Uovo di Pasqua

Sotto l’albero di Natale abbiamo trovato il ritiro del vecchio satiro plastificato, nell’uovo di Pasqua la caduta rovinosa del patetico guitto che ha condotto la lega (che, come dice mio figlio, non merita neppure la maiuscola) ha dare il suo contributo allo scassamento del povero paese. Bene. Buona Pasqua. Però. Sono caduti i capi, i vice si stanno scannando, i famigli cercano di salvare l’argenteria e le playstation, ma tutto rimane come prima. Questi satiri, questi buffoni da bar, questi lusi-belsito qualcuno li aveva messi sulle loro poltrone, qualcuno li aveva votati. Loro sono caduti, fuggiti, carcerati ma i milioni di elettori sono ancora a piede libero, pronti al nuovo leader, al nuovo Masaniello, a destra come (purtroppo) a sinistra. Dopo la caduta berlusconiana, riflettendo con i miei 25 lettori, richiamavo tutti alla necessità del rigore, della serietà, dell’autocritica, perchè in quella stagione di guano che si stava concludendo in qualche modo c’eravamo finiti dentro tutti. Invece no. E’ ripresa la solita giostra, ognuno a difesa del suo pitale mezzo vuoto (o pieno cambia poco) a replicare coattivamente parole, riti, concetti che il tempo ha prima logorato e poi resi inutili. Ognuno a volere tutto e a volerlo subito, ognuno in preda alla sindrome del NIMBY (not in my backyard): riforme? Sì, ma prima quella degli altri…Sacrifici? Sì, però prima lui/lei/loro…

Ho preso aspre rampogne anche da quella che considero la mia parte, additato come un “NP” (nemico del popolo), solo perchè ho suggerito che c’era altro nel mondo e in un paese che non funziona che l’art.18, ricordando che in oltre 25 anni di lavoro (onorato, credo) non ho mai sentito una volta vicino ai miei problemi alcuna forza sindacale. Continuiamo ad affrontare problemi del XXI secolo con parole nate nel XIX (riformista/massimalista/padrone), con analoghi strumenti di lotta (sciopero) e con la medesima mentalità (il complotto, il conflitto…). Allora si bloccavano le ferrovie oggi le autostrade ma la mentalità è-ahimè- cambiata ben poco. Ci indignamo per i rimborsi elettorali spaventosi (con cui davvero potremmo fare qualcosa per i giovani) però non ci indignamo se i partiti che ancora votiamo  (non si sa se per abitudine o per masochismo) al massimo propongono la riduzione dei decimali a quegli stessi rimborsi. Parliamo di casta e poi non pretendiamo che almeno i nostri eletti si dimezzino-qui e ora- i loro assurdi stipendi. o che torni un poco di democrazia nella gestione delle nostre città. Come si diceva una volta “Signora..viene la rivoluzione e non ho niente da mettermi…!”.

Cambiare giacca è facile, partito anche, ma cambiare mentalità e morale è quasi impossibile. Abituati al tifo da curva sud, alla difesa eterna del nostro “particulare”, risulta difficile sederci a un tavolo e ragionare, ripartire da noi, applicare una sano e diverso  NIMBY (NOW in my back yard), almeno per salvare noi stessi perchè gli altri e il mondo è tutta un’altra questione. Non ci riuscirono i partigiani scesi dalle montagne un aprile di tanti anni fa. Anzichè ragionare su cosa avrebbe dovuto cambiare (e sul perchè non è cambiato), sul fatto che quei 20 mesi portavano in sè i germi di una rivoluzione morale che non ci fu,  stiamo ancora a perdere tempo a discutere con i fascisti se ci fu qualche morto in più o in meno, dedichiamo il 25 aprile alla lotta contro la mafia anzichè ricordare che quel 25 aprile avrebbe comportato anche la sconfitta della mafia se fosse andato avanti. Tranne poi, ovviamente, dimenticarci del 25 aprile e della mafia il giorno dopo.

