Canti di Natale

Buone notizie sotto l’albero: a Coccaglio, nel bresciano, danno la caccia all’extracomunitario (ma lo chiamano White Christmas), a Ceresara (Mantova) in chiesa per Natale cantano solo i bimbi dell’asilo parrocchiale, escludendo quelli dell’analoga struttura statale. “Queste donne sono mosse soltanto dalla volontà di seminare zizzania”, evangelicamente chiosa il parroco alludendo alle madri dei pargoli esclusi, il sindaco legoide, tale Fozzato chiarisce, dal pulpito, che la colpa è di «certi giornali squallidi che hanno prodotto una cosa devastante». Si sente in trincea, braccato da gente «che non permette che un’amministrazione lavori bene», certo che l’accaduto farà solo guadagnare voti alle leeeegha di cui è esimio membro.

Il coro poi ha cantato “A Natale puoi”, gingle dello spot del Pandoro Bauli. Domanda: ma non sarà che i bimbi dell’asilo statale abbiano fatto un  affarone a starsene a casa? Cantare un gingle commerciale, in una chiesa piena di legoidi, sindaco in testa, parroco esagitato è tutta roba quasi da “telefono azzurro”. Del resto se la prendnao con la maggioranza dei genitori: han votato  leegha? Angoscioso interrogativo: ma alla fine i bimbi buoni cattolici almeno il pandoro l’han mangiato?

http://gazzettadimantova.gelocal.it/dettaglio/fozzato-il-predicatore:-tutta-colpa-di-certi-giornali/1812951

Voglio fare il test antidroga

Voglio fare il test antidroga
di Fabio Filippi

Lettera del consigliere regionale Fabio Filippi all’attenzione della Presidente dell’Assemblea Legislativa regionale, Monica Donini

In riferimento alla missiva del 5 novembre 2009, relativa alla richiesta di sottoporre i consiglieri regionali al test antidroga, non ho ricevuto da parte sua alcun riscontro. Le chiedo se reputi tanto inutili le mie istanze sul tema della droga. Se non pensi che un problema che coinvolge tutti i settori della società vada, prima di tutto, affrontato tra i rappresentanti dei nostri principali organi istituzionali. Le rinnovo pertanto l’invito, nel rispetto dei cittadini che ci hanno votato, a predisporre il test anche in Regione Emilia-Romagna. Confido nel suo impegno affinché entro la fine di febbraio, prima della chiusura della presente legislatura, siano resi pubblici i nominativi dei consiglieri e degli assessori regionali che si sono sottoposti al test antidroga. La ringrazio per l’attenzione e porgo cordiali saluti, l’occasione mi è gradita per augurarle Buon Natale e felice Anno Nuovo.
Con stima

Fabio Filippi

Ho pensato a lungo in quale categoria mettere questo meraviglioso prodotto dell’umano intelletto. “Aiutiamoli a vergognarsi” o “Per sorridere”? O nella nuova “Neuroni in fuga?”. Cari lettori, fate voi. Io spero che più che sottoporsi al test, il nostro consigliere cambi fornitore di sostanze: chissà magari con roba buona qualche cosa di buon senso salterebbe fuori. Nooo, dite di no? Beh, almeno provasse con le droghe di una volta: garofanino, cannella e noce moscata. “Dice: si sente un po’ meno, però la salute ci guadagna..” (Talking sul sesso, F.Guccini)

Pinzellacchere, quisquilie…

Mauro Moretti, come amministratore delegato di FS, percepisce un compenso annuale di 1,1 milioni di euro (sì, avete letto bene: 2 miliardi delle vecchie lire). Ferrovie nel caos, e che ci dice l’altra sera? “Volete viaggiare? Portate coperte, panini, bottigliette d’acqua…”. Il suo collega francese è stato chiamato nella notte da Sarkò che gli ha fatto un cazziatone degno della grandeur d’oltralpe e lo ha mandato in tv a chiedere scusa. In Slovenia due treni si sono scontrati e il ministro dei trasporti ha offerto le sue dimissioni. In Spagna le ferrovie rimborsano il 100% del biglietto se il treno ha un ritardo superiore ai 30 minuti. Noi a Moretti diamo 1,1 milioni di euro, negli ultimi anni abbiamo investito tutto sulla TAV nella semplice logica che il trasporto non è più un servizio (roba da sfigati) ma un prodotto da vendere a chi può permetterselo. Agli altri, sui loro patetici trenini da pendolari, ci pensino le regioni. Il problema è che questi manager del mandolino non riescono neanche a fornire un prodotto di livello ai loro “clienti”, le freccerosse, verdi, blu si sono innevate e ghiacciate esattamente come l’accelerato Fruzzo-Roccacannuccia. Però, tranquilli, il Moretti (che alle spalle ha un carriera da sindcalaista Cgil, gulp!), resta al suo posto, oggi ha proferito vaghe promesse su “eventuali rimborsi” ai viaggiatori. Un grande (si fa per dire)!

