Referendum. Il sì di Obama. E perché no? (di Guido Moltedo)

Scrive Ida Dominijanni sul suo profilo facebook, a proposito delle dichiarazioni di appoggio a Renzi da parte di Obama, nel discorso di benvenuto al presidente del consiglio alla Casa Bianca martedì.

Certo che se uno va negli Usa preceduto da una mega campagna che spaccia la riforma della Costituzione (escludo che Obama o chi per lui ne abbia letto l’articolato) per una bacchetta magica che elimina la burocrazia, rilancia la crescita e dà sprint all’Europa intera, il Presidente americano lo prende in parola. Specialmente se gli serve a dare una botta a Merkel – di cui gli Usa diffidano profondissimamente – e a Putin. Il che non toglie che sarebbe stato quantomeno più saggio, per Obama, esporsi di meno e magari informarsi di più. L’unica cosa certa tuttavia è che lo spot è fatto a uso dei soli italiani. Ero negli Usa per la visita di Berlusconi a Bush e a Obama medesimo e i giornali e le televisioni americane non si sono accorti né della prima né della seconda.

Successivamente si è sviluppato un dibattito, come accade su fb, e Ida è intervenuta più volte, che si può seguire sul profilo di Ida Dominijanni. Pubblico qui il mio commento che appare nella discussione che segue:

Credo che una visita di stato vada osservata e valutata con una visione un po’ diversa da quella che tu proponi, specie se si tratta di un incontro in pompa magna tra due alleati di vecchia data (o, come qualcuno ritiene, dell’incontro tra un re e un suo vassallo, una cornice però – sarai d’accordo – che a mio avviso non s’attaglia ai tempi attuali, né ai due protagonisti, per tantissime ragioni, molte delle quali evidenti. Chi lo dice è semplicemente orfano degli schemi della guerra fredda, schemi che – già, neppure quelli, forse! – non spiegavano la realtà, come si riteneva a quei tempi).

Chiunque osservi l’Italia in questo momento, occupando un posto di leadership, come Barack Obama, o come Merkel, o come Putin, ha lo sguardo rivolto al 5 dicembre molto più che al 4 dicembre. Ogni cancelleria valuta, secondo il proprio metro, le conseguenze del referendum, il day after. E che cosa vedono da fuori? Quale scenario considerano migliore?

Può darsi che sbaglino tutti, da Washington a Berlino, che sbagli anche il Pse, certo è che colpisce la comune percezione di un’Italia messa molto peggio dopo la vittoria del no rispetto a un’Italia, il giorno dopo un successo del sì. Merito della propaganda del sì. Chapeau! Se è così, la macchina di Renzi funziona in modo eccellente, non altrettanto quella di chi s’oppone al presidente del consiglio.

Ma non sarebbe forse più facile e semplice considerare che i media stranieri che lavorano in Italia, le sedi diplomatiche, le filiali della imprese internazionali che operano nel nostro paese non si lascino incantare da una propaganda governativa, per quanto ben fatta e martellante, ma s’attengano soprattutto ai risultati di proprie indagini e valutazioni? Non hanno antenne proprie? E anche se un po’ acciaccati, non sono attivi anche i servizi d’intelligence?

Con l’uscita del Regno Unito dalla Ue, con la crisi profonda della Turchia, con il protrarsi dei problemi in Grecia, con l’instabilità politica senza fine della Spagna, basta dare un’occhiata alla carta geografica per capire l’importanza geopolitica che ha l’Italia. L’ha sempre avuta, non l’ha mai sfruttata (diversamente dalla Turchia di Erdoğan e direi, in tempi ormai remoti, dalla Grecia di George Papandreou senior e Andreas), ma oggi è evidente anche a un bambino, con il dramma infinito dei profughi, con i focolai mediorientali, il ribollire dell’Africa, la nuova conflittualità nei Balcani, che la nostra Penisola è il perno forte di qualsiasi politica mediterranea e mediorientale. A condizione, dicono, gli alleati dell’Italia, che a Roma ci sai un governo che governi. Renzi è considerato il leader più adatto a governare l’Italia in questa fase, anche in riferimento a quest’ordine di problemi. Su questo si discute anche in Italia, non si vede perché non debba esserci una risonanza all’estero.

