La Bolognina reggiana

Ricordi di vent’anni fa, da cittadino che lascia lo storico a sonnecchiare nel grigio domenicale. Autunno 1989, l’Europa era lì lì per cambiare ma sembrava che tutto fosse normale, tanto più nella felice Reggio. In quel novembre si tenne all’ancora Municipale (l’indimenticabile Romolo Valli sarebbe morto l’anno dopo) il Convegno sui “Magnacucchi”. Vennero tanti, quasi tutti, Paletta incluso. Un convegno politico, dove gli storici erano quasi invitati a consegnare la loro relazione e starsene lì ad ascoltare. Ad ascoltare i “protagonisti”, pronti a concordare, gli uni con gli altri, cosa dire, dieci minuti prima di salire al microfono. Il mondo stava cambiando, il loro mondo era finito, ma tutto continuava come prima. Il comunismo era lì, nella miglior variante possibile, forse, quella italiana, ma tale era. Immutabile nella coscienza e nei sogni dei tanti che avevano creduto, con fede, contro ogni logica e speranza (ed evidenza).
Solo due anni prima la mia vicina di casa, la signora Giulia, era partita per l’Urss con un viaggio organizzato dalla sua sezione. Al ritorno, malignamente, le avevo chiesto: “Allora,come si sta in Urss?” e lei, convinta, aveva risposto: “Che bello! Hanno proprio tutto…no, anzi, non ci sono i jeans…”.
Il comunismo era quello, una fede, immutabile. Una fede anche nobile, come ci ricorda Gaber, ma una fede.
Poi il muro venne giù e fu il panico. Qualcuno si inventò che l’Italia era diversa. Ma non lo era stata nel 1956, nel 1968. I dirigenti del Pci andavano in vacanza sul Mar Nero, non a Lisbona o a Oxford. Era la storia, la cultura, i loro sogni, il loro lavoro. Immutabili. La guerra fredda ancora nelle ossa e nel cervello.
Poi la Bolognina, 12 novembre 1989. Giusto, inevitabile. Inutile. 3 giorni troppo tardi. 72 ore e la storia ti frega. E poi ognuno cerca di salvare la scrivania, la sedia, il parcheggio. Umano, figurarsi. Quando poi si è classe dirigente. La storia non ci racconta di una classe dirigente che, pur di fronte alla fine di un percorso storico, abbia levato le tende. Salvo carestie, epidemie, invasioni. Ma qui non arrivarono gli Hyksos, figurarsi l’Armata Rossa testè defunta. E così partì la giostra delle chiacchiere, delle assemblee di 100 persone. La fede era fede prima e lo diventava ora. Per quegli stessi militanti, come la signora Giulia, ora era arrivato il “contrordine”, giù il Muro, abbasso il Muro.
Finito il Pci iniziava la “Cosa”. Venite, facciamo il partito nuovo. Si ricomincia. C’ero anch’io fra i tanti che, in qualche modo, credettero che anche in Italia fosse possibile una forza politica laica, di sinistra. Non avevo bisogno di fedi.
Ho partecipato, invitato a quegli incontri, seppur la mia inesperienza (e poca pazienza) mi esponesse a solenni imborsature di fronte alla querula e logorroica capacità dei tanti maestrini che annaspavano alla ricerca di novi orizzonti, risolti nel vuoto incomprensibile che mi trovavo ad ascoltare.
Mi affacciai anch’io alla nuova “casa”, ma mi trovai come semplice invitato, a casa altrui. Come quando si fa entrare l’ospite ma lo si tiene nell’ingresso, mentre la “famiglia” siede in salotto a discutere. Eravamo tanti con storie diverse, senza esperienze e con esperienze, soprattutto “intellettuali”. Nessuno offrì mai più che un bicchier d’acqua. Ora che i posti si riducevano, figurarsi.
La fine è nota. Il Pci rimase quello che era, sotto mutate spoglie. L’occupazione del potere non consentiva scelte creative. Non consentiva una riflessione laica sulla storia, sui valori. Si cambiò la ragione sociale, una, due volte. Finirono le visite in Urss. Mi sono sempre chiesto perché sotto la quercia, nel nuovo simbolo, insieme al garofano, non ci fosse anche il gattopardo.
Dieci anni dopo quando il terzo o quarto partito succeduto si schierò su 3 mozioni andai a vedere quegli elenchi di candidati reggiani: su 29, 27 erano nel 1989 nel Pci.
Tutto normale. Nessuno scandalo, il potere richiede questo e altro, figuriamoci poi un potere dolce e funzionale come quello emiliano. Ma, senza rendersene conto, il morbo di Zelig si era impadronito di quel corpaccione ormai svuotato. E iniziò la lotta per bande e fazioni, senza più un progetto ci si nascose dietro ad un tourbillon di “idee” (altrui): ecologisti, blairiani, clintoniani, giddensiani, terzavisti, kleiniani, amerikani, maistaticomunisti, obamiani che hanno contribuito a 15 anni di destra trionfante.
E mai essersi fermati a riflettere, su quel muro che era caduto, mai a chiedersi cosa dovevamo portare oltre e cosa gettare via, dopo quel muro, nella storia della nostra Europa e del’Italietta ormai tinta di azzurro.