Buona Pasqua, comunque, a Fortezza Bastiani tira il vento e le gocce di pioggi battono sui vetri, ierisera ho mangiato la cena di Pessach, ho bevuto i quattro calici di vino, ho mangiato il “maror”, le erbe amare. Una lattuga, le prime foglie sono dolci poi mentre si procede all’interno il gusto è sempre più amaro. Come la schiavitù che all’inizio può essere anche rassicurante, con tutte le responsabilità nelle mani del “padrone”, ma poi diviene insopportabile. Buona Pasqua.

Se incontrate un French Bulldog Poppi…

Immagine-1.pngSe, aggirandovi per il Fidenza Outlet (vicino Parma), vi trovate accerchiati da un branco di cani, non vi spaventate. Sono i French Bulldog Poppi, le colorate sculture dell’artista Felipão, che riproducono alla perfezione i nostri amici a quattro zampe, ma «agghindati» in chiave pop. Con il suo tocco eclettico, il creativo madrileno presenta nei centri del circuito internazionali Chic Outlet Shopping l’installazione Fashion & Chic con tredici pezzi unici, mentre una linea di t-shirt, con il ritratto di un cucciolo, viene venduta per raccogliere fondi a favore della onlus animalista National Friends of Animals Association.

C’è aria di Natale invece nei Designer Outlets McArthurGlen di Barberino del Mugello (Firenze), Castel Romano (Roma), Marcianise (Caserta), Noventa di Piave (Venezia) e Serravalle Scrivia (Alessandria), che danno il via al conto alla rovescia per le feste accendendo il grande albero al centro della piazza principale dei rispettivi centri. Si farà shopping tra giochi di luce, cori gospel e soprattutto, prezzi scontati. E visto che a Natale è tempo di doni, Castel Romano Designer Outlet regalerà dieci Fiat 500, La Reggia di Marcianise premierà con abiti e accessori i vincitori del concorso Win your Christmas Style (mcarthurglen.it) e Serravalle offre la consulenza di cinque fashion-blogger per chi venisse colto dal panico da compere. E per non perdere la pazienza tra fiocchi e nastri, un apposito team penserà poi a fare i pacchi. (micol passariello)

 

Il venerdì Repubblica, 25.11.2011

 

French Bulldog Poppi?

Il creativo madrileno?

Fashion & Chic

fashion-blogger?

Panico da compere?

Un team apposito per fare i pacchi?

Shopping tra giochi di luce, cori gospel?

 

Favoletta di Natale

 

Me ne andavo un giorno passeggiando per Fidenza

quando vidi per strada una credenza:

che ci faceva tutta soletta,

abbandonata accanto a un voltafieno,

così lontana dal fiume Reno?

Per fortuna spuntò un creativo madrileno

che sogghignando mi disse,

sbarrando tanto d’occhi:

“E’ tutta colpa dei French Bulldog Poppi!

Tutti presi dai fashion blogger con tanto di tacchi

si son scordati del team apposito per i pacchi!”

Fui preso e travolto dal panico di compere supreme,

che mi scosse il cor e insiem le vene,

Fashion & chic non fanno male,

festeggiam pure il Natale,

ma come fare shopping tra giochi di luce, cori gospel e tante merde

se ancora una volta son rimasto al verde?

Intanto, grazie Reggio!

Scrivo ad urne ancora aperte. Vedremo. Noto però due cose: una buona, l’altra un po’ meno.

La prima: Reggio ieri è stata la prima per affluenza (54,6%), come a dire: quando ci si deve muovere noi ci siamo. Saranno i comunisti, saranno i temporali ma siamo andati a votare in maniera compatta. Sarebbe bello che chi ci amministra anche in sede locale si ricordasse più spesso del patrimonio umano-politico costituito dai nostri concittadini e, anzichè continuare a menarsela con giochi, giochini e giochetti, desse spazio alle “risorse umane” disponibili, ascoltando, lasciando perdere l’atteggiamento di superiorità spocchiosa che spesso ci troviamo di fronte in tante cose della nostra vita di cittadini.