S’aggiunga poi che, dal punto di vista americano (del “sistema” americano, non di Obama), l’uscita del Regno Unito dalla Ue può consegnare all’Italia il ruolo di partner “speciale” finora avuto da Londra, non solo per la sua posizione geopolitica ma anche per essere con Germania e Francia l’unico paese di rilievo nell’Unione Europea, un’Unione europea che l’America oggi vuole più solida, più coesa, più dinamica, e non un’Europa fragile, nei nuovi equilibri planetari, determinati dal protagonismo di Cina, Russia e India (oltre che Corea, Indonesia e, in parte ormai minore, dall’America latina).

Di fronte allo scenario che ho molto schematicamente tratteggiato, e che merita altri tasselli per essere completo e ben altro approfondimento, Obama avrebbe dunque dovuto riservare a Renzi un’accoglienza di minore profilo? Avrebbe dovuto prendere in considerazione il testo della riforma costituzionale prima di esporsi in un endorsement a Renzi e al sì? Certo, avrebbe fatto meglio a non dire la sua. Ma non perché Obama, o qualsiasi altro leader straniero, possa considerare non conforme a parametri di democrazia il testo proposto agli elettori il 4 dicembre, come fosse partorito da un Erdogan o da un Sisi! Un testo già approvato dal parlamento italiano!

Non credo neppure – più in generale – che sia prova di buon senso indignarsi se il mondo osserva con interesse, facendo le sue valutazioni, quanto accade in Italia. Non fosse così, ne sarei molto preoccupato, significherebbe semplicemente che siamo fuori del mondo, e a me non piace un’Italia – lo è già troppo – fuori del mondo. Un simile destino per l’Italia mi preoccupa molto, molto più delle immaginarie derive autoritarie attribuite a Renzi, queste sì, eventualmente, propiziate da una nostra estraneità al mondo, da un’orgogliosa autosufficienza nel mondo interconnesso. Un’Italia politicamente, culturalmente autarchica, sì, questa sì mi spaventa.

Del discorso di Obama, in riferimento ai fatti italiani, a me ha infatti colpito un altro passaggio, nel quale sottolinea la centralità di internet, dell’interconnessione, che caratterizza il nostro tempo, e che implica una velocità molto maggiore dei processi, compresi quelli democratici: “in un mondo globale guidato da internet un governo dovrebbe potersi muovere in modo veloce e trasparente” (in a global internet driven world a government ought to move quickly and transparently)

Senza ficcarsi in un falso, sterile e fuorviante dilemma – idealizzare o demonizzare la rete (similmente come si è fatto e si fa con la globalizzazione) – è un fatto che il mondo di oggi è un altro mondo rispetto a quello novecentesco, e sempre più lo sarà, sempre più rapidamente, innanzitutto per via della rapidità dei processi in ogni campo, politica compresa, ovviamente, e della continua interazione tra loro. Chiunque si occupi di “regole di gioco” nella politica, nella rappresentatività, nei processi di decisione di governo, deve dare la massima priorità, nelle sue considerazioni, al nuovo “ambiente” in cui viviamo. A me personalmente, interessa molto di più entrare in una grande conversazione su quest’ordine di problemi che intrappolarmi in una discussione dai contorni continuamente cangianti, tra politica immediata e assetto istituzionale, secondo i modi e i tempi del secolo scorso, con in più l’immancabile contorno del Grande Fratello americano – un gigante oggi molto piccolo – che ci dice cosa dobbiamo fare.

 

https://ytali.com/2016/10/19/referendum-il-si-di-obama-e-perche-no/
 19 ottobre 2016
Referendum. Il sì di Obama. E perché no? (di Guido Moltedo)ultima modifica: 2016-10-22T11:24:42+02:00da pelikan-55
Reposta per primo quest’articolo