Moda/e. Chiacchiere futili…

1316767326494_scrpaweb.jpgPremetto che non ho nulla contro la moda e il made in Italy, se tutto serve a portare euro a casa. Un po’ come con la vecchia Matilde di Canossa, se serve a far arrivare qualche pullman, a vendere qualche bottiglia di rosso o a far passare un pomeriggio diverso a un geometra di Ciano che si eccita a vestirsi da armigero.

Business is business. Però. Però non prendeteci per i fondelli, siamo poveracci non pirla, il mutuo ci da gli incubi tutte le notti ma non abbiamo mai sognato di diventare stilisti, abbiamo fatto tante boiate ma questa no. Non ce la facciamo, ci scapperebbe da ridere dopo cinque minuti, qualche frottola-senza cattiveria-l’abbiamo detta, ma contar balle a raffica, costruirci sopra una weltanshauung no, questo non è a nostra portata.

Disegnare abiti rende? Bene. Qualcuno dirà anche che è arte? Meglio ancora, sempre meglio un bel tailleur che il cavallo di Cattelan appeso in salotto, ma conserviamo il senso del ridicolo, si tratta di business, di far lavorare gente, facciamo finta ma ricordiamoci che lo stiamo facendo a fin di bene. Che stiamo scherzando. Un po’ come le fabbriche di armi, fanno male, ma danno da mangiare a tanta gente. Restiamo svegli, consideriamo gli outlet come luoghi di pubblica demenza, segno della barbarie contemporanea. I clienti, gente che passa una domenica a comprare anziché a passeggiare in un bosco, ascoltare musica, fare all’amore, pazienti da curare, con pazienza e comprensione (e qualche scappellotto, nei casi più ostinati).

Restiamo svegli, li conosciamo, sappiamo il meccanismo, conosciamo il gioco.

 

Ci illumina lo “stilista” Gabriele Colangelo: “Ho rivisitato la maglia in rete metallica di Versace, oggi però è tutto più facile perché posso avvalermi di tessuti più tecnici, più leggeri, più malleabili. Ho lavorato sui dettagli, un tempo si usavano delle fibbie d’argento costellate di Swarovski, ecco io ho pensato di epurare, resta la fibbia, spariscono i brillantini. La semplicità è la tendenza del momento, in questo senso si ritorna al minimalismo.”

http://espresso.repubblica.it/dettaglio/intervista-a-gabriele-colangelo/2161984

 

Finalmente. “Nelle notti insonni vegliate al lume del rancore” ci chiedevamo proprio che sarebbe stato della maglia in rete metallica di Versace (quello che ad Armani disse “tu vesti le signore, io vesto le puttane”) ora abbiamo la risposta. Semplice e facile. Basta “epurare”, far sparire i “brillantini”. Ahhh! Era ora che qualcuno avesse il coraggio.

Chissà come avranno gioito le operaie di Barletta a 3,99 euro l’ora, magari anche loro impegnate a cucire maglie che il bravo imprenditore vendeva alla “Maison” a 2 euro l’una, per ritrovarcele in passerella a 350 euro e, poi, negli outlet per gonzi a 120 euro (“Cicci, sapessi che colpo! Ho preso una maglietta di Merdace a 120 euro, costava 350, un vero affare!!).

Sappiamo tutto, non prendeteci per i fondelli con il leopardato, lo strass, l’effetto pittura e il minimalismo. Noi compriamo all’OVS o nei negozi dell’usato dove i gonzi vanno a rivendere le magliette-affare comprate all’outlet.

Business is business. Con la crisi che c’è, figurarsi, ogni santo aiuta, ma non abbiamo mai sognato di diventare uno stilista e se ne incontrassimo uno manco lo saluteremmo.

Come diceva quel vecchio saggio: Al fum all’elta, l’acqua a la basa”.

Lodevoli siti kattolici

Ci sono lodevoli siti web kattolici che fanno diventare, ipso facto, come minimo valdesi. I “più caldi” (Attenzione! Roba hard come “Pontifex”) devono ricevere congrui finanziamenti da AlQaeda: un credente ne legge 5 righe e subito vaì a comprarsi il Corano che è più moderato di quella roba lì…

Segnalo invece un sito più soft ma non per questo meno interessante: si chiama “La Bussola quotidiana”. Da questo riporto l’articolo seguente che mi sembra rispondere alla domanda diffusa “Ma come abbiamo fatto a finire così? E la Chiesa non dice niente?”. No, la Chiesa (pardon la gerarchia), fino a 3 giorni fa non ha detto nulla, l’egregio articolista ci fa capire il perchè (i grassetti sono nell’originale):

