua ascesa squadristica al potere. Non si opposero al Duce nemmeno dopo il delitto Matteotti, con cui fu assassinata la democrazia in Italia. Che gli importava dell’Italia, se il Duce gli stava già preconfezionando il pacco-regalo dei Patti lateranensi? E che gli importa, si direbbe, dell’Italia di oggi, se il premier bunga bunga gli garantisce finanziamenti e leggi bioeticistiche anticostituzionali (il ddl Calabrò-Bagnasco contro il bio-testamento, già approvato dal Senato, attende il passaggio alla Camera)?

Nello scandalo del Rubygate e dintorni è implicata anche la dottrina morale, presunta sacra e assoluta, del Catechismo. Se le gerarchie fossero coerenti con i loro precetti morali (6. “Non fornicare”; 7. “Non mentire”; 10. “Non desiderare la donna d’altri”), dovrebbero perlomeno severamente rimbrottare, se non scomunicare il peccatore Re nudo del bunga bunga. In tempi passati, gli avrebbero chiesto di strisciare come un verme davanti al papa e di baciargli i santi piedi. Oggi potrebbero almeno dissociarsi? Perché non lo fanno? Perché non condannano pubblicamente se non il “peccatore”, almeno il “peccato” del bunga bunga”?

Gli interessi temporali e materiali della Chiesa, che sono in gioco, e la predisposizione antidemocratica dei suoi vertici, sono solo una spiegazione. L’altra è la concezione tradizionale ecclesiastica e inquisitoriale della donna. O meglio del corpo della donna. Dell’Eva-Serpente tentatrice e peccaminosa, che causò la punizione divina dello sprovveduto Adamo. O della filosofa e scienziata greca Ipazia d’Alessandria, il cui corpo ancora vivo andava fatto a pezzi e incenerito per ordine del santo vescovo Cirillo. O delle streghe del Seicento, accusate di volare sulle scope ai segreti incontri notturni dei saba, alla mercé di diavoli assatanati, e perciò il Torquemada di turno le infilzava (dal retro o dalla vagina su pali acuminati), mutilava, scuoiava, squartava. La salvezza delle donne era affidata solo alla castità (anche nel matrimonio, dove la donna accetta il sesso solo a fini procreativi), meglio garantita con la loro reclusione conventuale, “volontaria” o forzata. Il corpo delle donne, insomma, sarebbe davvero “puro” solo se asessuato!

Sotto questo riguardo, Chiesa e bunga bunga (absit iniuria verbis!) paradossalmente condividono la stessa idea del corpo femminile. Un oggetto a disposizione del maschio, senza autonomia, debole o incapace di pensiero e volontà propria, “qualcosa” da assoggettare o di cui appropriarsi per manipolarlo ad libitum, con la violenza sadico-inquisitoriale dell’autorità religiosa e della tortura, o con la forza ricattatoria-mercantile del danaro e del potere politico. Si tratta delle due classiche, ma in questo caso impresentabili facce della medesima medaglia: la sfrenata libidine fallocratica. Dissociarsi non è moralismo o bacchettonismo! La libertà sessuale di ciascuno/a è fuori discussione. Ad ognuno le sue mutande, si potrebbe dire. Come scriveva il filosofo laico e liberale inglese John Stuart Mill: «Su se stesso, sul suo corpo e sulla sua mente, l’individuo è sovrano» (Sulla libertà, 1859). Purché non commetta reato, ovviamente. Fermo restando che, dal punto di vista di una morale laica, la propria e l’altrui dignità, anche sessuale, non è cosificabile e mercificabile.

Alle “donne in piazza” del 13 febbraio va oggi l’incommensurabile merito della difesa non solo della loro, ma anche della nostra dignità.

(14 febbraio 2011)

http://temi.repubblica.it/micromega-online/chiesa-democrazia-e-bunga-bunga/

Che sfigato!