La seconda (ma è una bubboletta in una giornata come questa): conosciamo bene la “sindrome del convertito”, che spinge a trasformare il soggetto in uno scatenato promoter dell’idea che aveva avversato fino a due settimane prima. Succede. Però. Devo dire che Magdi Cristiano Allam sta superando la resistenza alla frantumazione dei miei poveri cabasisi: passi che si sia voluto ribattezzare Cristiano, passi che sia diventato più silviano di Silvio ma che ci ammannisca lezioncine su tutto e di più…Oggi su Il Giornale (un quotidiano che deve aver scelto quel titolo per convincerci di cosa sia..) rimprovera il povero Napo perchè, dando l’esempio, ha confermato che il voto sia un “dovere” morale come la Costituzione sancisce. Il pezzullo si salda con articolini dei giorni scorsi contro i rom e il buonismo dei cattolici (quelli antichi, un po’ comunisti, mica buoni elucide come lui..) e cosette simili. Ci vuol pazienza, che dire?

Lettera di un’anima bella a una militante di Comunione e Liberazione

di Roberta De Monticelli, da Il Fatto quotidiano

Ti ho vista, che tentavi di convincere a leggere i tuoi volantini i fedeli all’uscita dalla messa domenicale. Non ci riuscivi granché – anche se la signora che aveva accettato la discussione pareva assai gentile nel suo fermo disaccordo. E d’un tratto mi ha preso una sorta di materna tenerezza nei tuoi confronti, una specie di stretta al cuore per la tua giovinezza regalata, senza forse neppure saperlo, a chi calpesta il suo bene più grande – la tua libertà che si stava risvegliando all’esistenza, forse all’angoscia delle domande, sola.
Ma sai che cosa ne sta facendo di questa tua giovane libertà, chi ti ha mandato qui? Eccolo, il tuo volantino, che parla chiaro. Ma lo sai che cos’è, o almeno come lo si intende qui, il “principio di sussidiarietà”, che sta su questo volantino? Ecco, l’essenziale non è che voglia semplicemente dire: soldi dello Stato alle scuole e associazioni cattoliche e occupazione di posti e potere nelle istituzioni,e qui in Lombardia soprattutto nella Sanità, da parte di quelle associazioni.
Certo, vado anche in collera quando penso che in cambio della preziosa solitudine cui stai rinunciando, tu magari passerai davanti a tutti i ragazzi che di consorterie e falangi come quelle non ne hanno voluto mai sapere, e troverai il tuo impiego meglio e prima degli altri. Ma poi – ora che i volantini, quelle signore sul sagrato te li tirano dietro – mi riprende un po’ di tenerezza, e vorrei fermarmi sui gradini della chiesa a far due chiacchiere – ad ascoltarti, anche.
Perché è proprio la “concezione dell’uomo e della società” cui richiamano i tuoi volantini, a stringermi il cuore. Non perché siamo chiamati a votare su “concezioni dell’uomo e della società” – no, basta scegliere il sindaco di Milano. Ma perché mi chiedo quale “concezione” possa mai essere quella che ispira un volantino tanto zeppo di bugie da attribuire all’avversario, addirittura, di incoraggiare lo spaccio di droga, l’eutanasia, l’aborto….
Vedi, sembra uno dei quotidiani deliri di quel signore che venne a Milano sventolando bandiere di mutande – con felice intuizione, come se il pensiero e il sentimento si fossero ossessivamente bloccati lì, all’altezza dell’uomo che di solito quell’indumento copre. Quel signore, e altri con lui, continuano a gridare quanto è storto il legno dell’umanità, e quanto grande ricchezza di vita, sebbene intrisa di grossolanità e di peccato, è quella che i “moralisti” e le “anime belle” – cioè la mezza Italia che si sta svegliando dal torpore – vorrebbero assoggettare alle loro mortifere regole di civiltà.
Assoggettare alla legge tutta questa bella vitalità di mafie, di svendita di beni comuni, di abusi e soprusi e condoni e perdoni. Richiamare il legno storto al rispetto che dobbiamo alle istituzioni, perché sostituiscono l’urbanità della nostra ragione e l’esercizio del libero arbitrio all’urlo delle selve, alla legge dei recinti tribali, alla pernacchia dei capi-branco. Che programma sanguinario questo, assomiglia proprio a Robespierre, la virtù e il terrore.
Ecco: ultimamente circola un libello, che sotto il titolo L’umiltà del male proprio a te si rivolge, ragazza, e questo è il ritratto che fa della tua giovinezza: che è “umile e disponibile”. E nei panni di un Uomo di Chiesa, amorevole e pietoso, le offre “complicità e convenienze”, che ti spingano “a optare per lui, ad accettarne la protezione e il potere.
L’obiettivo è chiaro: mantenere gli uomini in uno stato di perenne immaturità, come se fossero dei bambini”. Ti pace questo ritratto, questa offerta? Che peccato che da capo a fine di questo libello, dedicato alle grandi pagine dostoevskiane sul Grande Inquisitore, non ci sia una sola menzione della sola cosa che dice in quelle pagine il Nazareno, il Cristo tornato in terra che l’Uomo di Chiesa rimprovera di essergli tornato fra i piedi. Sono solo due parole, e anche quelle erano rivolte a te – non a lui. Peccato che tu non le ascolti: “Svegliati, ragazza”.