In politica domina il partito dei vizi pubblici

di Tommaso Scandroglio
29-09-2011
 
 
Siamo tutti d’accordo. Sacrosanto indignarsi per una politica che getta nel cestino dei rifiuti il decoro istituzionale barattandolo con sordidi piaceri venerei. Dal politico non ci aspettiamo solo che non delinqua e che amministri la res publica al meglio, ma che, rispolverando un’espressione che suona un po’ vetusta, brilli per dirittura morale. Ce lo ricorda persino la Costituzione all’articolo 54.
Ecco però, il problema sta proprio nella dirittura morale. Per alcuni si arresta al punto vita. Solo sotto la cintura si agita il nero mare della riprovazione sociale. In questa prospettiva degne di vesti stracciate sono unicamente le intemperanze sessuali. Tutt’al più accanto a queste il biasimo si potrebbe estendere a condotte anti-ecologiche e a giudizi un po’ fuori dal coro su temi quali omosessualità e islam. Per il resto ognuno faccia come creda.
E così a leggere la trinità laica della carta stampata – Corriere, Repubblica e La Stampa – il sesto comandamento è un po’ come se fosse la summa di tutte le turpitudini peggiori che possa commettere il politico di professione. Se l’abitazione privata di quest’ultimo si trasforma in alcova, la smorfia di disgusto è assicurata dalle anime belle del politically correct. Se invece nella casa di tutti gli italiani, che è il Parlamento, quello stesso politico vara una legge contro la vita, allora il disgusto si trasforma in plauso.
In parole povere il doppiopesismo è pratica ben rodata in alcune redazioni e dunque non infrequente che la penna che un giorno ha fustigato il premier per i suoi scivoloni a luci rosse sia poi la stessa che il giorno dopo verghi parole di lode per aborto, fecondazione artificiale, eutanasia e divorzio. Queste condotte oggettivamente sono più gravi e perciò dovrebbero meritare maggior censura. Dunque è assai più riprovevole che un politico voti una legge per favorire l’aborto che vada a prostitute. Anche perché una vita dongiovannesca inquina il bene comune molto meno che una norma che permetta a tutti di uccidere il proprio bambino che si porta in grembo o di staccare la spina al nonno morente. Le pratiche amatorie fuori dal talamo nuziale per quanto oscene possano essere recano un danno molto minore alla collettività rispetto a norme che rendono legittime condotte assai più nefaste a “maleficio” di un numero ben maggiore di persone. In definitiva e per far nostre le categorie del sessualmente corretto: cosa è più lascivo e sconcio, la fornicazione o produrre essere umani in provetta? Cosa più impudico e disdicevole, il bunga-bunga o le pratiche abortive?
Non sono queste affermazioni assolutorie di oggettive e indecenti bassezze morali. Infatti occorre rammentare che la cartina tornasole del buon governo non è dato dall’indice di scabrosità della vita privata dell’onorevole, ma dalle scelte compiute da questo per il bene comune. Una manciata e più di escort non valgono sulla bilancia della moralità come un solo comma della legge 194 che ha legalizzato l’aborto nel nostro paese. Beninteso: anche la vita privata del politico incide sul bene collettivo – lo scandalo è da evitarsi – ma ha minor peso di altre scelte. E’ quindi da preferire un politico non irreprensibile nelle condotte private ma che non cede sulle grandi questioni della vita pubblica, piuttosto che uno integerrimo tra le mura domestiche ma firmatario di leggi che mandano nella fossa i principi non negoziabili, quali vita, famiglia, educazione e libertà religiosa. Nella prospettiva politica le virtù pubbliche pesano di più che i vizi privati.
Ma forse sotto sotto i sostenitori della presente campagna contro la trivialità personale sono con molta ipocrisia ben coscienti di tutto ciò. E portano avanti la loro battaglia al calor bianco perché semplicemente strumentale all’abbattimento del nemico, infischiandose in cuor loro delle notti brave ad Arcore.
Il puritanesimo è dunque arma vincente in politica, dove vale più l’etichetta che l’etica, dove il bon ton è l’unità di misura del lecito, dove una pagliuzza lasciata sul letto dell’amante pesa di più di una trave che ha colpito a morte milioni di innocenti come nel caso della legge sull’aborto.

http://www.labussolaquotidiana.it/ita/articoli-in-politica-dominail-partito-dei-vizi-pubblici-3178.htm 

Poche note di commento:

Non sapevamo che nel Vangelo fosse previsto il principio “il fine giustifica i mezzi”: dovendo salvare i famosi “principi non negoziabili” accettiamo tutto il resto.

Il “puritanesimo” non c’entra una beata cippa. Le critiche al satiro plastificato non sono rivolte alla sua condotta sessuale privata: uno che si fa installare una protesi solo per proseguire a soddisfare la sua patologia già si qualifica da solo. La questione nasce dall’aver utilizzato (lasciar utilizzare) rapporti sessuali a pagamento come viatico per posti pubblici, appalti e similia. In parole povere: se uno va a puttane (riportiamo la lingua italiana alla sua realtà, grazie), pagando di tasca propria la cosa resta nel privato, se uno va a puttane e poi fa di quelle puttane ministri, consiglieri regionali, favorisce affari a chi le puttane gliele fornisce, la cosa è pubblica e, in un paese civile, comporterebbe le dimissioni del puttaniere dopo 20 minuti.

L’articolista sintetizza il suo pensiero in “E’ quindi da preferire un politico non irreprensibile nelle condotte private ma che non cede sulle grandi questioni della vita pubblica, piuttosto che uno integerrimo tra le mura domestiche ma firmatario di leggi che mandano nella fossa i principi non negoziabili, quali vita, famiglia, educazione e libertà religiosa. Nella prospettiva politica le virtù pubbliche pesano di più che i vizi privati”.

Bene, chiaro, comunque sia chiaro “NOT IN MY NAME”. Lo stesso valga per questa bella pensata dei “principi non negoziabili”. Osservo, ammettendo la mia ignoranza di fronte alle batterie di teologi che si saranno dannati (nomen omen)  in Vaticano a produrre questa geniale idea, che se un principio diventa negoziabile cessa di essere un principio. Quindi ora mi aspetto la pubblicazione della versione aggiornata (e selezionata) dei Vangeli, con una diversa colorazione magari delle pagine dove si racconta di “principi non negoziabili”, un concetto-come noto già ad Aristippo di Legolandia-che si ritrova numerose volte nel corso della predicazione del Cristo.

E poi il solerte Scarfoglio (Stramaglio? Farfulio?) non ci spiega come mai, da 3 giorni la misura sia colma anche per la gerarchia. Forse perchè l’aria del 24 luglio ha valicato il Tevere?

p.s. amici mi hanno chiesto: “Ma chi te lo fa fare di leggere simile robaccia?”. Ragazzi, è un lavoro sporco ma qualcuno deve pur farlo, o no?

Il conte Max..(tranquilli, non sono io..)

Pino Corrias per “il Fatto Quotidiano”

Ammirando la squisita eleganza di Massimo D’Alema, ci chiedevamo da anni da dove gli venisse tutta quella spocchia. La risposta l’abbiamo trovata in Vaticano dove dal 2006 custodiscono con perfidia il segreto di averlo nominato nobile. Non conte, come chiedeva lui, ma vice. Il vice-conte Max. Per l’esattezza: Nobiluomo. In sigla latina NH, tutto maiuscolo. Per le plebi: Eccellenza.