Scandalo alla velocità della luce al Congresso. Un deputato repubblicano dello Stato di New York si è dimesso tre ore dopo che un sito Internet aveva rivelato che l’uomo aveva inviato una sua foto a torso nudo ad una donna conosciuta online. Il deputato conservatore Chris Lee, che è sposato ed ha un figlio, aveva conosciuto la donna tramite gli annunci personali del sito Craiglist. Nell’annuncio, pubblicato nella categoria ‘donne in cerca di uomini’, la donna affermava di essere alla ricerca di uomini “finanziariamente ed emotivamente sicuri” che “non avessero l’aspetto di ranocchi”. Il giorno stesso della pubblicazione dell’annuncio Lee aveva scritto alla donna presentandosi come un lobbista di 39 anni (in realtà ne ha 46) “in gran forma fisica e con molta classe, vivo nell’area di Capitolo Hill, sono biondo ed ho gli occhi blu”. Per provare le sue affermazioni il deputato aveva allegato una sua foto a torso nudo che aveva scattato col suo telefonino davanti allo specchio del bagno. http://www.repubblica.it/persone/2011/02/11/foto/foto_a_torso_nudo_ad_una_donna_il_deputato_lee_si_dimette-12322572/1/?ref=HRESS-2

chris_lee.jpgDiciamolo al alta voce: Lee sfi-ga-to! Sei uno sfigato, uno che non ha capito niente! E per forza, voi americani avete eletto un abbronzato, uno che crede nei principi della Costituzione, uno che non ha mai scopazzato a destra e manca! Sfi-Ga-TI! Sei belloccio, occhi azzurri, chiappa marmorea e ti dimetti? Magari non hai neanche consumato con la signorina destinataria della mail e ti dimetti? Sfi-ga-to, very sfighed!

Noi siamo avanti: il vecchio satiro ha sdoganato il maiale che è dentro a ogni maskietto italico, il sogno dell’harem, della gnocca a valanga, del superpisello galattico! Noi pecchiamo e mammachiesa assolve, tanto facile e pratico! Noi siamo avanti e voi siete degli sfi-ga-ti! Cappero! L’ha detto anche Ostellino (che forse ha sbagliato pasticca l’altra mattina…)noi vogliamo la “pulizia etica”, che vergogna! Cosa c’è di meglio che un gioioso bordello, paghi, consumi, ti dicono che sei il meglio, chiappa o non chiappa, e via! A quando lo sdoganamento definitivo dell’eterna pippa? In fondo, per dirla con W.Allen, che c’è di meglio che fare all’amore con la persona che conosci meglio di tutte? E poi gratis (anche se alcuni raffinati si masturbano e poi si autopagano, dicono che così c’è più gusto, sarà…)

In questo bel scenario, poi, vogliamo parlare di Violante? Naaaaaah, no Violante no, vi prego….

Fedeltà canine…

cane_autostrada1243439233.jpgQualche volta appare su un quotidiano un trafiletto su un caso pietoso “Il Padrone muore e il cane lo veglia sulla tomba”. Già lo sappiamo: Bondi finirà così, magari sfinendosi in giambi ed endecasillabi fino all’ultimo alito. O magari abbandonato dal Padrone, fuggito ad Antigua con 12 tro..ttole, vagherà in autostrada disperato cercando il primo TIR.

Ma gli altri? Anche loro con fedeltà canina sono asserragliati a testuggine intorno al vecchio satiro, “Se salta lui siamo tutti disoccupati” diceva in confidenza un esponente del PdL (Partito della libidine). E li si può capire. Dopo di lui altro che il diluvio! La miseria, la fame o, peggio di tutto, il lavoro. Del resto gente così nutre, in fondo al loro cuore (no, la coscienza non l’hanno mai usata, giace ancora incartata da qualche parte fra la milza e la vescica), una sincera gratitudine per il loro dio. Perchè solo un dio fa miracoli e come lo chiamate trovarsi ministra per una nullità come la Gelmini? O per un signorniente come Rotondi? Un vecchio fascioarnese come Larissa? Un craxiano ringhiante come Sacconi? Una “signorina” come la Carfagna? Miracolati. Gente con cui non ti faresti vedere nemmeno a prendere un Campari, diventati ministri. E quindi a testuggine chiusi nel bunker. E poi, dipendenti di un vero partito-azienda, fedeli come giapponesi al marchio di fabbrica. Finchè c’è il capo c’è trippa, morte ai filistei, ai puritani, viva le mutande (meglio se sporche) e via andare. Del resto anche lo zio di Ruby sta tenendo duro e chi siamo noi per essere da meno?

