Ei fu…

“Ei fu, siccome immobile, dette il mortal sospiro…quale sarà il fortunato poeta che canterà la fine, ingloriosa, ridicola e grottesca del nostro presidente (provvisorio)? Chi lo travolgerà, l’ennesima minorenne, la velina-assassina che farà schioppare l’ultima, eroica, coronaria, un peto tonante sfuggito al cospetto dei grande del G8? No, lo sappiamo: sarà un complotto della sinistra, un colpo di stiletto dei soliti comunisti o di qualche giornalista-giustizialista che sobillerà, mesterà, tramerà. E il grande uomo cadrà, come la statua di Saddam sulla piazza di Bagdhad, e noi come la cara Jenny dei Pirati di brechtiana memoria, diremo “oplà!”.

Nell’attesa registriamo il risveglio della CEI che si è ricordata che un leader dovrebbe, almeno, non esagerare in ciarpami e vaccate varie. Meglio tardi…Ma intanto l’operazione “Salvate il satiro Silvio” è partita, ohibò, con la solita vecchia tattica: 1. Intervista a “Porca a porca”; 2. Insulti alla signora Veronica della stampa leccobarda; 3. Fuoco di copertura dei giornalisti della “Compagnia dell’agnello”. Se qualcuno ha lo stomaco si legga oggi “Il limite che non c’è” del sublime P.L.Battista, ovviamente attrezzandosi con stivaloni e grembiule per non rimanere inzuppati della saliva del “giornalista”, impegnato nella sua linguistica occupazione. E quello una volta era il “Corriere” di Ronchey e Ottone. Tempi duri, non c’è che dire.

Ei fu…ultima modifica: 2009-05-05T19:28:00+02:00da pelikan-55
Reposta per primo quest’articolo