A forza di scalare riservatamente i privilegi del potere, quel lieto evento ce lo aveva tenuto nascosto. É invece il più commovente, il più istruttivo, venendo lui dalla piccola borghesia comunista, e perciò persuaso che l’accuratezza di un paio di scarpe, o l’investimento societario in una barca a vela, fossero indispensabili per frequentarlo. Figuriamoci un titolo nobiliare. Intriso dall’ambitissimo borotalco papale.

Al punto – raccontano i maligni – da molestare il cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato, per ottenere quella preziosa nomina: telefonate , perorazioni, inchini. Fino a ottenerla. E poi a esibirla il 20 novembre dell’Anno Domini 2006. La storia si compie durante il secondo governo Prodi. D’Alema è ministro degli Esteri. Sta preparando, per il neo eletto presidente Napolitano , la sua prima visita di Stato in Vaticano. É l’occasione che aspettava per farsi nominare conte, si è incapricciato.

I monsignori gli spiegano che conte è troppo, lo vieta il regolamento che dispensa nobiltà con scala millimetrica e conte può diventarlo solo il titolare del Quirinale, cioè Napolitano. E allora cosa? Gli offrono la qualifica di Nobiluomo, di regola riservata agli ambasciatori. Vada per Nobiluomo. Che poi sarebbe un mezzo conte che è sempre meglio di un doppio nulla. Quando finalmente arriva il corteo d’auto dello Stato italiano in visita a quello Pontificio, il suo sogno radioso si è compiuto.

Il presidente Giorgio Napoletano incede per primo tra le alabarde schierate e tutti i pennacchi pettinati. Lui segue con passo cadenzato, i baffi, l’involucro di un frac da cerimonia con i reverse a punta di lancia, il petto in fuori. E sul petto tre placche, due vecchie, una nuova. La prima dell’Ordine Cileno, ottenuta l’anno prima a Santiago. La seconda della Legion d’Onore concessagli dal governo Francese . E finalmente la terza, lo stellone di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine Piano che emana i santi bagliori della nobiltà pontificia.

L’anno prima il ministro degli Esteri, Gianfranco Fini, che accompagnava l’allora presidente, Carlo Azeglio Ciampi, nella prima visita di Stato a Benedetto XVI non ha ricevuto un bel niente, a parte la benedizione. D’Alema invece ce l’ha fatta. Oro zecchino emana il suo viso nelle molte foto di quel giorno.

È il definitivo addio dal suo passato di giovane pioniere temprato dalle nevicate moscovite, dai tetri Comitati centrali, dal fil di ferro dell’ideologia che gli ha tenuto dritta l’andatura e salda la cornice dello specchio che lo precede. Si è lasciato alle spalle le plebi della politica, i Fassino , i Bersani, il detestato Veltroni che si nutrono di chiacchiere ornamentali e onori in spiccioli.

Lui vola assai più alto. Si è scrollato di dosso le trattorie dei compagni, i pedalò della Romagna, il vino cattivo delle feste popolari, il fiato amaro delle lotte intestine, dai tempi in cui il grande Luigi Pintor veniva radiato e irriso, fino al siluramento di Romano Prodi, rovesciato nel 1998 e rimpiazzato a Palazzo Chigi per finalmente respirare l’ossigeno del potere in compagnia di quei due capolavori di Velardi & Rondolino, scelti con cognizione di causa.Si trattò di un immenso sforzo.

Per cosa? Niente di cui andar fieri: il bombardamento alla Serbia, più qualche affaruccio telefonico. L’avventura naufragò. E in quel naufragio lo stratega raddoppiò la sua impazienza. Che finì per sfigurarlo persino nella sua celebrata intelligenza, nel suo fiuto diventato infallibile a sbagliarle tutte, ma sempre credendo fermamente nel contrario. Convinto della propria intrinseca superiorità. E tuttavia incompreso.

È stato certamente il Cavaliere di Arcore a irretirlo nel vortice, anche psicologico, che gli ha dissolto la vecchia identità del militante intelligente, smagrito dal rigore, per trasformarlo – tempo una dozzina d’anni di rancori, recriminazioni e regate – in questo nobiluomo vaticano, il malinconico vice conte Max.

È da allora che D’Alema cominciò a concedersi in sogno quello che la realtà ostinatamente gli negava. A pretendere un risarcimento al suo narcisismo ferito. A ostentare consumi per non sentirsi consumato. A nutrire quella spocchia tanto necessaria agli insicuri. Perché sempre gli mancava qualcosa. Una corona, un trono, o almeno un pennacchio da esibire. Fino a quella aristocratica intuizione. Si trattava di scegliere il miglior giacimento di placche. Per questo ha chiesto aiuto al cardinale che alla terza risata – come un diavolaccio che gli compra l’anima – l’ha fatto Nobiluomo.

L’inverno del nostro scontento

Siamo qui, bloccati in questo infinito 24 luglio, un po’ raggomitolati a incollare i nostri pezzetti sparsi di vita quotidiana, arrivati-mai l’avremmo creduto-a chiederci “come sarà lo spread oggi?”. Intanto, come logico in ogni 24 luglio che si rispetti, intorno le cose vanno a pezzi travolte dal ridicolo prima ancora che dal buon senso. Una sedicente ministra parla di tunnel fra Svizzera e Abruzzo (magari pensava fosse una delle grandi opere post-terremoto?), un altro cosiddetto ministro gragnola frasi smozzicate sulla secessione. Quanti governi ci vorranno per ridare dignità alla parola “ministro”, così spregiata da questi buffoni?