Annales Ferrarae, cacata carta…

I 25 lettori di FB sono maggiorenni, qualora ci fossero pargoli e rampolli in giro, avverto che quanto segue è caldamente sconsigliato ai minori, insomma “bollino rosso”, e solo per persone dalla dura scorza..

L’autore è Giuliano Ferrara, il pezzo è apparso su “Il Foglio” del 7.2.2011.
Chi prosegue nella lettura lo fa a suo rischio e pericolo.
n.b. Il titolo che ho inserito è catulliano, il poeta mi perdoni…

_Giuliano_Ferrara_mostro[1].jpgBelle anime del Palasharp, la vostra mancanza di vita è inescusabile

Al Palasharp di Milano, contro il populismo rozzo e grintoso dei berluscones, è sceso in campo per Libertà & Giustizia il moralismo dei ricchi veri, cioè l’azionismo, ma quello di oggi, quello senza alcuna gloria e solo con molto pennacchio, quello dei finti perseguitati, quello degli scrittori billionaires che dicono di andare a letto tardi, sì, “ma solo perché leggo Kant” (così ha specificato Umberto Eco ammiccando con una battuta miserabile a una platea di devoti preoccupati dell’onore dell’Italia e della brutta figura che si fa all’estero). E che orrore la fosca antropologia di Zagrebelsky, una caricatura lagnosa, saccente, falsamente mite e professorale, la voce chioccia e la perfidia negli occhi, della giovinezza squinternata, un po’ folle, ma viva di un Gobetti. “Niente per noi, tutto per tutti”: uno slogan riferito al trionfo liberale dello stato di diritto e della cittadinanza costituzionale, ma nella bocca di questi bardi delle intercettazioni e della magistratura militante, e in associazione con il cattolicesimo reazionario e sessuofobico di uno Scalfaro, un passaparola ideologicamente totalitario. No, miei cari: vogliamo qualcosa per noi e per gli altri, non abbiamo orrore dello scambio e del denaro, ci fa senso il vostro disgusto per la bigiotteria galante di Arcore, e ciò che è “tutto per tutti” sa di stato totalitario, sa di regime della virtù, sa di marcio. Torino è una città che ho molto amato, ma il succo del suo famoso giansenismo è così tremendamente condito di ipocrisia, e questa ipocrisia è così perfettamente rappresentata dal timbro vocale, dalla tonalità e dall’inflessione piccolo dialettale di Zagrebelsky che in fondo in fondo preferisco la banda Cavallero. Per fortuna – e so di dirla grossa per molti lettori – quel mondo ha prodotto anche i Violante, persone di razza che ne hanno fatte più di Carlo in Francia ma non si abbasserebbero mai a scrutare condiscendenti e morbosi i giorni, le notti e le vite degli altri.

    Non ho parole per descrivere il timore e il tremore che mi hanno provocato le altre esibizioni dal palco del Palasharp, la telefonata mediocre di Ginsborg, le banalità di Saviano, e che delusione la Camusso a rapporto dai suoi nemici di classe. Per un momento ho pensato che vorrei leggere nelle vite di questa brava gente impeccabile, vorrei intercettare questi censori moralmente al di sopra della comune umanità italiana, saggiare le anime e i peccati di questi ottimati che vogliono sradicare Berlusconi fornicatore per “andare oltre”, come dicono, e organizzare il lavacro del paese profano e sporcaccione che siamo. Ma subito mi sono vergognato anche solo di aver pensato di comportarmi come loro. E mi ha raggiunto, per il mio e per il vostro benessere spirituale, il messaggio mail di un amico da Milano, una citazione di Ralph Waldo Emerson che riguarda anche Berlusconi e le sue nottate: “E ho tutto sommato l’impressione che dove ci sia una grande ricchezza di vita, sebbene intrisa di grossolanità e di peccato, lì troveremo anche l’argine e la purificazione, e alla fine si scoverà un’armonia con le leggi morali” (1). La pazzia di Berlusconi sarà in qualche modo riscattata, belle anime azioniste, la vostra mancanza di vita è inescusabile.

