L’emergenza e il rispetto della carta (Ugo de Siervo)

La formazione del Governo presieduto da Monti e la larghissima fiducia che ha conseguito in Parlamento hanno suscitato un dibattito sulle caratteristiche costituzionali di ciò che è avvenuto.
Dal punto di vista del nostro sistema costituzionale non è mutato nulla di sostanziale: siamo dinanzi ad un Governo di tipo parlamentare, che ha conseguito una ampia fiducia dalle due Camere e che è sorto dopo le dimissioni volontarie del precedente Governo, evidentemente consapevole di essere inadeguato dinanzi alle dure prove che attendono il nostro Paese, anche in relazione ai confronti che si svolgono a livello europeo. Certo, vi è stato un palese impegno del Presidente della Repubblica ad evitare le elezioni anticipate, che avrebbero prodotto un pericoloso vuoto di potere in una fase non poco convulsa; così pure vi è stata una manifesta indicazione da parte del Presidente della persona di Monti come presidente del Consiglio, evidentemente ritenuto decisamente preferibile, nell’attuale contingenza, per le sue qualità professionali.

Nulla di straordinario, anzi è quasi da manuale la situazione attuale per illustrare il ruolo impegnativo a cui può essere chiamato ad operare un Presidente di una Repubblica parlamentare in situazioni difficili, se non eccezionali: più i partiti politici ed i gruppi parlamentari di maggioranza si dimostrano impotenti dinanzi a grandi ed impellenti situazioni di crisi, più il Presidente della Repubblica deve contribuire ad aiutare il sistema parlamentare a trovare vie d’uscita.

Vie d’uscita condivise e capaci di far superare le difficoltà, anche attingendo – ove occorra – al patrimonio di personalità estranee alle dirette responsabilità parlamentari. Né una scelta del genere potrebbe essere negata in nome del rispetto degli esiti delle ultime elezioni, ormai lontanissimi e contraddetti dal progressivo e pubblico disfacimento del largo schieramento maggioritario allora esistente, nonché dalla dimostrata inadeguatezza del Governo dimissionario ad operare in modo efficace sul piano della crisi finanziaria. Il punto fermo è che l’azione del Presidente della Repubblica deve essere fatta propria dal sistema parlamentare attraverso il conferimento della fiducia al nuovo Governo.

Quindi ciò che è avvenuto non è altro che una (pur impegnativa) applicazione della relativa elasticità della forma di governo quale opportunamente configurata dalla nostra Costituzione: le buone Costituzioni non devono, infatti, prevedere un particolareggiato sistema di rapporti giuridici fra i vari organi rappresentativi sulla base del sistema politico esistente in un dato momento; al contrario, tenendo conto della inevitabile e continua mutabilità dei sistemi politici e partitici, devono permettere di far funzionare al meglio il sistema parlamentare attraverso le tante diverse fasi. D’altra parte, occorre ancora un volta ripetere che non ogni problema che si manifesti nel funzionamento delle nostre istituzioni può essere risolto pensando a ipotetiche riforme costituzionali (che potrebbero essere improvvisate e quindi pericolose, come dovrebbe insegnarci l’esperienza degli ultimi anni), allorché potrebbe largamente bastare un miglior funzionamento del nostro sistema politico.

Occorre quindi anche assolutamente evitare di parlare di Parlamento «commissariato» dal Presidente della Repubblica, se la grande maggioranza dei nostri parlamentari ha liberamente dato la fiducia al nuovo Governo, evidentemente nella speranza che possa riuscire ad eliminare o almeno a ridurre la situazione di grave difficoltà nella quale siamo.

Certo, c’è una evidente anomalia nel fatto che quasi tutti i componenti del Governo Monti si caratterizzino per le loro professionalità e non, invece, per la loro adesione ai movimenti politici che hanno espresso la fiducia. Ma qui pesa evidentemente l’eredità delle forti contrapposizioni che esistevano intorno al precedente Governo ed il conseguente rifiuto di passare ad una compagine governativa in cui potessero lavorare insieme esponenti politici che si erano tanto a lungo duramente contrapposti; quest’ultima scelta non ha certo resa più semplice la prossima vita del nuovo Governo, che dovrà impegnarsi molto per instaurare e mantenere buoni rapporti con i diversi gruppi parlamentari che hanno dato la fiducia, ma che restano non poco estranei alle concrete determinazioni governative. Ma il Governo ha però dalla sua la situazione del rilevante stato di necessità nel quale si opera, che diventerà argomento forte per ridurre le contrapposizioni, più o meno strumentali, fra i gruppi parlamentari ed il Governo.

Semmai l’esistenza di un Governo caratterizzato dalla presenza di tanti tecnici e specialisti e sul quale si fa tanto affidamento, dovrebbe rendere consapevoli i dirigenti dei diversi partiti che nelle loro organizzazioni gli specialisti sembrano invece mancare o contare troppo poco; ma soprattutto questi dirigenti politici dovrebbero essere consapevoli che negli attuali partiti sono rari coloro che sono riconosciuti come capaci di porre al vertice gli interessi generali e che di conseguenza – ove ve ne sia la necessità – sono assolutamente determinati a farli prevalere su tutti gli altri interessi.

La Stampa, 1.12.2011