Nella terra dell’amato Crostolo in compenso un giovane e pimpante amministratore si pone il problema “vecchietti o teatro? Bambole non c’è una lira…”. Ci volevano 66 anni di amministrazione di sinistra per partorire un pensiero così profondo?

dalema-moglie-ratzinger-vice-conte-300x219.jpgIn compenso c’è una notizia che, se confermata sarebbe clamorosa, il nostro povero Sindaco sarebbe stato stoppato dal carissimo Aureliano Buendia di Gallipoli che farà eleggere alla presidenza dell’ANCI il suo Emiliano. Dolore per Graziano ma una “ola” per il nostro Aureliano che, finalmente, dopo 333 rivoluzioni perse, una l’avrebbe azzeccata, beh che dire? Da un genio del centrocampo come lui, un maradona dell’intrigo, un Rommel dei retrobottega, non ci aspettavamo di meno. Peccato che la vittima sia stato il nostro povero Graziano che però può consolarsi, essere fregato da un simile genio, oltretutto insignito anche di onorificenze pontificie (Dio, com’era bello con il tight e la fascia da uovo di pasqua a tracolla!) alla fine è quasi un onore…

“Scusate il silenzio, stiamo lavorando per NOI”

Lo strano silenzio della Chiesa (B.Spinelli)

IL SOSTEGNO che i vertici della Chiesa continuano a dare a Berlusconi è non solo uno scandalo, ma sta sfiorando l’incomprensibile. Che altro deve fare il capo di governo, perché i custodi del cattolicesimo dicano la nuda parola: “Ora basta”? Qualcosa succede nel loro animo quando leggono le telefonate di un Premier che traffica favori, nomine, affari, con canaglie e strozzini? Non sono sufficienti le accuse di aver prostituito minorenni, di svilire la carica dimenticando la disciplina e l’onore cui la Costituzione obbliga gli uomini di Stato? Non basta il plauso a Dell’Utri, quando questi chiamò eroe un mafioso, Vittorio Mangano? Cosa occorre ancora alla Chiesa, perché si erga e proclami che questa persona, proprio perché imperterrita si millanta cristiana, è pietra di scandalo e arreca danno immenso ai fedeli, e allo Stato democratico unitario che tanti laici cattolici hanno contribuito a costruire?

Un tempo si usava la scomunica: neanche molto tempo fa, nel ’49, fu scomunicato il comunismo (il fascismo no, eppure gli italiani soffrirono il secondo, non il primo). Se Berlusconi non è uomo di buona volontà, e tutto fa supporre che non lo sia, la Chiesa usi il verbo. Ha a suo fianco la lettera di Paolo ai Corinzi: “Vi ho scritto di non mescolarvi con chi si dice fratello, ed è immorale o avaro o idolatra o maldicente o ubriacone o ladro; con questi tali non dovete neanche mangiare insieme. Spetta forse a me giudicare quelli di fuori? Non sono quelli di dentro che voi giudicate? Quelli di fuori li giudicherà Dio. Togliete il malvagio di mezzo a voi!”.

Anche l’omissione è complicità. Sta accadendo l’intollerabile dal punto di vista morale, in politica, e i vertici della Chiesa tacciono: dunque consentono. Si può scegliere l’afonia, certo, o il grido inarticolato di disgusto: sono moti umani, ma che bisogno c’è allora di essere papa o vescovo? (avete visto, in Vaticano, Habemus Papam?). Dicono che parole inequivocabili son state dette: “desertificazione valoriale”, “società dei forti e dei furbi”, “cultura della seduzione”. Ma sono analisi: manca la sintesi, e le analisi stesse son fiacche. D’un sol fiato vengono condannati gli eccessi dei magistrati, pareggiando ignominiosamente le condanne. Da troppo tempo questo è, per tanti laici cattolici scandalizzati ma non uditi, incomprensibile. Quasi che il ritardo nella presa di coscienza fosse ormai connaturato nella Chiesa. Quasi che l’espiazione (penso ai mea culpa di Giovanni Paolo II, nobili ma pur sempre tardivi) fosse più pura e santa che semplicemente non fare il male: qui, nell’ora che ci si spalanca davanti.

Un gesto simile a quello di Cristo nel tempio, un no inconfondibile, allontanerebbe Berlusconi dal potere in un attimo. Alcuni veramente prezzolati resterebbero nel clan. Ma la maggior parte non potrebbero mangiare insieme a lui, senza doversi ogni minuto giustificare. Non è necessario che l’espulsione sia resa subito pubblica, anche se lo sapete, uomini di Chiesa: c’è un contagio, del male e del malaffare. Forse basterebbe che un alto prelato vada da Berlusconi, minacci l’arma ultima, la renda nota a tutti. Questa è l’ora della parresia, del parlar chiaro: la raccomanda il Vangelo, nelle ore cruciali.

Sarebbe un’interferenza non promettente per il futuro, lo so. Ma l’interferenza è una prassi non disdegnata in Vaticano, e poi non dimentichiamolo: già l’Italia è governata da podestà stranieri in questa crisi (Mario Monti l’ha scritto sul Corriere: “Le decisioni principali sono prese da un “governo tecnico sopranazionale”), e Berlusconi d’altronde vuole che sia così per non assumersi responsabilità. Resta che gli alleati europei possono poco. E una maggioranza che destituisca Berlusconi ancora non c’è in Parlamento. Lo stesso Napolitano può poco, ma la sua calma è d’aiuto, nel mezzo del fragore di chi teme chissà quali marasmi quando il Premier cadrà. Il marasma postberlusconiano è fantasia cupa e furba, piace a chi Berlusconi ce l’ha ormai nelle vene. Il marasma, quello vero, è Berlusconi che non governa la crisi ma si occupa di come evitare i propri processi: tanti processi, sì, perché di tanti reati è sospettato. L’Italia è un battello ebbro, il capitano è un simulacro. Non ci sono congiure di magistrati, per indebolire la carica. Il trono è già vuoto. Il pubblico ministero, organo dello Stato che rappresenta l’interesse pubblico, deve per legge esercitare l’azione penale, ogni qualvolta abbia notizia di un reato, e in molte indagini Berlusconi è centrale: come corruttore o vittima-complice di ricatti.

Gli italiani non possono permettersi un timoniere così. Se sono economicamente declassati, la colpa è essenzialmente sua. Berlusconi non farà passi indietro, gli oppositori si ridicolizzano implorandolo senza mai cambiare copione. Oppure vuole qualcosa in cambio, e anche questo sarebbe vituperio dell’Italia. Il salvacondotto proposto da Buttiglione oltraggia la Costituzione. Casini lo ha smentito: “Sarebbe tecnicamente e giuridicamente impossibile perché siamo in uno Stato di diritto”.