Bella, bionda, elegante. Sicula. La Stefania, che ci dicono sia ministro. Forse un giorno lo diranno anche a lei. Ministra dell’ambiente e litiga con Matteoli sulle centrali nucleari. Per non farle? Noo, perchè nelle trafile burocratiche il suo Ministero non era abbastanza “pesante”. Quindi le centrali si faranno? Naaa, tranquilli. Si spenderanno alcune miliardate per gli amici degli amici e poi tutto finirà lì. Del resto costruire centrali nucleari nel 2010 è come se Giovanni Agnelli nel 1899 anzichè fondare la Fiat (Fabbrica italiana auto torino) avesse fondato una bella fonderia per produrre ferri da cavallo.

«Posso confermare che i valori cristiani testimoniati dal Pontefice sono sempre presenti nell’azione del Governo da me presieduto, che adotterà tutte le misure necessarie per garantire la serenità e la pace sociale». Chi l’ha detto? De Gasperi? Rumor? Prodi? No. Facile: il vecchio satiro sfregiato. Uno che, con metodo e impegno, ha infranto tutti e dieci i comandamenti, e qualcuno di più. La perla è contenuta nella lettera di auguri a Benedetto XVI. Possiamo trarre un sospiro di sollievo. Tutto va bene, benissimo. Anzi meglio. Non viviamo nel migliore dei mondi possibili? Il premier è al 124% di gradimento e il governo al 99% (ebbene sì, mi hanno beccato…).

Patti scellerati

Breve storia dei 15 anni di patti scellerati tra D’Alema, Berlusconi e gli altri

di Peter Gomez e Marco Travaglio

In principio c’era solo una questione economica. La salvezza delle tv del Cavaliere in cambio della sua non opposizione al governo Dini. Poi dalla “roba” di Berlusconi si passò ai processi. I suoi e quelli degli altri. Dalla Bicamerale alle leggi ad personas del centrosinistra. Oggi siamo al bis, anzi al tris dell’”inciucio” (“accordo informale tra forze politiche di ideologie contrapposte che mira alla spartizione del potere”, Dizionario De Mauro, Paravia). Tutti (o quasi) vogliono riscrivere la Costituzione e Berlusconi apre al Pd in attesa d’incassare il salvacondotto definitivo: quello che lo renderà anche ufficialmente più uguale degli altri.

Violante confessa. Il 28 febbraio 2002 Luciano Violante, durante il dibattito alla Camera sulla legge Frattini sul conflitto d’interessi, si lascia sfuggire a Montecitorio la genesi dell’inciucio. A chi accusa la sinistra di voler espropriare il Cavaliere, il capogruppo ds replica: “L’on. Berlusconi sa per certo che gli è stata data la garanzia piena – non adesso, nel 1994 quando ci fu il cambio di governo – che non sarebbero state toccate le televisioni. Lo sa lui e lo sa l’on. Letta…Voi ci avete accusato di regime nonostante non avessimo fatto la legge sul conflitto d’interessi e dichiarato eleggibile Berlusconi nonostante le concessioni…Durante i governi di centrosinistra il fatturato di Mediaset è aumentato di 25 volte!”.
Senza volerlo, Violante ha detto la verità, anche se il suo partito si era sempre dimenticato di raccontarla agli elettori.

Come ti spengo i referendum. Quelli del dicembre ‘94 sono giorni duri per il Cavaliere. Il 7 dicembre la Consulta stabilisce che la Fininvest deve scendere da tre a due tv, dunque dovrà cedere Rete4 o trasferirla su satellite. Il 22 la Lega sfiducia il suo governo. Il gruppo Berlusconi, fiaccato dalla concorrenza Rai dei tre anni precedenti, è indebitato fino al collo (4500 miliardi di lire nel ‘92).
Le indagini della magistratura avanzano. E sono alle porte quattro referendum, proposti da Acli, Arci e Gruppo di Fiesole (un’associazione di giornalisti), che rimettono in discussione la legge Mammì lasciando al Biscione una sola rete, ridimensionano la raccolta pubblicitaria e vietano gli spot durante i film in tv. Per farli saltare, Berlusconi invoca le elezioni anticipate e promette che venderà le sue tv (“basta che non sia un esproprio”). Ma contemporaneamente tratta in segreto il suo appoggio a un governo tecnico. Così, dopo urli e mugugni, si astiene sul governo Dini (ex ministro di Berlusconi), anche perché alla Giustizia e alle Poste e Telecomunicazioni i ministri sono “fidati”: Filippo Mancuso e Agostino Gambino, già avvocato di Sindona. E il Pds (Violante dixit) gli garantisce che il referendum fallirà. La trattativa, a maggio, la conduce Gianni Letta per modificare la legge sulle tv ed evitare le urne.
Così il centrosinistra non fa campagna elettorale per il Sì, mentre tutte le reti Fininvest martellano l’opinione pubblica per il No. Poi il 22 maggio Berlusconi rovescia il tavolo del negoziato e l’11 giugno vince i referendum.