(27 maggio 2011)

Cohn-Bendit: “Chi scende in piazza sta col dittatore. Vendola si ricordi della Spagna del ´36″

Intervista a Daniel Cohn-Bendit di Andrea Tarquini, la Repubblica, 22 marzo 2011

«Attenti, ragazzi, chi scende in piazza contro la missione internazionale cerca magari una terza via ma di fatto non è neutrale, bensì con Gheddafi. Perché niente cortei quando Gheddafi massacrava il suo popolo? Ricordate Francia e Gran Bretagna del ‘36, che lasciarono sola la Repubblica spagnola contro Franco, Hitler e Mussolini». Daniel Cohn-Bendit, leader verde europeo, è durissimo.

In piazza per la pace: solo in Italia o anche altrove?
«In Germania si va in piazza contro l’atomo. Vedo appelli anti-raid aerei solo in Italia, o in Grecia dai neostalinisti. Finiscono per schierarsi con la Cina, Putin e Chavez. Sono prigionieri delle categorie degli anni ‘50».

Insomma, la ricerca di una “terza via” non la convince?
«In Italia vedo appelli a protestare mossi dall’ossessione assoluta e accecante della mitica lotta contro l’imperialismo americano. Come fa Vendola a dire né con Gheddafi né con le bombe? Non faccio paragoni col triste slogan “né con lo Stato né con le Br”, ma mi ricordo del 1936. Madrid democratica fu lasciata sola contro Franco, la Legion Condor di Hitler e i reparti di Mussolini. Risultato: stragi, 50 anni di franchismo, e nel ‘39 la seconda guerra mondiale».

Scusi, ma la voglia di pace, di un’altra via tra la guerra e il tiranno, non è importante?
«Arriva il momento in cui bisogna fare scelte. La Resistenza italiana, francese o jugoslava fu giusta, ma sanguinosa. Gli Alleati non la lasciarono sola. Che lo voglia o no, chi vuol lasciare soli i rivoluzionari libici è con Gheddafi, non è neutrale. E schiavo di miti come l’ossessione della pace a ogni costo che a Monaco 1938 portò Londra e Parigi a cedere a Hitler. O il mito del patto Molotov-Ribbentrop, giustificato dall’Urss perché anti-imperialista».