Il berlusconismo oltre il bunga bunga (M.Introvigne)

Analisi da destra del berlusconismo e dei rapporti con il mondo cattolico:

IL BERLUSCONISMO OLTRE IL BUNGA BUNGA

Al disagio e perfino allo «sgomento» dei cattolici italiani di fronte alle ultime vicende della politica ha dato voce in modo duro ma equilibrato il cardinale Bagnasco, condannando sia il «libertarismo» sia il «moralismo». A una chiara denuncia di stili di vita incompatibili con l’educazione che si deve ai giovani e con il decoro delle istituzioni, si è accompagnata una critica di «modelli mentali e di comportamento radicalmente faziosi» dove i torti non stanno certo tutti da una sola parte: e «qualcuno – ha aggiunto il cardinale – si chiede a che cosa sia dovuta l’ingente mole di strumenti di indagine» profusa per un certo, particolare imputato. Tutto questo richiama però a una riflessione il più possibile seria e profonda sul cosiddetto berlusconismo, di cui – trovandomi in questi giorni all’estero – comprendo bene tutte le difficoltà. Non è la prima volta che, frequentando ambienti internazionali, fuori dell’Italia mi chiedono come spiegare il fenomeno Berlusconi. La difficoltà straniera di capire il berlusconismo non comincia certo con il bunga bunga. Si può dire del resto che anche la sinistra italiana e i suoi intellettuali del berlusconismo abbiano capito ben poco: di qui le loro ricorrenti sconfitte. Anche solo per impostare la questione non basterebbero diversi volumi, e alcuni – di diseguale valore – sono già stati pubblicati. Credo che l’uso di cinque categorie sociologiche e proprie della scienza politica ci permetta non di risolvere il problema ma almeno di descriverlo, aprendo «finestre» diverse su una questione che non è semplice.

UN’ITALIA, TANTE DESTRE

La prima è la nozione di destra. Benché Berlusconi si definisca un uomo di centro, la nozione di centro è vaga e nebulosa. La consistenza elettorale e molte proposte politiche di Berlusconi appartengono alla destra, o almeno si presentano come ostili e alternative alla sinistra. Sul tema della destra molti – compreso il sottoscritto – sono tornati in occasione delle recenti e rapidissime mutazioni di Gianfranco Fini. Vale la pena di ricordare l’essenziale di questa discussione. Le nozioni di destra e sinistra nascono semplici, dopo la Rivoluzione francese. È di destra chi si oppone alla Rivoluzione francese e ai suoi principi. Chi invece alla Rivoluzione è a diverso titolo favorevole è di sinistra. Nel corso del XIX e XX secolo – dal momento che il processo rivoluzionario che ha avuto un passaggio decisivo nella Rivoluzione francese non si ferma, ma continua – nascono altre «destre», che complicano il quadro. C’è una «destra» liberale, che accetta i principi della Rivoluzione francese ma rifiuta l’ulteriore passaggio costituito dal socialismo. E c’è una «destra» nazional-rivoluzionaria, o socialista nazionale, che accetta molti aspetti essenziali del socialismo ma rifiuta l’inveramento finale del socialismo nel comunismo marxista di obbedienza sovietica.

Ognuna di queste «destre» si frammenta in numerose varianti, così che i libri sulle destre in Europa – e altrove – sembrano talora sforzi di classificazione degni di un Carlo Linneo (1707-1778). E in Italia le «destre» sono socialmente diffuse. Per anni hanno trovato scarsa rappresentanza politica, ma periodicamente si è verificata quella che Giovanni Cantoni in un suo libro ha chiamato la «lezione italiana». Comunque sia, gli italiani non vogliono la sinistra esplicitamente al potere e, quando questo pericolo incombe, si ribellano. Dal punto di vista dottrinale più una posizione è chiara, più è forte. È questo il vantaggio della destra cattolica contro-rivoluzionaria – che da un punto di vista storico può ben dire di essere la destra originaria, quella doc – rispetto alle altre «destre». Ma a questo vigore speculativo non corrisponde un’uguale forza operativa. Nella pratica politica – che si tratti di elezioni o di altri modi per conquistare il potere – la destra «vera» non può vincere se non alleandosi con qualcun altro, spesso con le altre «destre» che pure chiama, non a torto, «false».