Silvio & Max, promessi sposi. Sul finire del ‘95 Berlusconi smette d’invocare le elezioni. Come scrive La Stampa, “si è preso una cotta per D’Alema” e lo chiama anche tre volte al giorno per “convincerlo che ‘la grande intesa si può fare’ e ‘andare al voto non conviene né a noi, né a voi’”. Cos’è successo? Deve quotare Mediaset in Borsa e ha bisogno del placet di tutto l’arco politico. Su di lui e i suoi manager si moltiplicano le indagini sui fondi neri esteri del gruppo. Così punta al governissimo.
Il 26 gennaio ‘96 il Cavaliere e D’Alema si presentano a braccetto da Bruno Vespa per parlare di riforme istituzionali. Il 2 febbraio Berlusconi annuncia: “L’accordo è fatto, di Massimo mi fido”. Poi vieta per iscritto a tutti i club di Forza Italia di usare la parola inciucio: devono parlare di “governo dei migliori”, da affidare al grand commis Antonio Maccanico. Il giorno 9, Silvio e Max s’incontrano a cena in casa Letta. Ma An punta i piedi e Prodi, candidato premier, pure. L’inciucio tramonta. Gasparri spara sul Cavaliere: “Noi siamo contrari ai conflitti d’interesse. E chi deve andare in galera ci vada”. Maccanico rinuncia all’incarico. Non prima di aver accusato il Polo: “Volevano che travalicassi la Costituzione”. Si va alle urne.

Maccanico Riparazioni. Il 21 aprile ‘96 l’Ulivo di Prodi vince le elezioni. La tesi 51 del programma elettorale è chiara: basta conflitto d’interessi e duopolio tv. Ma D’Alema se ne infischia e il 4 aprile, a due settimane dalle urne, rende visita a Mediaset incontrando Confalonieri e il Gabibbo e rassicurando le maestranze: “Non abbiate timore, non ci sarà nessun Day After, avremo la serenità necessaria per trovare intese. Mediaset è un grande patrimonio del paese”. In luglio la legge Maccanico manda in soffitta la sentenza della Consulta e concede una proroga sine die alle tre reti Fininvest. Intanto D’Alema e Berlusconi si accordano per riscrivere la seconda parte della Costituzione con un’apposita commissione Bicamerale. Il Cavaliere è imputato a Milano per corruzione, finanziamento illecito e falso in bilancio, indagato a Palermo per mafia e riciclaggio e a Firenze per concorso nelle stragi del 1993. In settembre, a La Spezia, esplode la “Tangentopoli-2” con l’arresto del banchiere Pacini Battaglia e del presidente delle Fs Lorenzo Necci, che vanta ottimi rapporti tanto con Berlusconi quanto con D’Alema. Terrorizzati dall’avanzata dei pm, centrodestra e centrosinistra si accordano per mettere in riga la magistratura. Ma restano da convincere i rispettivi elettori, tutt’altro che favorevoli all’inciucio. Si tratta di creare un clima emergenziale che giustifichi l’abbraccio fra i due poli che fino a quel momento se ne son dette e fatte di tutti i colori.

La bufala del cimicione. L’11 ottobre Berlusconi mostra al mondo intero una microspia di dimensioni imbarazzanti trovata a Palazzo Grazioli. Giura che è “perfettamente funzionante”, in grado di trasmettere “fino a 300 metri”. Punta il dito contro le “procure eversive”. Spiega di aver subito avvertito, prim’ancora dei carabinieri, “l’amico Massimo”: cioè D’Alema, che assicura subito la sua solidarietà: “È un fatto grave, che testimonia il clima torbido di un paese inquinato da intrighi, manovre, veleni e sospetti. Bisogna reagire con fermezza, con un colpo di reni, riscrivendo le regole della convivenza civile e democratica”. Il 16 ottobre il presidente della Camera, Violante, convoca una seduta straordinaria e dà la parola al Cavaliere. Che scandisce: “Onorevoli colleghi, l’attività spionistica ai danni del leader dell’opposizione… rientra perfettamente nel panorama non limpido della vita nazionale. Mai, in nessun periodo della storia repubblicana, sono gravate sulla libera attività politica tante ombre e tanto minacciose”. Pisanu e Taradash additano le “procure deviate”. E l’Ulivo a rimorchio. La Procura di Roma appurerà che la microspia era un ferrovecchio inservibile per nulla funzionante. E che, a piazzarla in casa Berlusconi, era stato un amico del capo della sua sicurezza incaricato di “bonificare” Palazzo Grazioli. Ma intanto il falso cimicione (come poi nel 2009 il gesto del folle in Piazza Duomo) ha già svolto il suo ruolo.