E la nonviolenza alla Gandhi?
«Gandhi vinse contro un imperialismo democratico, non contro un tiranno sanguinario pronto a sterminare il suo popolo. Gandhi poté trovare una terza via, per i rivoluzionari libici la terza via non esiste sul campo. È triste che non lo si capisca. Agire è giusto, come lo fu contro Milosevic e i suoi massacri in Bosnia e in Kosovo. La guerra è sanguinosa, lo fu anche la Resistenza nell’Europa occupata dall’Asse. Ma allora gli italiani dovrebbero rinnegare la Resistenza? I jet occidentali hanno fermato i Panzer di Gheddafi che puntavano su Bengasi per un bagno di sangue. E in Tunisia ed Egitto la rivoluzione ha vinto perché gli Usa, influenti sulle forze armate locali, le hanno convinte a non fare stragi. In Libia è diverso».

La voglia della “terza via” però è forte in una parte dell’opinione pubblica? Perché, secondo lei?
«Per i precedenti della guerra in Iraq, dove non c’era un movimento rivoluzionario da appoggiare, e perché in Afghanistan la situazione è difficile. Ma ricordiamo che dopo la prima guerra alleata in Iraq (contro l’occupazione irachena del Kuwait-ndr), prima ci fu la no-fly zone, poi Saddam massacrò 500mila sciiti e sterminò col gas un’intera città curda. Spesso chi protesta nel mondo del benessere non s’immagina cosa sia vivere sotto dittatori come Gheddafi. Ciò ha a che fare con ideologie marxiste-leniniste: il mondo diviso in cattivi e buoni, l’imperialismo cattivo e tutti i suoi nemici buoni».

Come giudica la non partecipazione della Germania alla coalizione anti-Gheddafi?
«Merkel e Westerwelle sono opportunisti, fiutano aria di pacifismo e temono per le elezioni di domenica. Potrei capirli solo se criticassero l’amicizia passata di Berlusconi e Sarkozy con Gheddafi, ma non lo fanno. In troppi amano solo le rivolte che vengono sconfitte, facile poi chiudere gli occhi davanti alla repressione, come con la Spagna lasciata a Franco».

(22 marzo 2011)

Parlare con gli atei (Paolo Flores d’Arcais)

Stimato cardinal Ravasi, ho letto con crescente interesse l’intervista – impegnata e soprattutto impegnativa – che ha concesso a Marco Politi per questo giornale. Le sue parole mi hanno colpito, tra l’altro, per un tono appassionato di autenticità che non sempre si avverte in altri uomini di Chiesa del suo altissimo livello gerarchico. Lei enuncia come obiettivo delle sue iniziative “il dia-logo” con gli atei, dunque un parlarsi-fra che non aggiri la controversia, anzi, visto che lo intende come “il confronto tra due Logoi, tra visioni del mondo che si misurano sulle questioni alte dell’esistenza”. E perché non ci siano dubbi che tali “Logoi” debbano essere anche quelli più radicalmente conflittuali con la fede cattolica, esemplifica con gli ateismi di stampo nicciano, marxista, scientista: insomma tutto il “vade retro” del moderno relativismo (condannato dagli ultimi due Pontefici come incubatore di nichilismo). Ateismi radicali che, aggiunge, “io ascolto, rispetto, valuto”.

DI PIÙ. Marco Politi molto opportunamente insiste: “Superando l’atteggiamento classico secondo cui il non-credente è un’anatra zoppa?”. Bella metafora, in effetti, per stigmatizzare l’atteggiamento paternalistico che spinge ancora troppo spesso la Chiesa a scegliere come interlocutori solo quei “gentili” (“Cortile dei gentili” si intitola la sua iniziativa) che sembrano soffrire la condizione della mancanza di fede come un’amputazione ontologica o esistenziale. “Atei” sì, ma “alla ricerca di Dio”. Sembra proprio che invece lei questa volta voglia promuovere il confronto con l’intera costellazione dell’ateismo hard: “non interessano incontri o scontri generici, né di accordarsi su una vaga spiritualità” perché “quel che conta è mettere a confronto visioni di vita alternative” smettendola di “essere evasivi” rispetto alle “profonde domande che ci vengono rivolte dal mondo laico”. Apprezzo “toto corde”. Del resto dirigo da un quarto di secolo una rivista di adamantina laicità (tanto che viene spesso tacciata di “laicismo” proprio perché non è laicità “rispettosa”, da anatre zoppe) che del confronto senza diplomatismi con uomini di fede, anche della Chiesa gerarchica, si è fatta un punto d’onore. Praticandolo.