Perché la Chiesa non dice basta? Si dice “impressionata” dalle cifre dell’evasione fiscale, ma la vecchia domanda di Prodi resta intatta: “Perché, quando vado a messa, questo tema non è mai toccato nelle omelie? Eppure ha una forte carica etica” (Famiglia cristiana, 5-8-07). E come si spiega tanta indulgenza verso Berlusconi, mentre Prodi fu accusato di voler essere cristiano adulto? Pare che sia la paura, ad attanagliare i vertici ecclesiastici: paura di perdere esenzioni fiscali, sovvenzioni. Berlusconi garantisce tutto questo ma da mercante, e mercanti sono quelli che con lui mercanteggiano, di quelli che Cristo cacciò dal tempio rovesciandone i banchi. E siete proprio sicuri di perdere privilegi? Tra gli oppositori vi sono persone a sufficienza, purtroppo, che non ve li toglieranno. Paura di un cristianesimo che in Italia sarebbe saldamente ancorato a destra? Non è vero. Non posso credere che lo spauracchio agitato da Berlusconi (un regime ateo-comunista)abbia ancora presa. Oppure sì? Penso che la Chiesa sia alle prese con la terza e più grande tentazione. Alcuni la chiamano satanica, perché di essa narra il Vangelo, quando enumera le prove cui Cristo fu sottoposto: la prova della ricchezza, del regno sui mondi: “Tutte queste cose ti darò, se prostrandoti mi adorerai”. La Chiesa sa la replica di Gesù.

Il Papa ha detto cose importanti sulla crisi. Che agli uomini vengon date pietre al posto del pane (Ancona, 11 settembre). La soluzione spetta a politici che arginino i mercati con la loro autorevolezza. Non saranno mai autorevoli, se ignorano la quintessenza della decenza umana che è il Decalogo. Ma neanche la Chiesa lo sarà. Diceva Ilario di Poitiers all’imperatore Costanzo, nel IV secolo dC: “Noi non abbiamo più un imperatore anticristiano che ci perseguita, ma dobbiamo lottare contro un persecutore ancora più insidioso, un nemico che lusinga; non ci flagella la schiena ma ci accarezza il ventre; non ci confisca i beni (dandoci così la vita), ma ci arricchisce per darci la morte; non ci spinge verso la libertà mettendoci in carcere, ma verso la schiavitù invitandoci e onorandoci nel palazzo; non ci colpisce il corpo, ma prende possesso del cuore; non ci taglia la testa con la spada, ma ci uccide l’anima con il denaro”.

 La Repubblica, 20.9.2011

Difficile rispondere al quesito sollevato dalla Spinelli. Azzardo qualche ipotesi: la Gerarchia (Chiesa è un’altra cosa) è in passaggio difficile e imbarazzante. Come in ogni cambiamento epocale deve giocare le sue carte per rimanere non solo in sella, ma se possibile, migliorare le posizioni. E per raggiungere l’obiettivo sta lavorando freneticamente. Grazie all’azione del card.Ruini (che Dio lo perdoni) la gerarchia ha lucrato col berlusconismo come mai prima, benedicendo l’impossibile e contestualizzando l’incredibile. E’ diventata più ricca e potente che mai, mentre le Chiese si vuotavano e si diffondeva fra i fedeli quello che i teologi hanno chiamato “lo scisma silenzioso”. Costretti al silenzio, i credenti ascoltano, riflettono e poi decidono e agiscono secondo la propria coscienza (cosa del resto prevista dallo stesso magistero, si veda la Lumen Gentium) indipendentemente da CEI, Vaticano e Papa. In nome dei presunti “principi non negoziabili” la gerarchia ha agito secondo la tattica del “fine giustifica i mezzi” che con il Vangelo c’entra tanto quanto io con le danze caraibiche. Si è preferito un puttaniere e la sua banda di delinquenti abituali ma che garantissero quei principi (e favori economici e fiscali), a un cattolico come Prodi, con il quale però bisognava discutere e negoziare. Adesso dopo l’estate si avvicina l’autunno, che fare, ora che il puttaniere è ormai defunto, anche se nessuno della sua corte ha il coraggio di dirlo? Dove trovare la sponda per il futuro che garantisca ancora i privilegi e le comodità? Berlusconi trascinerà a fondo con sè tutto e tutti, anche la Lega con la quale pure (vomitevolmente) la gerarchia si era trattenuta in piacevoli conversari. Casini? Profumo? Montezemolo? Monti? Troppo indefinita ancora la situazione per aprire bocca. Salvo le rivoluzionarie affermazioni del Pontefice “Bisogna essere buoni, bisogna essere onesti…”. Ma dai! Davvero? Nessuna profezia, nessun gesto che apra la strada, che mostri ai credenti un percorso. Questa è la gerarchia della solitudine del credente, abbandonato se non accetta una pedissequa e anacronistica obbedienza. E poi perchè la gerarchia dovrebbe parlare, muoversi? E’ il convitato di pietra della storia di questo povero paese. Cavour, Mussolini, De Gasperi, Craxi, Berlusconi, prima o poi tutti si sono dovuti sedere a tavola e chinare il capo e trovare un accordo/appoggio. E’ l’Italia che passa il Tevere mai il contrario. Quindi il silenzio continuerà, salvo le solite chiacchierine retoriche (tanto per salvare l’apparenza), ma state tranquilli noi del futuro non sappiamo nulla, loro (la gerarchia) sì. Anzi, sulla loro porta potrebbero mettere un cartello così concepito: “Scusate il silenzio, stiamo lavorando per NOI”.