Commissione Dalemoni. Il 22 gennaio ‘97 nasce la Bicamerale sotto la presidenza di D’Alema (votato pure da Forza Italia). La legge costituzionale che istituisce la commissione non fa alcun cenno alla Giustizia. Infatti all’inizio D’Alema dichiara: “Sulla giustizia non vedo questioni costituzionalmente rilevanti”. Ma Giuliano Ferrara avverte: “La giustizia è il problema politico numero uno. Il capo dell’opposizione è perseguitato dai giudici. D’Alema fermi gli aggressori e rimetta in riga i pm sotto controllo della politica. Vedrete che la sinistra qualcosa concederà”. Ottima profezia. D’Alema fa subito retromarcia: “Il rapporto fra magistratura e potere politico è uno dei temi che più seriamente dovrà impegnare la Commissione”. Il relatore sulla Giustizia è Marco Boato, ex Lotta continua, ex Psi, molto ostile alla magistratura. Il 30 ottobre ‘98 la bozza Boato viene approvata da tutti i partiti, tranne Rifondazione. Pare la riedizione del Piano di rinascita democratica di Licio Gelli: la magistratura non è più un “potere” dello Stato; carriere di pm e giudici separate, con due Csm in cui aumenta la presenza dei politici rispetto ai togati; i giudizi disciplinari sottratti al Csm e affidati a una “Corte di giustizia” con i magistrati ordinari in minoranza; le Procure non possono più prendere le notizie di reato, ma dovranno attendere le denunce della polizia (che dipende dal governo); l’azione penale non è più obbligatoria; “il ministro della Giustizia riferisce al Parlamento sull’esercizio dell’azione penale e sull’uso dei mezzi di indagine”. Inoltre, per amnistie e indulti, non è più necessaria la maggioranza dei due terzi, ma basta il 50 più 1. E proprio questo è lo scopo finale, come annuncia il solito Violante al Foglio: “Nel 1999, al termine delle riforme, si porrà la questione dell’amnistia”. Poi però, contestatissimo da elettori, magistrati e intellettuali, il centrosinistra non osa andare fino in fondo sull’amnistia.

Inciucio forever. Così Berlusconi fa saltare la Bicamerale, avendo peraltro ottenuto in due anni tutto ciò che gli serve: niente legge sul conflitto d’interessi, niente antitrust sulle tv e una serie di leggi anti-giustizia. Il centrosinistra continua a lavorare per lui anche. Elimina lo scomodo gip Rossato dal processo Mondadori con la legge sull’incompatibilità fra Gip e Gup scritta dall’avvocato dalemiano Guido Calvi. Salva dal carcere Previti e Dell’Utri. E addirittura abroga di fatto i pentiti di mafia con la riforma Fassino del 2000, che li priva di gran parte dei benefici che fino a quel momento avevano indotto molti boss a collaborare. Nel ’98 Gherardo Colombo dice al Corriere della Sera: “La Bicamerale è figlia dei ricatti incrociati fra destra e sinistra”. È la miglior lettura di come vanno le cose nella politica italiana, più che mai attuale undici anni dopo. Già, perché oggi si ricomincia. Ancora Berlusconi. Ancora Violante. Ancora D’Alema.

da Il Fatto Quotidiano del 22 dicembre 2009

La vera lezione di Auschwitz (Tony Judt)