Spero perciò sinceramente che alle sue parole seguano i fatti. Non solo a Parigi, anche in Italia. Negli ultimi anni l’atteggiamento è stato però di segno opposto. Il dia-logo con l’ateismo è stato sistematicamente rifiutato dalla Chiesa gerarchica e anche da lei personalmente. Si tratta di una verità inoppugnabile, di cui purtroppo posso dare testimonianza diretta.

Quando nell’anno del giubileo MicroMega pubblicò un almanacco di filosofia dedicato a Dio, con saggi in maggioranza di ispirazione atea, l’allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, cardinal Ratzinger, non solo accettò di collaborare con un suo testo, ma anche di presentare il numero in una controversia pubblica con me al teatro Quirino di Roma, gremito all’inverosimile e con duemila persone che seguirono il dibattito sulla strada attraverso altoparlanti di fortuna. Se guardo ai due o tre anni successivi, posso constatare che accettarono pubbliche controversie i cardinali Schönborn, Tettamanzi, Piovanelli, Caffarra, Herranz e infine nel 2007, presso la Scuola normale superiore di Pisa, il patriarca di Venezia Angelo Scola.

Da allora l’atteggiamento della Chiesa gerarchica si è rovesciato. MicroMega ha proseguito nella volontà di un confronto franco, “ragionando in ultima istanza su alcune domande capitali”, secondo quanto lei dice di auspicare. Ma ci siamo trovati di fronte al muro di un sistematico rifiuto. Sia chiaro, un Principe della Chiesa ha tutto il diritto di rifiutare il confronto se non ritiene l’interlocutore all’altezza, senza con ciò smentire la sua volontà di dialogo. Pretende solo atei più autorevoli. Ma visti i precedenti fin troppo lusinghieri in fatto di porporati che hanno accettato la discussione con MicroMega e con me, non è certo questo il motivo del rifiuto.

Sul quale non provo neppure ad avanzare ipotesi. Mi interessa il futuro. Vorrei prenderla in parola, nella sua volontà di “dialogo”, e organizzare con lei occasioni di confronto proprio con il metodo e sui temi che lei illustra nell’intervista. Discutere tra atei-atei e Chiesa gerarchica per “ricercare senza pretendere di sapere a priori”, su questioni che spaziano dal “senso dell’esistenza ” alla “oltrevita, la morte, la categoria della verità” o “su ciò che significa Natura e legge naturale”, visto che da qui nascono le questioni eticamente sensibili che sempre più affollano l’agenda politica non solo italiana.

Si tratta, del resto, di temi previsti nel confronto con il cardinal Ratzinger, che non fu possibile affrontare per mancanza di tempo (vi era anche quello del Gesù storico, che certamente a lei, biblista di fama, interesserà). La invito dunque alle “Giornate della laicità” che si svolgeranno a Reggio Emilia dal 15 al 17 aprile, a cui hanno rifiutato di partecipare i quindici cardinali che abbiamo invitato, e nelle quali potrà discutere con atei non “anatre zoppe” come Savater, Hack, Odifreddi, Giorello, Pievani, Luzzatto, e buon ultimo il sottoscritto. Se poi la sua agenda non le consentisse di accogliere questo invito, le propongo di organizzare insieme, lei ed io, una serie di confronti nei tempi e luoghi che riterrà opportuni. Devo però dirle, in tutta franchezza, che non riesco a liberarmi dalla sensazione – negli ultimi anni empiricamente suffragata – che il “dialogo” che lei teorizza voglia invece eludere il confronto proprio con l’ateismo italiano più conseguente. Con la speranza che i fatti mi smentiscano e che lei possa accettare la mia proposta, le invio intanto i miei più sinceri auguri di buon lavoro.