I have a dream

titanic.jpg(ANSA). Nella notte fra il 8 e 9 settembre è stato segnalato un corteo che viaggiava a luci spente sul GRA di Roma, diretto a Civitavecchia. Ne facevano parte le auto del Presidente del Consiglio, del dott.Letta, on. Cecchitto, on. Gasparri e due pulmann che ospitavano un centinaio di “consulenti” del premier stesso. Il corteo aveva tentato di raggiungere l’aeroporto dell’Urbe dove erano in attesa alcuni jet executive ma era stato fermato più volte da posti di blocco delle forze dell’ordine che controllavano masse crescenti di indignati, divenuti incazzati dopo la notizia-diffusasi nel pomeriggio- dell’avvenuto blocco dei conti bancari italiani su ordine della BCE e dell’annullamento de “Il grande fratello” edizione 2012

A Civitavecchia attendeva il corteo la corvetta della Marina Militare “Baionetta”, pronta a fare rotta sulla Sardegna. “Non è un fuga-ha commentato Cecchitto-è un momento di ripensamento”, “Sono partita senza neppure rifarmi la pressione alle tette”-ha commentato dispiaciuta Loriana, 23 anni-consulente del Ministero. “Torneremo!”, ha dichiarato Salvatore La Mottola, cugino di Valter Lavitola, addetto alla pressione senale delle consulenti.

Da fonti del Ministero della Difesa, il “Baionetta” è salpato alle ore 23,45. L’ultimo contatto radio risale alle 01,26 quando il comandante Ghislanzoni ha comunicato: “Tutto bene, c’è un bel movimento qui…”. Da quel momento ogni appello radio è caduto nel vuoto. Non risulta sia stato lanciato alcun messaggio SOS.. Alle prime luci dell’alba gli elicotteri del Soccorso aereo si sono levati alla ricerca della corvetta scomparsa, ma finora nulla è stato ritrovato: sulla superficie del Mediterraneo segnalate solo chiazze di nafta e qualche pezzo di silicone.

Libera Casta in libero Stato (Bruno Manfellotto)

D’improvviso ci siamo ricordati che il Vaticano non paga l’Ici sul suo patrimonio immobiliare: grida, polemiche, accuse di lesa Santità. E però qui non si parla di religione, ma di equità. E di un’altra solidarietà

(25 agosto 2011)

jpg_2159051altan.jpgIl diavolo a volte ci mette la coda, e pure lo sterco. E così accade che la supertassa sui redditi oltre i 90mila euro sia chiamata “contributo di solidarietà”, che sa di chiesa più che di fisco; e succede pure che si scateni sui giornali e in rete una dura polemica contro il Vaticano che la sua “solidarietà” alla manovra potrebbe anche darla, magari accettando finalmente di pagare l’Ici almeno su una parte dell’ingentissimo patrimonio immobiliare di vescovadi e ordini religiosi, pii sodalizi e congregazioni, comunità e arciconfraternite.
Tanto più che venerdì 19 agosto, dai microfoni di “Radio Anch’io”, il numero uno dei vescovi Angelo Bagnasco, predicava con grande efficacia mediatica contro l’evasione fiscale (“cifre impressionanti”), e anzi s’augurava che “il dovere di pagare le tasse possa essere assolto da tutti per la propria giusta parte”. Bravo. Ma l’invito dovrebbe valere pure per l’elusione, in cui la Santa Sede storicamente (e legalmente) brilla: se tutti hanno da fare la loro parte…

Scavando nella memoria, poi, ci si è ricordati anche di altri aiuti, sconti e agevolazioni di cui gode la Chiesa, e di tutte le volte che il tentativo di modificare in Parlamento qualche regalìa, concordataria e non, si sia infranto contro un solido muro di “no” rigorosamente bipartisan. E Dio ci perdoni se questo rosario di piccoli e grandi privilegi ci ha dettato l’irriverente copertina “La santa evasione” e il titolo qui sopra che rimanda a un’altra casta ben più celebre e processata.

La verità è che anche in questo caso, come in tanti altri della vicenda italica, concessioni sacrosante e limitate sono divenute quando non arbitrio, certo altro da sé. Si pensi all’8 per mille, introdotto nel 1985 dal governo Craxi con l’impegno che se ne sarebbe via via valutata l’entità: è passato un quarto di secolo, il gettito si è moltiplicato, ma di quella correzione non s’è più parlato. E certo pesa che l’istituto sostituisca l’assegno di congrua, lo stipendio che lo Stato pagava ai sacerdoti a mo’ di risarcimento dopo la breccia di Porta Pia e la caduta del Papa re. Il Tevere non è più largo di centoquaranta anni fa.

Si pensi poi agli immobili vaticani, esclusi da tassazione o per ragioni di extraterritorialità o perché destinati al culto, all’assistenza, al volontariato. Giusto. Ma negli anni, dal primo al secondo Concordato a oggi, quel patrimonio immobiliare è cresciuto a dismisura e spesso la destinazione è cambiata: ville trasformate in case di cura; appartamenti nei centri storici delle città ieri destinati alle famiglie bisognose e oggi ambìti da manager, politici, ministri; immobili diventati asili e scuole a pagamento; negozi e botteghe, garage e capannoni.

La beneficenza, è vero, nasce sovente dallo sterco del diavolo. Ma che c’entrano queste attività imprenditoriali con il culto e l’assistenza? E a quanto ammonta questo patrimonio parcheggiato in un’indefinibile zona grigia? Basterebbe un’operazione trasparenza, avviare almeno un censimento di beni e proprietà, se non altro per capire come davvero stanno le cose. Facile a dirsi, impossibile finora a farsi: non ne ha sentito l’esigenza il Parlamento, figuriamoci il Vaticano. E così si preferisce urlare e blaterare di cose di cui si sa poco o nulla.