Negli ultimi anni il rapporto tra Israele e l’Olocausto è mutato. All’inizio l’identità di Israele fu costruita sul rifiuto del passato, trattando l’Olocausto come una prova di debolezza, una debolezza che era compito di Israele superare dando vita a un nuovo tipo di ebreo. Oggi, quando Israele è esposto al biasimo internazionale per il modo di gestire i rapporti con i palestinesi e per l’occupazione del territorio conquistato nel 1967, i suoi difensori tendono a chiamare in causa la memoria dell’Olocausto. Attenti, dicono, se criticate Israele con troppa veemenza, sveglierete i demoni dell’antisemitismo. Anzi, il messaggio è che un atteggiamento fortemente critico nei confronti di Israele non si limita a risvegliare l’antisemitismo: è di per sé antisemitismo. E con l’antisemitismo si apre la strada che porta – o ritorna – al 1938, alla “notte dei cristalli” e di là a Treblinka e ad Auschwitz. Se volete sapere dove va a finire, dicono costoro, non avete che da visitare Yad Vashem a Gerusalemme, l’Holocaust Museum a Washington o i monumenti commemorativi e i musei sparsi in tutta Europa.
Comprendo i sentimenti che dettano queste affermazioni. Ma queste affermazioni in sé sono molto pericolose. Quando a me e ad altri, con la scusa che non vanno risvegliati gli spettri del pregiudizio, viene rimproverato il dissenso nei confronti di Israele, rispondo che il problema va posto al contrario. È proprio un tabù del genere che può stimolare l’antisemitismo. Da qualche anno visito università e scuole superiori, negli Stati Uniti e altrove, per tenere conferenze sulla storia europea del dopoguerra e la memoria della Shoah. Sono gli argomenti che tratto anche nell’università dove insegno. E posso dire quali conclusioni ne ho derivate. Oggi non c’è bisogno di ricordare agli studenti il genocidio degli ebrei, le conseguenze storiche dell’antisemitismo e il problema del male. Tutti conoscono queste cose, con un’ampiezza ignota ai loro genitori. Ed è così che dev’essere. Ma mi ha colpito recentemente la frequenza con cui affiorano nuove domande: «Perché ci fissiamo sull’Olocausto?», «Perché (in certi Paesi) è illegale negare l’Olocausto ma non altri genocidi?», «Non si sta esagerando la minaccia dell’antisemitismo?». E ancora, sempre più spesso: «Non è che Israele sta usando l’Olocausto come scusa?».
Due sono i miei timori: che sottolineando l’eccezionalità storica dell’Olocausto e al contempo invocandolo costantemente in riferimento alle vicende contemporanee, abbiamo creato confusione nei giovani; e che gridando all’antisemitismo ogni volta che qualcuno attacca Israele o difende i palestinesi stiamo allevando una generazione di cinici. Perché la verità è che oggi l’esistenza di Israele non è in pericolo. E oggi, qui in Occidente, gli ebrei non si trovano ad affrontare minacce e pregiudizi neppure lontanamente paragonabili a quelli del passato, né paragonabili ai pregiudizi attualmente nutriti nei confronti di altre minoranze. Facciamo un piccolo esercizio. Vi sentireste al sicuro, accettati e benvenuti, negli Stati Uniti, oggi, se foste un musulmano o un immigrato clandestino? E se foste un “Paki” in certe zone dell’Inghilterra? O un marocchino in Olanda? Un “beur” in Francia? Un nero in Svizzera? Uno “straniero” in Danimarca? Un rumeno in Italia? Uno zingaro ovunque in Europa? E non vi sentireste più al sicuro, più integrati, più accettati come ebrei? Credo che siamo tutti in grado di rispondere.
In molti di quei Paesi – Olanda, Francia, Stati Uniti, per non parlare della Germania – la minoranza ebrea locale è fortemente rappresentata nel mondo degli affari, dei media e delle arti. In nessuno di quei Paesi gli ebrei sono stigmatizzati, minacciati o emarginati.
Il pericolo di cui gli ebrei – e non solo loro – dovrebbero preoccuparsi, se c’è, viene da un’altra direzione. Abbiamo agganciato la memoria dell’Olocausto così saldamente alla difesa di un unico Paese – Israele – che rischiamo di provincializzarne il significato morale. È vero, il problema del male nel secolo scorso, per citare Hannah Arendt, ha preso la forma del tentativo tedesco di sterminare gli ebrei. Ma non si tratta solo dei tedeschi e non si tratta solo degli ebrei. Non si tratta neppure solo dell’Europa, anche se è là che quel tentativo è avvenuto. Il problema del male – del male totalitario, del male del genocidio – è un problema universale. Ma se lo si manipola per trarne un vantaggio locale, ciò che accadrà (e io credo stia già accadendo) è questo: coloro che vivono in contesti lontani da quel crimine – o perché non sono europei o perché sono troppo giovani perché per loro il ricordo di quell’evento abbia rilevanza – non capiranno che rapporto abbia con loro la memoria che ne viene coltivata e smetteranno di ascoltare quando cercheremo di spiegarglielo.
In altre parole: l’Olocausto perderà la sua risonanza universale. Dobbiamo sperare che ciò non avvenga e dobbiamo trovare il modo per mantenere intatta la lezione centrale che davvero può venirci dalla Shoah: e cioè la facilità con cui le persone – un popolo intero – possono essere diffamate, deumanizzate e annientate. Ma non approderemo a nulla, se non riconosciamo che questa lezione potrà anche essere messa in dubbio e dimenticata. Se non mi credete, andate a chiedere, fuori dai Paesi sviluppati dell’Occidente, qual è la lezione di Auschwitz. Avrete risposte ben poco rassicuranti.
Non c’è una soluzione facile a questo problema. Ciò che pare chiaro agli europei dell’Europa occidentale è ancora oscuro per gli europei dell’Est, come era oscuro agli stessi europei dell’Ovest quarant’anni fa. Il monito morale di Auschwitz, che campeggia a caratteri cubitali sullo schermo della memoria europea, è quasi invisibile per africani e asiatici. E ancora – e forse soprattutto – ciò che sembra lampante alle persone della mia generazione avrà sempre meno senso per i nostri figli e i nostri nipoti. Possiamo preservare un passato europeo che da memoria sta sfumando in storia? Non siamo condannati a perderlo, anche solo in parte?
Forse tutti i nostri musei, i nostri monumenti commemorativi, le nostre gite scolastiche obbligatorie non sono il segno che oggi siamo pronti a ricordare, ma indicano invece che riteniamo di esserci lavati la coscienza e di poter cominciare a mollare e a dimenticare, delegando alle pietre il compito di ricordare al posto nostro. Non so: l’ultima volta che sono stato al Monumento agli ebrei d’Europa assassinati, a Berlino, annoiati ragazzini in gita scolastica giocavano a rimpiattino tra le steli. Quello che so per certo è che se la storia deve svolgere il compito che le compete, e conservare per sempre traccia dei crimini passati e di tutto il resto, è meglio lasciarla stare. Quando andiamo a saccheggiare il passato per profitto politico – scegliendone i pezzi che fanno al caso nostro e reclutando la storia a insegnare opportunistiche lezioni morali – ne caviamo cattiva morale e anche cattiva storia. Nel frattempo, forse dovremmo, tutti quanti, fare attenzione quando parliamo del problema del male. Perché di banalità ce n’è più di un tipo. C’è la notoria banalità di cui parlava Hannah Arendt: l’inquietante, normale, familiare, quotidiano male dentro gli esseri umani. Ma c’è anche un’altra banalità, quella dell’abuso: l’effetto di appiattimento e desensibilizzazione del vedere o dire o pensare la stessa cosa troppe volte, fino a stordire chi ci ascolta e a renderlo immune al male che descriviamo. Questa è la banalità – la banalizzazione – che rischiamo oggi.
Dopo il 1945 la generazione dei nostri genitori accantonò il problema del male perché – per loro – aveva troppo significato. La generazione che verrà dopo di noi corre il pericolo di accantonare il problema perché ora contiene troppo poco significato. Come si può impedire che ciò avvenga? In altre parole, come si può fare in modo che il problema del male resti la questione fondamentale della vita intellettuale, e non solo in Europa? Non ho una risposta ma sono sicuro che questa è la domanda giusta. È la domanda che Hannah Arendt ha posto sessant’anni fa. E sono certo che la porrebbe ancora oggi.