il Fatto quotidiano, 22 marzo 2011

Non è il freddo che fa freddo

gelo.jpgNon è il freddo che fa freddo. Preferisco il gelo alla calura, il gelo è serio, onesto. Dal gelo ti difendi, ti copri. Con il caldo hai poco da fare, salvo fuggire in montagna o tuffarti in piscina. Non è il freddo che fa freddo, è tutto quello che ti si agita intorno. Se n’è andato Blake Edwards, autore di opere indmenticabili, di film-salvavita (come “Operazione sottoveste”). Blake se n’è andato dopo Monicelli. Restano i Vanzina e Castellitto. Tempi duri.

Non è il freddo che fa freddo. Faccio sempre più fatica a leggere il giornale e trovarci le belle esternazioni di Bertone che auspica che i governanti italiani garantiscano “giustizia, pacifica convivenza e speranza nel futuro”. E Bagnasco parla di governabilità. Sono cattolico, praticante ma sono sempre più in affanno. Questi signori non mi rappresentano e basta. Mi chiedo: perchè uno Stato estero come il Vaticano deve venire a dire a me, cittadino italiano, che governo avere o con chi accoppiarmi o no? Perchè devo stare ad ascoltare maschi anziani, vestiti da donna, che-presumibilmente celibi-mi spiegano come vivere in famiglia, come vivere e/o morire? Perchè? Qualcuno me lo spiega?

A Roma scontri di piazza. Orrore, vergogna, riprovazione, indignazione. Bene, bravi. I solitidelinquentiblackblocestremisti. Ma se qualcuno avesse guardato bene i video alzando lo sguardo si sarebbe accorto della folla che seppur non partecipando attivamente era lì e guardava. Se urli e protesti per due mesi, se sali sui tetti e nessuno ti defeca, magari ti girano i cabasisi? E prendersela con bancomat, telecamere, auto di lusso è deprecabile. Uhh, com’è deprecabile. Signora mia che roba, viene la rivoluzione e non ho niente da mettere! Chissà come finirà.

 

Beato quel paese…

Beato quel paese che non ha bisogno di eroi”, diceva il buon B.B., e siamo ancora lì, più o meno. 6 militari uccisi in un paese che pochi sanno dove sia. E noi italiani siamo anche quelli che hanno pagato meno, rispetto agli inglesi e americani. Magra consolazione. 6 morti, ragazzi/uomini del sud, tanto perchè i terroni non hanno voglia di far niente, a combattere una guerra che non riusciamo a capire. Qualche mese fa, parlando con un medico reggiano di Emergency in procinto di tornare a Kabul, gli chiesi se la situazione era così difficile come sembrava da qui. La sua sua risposta fu “Peggio“. Poi precisò “andate a spiegare che noi stiamo portando la pace andando là armati e con i blindati, andate a spiegare che quella si chiama democrazia”. Poi, eravamo in un dibattito-conferenza con le scuole, raccontò della vita di tutti giorni, a salvare vite, anche un bimbo di otto giorni colpito dal proiettile che aveva ucciso suo padre che lo teneva in braccio. “Andare in Afghanistan vuol dire non uscire mai dall’ospedale. Non solo perchè c’è troppo da fare, ma anche perchè fuori dai cancelli non c’è garanzia di salvare la pelle”. Dopo otto anni di “missione di pace” (noi) e di guerra (USA).