Forse all’origine di tutto c’è un patto non scritto tra Stato e Chiesa in virtù del quale le mille braccia del mondo cattolico provvedono lì dove lo Stato non può arrivare: sanità, assistenza, istruzione. Prestazioni in qualche modo ripagate con vaste regalìe di elusione (e di evasione). Se così stanno le cose, forse è arrivato il momento di chiedersi, complice la straordinaria e inedita crisi che viviamo, se un equilibrio di tal fatta sia ancora equo e sostenibile. E se non sia opportuno cominciare a vivere la solidarietà in forme nuove. Parlando al meeting di Cl, il socialista Giuliano Amato si è chiesto come mai “abbiamo perduto la fiducia in un futuro comune”. Noi più modestamente ci chiediamo perché questa fiducia mostri di averla persa perfino la Chiesa di Pietro.

 
http://espresso.repubblica.it/dettaglio-inviato?idarticolo=espresso_2159094&idmessaggio=2500743
 
Mi chiedo perchè la gerarchia (la Chiesa è un’altra cosa) non reagisca che a due temi (due): il 6° comandamento e i soldi. Un paese devastato, giovani che fuggono all’estero, evasione fiscale, la morale pubblica peggio che S&G (Sodoma e Gomorra), niente, qualche paroletta vaporella, magari detta dal Pastore Tedesco: “Pizogna ezzere puoni…”, basta. Ma appena spunta una tetta, un pisello, un profilattico o la minaccia di dover tirare fuori euri, dobloni, talleri, AAAARGHH!!!! Tuoni, fulmini, sturmunddrang, desertstorm. Sul Giornale di Reggio di oggi, riprendendo Affenire di qualche giorno fa, che si tira fuori? Dai, è facile: la congiura demoplutoMASSONICA, ci manca solo la vendetta dei Templari e qualche mistero de Fatima e poi il catalogo delle bojate è (quasi pieno). 6° comandamento e soldi: che siano questi i famosi “principi non neggozziabbilli”?

“Indignarci non basta, serve l’impegno” (Andrea Melosi)

Decreto cancella 25 Aprile e le altre feste laiche: l’opinione dello storico Massimo Storchi

REGGIO.«Un provvedimento sbagliato, inutile, se vogliamo anche stupido perchè danneggiare l’economia invece di sostenerla». Massimo Storchi, storico, responsabile del polo archivistico del Comune di Reggio, non ci mette molto a demolire il provvedimento del governo Berlusconi che vuole cancellare, o almeno svilire spostandoli di data, i giorni in cui si celebrano la Liberazione dal nazifascismo (25 Aprile), il lavoro (Primo Maggio) e la nascita della Repubblica (2 Giugno).

Facciamo tre ipotesi su questo provvedimento: atto politico nel segno del revisionismo, superficialità, banalizzazione di tutto nel nome del mercato. Quale preferisce?

«Non sono mai stato un complottista. Di quelli che vedono sempre oscure manovre dietro a questa o quella decisione. Ma c’è del vero in ognuna delle tre ipotesi. Ma mi viene da aggiungere una quarta ipotesi: la dannosa stupidità».

Spieghi meglio.

«Vogliono cancellare queste feste, dicendo che così si recupera produttività. Ma lo vadano a dire agli operatori turistici, agli albergatori, ai ristoratori, che aspettano a gloria i “ponti” di queste festività, per incrementare i loro redditi in bassa stagione. Non le sembra stupido tutto questo?».

Volendo si potrebbero “spostare” anche festività religiose. O meglio cattoliche.

«Figuriamoci, quelle sì che sono intoccabili».

Lei non è complottista, ma davvero non c’è niente di oscuro dietro alla volontà di cancellare la festa della Liberazione?

«Chiarisco meglio. Senza dubbio questo è uno dei vari tentativi portati avanti in questi ultimi anni per “saggiare”, “tastare il polso degli italiani”. Come dire: proviamoci, poi vediamo. A fare un passo indietro siamo in tempo».

Ma in tutto questo la sinistra e più in generale le forze politiche e sociali che si riconoscono nei valori della Resistenza, della Costituzione, non hanno qualche responsabilità? Insomma, se siamo arrivati a questo punto…

«Certo che ci sono responsabilità e anche grandi. I fascisti fanno il loro lavoro, sono gli antifascisti o almeno una bella fetta di loro che hanno smesso di fare il loro. Ogni giorno bisogna costruire un 25 Aprile, un 2 Giugno, perchè è così che si costruisce un’identità civile e democratica attiva. Il concetto di antifascismo va allargato a quello dell’antitotalitarismo».

http://gazzettadireggio.gelocal.it/cronaca/2011/08/22/news/indignarci-non-basta-serve-l-impegno-1.783152

Basta privilegi ecclesiastici, abroghiamo il Concordato (Maria Mantello)

triregno.jpgIn origine nella Chiesa c’era lo scandalo del Discorso della Montagna. Oggi lo scandalo è la montagna di miliardi di euro che il Vaticano può accumulare con i finanziamenti pubblici dell’8‰, con quelli per l’istruzione cattolica, con le esenzioni di fatto dal pagamento delle bollette per i consumi energetici, oppure con la dispensa da imposte e tasse sulla miriade delle sue redditizie attività: dagli ex monasteri ed ex collegi trasformati in alberghi a più stelle, fino alla fiorente imprenditoria turistica dell’Opera Pellegrinaggi. E tanto altro ancora.

Grazie al Concordato e sulla sua scia, lo Stato italiano è il più grande benefattore del Vaticano, a cui elargisce privilegi di ogni sorta. Leggi confessionali comprese. Si pensi ai dictat su coppia, famiglia, sessualità, riproduzione, testamento biologico, ecc. Imposizioni e divieti funzionali al perdurare della dogmatica cattolica.
Poteri economici, politici e sociali della Chiesa inestricabilmente si intrecciano nell’incompiuta distinzione tra Stato e Chiesa, che la debolezza di una classe politica genuflessa bellamente perpetua. Anche in certa sinistra, che diventata orfana del muro di Berlino sembra posseduta dalla sindrome dell’acquasantiera.

È in questa situazione che il Vaticano ha strappato allo Stato italiano forse anche più di quanto si aspettasse. Si pensi al sistema paritario di istruzione, che, creando un vulnus costituzionale, ha reso pubbliche anche le scuole private. Oppure si pensi al pasticcio dell’immissione in ruolo nelle scuole statali degli insegnanti di religione cattolica, che pur continuando a dipendere in tutto e per tutto dai vescovi – tranne che per lo stipendio da sempre a carico dello Stato, e per giunta più alto di quello degli altri docenti -, adesso possono finanche transitare su altre cattedre, nonché aspirare a diventare dirigenti scolastici (presidi).