L’OPERAZIONE FUSIONISTA

Di qui la seconda nozione rilevante per il nostro problema: il «fusionismo». Si pensa che questo concetto nasca negli Stati Uniti nel secolo XX, ma non è così. Nasce in Francia nel XIX secolo, tra destre monarchiche divise da questioni sia dottrinali sia dinastiche. Una «destra» liberale, quella detta orléanista perché fa capo alla dinastia degli Orléans, tenuta in sospetto sia dalla destra contro- rivoluzionaria perché gli Orléans avevano aderito alla Rivoluzione francese, sia dalle destre nazional-rivoluzionarie per il legame degli stessi Orléans con una borghesia accusata di sfruttare implacabilmente i più poveri, propone un’alleanza che chiama appunto «fusionista» a tutte le destre monarchiche. Queste la pensano diversamente su molte cose, ma dovrebbero almeno avere in comune la preferenza per la monarchia rispetto alla repubblica. I tempi e i luoghi non sono maturi, e il «fusionismo» degli Orléans fallisce. Ma altrove avrà successo, particolarmente negli Stati Uniti dove il «fusionismo» che unisce «destre» cristiane, liberali e perfino libertarie porterà il Partito Repubblicano alle sue vittorie più spettacolari. Berlusconi ha messo in campo una classica operazione fusionista. Ha tirato su una tenda, sotto la quale tutte le «destre» possono stare insieme. A nessuna viene chiesto di tradire la sua identità.

La destra cattolica può stare sotto la tenda e fare la sua parte – il che è molto perché, come nota spesso il Papa, nel mondo moderno spesso i cattolici fedeli ai loro principi non negoziabili sono semplicemente espulsi ed emarginati. La «destra» liberale classica è la benvenuta. Perfino «destre» socialisteggianti – pensiamo a certi «partiti della spesa pubblica» del Sud che, almeno fino a tempi recenti, sono rimasti saldamente con Berlusconi – ovvero radicaloidi e libertarie sono bene accolte. A nessuno è impedito di dire la sua, ma neppure gli è permesso di vietare al vicino di dire cose piuttosto diverse. I vicini danno fastidio, è vero: i cattolici non sono entusiasti di ritrovarsi con radicali libertari e liberali talora libertini. Ma stanno sotto questa tenda perché qui possono dire più o meno quello che vogliono e altrove no. Anzi, su alcuni temi tutt’altro che secondari – pensiamo soltanto al matrimonio omosessuale – i cattolici sono riusciti a far accogliere la loro posizione alla maggioranza dei compagni di tenda, più o meno convincendoli ma comunque portando a casa il risultato.