Forse è proprio vero: la guerra è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai generali…

Che caldo! Ridiamoci su…

Con il caldo che fa, nella torrida e umida Padania (solo un demente può aver pensato di farci una nazione con un clima così), raccogliamo questa storiella e sorridiamo in questo bel paese (si fa per dire):

Primo giorno di scuola, in una scuola americana, la maestra presenta alla classe un nuovo compagno arrivato negli Usa da pochi giorni: Sakiro Suzuki (figlio di un alto dirigente della Sony). Inizia la lezione e la maestra dice alla classe: «Adesso facciamo una prova di cultura. Vediamo se conoscete bene la storia americana. Chi disse: “Datemi la libertà o datemi la morte?”». La classe tace, ma Suzuki alza la mano. «Davvero lo sai, Suzuki? Allora dillo tu ai tuoi compagni!». «Fu Patrick Henry nel 1775 a Philadelphia!». «Molto bene, bravo Suzuki! E chi disse: “Il governo è il popolo, il popolo non deve scomparire nel nulla?”». Di nuovo Suzuki in piedi: «Abraham Lincoln nel 1863 a Washington!». La maestra, stupita, si rivolge allora alla classe: «Ragazzi, vergognatevi, Suzuki è giapponese, è appena arrivato nel nostro paese e conosce meglio la nostra storia di voi che ci siete nati!». Si sente una voce bassa bassa: «Vaffanculo a ‘sti bastardi giapponesi!!!». «Chi l’ha detto?», chiede indispettita la maestra. Suzuki alza la mano e, senza attendere, risponde: «Il generale Mac Arthur nel 1942 presso il Canale di Panama e Lee Iacocca nel 1982 alla riunione del Consiglio di amministrazione della General Motors a Detroit». La classe ammutolisce, ma si sente una voce dal fondo dire: «Mi viene da vomitare!». «Voglio sapere chi è stato a dire questo», urla la maestra. Suzuki risponde al volo: «George Bush Senior rivolgendosi al primo ministro Giapponese Tanaka durante il pranzo in suo onore nella residenza imperiale a Tokyo nel 1991». Uno dei ragazzi allora si alza ed esclama arrabbiato: «Succhiamelo!». «Adesso basta! Chi è stato a dire questo?», urla inviperita la maestra. Suzuki risponde imperterrito: «Bill Clinton a Monica Lewinsky nel 1997, a Washington, nello studio ovale della Casa Bianca». Un altro ragazzo si alza e urla: «Suzuki del cazzo!». Suzuki: «Valentino Rossi rivolgendosi a Ryo al Gran Premio del Sudafrica nel febbraio 2005». La classe esplode in urla di isteria, la maestra sviene. Si spalanca la porta ed entra il preside: «Cazzo, non ho mai visto un casino simile!». Suzuki: «Silvio Berlusconi, luglio 2008, nella sua Villa Certosa in Sardegna».

Cristina e la montagna

Cristina Castagna era un alpinista. E’ morta in Pakistan, scalando il K3. Aveva lasciato un biglietto partendo dall’Italia: “Se mi accade qualcosa, lasciatemi dove la montagna mi ha chiamato a sé”. Nella mia piccolissima esperienza di escursionista (in passato) e di amante della montagna (sempre) ho provato un brivido leggendo la notizia. Mi sono ricordato di un amico, caduto in montagna, il suo funerale e il coro che cantava “Signore delle cime”. Per chi ha salito, ha sofferto, ha raggiunto (o no) la cima, l’ultimo messaggio di Cristina è logico e giusto.

Nessuno può scegliere la propria morte, il come, dove e quando. Però, potendo, come non condividere? Prima di finire a parlare dell’universo con il dott. Alzheimer, di dipendere da una signora ucraina o bielorussa o di passare le giornate a Montericco (fra l’altro dove si sposarono i miei nel ’54). Come non condividere? Solo in montagna si sfiora l’infinito e la vita sembra davvero buona e giusta. Solo in montagna riesci a sentirti come forse non potresti mai essere.

L’altra sera ho ascoltato dal vivo Reinhold Messner, 65 anni e ancora la voglia di andare, di salire. Ci raccontava le sue salite, ma soprattutto cosa lo aveva spinto avanti, in alto. Non era il fisico. Era la testa. Perchè quella conta.

Ciao, Cristina, che il tuo sonno sia dolce come la neve di un pendio.