Testo tratto dal discorso tenuto dall’autore a Brema, in occasione del ricevimento del premio Hannah Arendt, traduzione di Paola Mazzarelli. Di Tony Judt è in libreria «Dopoguerra», Mondadori, pagg. 1.076, 32,00.

La bolla

copj13.asp.jpegUn consiglio di lettura:

Curzio Maltese, La bolla. La pericolosa fine del sogno berlusconiano, Feltrinelli 2009.

“L’Italia vive da quindici anni in una bolla politica e mediatica, il berlusconismo. Mezza Italia, per la verità: la più felice. chi guarda la bolla da fuori si preoccupa, si incazza, si strazia per capire come un trcco tanto facile abbia stregato milioni di adulti che non volevano crescere. Chi vive dentro la bolla si sente leggero, avvolto, protetto come un bambino, in un mondo pieno di colori, dove sono scomparse le faccende complesse, noiose. E’ ottimista, per lui nessun problema può sfuggire alla più facile delle soluzioni. Osserva quelli in basso e ride, keep it simple, stupid”.

“Chi si illude che tutto si risolverà con la fine di Berlusconi, magari accelerata dagli scandali, dimostra di non capire quanto e come ha agito il berlusconismo in questi anni nella società. Non è stato fascismo, ma ha svuotato la democrazia. In maniera sistematica e diffusa, nei palazzi delle istituzioni come nelle teste dei cittadini. Ha snervato il parlamento, la magistratura, la libera informazione, la scuola. Siamo ridotti come il paese di Macondo, che dovrà un giorno rinominare gli oggetti. Non è stato facile arrivare a tanto e non sarà semplice uscirne”.

Padre Silvio di Calcutta

Padre Silvio di Calcutta
di Carlo Cornaglia


Il Sire dal suo letto di dolore,
in cura per il duomo di quel matto,
critica l’odio e predica l’amore
con un dire a un caimano non adatto.

Al confronto Teresa di Calcutta,
un simbolo di universal bontà,
passa per una vecchia farabutta
usurpatrice della santità.

“Di questi dì ricordo sol due cose,
l’odio di pochi e l’amor di tanti:
prometto agli uni e agli altri in grande dose
l’impegno di portare tutti quanti

verso un futuro con la Libertà!”
…Libertà di insultare i magistrati,
di dare agli stranieri l’altolà,
di comprar senatori e deputati.