IL “NEMICO” COMUNISTA

Terza nozione: la designazione del nemico. Perché le operazioni fusioniste riescano ci vuole la rilevante presenza di un avversario. È difficile fare stare insieme persone che non si amano. Ma rimarranno insieme se avranno paura dello stesso nemico che si avvicina. Perché il fusionismo abbia successo bisogna che Annibale (247-182 a.C.) sia alle porte. Il più grande fusionista nella storia politica statunitense, Ronald Reagan (1911-2004), riuscì a tenere insieme «destre» disparate convincendole che l’«impero del male» comunista sia minacciava tutti, sia poteva essere sconfitto. Aveva ragione su entrambi i punti. Berlusconi ha costruito la sua vittoria del 1994 sulla paura dei «comunisti». O vinceva lui, diceva, o «Occhetto e D’Alema a Palazzo Chigi». Vinse lui. Il fusionismo di Berlusconi funziona attraverso il meccanismo sempre reiterato della designazione del nemico comunista. Gli avversari di Berlusconi ripetono come dischi rotti che «i comunisti non ci sono più». Ma proprio su questo punto perdono. Dire che l’Unione Sovietica non esista più significa ripetere una banalità, anche se questo non è di totale conforto a un poveretto che vive in Corea del Nord, dove di certo il comunismo c’è ancora. Ma soprattutto il comunismo italiano del secondo dopoguerra non era quello sovietico dei carri armati. La teoria dell’egemonia di Antonio Gramsci (1891-1937) – che il PCI aveva adottato un po’ per convinzione e un po’ per costrizione internazionale – sostituiva la presa del potere diretta con il colpo di Stato e, appunto, i carri armati con la lenta infiltrazione nei gangli del potere reale: scuola, cultura, università, giornali, magistratura. Il vecchio PCI non era al governo.
Ma nelle università, nelle redazioni dei giornali, nei tribunali era ampiamente al potere. Era quel potere che dava molto fastidio a tanti italiani, e che c’è ancora. Quando Berlusconi dice che molte redazioni di giornali e molte procure della Repubblica sono «comuniste» usa forse un linguaggio semplificante, ma dice anche una verità che gli italiani sperimentano sulla loro pelle.
L’apparato egemonico della sinistra nella cultura, nell’educazione e tra i magistrati non è stato smantellato. Soprattutto i centristi – che su questo si giocano l’esistenza – hanno un bell’insistere sul fatto che i «comunisti» non ci sono più. Si può cavillare sul significato cangiante dell’espressione «comunista» – forse incorporando le tesi radicali su vita e famiglia i «comunisti» di oggi, diventati partito radicale di massa, sono peggiori di quelli di ieri – ma gli italiani che votano Berlusconi sono convinti che abbia ragione lui e torto i centristi e gli intellettuali: il sistema di potere comunista continua a funzionare, che ci sia o no il Muro di Berlino. E quanto ai giudici certamente non tutti i magistrati sono comunisti, ma qualche volta gli italiani hanno l’impressione – certo esagerata, ma comprensibile – che tutti i comunisti siano magistrati.

IL CARISMA

Quarta nozione: il carisma. Non c’è bisogno di scomodare Max Weber. (1864-1920) per sapere che un’operazione fusionista, oltre che di un nemico alle porte, ha bisogno di un capo carismatico. Barry Goldwater. (1909-1998) aveva pensato l’operazione fusionista in modo forse più profondo di Reagan, ma fu Reagan a portarla alla vittoria perché era dotato di carisma, quella strana realtà tanto difficile da definire quanto facile da riconoscere. Che Berlusconi sia carismatico non lo negano neppure i suoi più fanatici detrattori. E i sociologi che hanno studiato il carisma lo hanno definito come una forma, non come un contenuto. Il fatto che sia difficile afferrare e definire una «dottrina del berlusconismo» non è di ostacolo al carisma. È piuttosto il contrario. Il carisma, nella sua declinazione fusionista, consiste nel farsi riconoscere da tutti come vicino, da nessuno come identico. Chiunque sta sotto la tenda e si specchia in Berlusconi in lui vede qualcosa di se stesso. Weber aveva anche previsto i conflitti tra diversi tipi di autorità che coesistono nelle società moderne: legale-burocratica, tradizionale (tipica della Chiesa Cattolica) e carismatica. Il carisma nel senso di Weber è spesso sorto nella storia al di fuori di qualunque contesto istituzionale, anche se le istituzioni hanno trovato modi per «routinizzarlo»: un’espressione coniata dallo stesso sociologo tedesco per indicare come, per esempio, la Chiesa Cattolica attraverso il riconoscimento degli ordini religiosi e le canonizzazioni dei santi fosse riuscita a ricondurre alle istituzioni, s’intende dopo averli vagliati, anche carismi difficili. Andando oltre Weber, la sociologa delle religioni contemporanea Eileen Barker ha coniato nel 1993 il neologismo «carismatizzazione» per indicare come nel mondo postmoderno il carisma si costruisce attraverso una interazione, che funziona anche «dal basso», tra la figura carismatica e i suoi sostenitori. Senonché, costruito così, il carisma postmoderno ha spesso tratti imprevedibili e anarchici, come mostra bene il caso di Berlusconi. Ne nasce un rapporto difficile fra l’autorità che a Berlusconi deriva dal carisma – e dalla legittimazione elettorale, certo, ma la seconda non ci sarebbe senza il primo – e diversi tipi di autorità: quella legale-burocratica delle istituzioni e della magistratura, e quella tradizionale della Chiesa. I casi contingenti hanno certo una loro speciale gravità. Ma le radici del disagio manifestato dal cardinale Bagnasco attengono pure a questo «contrasto carismatico» che viene da molto lontano.