Favoletta esopea…

C’era una volta nella grande foresta una Iena, ma non una iena qualunque, una Iena furba, svelta, desiderosa di far carriera. Amica di un cinghialone, alla sua ombra aveva prosperato, spazzando via rifiuti, carogne. Aveva ottenuto anche l’esclusiva per l’abbaio alla luna, così poteva tenersi in contatto con le altre iene della grande foresta, intimorire gli altri animali o convincerli, giorno per giorno, che “iena è bello“. Oltretutto i suoi cugini sotto l’Etna gli avevano conferito un mucchio di cocuzze da investire nella grande foresta per tirar su baobab, nuove liane e sentieri. E la Iena rigava dritto, sapeva che i suoi cugini siculi non avevano molto senso dell’umorismo.

Poi un brutto giorno arrivarono i cacciatori e il cinghialone, ferito, dovette scappare al caldo del deserto. Che fare? Rinunciare al pasto, smettere di ululare, di azzannare giovenche e vitellini? Iene si nasce. E così radunò un plotone di altre iene, avvoltoi, insetti stercorari e prese la decisione. La grande foresta sarà delle iene! Il richiamo della foresta funzionò: un po’ per spavento, un po’ per fascino (continuare a ripetere “iene è bello” aveva funzionato su tanti animalucchi della foresta)e la Iena fu dichiarata Re della foresta. Si tagliò per bene il pelame, lo tinse di un bell’azzurro cielo, si siliconò le orecchie, si plastificò i glutei, comprò dal gorilla un membro adeguato al ruolo e via! Era meraviglioso! Il più bello! Il più ricco (le iene dell’Etna erano molto felici del nuovo sire), il più bravo, l’unico. Bastava fare un po’ di manutenzine ogni tanto, un po’ di plastica qui, un po’ di olio là e tutto andava bene. Il Iena way of life ormai era diventato il trend dominante. La foresta brulicava di mantidi, giovenche, vacche e scrofette in fila per offrirsi alla Iena e alla sua banda di animalotti nani e ballerini. Grandi tempi! Anche i grandi sacerdoti e gli sciamani erano soddisfatti: grandi affari anche per loro: santuari nuovi, lucine colorate, frotte di animalotti condotte ai riti tribali.

Poi. Da un albero cavo in fondo alla foresta, un giorno, se ne uscì una strana scimmia, un tipo proprio strano, quasi senza peli, che stava su due zampe. Gira e ti rigira un giorno si imbattè in un vecchio accampamento di cacciatori. Trovò per terra una cosa strana, lunga, nera. Oh, l’aveva vista quella canna tonante cosa poteva fare! A quella strana scimmia le iene non erano mai piaciute. Brutte, sporche, puzzolenti.

E poi erano state le iene a sbranare la sua famiglia. No, non si fa. Prese la canna tonante e andò a cercare la Iena. Era ora di fare i conti. La Iena non se l’aspettava. Come, lui? Il più bello, il più ricco? E poi lui non era una iena. Mai stata una iena. Avete mai visto una iena azzurra e con quel coso da gorilla?

No. Era una persecuzione. Ecco una persecuzione, un complotto. Chiamò il serpe legale e ordinò: pensaci tu. Trovata geniale: una legge. Il re delle Iene non può essere giudicato. Scemo! Ma io non sono una iena. Mai stato. Scusi sire. Nuova legge: gli animali azzurri non possono essere giudicati. Scemo! Non ci sono mammiferi azzurri, mica sono un delfino! Scusi sire! Non si possono giudicare animali con un membro superiore a 45 centimetri. Tri-scemo! Tu non lo conosci, disse il sire al serpe legale, ma le ministre sì: arrivo a 38 sì e no. Il serpe legale poveretto pianse in silenzio sulle sue scaglie grigiastre.