Libertà di fuggire dai processi
confezionando leggi su misura,
di far pagar le tasse solo ai fessi,
di raddoppiar qualunque cubatura.

Di praticare un tot di corruzione,
di raccontar montagne di bugie,
di fottersi della Costituzione,
di frequentar mafiose compagnie.

Liberà di insultare la Consulta,
di farsi gioco pure della Chiesa
con moglie in vista ed un’amante occulta,
ma con la croce alla parete appesa.

Libertà di distruggere la scuola,
la pubblica, non certo la privata,
di mettere ai giornal la museruola,
di dir che Porta a porta è una figata.

Libertà di mandar la gente in guerra
affermando che va in mission di pace,
libertà di finire sotto terra
soltanto quando a Benedetto piace.

Libertà di un lavoro da precari
arrivando alla terza settimana,
libertà di far trucchi finanziari
e di morir travolti da una frana.

Libertà di menar gli omosessuali
e di schedare i poveri barboni,
dicendo agli uni che non son normali
e agli altri che non piacciono a Maroni.

Libertà di dir solo e sempre sì
poiché chi dice no è un eversore,
libertà di coprir di merda chi
non concorda con l’Unto del Signore.

Al sentire di tante libertà
mezza Italia gioisce sull’istante,
molto perplessa l’altra mezza sta
ad eccezion di un vecchio mestierante

che, causa di disastri nel passato,
col baffo in resta salta su giulivo:
“Son qui, se per l’inciucio mi hai chiamato,
per fottere il Pd come l’Ulivo!”

(20 dicembre 2009)

http://temi.repubblica.it/micromega-online/padre-silvio-di-calcutta/

Cristiani per il testamento biologico

Cristiani per il testamento biologico: a Milano, la Chiesa Valdese apre un registro
da Adista

Sul testamento biologico le sensibilità all’interno del mondo cattolico sono molto più articolate e plurali di quanto la “non negoziabile” posizione dei vertici della Chiesa italiana possa far intendere. Lo ha testimoniato, fra le altre cose, l’appello sottoscritto da 41 preti in occasione della discussione in Senato della legge ora approdata alla Camera.

In Germania è stata la stessa Chiesa cattolica a promuovere la compilazione di un testamento – le “Disposizioni del paziente cristiano” già sottoscritte da 3 milioni di fedeli – che con l’entrata in vigore della nuova legge, lo scorso 1 settembre, assume a tutti gli effetti valore legale.

D’altra parte, nonostante il sistema mediatico-politico tenda a dare voce solo alle posizioni del papa e dei vertici della Cei, tra i cristiani italiani non ci sono solo i cattolici. E le posizioni delle altre Chiese presenti in Italia non sempre coincidono con quelle della Chiesa di Roma, anche sulle problematiche più direttamente connesse al dibattito politico contingente.

È il caso ad esempio delle questioni del “fine-vita”. Lo scorso 21 febbraio a Piazza Farnese a Roma, alla manifestazione contro il disegno di legge Calabrò che il Senato stava approvando in quei giorni, c’era anche Daniele Garrone, decano della Facoltà valdese di teologia. “Sono qui per oppormi con voi all’eutanasia attiva perpetrata nei confronti della già comatosa laicità del nostro Paese”, aveva dichiarato Garrone dal palco. “Sono qui per reagire contro il tentativo di ridurre la Repubblica ad una provincia papalina. Sono qui come credente” che vive “questa battaglia di libertà e di umanità a testa alta, davanti a Dio, nella libertà che mi ha donato e nella responsabilità a cui mi ha chiamato, fidandomi di Lui. Tutto quello che dico, nessuna parola esclusa, in questo ‘comizio’, lo vivo e lo dico anche in preghiera, nella riconoscenza per tutto ciò che mi è stato donato, con la volontà, però, di non idolatrare la mia vita; e nella speranza che ‘ciò che è mortale sia assorbito dalla vita’ [2Cor 5,4]”.

Già nel 2007 il Sinodo della Chiesa Valdese aveva approvato un ordine del giorno in cui si affermava che “la cura del malato, in ogni suo aspetto, deve sempre presupporre il suo consenso”. Nessuno, “neppure i parenti”, dovrebbe essere dunque “abilitato a esprimere la volontà del paziente in vece sua”. “È principio di civiltà”, si leggeva ancora nell’ordine del giorno, “dare voce, attraverso una legge, alle scelte della persona compiute con coscienza e volontà e in previsione di una futura incapacità nell’esprimere validamente il suo pensiero”.