Dopo la svolta progressista degli anni Settanta (e per bloccarla), è ripresa la gara senza confini dei politici per ingraziarsi la gerarchia vaticana. Negli anni Ottanta Craxi rinnovava il Concordato con cui si introduceva anche quel perverso e truffaldino meccanismo dell’8 ‰ che consente ancora oggi alla CEI di fare l’asso pigliatutto. Nonostante solo un italiano su tre, scelga di destinare il proprio 8‰ dell’Irpef alla Chiesa cattolica. L’articolo 37 della legge 222 del 1985 prevede infatti che «in caso di scelte non espresse da parte dei contribuenti la destinazione si stabilisce in proporzione alle scelte espresse». Un espediente suggerito da Giulio Tremonti, allora consulente del Governo Craxi. Un articoletto che fa triplicare gli incassi della Chiesa cattolica, che così arriva ad intascare quasi il 90% dell’intero 8 ‰. Nel 2011 oltre il miliardo. Per la precisione, 1.118 milioni di euro! Un bel gruzzolo che, diversamente da quanto le campagne pubblicitarie vorrebbero far credere, viene impiegato soprattutto per il mantenimento del clero e dei suoi apparati.

Giulio Tremonti ha fatto intanto carriera, ma continua sempre a guardarsi bene dall’intaccare interessi e affari vaticani. Finanche mentre batte cassa con una manovra finanziaria durissima che colpisce soprattutto precari e redditi medio-bassi. Una manovra che prevede anche l’eliminazione delle festività laiche: 25 aprile, 1 maggio, 2 giugno. Quelle che rappresentano l’appartenenza nella cittadinanza democratica degli italiani. Di contro, in nome del Concordato, le feste religiose non si toccano. Compresa quell’Immacolata Concezione, che, con tutto il sincero e profondo rispetto dei fedeli, certo con l’emancipazione e l’autodeterminazione della donna ha ben poco a che fare.

La pesante manovra finanziaria dell’onorevole Tremonti, ha comunque avuto l’effetto di risvegliare tanti italiani stanchi delle caste. Curiale compresa.
Basta privilegi e tutti paghino le tasse! È diventato quasi un corale, a cui anche il capo della CEI, Angelo Bagnasco si è unito, affermando il 19 agosto dai microfoni di Radio Anch’io: «Le cifre dell’evasione fiscale sono impressionanti. Come credenti e comunità cristiana dobbiamo rimanere al richiamo etico che fa parte della nostra missione e fare appello alla coscienza di tutti perché anche questo dovere possa essere assolto da tutti per la propria giusta parte. Se questo dovere fosse assolto, le cose sarebbero risolte». Una predica, che priva di ogni autocritica, è suonata come una beffa. Con l’effetto di far lievitare l’indignazione dei cittadini per i privilegi ecclesiastici.

Chissà, allora, se lo sdegno della società civile, a cui stanno dando voce nel Palazzo i radicali e qualche altro esponente del Pd, non porti alla eliminazione di scudi concordatari per la Chiesa cattolica, che dovrà così rassegnarsi finalmente a ricevere i finanziamenti direttamente dai suoi fedeli. È quanto avviene normalmente negli Stati Uniti. È quanto dovrebbe accadere in ogni democrazia liberale.

L’abolizione del Concordato fascista, che Mussolini volle nel 1929 e che Craxi ha rinnovato nel 1984, farebbe dell’Italia una democrazia laica compiuta e servirebbe a ridimensionare il potere clericale. La Chiesa Padrona, come titola il bel libro del 2006 di Roberto Beretta (già giornalista dell’Avvenire) che della sua chiesa scriveva: «tornata protagonista riverita e rispettata, anzi persino lusingata e blandita, ascoltata e temuta […] in quanto utile all’uno o all’altro degli schieramenti […] sembra aver deciso di sfruttare tale temporanea posizione di privilegio facendo finta di crederci e cercando di ricavarne i maggiori vantaggi, per sé e per i valori che promuove. Così, dopo decenni di contestazioni, sbandamenti, depressione, autolesionismo e crisi, le sue file gerarchiche vengono sempre più abitate da un risorgente clericalismo di ritorno; molti ecclesiastici paiono volersi illudere che siano tornati i “bei tempi” in cui il parroco era il centro del paese e il vescovo un’indiscussa autorità civile».

Allora, per fermare questa chiesa padrona, è impellente e necessario andare oltre il Concordato.
Con buona pace per tutti i clericali, e (forse) proprio in nome di quella carità cristiana, che s. Paolo nella I Lettera ai Corinzi, definiva “benevola” “rispettosa” “disinteressata”.

(23 agosto 2011)

La casta pellegrina (Massimo Gramellini)

La notizia che il Parlamento resterà chiuso fino a metà settembre per consentire a duecento deputati e senatori di fare un pellegrinaggio in Terrasanta ha ridato un po’ di fiato ai mercati, ma ha gettato nel panico la Terrasanta. Il sospetto è che, vista l’aria che tira in Italia, decidano di rimanervi per sempre. Permane un fitto mistero sulle ragioni vere della visita. Escludiamo che siano interessati a studiare lo stile di vita di Gesù. Mentre potrebbero nutrire una curiosità professionale per i mercanti del Tempio e per uno dei due ladroni crocefissi, quello non pentito. L’ipotesi che vogliano girare un remake di «Brancaleone alle Crociate» è destituita di ogni fondamento: non hanno il senso del ridicolo. Così come è improbabile che intendano fondare un nuovo ordine templare: non hanno neanche il senso del tragico. Qualcuno immagina che vadano a chiedere una grazia, però lì il foro competente è Lourdes. Qualcun altro spera che vadano a chiedere scusa, o pietà, però è a noi che dovrebbero chiederle, e potrebbero farlo comodamente dal salotto di casa, dove invece convocano le telecamere per accusarsi a vicenda di rubare.

Una penitenza? Ci crederemmo soltanto se marciassero a piedi scalzi e battendosi il telefonino intercettato sul petto. No, la motivazione più verosimile del pellegrinaggio, nonché la più coerente con la natura intima dei pellegrini, è che si tratti di una bella vacanza. Formalmente a spese loro, ma di fatto pagata con lo stipendio che noi gli verseremo puntualmente anche a settembre perché continuino a darci il cattivo esempio.

 

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