Un pensiero su “Ei fu…

  1. Non volevo commentare: continuo a non fidarmi copletamente della denuncia di Veronica, non vorrei che fosse un polverone sollevato ad arte… Ma se è tutto vero, l’immagine che esce degli uomini del capo (Rossella compreso, ma che giornalista è?)è devastante e devastata. Maschilismo e sessismo allo stato puro, nella più pura tradizione fascista. Ho ripensato al Duce e alla fine che fece fare alla sua prima “moglie” e al figlio avuto da lei. Almeno Veronica questo se lo risparmierà…
    Una famiglia di troppo
    L’attaccamento della destra alla famiglia cristiana fondata sul matrimonio
    indissolubile è un mito fondato sulla ipocrisia, con risvolti tragici per
    quanto riguarda l’origine nel fondatore del fascismo, e farseschi negli
    attuali esponenti del centro-destra. Costoro gridano alla “dissoluzione”
    morale e sociale che precipiterebbe se passasse un’idea della famiglia e
    del matrimonio un po’ più ampia e laica rispetto a quella delle gerarchie
    della chiesa, atteggiandosi a strenui campioni del modello familiare da
    queste proposto, come se nessuno conoscesse le loro storie private di
    matrimoni dissolti, coppie di fatto, separazioni e divorzi: che potrebbero
    restare, come sono, fatti privati, se essi non pretendessero di ergersi a
    giudici e dare lezioni di morale e religione.
    Nel caso di Mussolini, poi, il mito familista si erge sulla tragica sorte
    di un figlio e di una madre, sacrificati nelle loro vite, di cui si è
    cercato di cancellare anche il ricordo. Non si può perciò che apprezzare
    l’annuncio a sorpresa di Marco Bellocchio di un suo prossimo film, sulla
    vicenda tragica e sconosciuta di Benito Albino Mussolini, figlio del duce
    del fascismo, e sulla madre di lui. Benito Albino nacque l’11 novembre
    1915 a Milano, da una relazione che Mussolini ebbe con Ida Irene Dalser,
    35enne originaria di Sopramonte di Trento, dopo che aveva rotto con il
    partito socialista, saltando all’estrema destra facendosi acceso
    propagandista della guerra. La Dalser, che aveva vissuto per un certo
    tempo a Parigi, a Milano aveva aperto uno dei primi gabinetti di “igiene
    estetica e massaggio”. Chiuse l’attività ben avviata per seguire Mussolini
    al “Popolo d’Italia”.
    I due si sposarono, e questo risulta dal fatto, di cui è rimasta traccia
    documentaria, che alla Dalser veniva corrisposto dallo stato durante la
    guerra il sussidio settimanale erogato alle famiglie dei richiamati, quale
    “moglie del militare Mussolini Benito”.
    Nella sua imponente biografia di Mussolini in otto tomi e migliaia di
    pagine, Renzo De Felice dedica alla vicenda del primo figlio maschio poche
    righe, confinate in una nota del primo volume, in cui scrive: «Verso la
    fine del 1914 Mussolini strinse una relazione sentimentale con una
    trentina di nome Ida Irene Dalser, titolare di un gabinetto di bellezza
    fisica a Milano. La relazione fra i due fu lunga e burrascosa. Da essa
    nacque nel novembre 1915 un figlio (che morì in manicomio nel 1942) a cui
    fu imposto il nome di Benito Albino Dalser, che Mussolini riconobbe nel
    gennaio 1916 e per il cui mantenimento, citato in un secondo tempo dalla
    Dalser, si impegnò alla fine del luglio 1916 a corrispondere la somma di
    200 lire mensili. Abbandonata da Mussolini, la Dalser lo perseguitò a
    lungo tanto che, con decreto prefettizio 22 maggio 1917, fu allontanata da
    Milano e poi internata, come suddita nemica, a Caserta».
    De Felice null’altro dice sulla disgraziatissima vita di questo infelice
    figlio del Duce, sul rapporto col padre e perché fosse stato rinchiuso in
    manicomio e come vi fosse morto appena ventisettenne privato del cognome
    paterno. Nell’indice dei nomi, Benito Albino è citato sotto il cognome
    della madre, e questo la dice lunga sulla dipendenza dello storico dai
    giudizi delle fonti fasciste e in primis dello stesso Mussolini, che quel
    figlio voleva cancellato.
    Nulla dice De Felice sul fatto che la Dalser sostenesse di essere stata
    sposata con Mussolini, ma la cosa che colpisce di più è che essa – per non
    aver accettato semplicemente di scomparire dopo essere stata scaricata ed
    aver continuato a battersi per i diritti del figlio come una madre sa fare
    – viene presentata dal De Felice/ Mussolini come la “persecutrice”, con
    cinico rovesciamento delle parti. Per cui tutto il seguito – la
    deportazione, l’internamento, la reclusione forzata in manicomio
    nonostante fosse perfettamente lucida e sana, la sorte del figlio, la
    morte – ne viene ad essere giustificato. Mussolini vittima e Dalser
    carnefice: un altro esempio di quel “ribaltonismo storiografico”, su cui
    si vorrebbe costruire una “memoria condivisa”.
    Lo stesso De Felice pubblica una lettera pervenuta nell’ottobre 1919
    all’allora presidente del consiglio Nitti da un amico giornalista, in cui
    si riferisce che il futuro duce «promette di addolcire il tono» nei
    confronti del governo se non lo si attacca troppo nei giornali governativi
    e, «per scendere a cose anche più basse, il Mussolini ha una certa Darsen
    (sic!), una donna dalla quale ha avuto un figlio, che lo perseguita… Si
    potrebbe allontanarla da Milano per ottenere in cambio che il Mussolini
    stia quieto?». La donna è dunque proposta come oggetto di scambio e la
    fonte, che suggerisce di accettare i desiderata di Mussolini per ricavarne
    vantaggi politici, non esita ad ammettere che si tratta di bassezze.
    Quando Mussolini divenne capo assoluto del governo, quelle «cose anche più
    basse» non dovette più oltre barattarle, ma poté semplicemente ordinarle,
    rimuovendo dal mondo dei vivi e cercando di cancellare le tracce
    dell’esistenza di due persone e una famiglia di troppo. Schiacciando vite
    e falsificando carte. Meritando così, grazie anche a un matrimonio
    celebrato con tutti i crismi dell’autorità religiosa, la fama di esemplare
    cultore della… sacra famiglia.

    Ruggero Giacomini
    da La rinascita della sinistra
    7-6-2007

I commenti sono chiusi.