Ora la Chiesa valdese di Milano ha deciso di conferire ancor più concretezza a questa presa di posizione organizzando un registro delle “Direttive anticipate per i trattamenti sanitari”. L’iniziativa, la prima in Italia promossa da una Chiesa, è aperta a tutti i cittadini. “Ci saranno un notaio”, ha spiegato il pastore valdese di Milano Giuseppe Platone, “i testimoni necessari, tutte le formule per rendere giuridicamente valido un atto privato. E chi vorrà potrà, finalmente, lasciare le proprie indicazioni sulle cure che vuole o non vuole gli siano praticate nel caso in cui, un giorno, non potesse esprimere la sua volontà”.

Alla conferenza stampa di presentazione, svoltasi a Milano lo scorso 2 dicembre, è intervenuto anche Beppino Englaro: “È un’idea apprezzabile – ha affermato – soprattutto perché proviene da cristiani laici che si sono coraggiosamente impegnati per una battaglia per la libertà e i diritti fondamentali delle persone. Spero che questa iniziativa sia di stimolo alle autorità pubbliche per fare in modo che la futura legge sul testamento biologico sia davvero costituzionale”.

Il formulario del “testamento valdese” prevede la possibilità di rifiutare alimentazione e idratazione artificiali, proprio ciò che sarebbe impedito nel caso in cui la legge già licenziata dal Senato fosse approvata senza emendamenti anche dalla Camera dei deputati. Il modulo si conclude con una parte concernente le “Disposizioni dopo la morte”, dove è possibile indicare se si desidera o meno “un funerale religioso secondo la confessione di fede” professata dall’autore del testamento.

(11 dicembre 2009)

http://temi.repubblica.it/micromega-online/cristiani-per-il-testamento-biologico-a-milano-la-chiesa-valdese-apre-un-registro/

Santi e santi…

Qualcuno mi ha chiesto: “Ma tu, come storico e cattolico, cosa pensi della santificazione di Pio XII?” Trasgredisco l’aureo precetto “Scherza coi fanti ma lascia stare i santi” e mi sbilancio. Mi è difficile unire i due termini storico-cattolico ma questo binomio in qualche modo può aiutare. Come storico contemplo il fenomeno della proclamazione di santi da parte della Chiesa. Rimando al bellissimo saggio di Luzzatto su Padre Pio per un’esame serio e rigoroso su un fenomeno contemporaneo. Su Pio XII, sui suoi “silenzi” sono state scritte biblioteche. Cosa può aggiungere un modesto storico di quartiere? Una banalità: aprite gli archivi, tutti, subito, a tutti. Un’archivio aperto non interferisce con la santità. E’ stato elevato alla gloria degli altari mons. Stepinac, figuriamoci se Pio XII non se lo merita! Ma un giudizio si può dare conoscendo le fonti. In questa condizione, invece, tutto rimane sospeso.

Come cattolico, però, non posso non sollevare un altro problema. Il conflitto di ruoli. Pio XII come capo di uno stato estero fece molto, moltissimo, per gli ebrei. Ai nostri giorni meriterebbe il Nobel per la pace. Come pastore no. E spero, sinceramente, che si salvi nel momento nel Giudizio. Non ha testimoniato. Quando il 16 ottobre 1943 i nazisti e i fascisti catturarono 1022 persone, fra cui 200 bambini, dov’era Pio XII? Di quelle persone ne tornarono 16, nessun bambino si salvò. Fra il ghetto e il Vaticano ci sono poche centinaia di metri in linea d’aria. Io avrei preteso (sperato) che il pastore scendesse in strada e andasse in mezzo alle sue pecore e dicesse NO. Questo doveva fare il pastore e non lo fece. Dio lo perdoni.

Il capo di Stato, chiuso nei suoi palazzi, fece azioni da capo di stato. Salvò certamente altri ebrei, ma non testimoniò. Mobilitò gli uffici, fece aprire i conventi. Ma il Papa non dovrebbe essere un capo di stato. Lo è. Lo vuole essere. Oneri e onori. Ma questo non è scritto nel Vangelo. Il potere non c’entra con il Vangelo. Il demonio tentò Cristo portandolo sulla cima del tempio mostrandogli il mondo.: “Se lo vuoi è tuo!” Qualcuno ha pensato di poter far patti. Non si fanno patti con il potere. Non esiste un potere buono. Esiste il servizio. E il servizio avrebbe imposto a Pio XII di uscire dal Vaticano, come aveva fatto dopo i bombardamenti di S.Paolo. Ultimo fra gli ultimi. E allora la santità sarebbe stata lì, immediata, nei fatti. Padre Kolbe ad Auschwitz non rimase fermo nelle fila a far del bene, a curare le anime. Fece un passo avanti. “Eccomi, signore”. Il suo posto era lì, invece di un padre di famiglia.

Pio XII ha pagato per il potere della Chiesa. E’ rimasto fermo nella fila, mentre i fratelli maggiori ebrei andavano ad Auschwitz. Poi avrà dato ordini, disposizioni. Come capo di Stato posso averne rispetto. Come pastore prego per lui.