Poi un lampo di genio: chiamò il vecchio capo dei topi di fogna, ora rivestito a nuovo, cravattina rosa e occhialetti e spiegò: “O ci togliamo il vecchio dalle scatole o quel tizio là fuori prima o poi ci manda in pellicceria a suon di fucilate”. Nella notte, mentre il vecchio Re delle iene si domandava perchè sette centimetri facessero la differenza, si ritrovarono tutti intorno al grande baobab. “Liberiamoci di quella cosa azzurra, plastificata e ormai cadente a pezzi. O lui, o noi! Noi!” Risuonò alto il suono. Era deciso.

Nel silenzio della notte fu estratto un nome. Consegnata la pozione e il pugnale. Tutto era stabilito. La foresta avrebbe avuto una nuova vita. Dal giorno dopo. Una vita senza la Iena, una vita solo per le iene.

I’m from Emilia, oh yeah!

Giunge una buona nuova, sono rare in questi tempacci di fango, cacca e ghedini (scusate la parolaccia). La Regione Emilia Romagna estenderà a tutti i conviventi i benefici per nidi, anziani e sanità. Si tratta di qualcosa come 400.000 cittadini. Sì, avete letto bene. Qualche settimana fa la Corte costituzionale tedesca aveva riconosciuto l’illeceità di qualunque distinzione fra tipi di convivenza ai fini dei diritti. La Regione ER si avvicina così all’Europa. I’m from Emilia, oh, yeah! Grazie Vasco (Errani).

Bene. Ma. Volete che non ci fosse un ma? Il solito pirla leghista (basta dire leghista, pirla è incluso)? giovanardi (scusate l’espressione volgare)? No. Il “portavoce” della Curia bolognese strepita, protesta, la “famiglia esce mortificata..la famiglia costituzionale”. Allora, scusate l’espressione: io da cattolico battezzato, praticante, in chiesa coniugato, dichiaro che mi sono rotto le scatole di questa gente. Di questi prelati, di questi portavoce, di questa gente che ha con il Vangelo (do you remember?) la stessa vicinanza del sottoscritto con il Mein Kampf. Basta, ci sono paesi in giro per il mondo dove aspettano solo volontari per gestire lebbrosari, ospedali, scavare acquedotti, soccorrere minori. Facciamo una colletta! Caffarra, fatti 6 mesi in Madagascar, in Kenia, ti prendi su tu, il tuo portavoce e andate a lavorare. Vedrai che vi date una calmata!

Un cristiano dovrebbe solo essere felice ogni volta che un diritto si estende, viene dato a chi prima ne era sprovvisto. Si chiama Vangelo. E questi tipetti qua cosa ti fanno? Il diritto è mio e non lo do a nessuno! Roba da bambini capricciosi che non vogliono dividere il loro giochino. Ad essere buoni.

Adiuvamos eos ut pudeant! O per dirla in emiliano: vergugnev’t!

Salvate il sovrano!

Bisogna fare qualcosa! Non possiamo rimanere indifferenti al grido di dolore che si alza da Palazzo Grazioli! Salviamo il Sovrano del regno Birbonico! Basta una legge semplice: un solo articolo. Silvio I (e ultimo, speriamo) è dichiarato dal 15 novembre 2009 “Legibus solutus”. Qualunque legge, dispositivo, provvedimento, procedura legale non lo può riguardare, perchè lui è sopra, oltre, sotto, ovunque ma non sotto la legge. Un articolo e sia finita! E’ il minimo che dobbiamo al Sovrano che ci sta dimostrando (come dice il buon Vecchioni) l’esistenza di Dio: solo un Dio può imporci un così continuo, doloroso, persistente scassamento di cabasisi come quello che ci affligge. Ci affligge ma ci tempra, ci fa uomini veri, tira fuori l’animale resistente che è in noi. In fondo ci migliora (se prima non ci uccide…).

Un articolo solo. Basta poco e rende molto. L’alternativa? La legge che i dementi legulei del Sovrano stanno appprestando sembra fatta da Paperoga, dieci su dieci finisce come il lodo Alfano (B7 affondato..), salvo riaprire un tourbillon frenetico per i prossimi mesi. Quindi: un articolo unico e siamo tranquilli. il Sovrano continuerà nella sua opera di devastazione nazionale ma almeno potremo dedicarci ad altro (ricamo, partite a polo, lezioni di tantrayoga) e vivere come felici sudditi del meraviglioso regno Birbonico di Silvio I (si fa per dire).

Un grazie e una piccola soddisfazione…

Ospite per un paio di giorni dell’Arcispedale S.Maria Nuova volevo ringraziare i medici e il personale del reparto di Neurchirurgia-Ortopedia per la assistenza, professionalità e cordialità dimostrata.