L’ETHOS ITALIANO

Quinta nozione: l’ethos. Ciascuna nazione ha un suo ethos, costituito dai tratti del carattere nazionale che derivano dalla lingua, dalla cultura, dalla religione, da un lungo deposito di virtù e di vizi. Forse Reagan non avrebbe vinto in Italia perché era un leader quintessenzialmente americano. Berlusconi invece è un arci-italiano, e ha piantato i paletti della sua ampia tenda fusionista sempre tenendo fermo lo sguardo sui caratteri nazionali italiani. Sa che l’Italia è cattolica, e nella tenda non ha mai fatto mancare crocifissi, cappellani e un’attenzione non solo formale ai principi non negoziabili – il caso Eluana insegna. I suoi stessi vizi sono, ahimé, vizi storici e diffusi tra gli italiani, anche se le dimensioni quando si tratta di capi carismatici diventano spesso francamente esorbitanti, e magari peggiorano con l’età. Se introduciamo queste categorie capiamo qualche cosa che gli stranieri e anche molti intellettuali nostrani non capiscono quasi mai, e cioè perché Berlusconi ha successo. Lo ha perché in Italia le «destre», pure rimaste spesso nella storia senza rappresentanza, sono diffuse nel corpo sociale. Perché ha saputo metterle insieme con un’operazione fusionista talora spregiudicata, designando con chiarezza il nemico: il «comunismo», che secondo gli intellettuali è scomparso ma secondo la maggioranza degli italiani c’è ancora. Perché a tutti i convenuti nella tenda fusionista ha offerto un capo carismatico – unico collante con cui i fusionismi funzionano. Ma, forse soprattutto, perché ha mostrato una sintonia non soltanto retorica con l’ethos nazionale. Il problema del carisma è che è legato alla persona. Non ci sono partiti carismatici, ci sono solo leader carismatici. Per questo ogni fusionismo collegato al carisma di un capo è esposto all’invecchiamento e al declino, perché gli uomini invecchiano.

Il problema non è solo il bunga bunga quanto la crescente consapevolezza che, come tutti i nati da donna, anche Berlusconi non è eterno e che la «fase postcarismatica» di un movimento sociale è sempre un periodo difficile e complesso. Può capitare fra cinque giorni o fra cinque anni, ma la formula a cinque stadi che ho cercato di descrivere è destinata a esaurire i suoi effetti.

Quando finirà, i cattolici legati ai principi non negoziabili che hanno deciso di stare sotto quella tenda potranno dire di non avere, tutto sommato, sbagliato scelta. Molti nostri vicini – compresa la cattolicissima, almeno per storia, Spagna – hanno il riconoscimento delle unioni omosessuali, i bimbi dati in adozione alle coppie dello stesso sesso, spesso anche l’eutanasia. In Italia queste cose non ci sono – i casi, per ora fortunatamente isolati, alla Eluana sono opera della magistratura – perché i paletti della tenda hanno in qualche modo e misura tenuto. Resterà certo ai cattolici la sensazione sgradevole che deriva dall’avere dovuto coesistere con i libertari e i libertini, sotto la bandiera di un carisma eticamente anarchico e strutturalmente postmoderno, molto lontano dal percorso tradizionale che porta una persona a essere riconosciuta come autorevole che è invece proprio della Chiesa. Ma forse la vera questione è un’altra. I cattolici hanno approfittato di questi anni di relativa libertà di azione sotto la tenda del berlusconismo per costruire attraverso i percorsi di formazione e di educazione richiamati dal cardinale Bagnasco una loro presenza più robusta, quella che Benedetto XVI ha chiamato una nuova classe dirigente, avvertendo anche che «non si inventa»? Non sono le parole di questo o quel politico a contare. Tra poco si vedranno i fatti. Il seguito, come si dice, alla prossima puntata. [Fonte LaBussolaQuotidiana.it]

Massimo Introvigne