Storie d’Italia: pillole per non dimenticare (2). La nascita di una Nazione.

441px-Camillo_Benso_Cavour_di_Ciseri Camillo Benso Conte di Cavour (1810-1861)

Perché tanta fatica nel ricordare i centocinquant’anni dell’Unità?

L’Unità d’Italia fu un percorso accidentato e difficile, che raggiunse i propri obiettivi in tempi lunghi e differenziati e non solo grazie a una serie di vicende internazionali, ma anche in seguito a compromessi fra le diverse anime e forze che lo ispirarono, compromessi che alla fine fecero sì che ben pochi potessero rispecchiarsi nella nuova Italia con convinta soddisfazione.

L’Italia unita ebbe certamente molti padri, ma alla fine nacque orfana e con qualche nemico di troppo. Il Piemonte, convinto di raggiungere con una serie di annessioni una semplice espansione territoriale, si trovò a dover governare una nazione tanto, troppo eterogenea; i democratici alla Garibaldi e Mazzini si accontentarono, a malincuore, di un’unità al di sotto delle loro aspettative politiche e territoriali; il tutto in un Paese a maggioranza cattolica con la Chiesa come grande avversario di quel processo che si stava compiendo.

Che l’Unità nazionale sia stato un evento sottovalutato dagli stessi protagonisti lo conferma l’atteggiamento di Casa Savoia. Vittorio Emanuele II, divenuto re d’Italia, non sentì la necessità di marcare la svolta decisiva cambiando nome (diventando magari Vittorio Emanuele, re d’Italia), le legislature proseguirono la numerazione progressiva del Regno di Sardegna, una volta conquistata Roma non si pensò a costruire un Campidoglio, una sede per il parlamento del nuovo Stato, ripiegando  sull’infelice sede di Montecitorio. Lo stesso Savoia soggiornò solo per brevi periodi a Roma, risiedendo di mala voglia al Quirinale, un palazzo già appartenuto al papa. Conoscendo la sua passione per la caccia, si cercò di invogliarlo acquisendo la tenuta di Castelporziano, ma anche quello servì a poco. A parte il primo re d’Italia, che morì a Roma nel 1878, dei grandi protagonisti dell’unità nessuno morì nella “città eterna”: Cavour a Torino nel 1861, Mazzini a Pisa (da clandestino) nel 1872, Garibaldi a Caprera nel 1882. 

Perché non c’è una festa nazionale che ricordi l’Unità?

Nel 1861 si decise di festeggiare l’avvenuta unità non con una data propria, magari quella della dichiarazione d’unità (il 17 marzo), ma inglobandola nella festa dello Statuto, nata nel 1851 per ricordare la concessione dello Statuto Albertino. In quella ricorrenza si celebrò così anche l’Unità, posta significativamente in una data mobile, la prima domenica di giugno, per confonderla in qualche modo con una giornata già festiva, a evitare un’eccessiva partecipazione popolare che sarebbe potuta essere occasione di proclamazione delle diverse tendenze politiche e degli ideali che l’Unità aveva solo momentaneamente sopito. Dopo i grandi movimenti popolari del 1848-49 e del 1859-60, la folla nelle piazze faceva paura.

Altre nazioni hanno fatto scelte diverse: gli Usa, oltre al 4 luglio ricorrenza della Dichiarazione d’Indipendenza, nel 1868 decretarono il Memorial Day, per ricordare tutti soldati caduti nelle guerre, la Germania la giornata di Sedan (1871) e la Francia elevò il 14 luglio (presa della Bastiglia) al ruolo di festa nazionale nel 1880.

Mancava quella che Mazzini chiamava la «religione della Patria» e faticò a prendere l’avvio la costruzione di una simbologia nazionale. La figura dello stesso Mazzini ne è un esempio concreto: una statua in suo onore fu deliberata dal Parlamento solo nel 1890 e ci vollero altri cinquant’anni perché fosse realizzata.

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