Fatto personale a parte, ho avuto una piccola soddisfazione nel leggere, esposto in bella vista un cartello che ricordava come non sia compito di un Ospedale verificare la regolarità del documenti dei pazienti. Un ospedale deve curare persone. Sono lieto di vivere in una città così.

Quell’imbarazzo dei comunisti (Giuseppe Caliceti)


Sabato pomeriggio ho partecipato insieme ad Antonio Bernardi, a Luca Telese e altri ospiti a una conferenza organizzata da Istoreco sui “Comunisti” in Italia e a Reggio Emilia dopo vent’anni dalla caduta del muro di Berlino.
Mi sono trovato in sintonia con le analisi di Telese. Ho fatto più fatica a capire Bernardi. Mi ha stupito che non ci sia stato un minimo accenno di critica e/o autocritica. La tesi del libro di Telese, ma a suo modo anche del mio romanzo sui pensionati del Busto di Lenin di Cavriago, entrambi ambientati tra il 1989 e il 1991, era che ci sia stata in questi 20 anni vegogna da parte di molti politici ex Pci nel dirsi “comunisti”. O, comunque, nel ricordare, se non la propria storia personale, quella di provenienza; quella che gli ha lasciato quella “dote”, anche elettorale, su cui campano ancora. Non solo: che ci sia stata e ci sia ancora una forte reticenza, quasi fosse un tabù, a parlare degli anni della fine del Pci. D’altra parte: tutti avrete notato come sui media e sui giornali si parli in questi giorni solo dell’anniversario dell’abbattimento del Muro di Berlino, mentre nessun giornale, specie a Sinistra, si azzarda a ricordare che quegli anni furono anche gli anni del karakiri del più grande partito comunista italiano dell’occidente.
A ogni modo, Bernardi ha detto che forse “è ancora troppo presto” per parlare di una fetta di storia così recente. Troppo presto? Poi, incalzato: “Cosa avrebbero potuto fare i dirigenti dell’ex Pci?” Il sottinteso: “di meglio?” Un po’ Telese e un po’ io e abbiamo cercato di rispondergli. Insomma, hanno fatto di tutto e di peggio tranne cambiare se stessi.
Guardiamoli: i protagonisti di quel Pci dell’89 che decide di sciogliere il Pci, sono ancora tutti lì saldamente al loro posto, dopo vent’anni, dopo tutto quello che è successo e gli errori fatti. A Roma come a Reggio Emilia. Nessuno scandalo, per carità: è la politica. Ma si può parlarne?
Avrebbero potuto, per esempio, non rinnegare la storia di un partito che ha lasciato loro un capitale di voti e potere che, al momento, sono riusciti solamente a erodere: ricordiamo che Veltroni, per esempio, si offende se qualcuno lo chiama “comunista”. E al Valli, a Reggio Emilia, disse che “fuori dall’Itaia ci sono ancora tanti motivi per essere di Sinistra”, una delle battute più comiche della storia.
Ma anche a Reggio, oggi, mi pare ci siano in tanti a Sinistra che più che essere preoccupati dell’erosione, sono preoccupati che questa erosione a cui si sono ormai rassegnati sia abbastanza lenta per permettere ancora a loro o ai loro figli di sguazzare un po’ nel sistemino di potere che si era costruito e che sta andando allo sfascio! Cosa avrebbero potuto fare? Per esempio, avrebbero potuto non criminalizzare Craxi per dieci anni e poi, adesso, riabilitarlo (Veltroni: “Craxi capì la modernità, Berlinguer no”: bravo, ma perché non l’ha detto quando c’era Craxi?).
Cosa avrebbero potuto fare? Per esempio dirci se, i partiti che sono sorti dallo scioglimento del Pci, Ds e Pd compreso, sono laici o no. Dirci quali sono i valori oggi della Sinistra, visto che nella loro storia personale, hanno detto ai loro elettori prima che la Russia era un faro, poi no; prima di essere contro la Chiesa, poi a favore; prima di essere contro il Capitalismo, poi a favore; prima di essere laici, poi no; prima che Reggio Emilia doveva essere la piccola Kiev e il modello della Sinistra una volta al potere in Italia, poi no; prima che c’era un modello comunista emiliano, poi no; prima che bisognava essere anticraxiani, poi no.
D’Alema, per esempio, toglie dal Partito gli intellettuali per metterci gli esperti in comunicazione e di marketing e questi qui che fanno? In 10 anni cambiano simboli e nome 4 volte al loro Partito: c’è di peggio? Cosa avrebbero dovuto e potuto fare, Bernardi? Guardiamo cosa hanno fatto: hanno navigato a vista, in una perenne operazione trasformista di rincorsa di una realtà che minuto per minuto gli sfuggiva dalle mani, tenendo solo un’idea chiara in testa: mantenere il potere.
Nulla di strano: è la politica. Ma forse potevano anche avere meno arroganza e fare un passo in dietro. Ammettere i propri errori. Non rinnegare la propria storia. Non l’hanno fatto. Domanda: ma come si fa a creare un’identità, una capacità di attrazione, se non si legge e si accetta tutta la propria storia, errori compresi, ma si nega? Dove porta questo comportamento? A chi giova? Perché?
Non essendo mai stato un comunista, non ho certo nostalgia di quella storia. Ma trovo che nessuna categoria di elettori sia stato tirato per i capelli da una parte e dall’altra, in questi anni, senza nessuna logica precisa, come quelli di Sinistra. E anche il successo delle primarie del Pd, sono sicuro, viene tanto dalla speranza quanto dalla disperazione.
Cosa avrebbero potuto fare? Una legge contro il conflitto di interessi di Berlusconi. Creare “ideologia”, e uso questa parola in senso “positivo”, si capisce; cosa che invece ha prodotto la destra a getto continuo; gli ex Pci, tutti, si sono invece impegnati a bisticciare sulla “dote” ricevuta (ricordate la festa di Gorganza?), solo a nascondere, normalizzare, rinnegare, azzerare simboli e bandiere, annacquare e cambiare valori, riadattarli alla società dei consumi: senza proporne altri, spesso; o proponendone altri sempre più ambigui e annacquati. E in ritardo.
Si apre in pompa magna al Capitalismo quando tutti i partiti politici italiani avevano già aperto, e proprio quando il Capitalismo entra in crisi: un tempismo perfetto, non c’è che dire! Si apre in pompa magna alle guerre/missioni di pace quando sono messe in discussione anche a destra. Si apre in pompa magna all’americanismo (ricordate il primo Veltroni?) quando l’americanismo è finito e mentre da noi si parla ancora di Kennedy sta arrivando Obama. Si apre a una scuola pubblica di modello anglosassone fortemente classista, quando in Francia e in Europa è messa pesantemente in discussione perché quel modello americano non riesce neppure nella sua funzione sociale primaria: il controllo sociale dei giovani. Si apre in pompa magna al “lavoro flessibile” quando Tremonti e la Chiesa stessa adesso chiudono.
E adesso che si farà? Ci si segue? Chi si inseguirà? Quale onda? Quale corrente, per continuare a stare a galla? Insomma: la classe politica di Sinistra che ha portato al coraggioso e legittimo e certamente giustissimo scioglimento del Pci, appare oggi, sempre più, a riguardarla nell’arco di vent’anni, come una sorta di schiera di figli di papà che certo non avevano la tempra di chi veniva dalla Resistenza. Né la stessa schiena dritta. Né lo stesso rigore morale. Parlo non tanto di te, Bernardi, ma di quella generazione che sta tra la mia e la tua: cosa ha fatto? Poco, nulla. Tranne dilapidare un patrimonio e cancellare una storia. E gestire la dilapidazione: che avvenga abbastanza lentamente per tirare avanti un altro po’.
Sveglia! La politica da decenni in Italia la fa la Destra, la fa Berlusconi, la Lega. Il centrosinistra ha giocato soprattutto di sponda, risponde a comando, cerca di cavarsela come può, tira a campare con le solite quattro facce. Bernardi dice: “Vabbè, lasciamo però stare il Pd, quella è un’altra storia”. Eh no, non è proprio un’altra storia. E’ la vostra storia. E’ la nostra storia.
E’ la storia di una fetta di Italia ancora più grande di quella che ora vota Pd e compagnia! Altrimenti cosa ci avete raccontato negli ultimi quindici anni? Ricordi, ci raccontavate che si incontravano nell’Ulivo e ora nel Pd la cultura laica di Sinistra e la cultura della Sinistra cattolica? Della cultura della Sinistra cattolica siamo consapevoli e la vediamo, anche a Reggio Emilia. Ma la cosiddetta cultura di Sinistra, dentro il Pd di oggi, anche a Reggio Emilia, dove è? In quali punti si riconosce, al di là della difesa delle poltrone? Chi sono i suoi rappresentanti di spicco? Qualcuno può ricordarla agli elettori, per favore? Esiste? E il percorso della Spaggiari nella nostra città non è forse un autogol, una delusione, una sconfitta, un sintomo di qualcosa che non è andato in tutta la Sinistra? Abbiamo sbagliato a eleggerla per 15 anni o ha sbagliato solo lei adesso?
Ma Bernardi ha detto all’Hotel Posta un’altra cosa che condivido molto: “Si facciano avanti, ‘sti giovani”. Ha ragione. E lottino, aggiungo io! Che nessuno qui dà la pappa pronta! E mai l’ha avuta! Neppure in passato! Ecco, parliamo di questo.
Nelle scuole di Partito o nella Fgci, che gente di Sinistra è saltata poi fuori? Erano “quadri” pronti ad andare al comando: diventare nuovi assessorini, segretari-ini, sindachini, e altri -ini. Cioè, soprattutto a ubbidire ai loro superiori. Fedeli. Alla linea. E adesso che la linea non c’è o non si capisce bene? Chi non ha raggiunto l’obiettivo per cui era stato programmato, che fa? Si convertono come Ferretti Lindo? Fondano una nuova “Città Attiva”? Oppure? Disoccupati? Sinistrati? Neo qualunquisti? Neo leghisti? Anarchici incattiviti? Insomma, che cultura rappresentano veramente, una volta che la cultura che è stata trasmessa loro e dovevano trasmettere ad altri, è saltata? I giovani, già. Il ricambio.

Ecco, io vorrei che i giovani di Sinistra di oggi, qui, – i Vecchi, i Gandolfi, i Sassi, i Tutino, i Rinaldi, solo per citarne alcuni, – dentro il Pd, ma anche agli altri partiti del centrosinistra, fossero più coraggiosi, avessero le palle per provare un ricambio generazionale, se hanno idee, se valgono qualcosa, a costo di fare cilecca, e lo facessero senza timore, anche perché nessuno gli cederà mai il posto, perché la “rendita” è finita e insomma, non hanno più nulla da perdere.

http://www.reggio24ore.com/Sezione.jsp?titolo=Quell%27imbarazzo+dei+comunisti&idSezione=7503

Buchi neri..grigi..buchi…

Ci sono tanti buchi neri, ce l’hanno raccontato, chi vuole ha approfondito magari con qualche saggio di Hawking, chi s’è accontentato di meno, chi ha guardato Voyager e pace al neurone suo. Anche il nostro sindaco ha parlato di buchi neri a Roma, luoghi metafisici dove i nostri eletti, pardon nominati, finiscono nonostante le migliori (forse) buone intenzioni.

Ma si sa, si parla di vuoto, di nero, di assenza di materia, di nulla insomma. Immaginarsi dove iniziano e finiscono i buchi neri. Tutti in fondo ne abbiamo incontrati, magari dove neppure ce li aspettavamo e siamo rimasti lì, incerti fra sorpresa e meraviglia, ad ammirarli. Ci sono poi buchi neri, o grigi, forse sono casi di serie B, che addirittura ci sono venuti incontro, gentili ed educati. Sono i buchi neri/grigi che si aprono nelle nostre amministrazioni pubbliche, quelle democratiche di cui andiamo tanto fieri. Abbiamo visto uomini e donne normali, persone qualunque (spesso anche troppo qualunque) finirci dentro, essere inghiottiti. E’ bastata una nomina, un incarico di giunta, che sia a Paperopoli o a Roccacannuccia poco conta, ed ecco quelle persone “normali” erano altro, mutanti, inghiottiti dal buco grigio e risputati “diversi”. Improvvisamente dalla loro “qualunquitudine” proiettati al nuovo ruolo di Deus ex machina, di reggitori del cosmo, portatori del sapere assoluto. Il loro. Come compimento di un progetto per una nuova razza superiore. Secoli di buio attendevano la loro venuta, la loro illuminazione. La profezia si compiva. Se prima era stato possibile parlare, avere un contatto, ora tutto era finito. Mutati, mutanti, immutabili. Ignari del termine “servizio”, avevano raggiunto il loro ruolo, assegnato nei tempi, a conclusione del cammino dell’umano sapere che in essi si riassume e si ricapitola (con i nostri soldi, ma questo è un particolare vile e meschino, di fronte alla maestosità del progetto).

Pochi giorni fa un assessore delegato alla cultura di una regione a noi famigliare, di fronte alle critiche di un certo Stefano Benni sulle prospettive della attività culturale in una città a noi nota, ha replicato “piccato” (come riferisce il cronista): “Non bisogna confondere i ruoli e i mestieri, e comunque se Benni poi vuole parlare con me ed esprimere le sue idee sulla cultura a B.…, può sempre prendere un appuntamento, come fanno tutti gli altri che vogliono proporre qualcosa. Non vedo proprio perchè dovrei cercarlo io” (La Repubblica, 5.11.2009).

Per completezza di informazione riporto in calce il luminoso curricolo dell’amministratore. Figurarsi se un amministratore di simile profilo può perdere tempo ad ascoltare un qualunque scrittore da quattro soldi…

p.s. Tranquillizzo gli astanti: fra Secchia ed Enza è tutto diverso (si fa per dire)

 

X.Y. Nato a Ferrara nel 1961, si è laureato in Filosofia all’Università degli Studi di Bologna.Dopo aver preso parte al movimento studentesco negli anni tra il 1975 e il 1980, si è presentato alle elezioni amministrative del 1990 nelle liste dei Verdi Arcobaleno, risultando eletto consigliere al Comune di Ferrara.
E’ stato rieletto nel 1995, 1999 e 2004, rinunciando, nelle ultime due occasioni, alla carica di consigliere per assumere quella di Assessore alle politiche e istituzioni culturali.
Dal 1990 al 1999 ha lavorato presso l’ARCI di Ferrara.
Nel 2004 è stato riconfermato Assessore comunale con delega a politiche e istituzioni culturali, musei, biblioteche, Teatro Comunale, Ferrara Musica e Ferrara Arte. (dal sito ufficiale della Regione…)

Se la sinistra imita Guareschi

Per completare il “dibbattito”, come si diceva una volta, aggiungo la risposta di Orazio Licandro (oogi sull’Unità) al pezzo di Vincenzo Cerami che ha suscitato varie reazioni, compresa la censura dell’amico Gianni-fotografo

di Orazio Licandro
Ieri, sfogliando “l’Unità”, mi imbattevo in una strana epistola, avente come bersaglio alcuni leader della sinistra, ma come principale Oliviero Diliberto. Destinatario della stessa era il neo segretario del Pd Pier Luigi Bersani scongiurato di evitare ogni contatto, quasi rischiasse un pericoloso contagio in tempi di virus influenzali, con il segretario del Pdci. Insomma un libello di quelli che solitamente si ascrivono al “genus” della polemica più dura. Almeno così pensavo dalle prime righe, senza peraltro soffermarmi sull’autore. Poi continuando a scorrerlo mi accorgevo che in realtà andava ben oltre quegli argini e riversarsi nel campo vasto e privo di confini dell’insulto da bettola o, se si preferisce, da trivio. Il motivo dell’aspra invettiva sarebbe la disponibilità di Bersani al dialogo con le forze di sinistra. Una valutazione politica, si direbbe, circa il tema delle alleanze; un legittimo, seppure poco condivisibile, punto di vista. Ma in realtà, proseguendo nella lettura la politica lì si fatica a trovarla, anzi non se ne trova traccia. «Non ritirare fuori i fantasmi, le mummie sovietiche. … La più grande carità che si può fare ai morti è di non resuscitarli… Diliberto… quello che odia Fellini e ama le barzellette di Pierino e i film carta igienica… che invece di Padre Pio, sul cruscotto della macchina ha incollato l’immaginetta di Stalin», e così via (e pure di peggio) dicendo. Che razza di argomenti per sostenere idee e visioni diverse!
Trovo davvero singolare e doloroso che un quotidiano di grande storia come “l’Unità” dia spazio a pensieri tanto insulsi quanto offensivi quantomeno verso il milione e 200mila votanti della lista comunista. Se guardiamo alle condizioni di un Paese in pieno degrado morale e civile per il sovvertimento della scala dei valori, stremato dalla crisi economica, con un tasso di disoccupazione impressionante, attraversato da pericolosi disegni di disgregazione dell’unità nazionale e di destrutturazione, a volte eversiva, della costituzione repubblicana, credo che i lettori de “l’Unità” non trovino affatto interessanti certe “opinioni”. E credo pure che non preferirebbero affatto né Mastella né Dini, fossero pure accompagnati dalla santa benevolenza di Padre Pio.

p.s.
Ad un certo momento istintivamente ho ritenuto che l’estensore di quelle livide righe fosse Guareschi, il Guareschi nella versione anticomunista più acre, ma dedicando per mestiere sempre cura e attenzione ai testi mi sono presto accorto che si trattava nel migliore dei casi di un Guareschi non genuino, interpolato, guasto, anzi un falso: insomma uno pseudo-Guareschi. Perché quello autentico era certamente un anticomunista ma almeno era un solido scrittore che comprendeva la politica.

http://www.unita.it/news/orazio_licandro/90836/se_la_sinistra_imita_guareschi

Un solo commento: ma siamo certi che 1,2 milioni di voti seguano Diliberto e company?  Io sono ottimista e non posso crederci.

Valore (Erri De Luca)

CONSIDERO VALORE OGNI FORMA DI VITA,
LA NEVE, LA FRAGOLA, LA MOSCA, IL REGNO 
MINERALE, L’ASSEMBLEA DELLE STELLE.

CONSIDERO VALORE IL VINO FINCHÉ DURA UN PASTO,
UN SORRISO INVOLONTARIO, LA
STANCHEZZA DI CHI NON SI È RISPARMIATO,
DUE VECCHI CHE SI AMANO.

CONSIDERO VALORE QUELLO CHE DOMANI
NON VARRÀ PIÙ NIENTE E QUELLO CHE OGGI
 VALE ANCORA POCO.

CONSIDERO VALORE TUTTE LE FERITE.

CONSIDERO VALORE RISPARMIARE ACQUA,
RIPARARE UN PAIO DI SCARPE, TACERE IN
 TEMPO, ACCORRERE A UN GRIDO,
CHIEDERE PERMESSO PRIMA DI SEDERSI, PROVARE
 GRATITUDINE SENZA RICORDARSI DI CHE.

CONSIDERO VALORE SAPERE IN UNA STANZA
DOV’È IL NORD, QUAL È IL NOME DEL
 VENTO CHE STA ASCIUGANDO IL BUCATO.

CONSIDERO VALORE IL VIAGGIO DEL VAGABONDO,
LA CLAUSURA DELLA MONACA, LA 
PAZIENZA DEL CONDANNATO, QUALUNQUE COLPA SIA.

CONSIDERO VALORE L’USO DEL VERBO AMARE
E L’IPOTESI CHE ESISTA UN CREATORE..
MOLTI DI QUESTI VALORI NON HO CONOSCIUTO

Erri De Luca

Libri e leccalecca

Che dire? Mia madre diceva convinta che “i ricchi sono ricchi perché sono migliori” e qualcosa di vero deve esserci, basta intendersi sul termine “migliore” (del resto anche Togliatti lo era per antonomasia e in scala ridicola qualcuno l’ha anche attribuito all’Aurelianobuendia di Gallipoli). Devo dire però che il vecchio satiro plastificato è proprio un bel tipo, inventivo, fantasioso, italico, insomma. L’ultima è questa trovata del libro (si fa per dire) dell’insetto vespolo.
Inciso dermatologico: nuova teoria sui nei del medesimo. Ogni mattina si guarda allo specchio, si vede, si vergogna e somatizza. E piff! Gli spunta un neo, che non è un neo ma è una vergogna condensata, è il lutulente, leccobardo istinto che lo anima che emerge sul derma. Consiglio di lettura per l’insetto di sporcasporca: Paul H.D.d’Holbach, Saggio sull’arte di strisciare ad uso dei cortigiani, Melangolo 2009, il fondamentale libretto settecentesco appena rieditato.
Torniamo al libro (si fa per dire). Finora avevamo la trovata dell’anticipazione di pagine di un libro in uscita. L’abbiamo fatto tutti. E’ capitato anche a me sulla “Stampa” nel 1998 (onorato da P.Mieli) quindi può succedere. Ma no, qui siamo oltre, siamo al limite del genio o chissà dove. Ogni giorno escono anticipazioni di “pagine”, finora 27, che sono esattamente in sintonia con l’attualità. I casi sono due: o nespolo in realtà scrive e riscrive notte e giorno il suo “libro”, oppure la forza mediatica del governo birbonico è talmente oppressiva e totalizzante da essere in grado di deviare a quelle pagine, già scritte, il senso del dibattito. La risposta la conosciamo già.
Così le risposte alle famose 10 domande dove le troviamo? Sul “libro” di nespolo. Facile, no? Che poi le risposte non siano risposte cosa conta? Fatto! Avanti!
Geniale. Mentre in Europa si da per scontato la fine del vecchio satiro entro marzo, basta leggere, il nostro e la sua tribù di leccobardi, nani, prostitute, arnesi e cialtroni balla allegro sulla nave. Così faceva anche Nerone, finchè trovò un pretoriano nascosto dietro la tenda con la daga in mano. Perché anche questo è italico: i leccobardi, come i cani affezionati al padrone, continuano a leccare il padrone anche quando il cadavere è ancora caldo.