Roman Witonski

Il piccolo Roman Witonski è nato l’8 giugno 1938, sua sorella Eleonora il 16 settembre 1939. Il padre è uno stimato pediatra di Radom, in Polonia, Seweryn Witonski.
witonski.jpg.jpegDi Roman abbiamo una foto, ha lo sguardo un po’ impaurito mentre se ne sta tra le braccia della mamma Rucza Zajdenweber. Tra quelle braccia che non potranno proteggerlo dall’orrore né lui né la sua sorellina.
Il 21 marzo 1943 si svolse una “classificazione” degli ebrei del ghetto di Radom: i tedeschi cercavano gli intellettuali. I medici, gli insegnanti, i farmacisti dovettero autodenunciarsi. Vennero tutti condotti su camion al vicino cimitero di Szydlowiec. Il dottor Seweryn Witonski venne allineato insieme agli altri.
Le SS fucilarono quel giorno 150 persone. Ruzca vide la morte del marito insieme ai suoi bambini Roman ed Eleonora. Miracolosamente né la donna né i suoi figli vennero uccisi quel giorno: sospinti nuovamente sui camion vennero riportati a Radom. Per più di un anno vissero nel terrore di essere uccisi fino al 26 luglio 1944 quando i tedeschi decisero di liquidare definitivamente il ghetto.
Ruzca, Roman ed Eleonora vennero caricati su un treno con circa 3.000 ebrei . Dopo la selezione vennero assegnati al lager come detenuti 1147 uomini, e 817 donne. Gli uomini ricevettero i numeri da B-1 a B-1147 e le donne i numeri da A-14394 ad A-15210. Le altre persone vennero uccise nelle camere a gas. Rucza divenne la prigioniera A 15158, Eleonora l’A 15159 e Roman l’A15160.
I bambini vennero immediatamente divisi dalla madre e inviati al Block 10. Si rividero di tanto in tanto quando Ruzka riusciva ad avvicinarsi al Block, poi dal novembre 1944 Rucza non vide più i suoi figli, sopravvisse ad Auschwitz, unica superstite di una famiglia distrutta.

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Eluana un anno dopo

Il GIP del Tribunale di Udine, Paolo Milocco ha emesso l’11 gennaio il decreto di archiviazione relativo alle indagini su Beppino Englaro e altre 13 persone per il reato di omicidio volontario per la morte di Eluana Englaro, avvenuta il 9 febbraio 2009. E’ stata accolta l’istanza di archiviazione presentata lo scorso 26 novembre dalla Procura di Udine dopo un anno di indagini. Nel decreto del GIP di Udine scrive che va preliminarmente sgomberato il campo dal sospetto che il decesso di Eluana sia stato conseguente a praticche diverse da quelle autorizzate e specificate nei provvedimenti giudiziari.

Bene. Chiusa la questione. E se adesso qualcuno di quei “signori” che spararono boiate pazzesche un anno fa, tipo il “cardinale” barragan o il cavaliere plastificato e rifatto, chiedessero scusa? Naaaa, per chiedere scusa ci vuole umiltà e intelligenza, naaa…

Georges-André Kohn

Armand Kohn è un benestante imprenditore, vive con sua moglie Suzanne-Jenny in uno dei quartieri più eleganti di Parigi: il 16° Arrondissement.
Una famiglia alto-borghese quella dei Kohn, quattro figli: Philippe, Antoinette, Rose-Marie e l’ultimo nato: Georges che è venuto al mondo il 23 aprile 1932.
Dopo il 1940 papà Armand dovrà fare i conti con i tedeschi. Nel gennaio 1941 la sua impresa viene confiscata e soltanto grazie alle sue strette relazioni con il banchiere Rotschild diviene direttore dell’Ospedale “Barone Rotschild” uno dei più grandi ospedali ebraici di Parigi.
Suzanne ha paura e pensa di poter sfuggire alla deportazioni convertendosi alla religione cattolica con i suoi quattro bambini. Armand Kohn non è d’accordo ma accetta.
kohn.jpgGeorges riceve la Prima Comunione. Suzanne non ha compreso che alle SS poco importa se i Kohn sono convertiti o meno, gli ebrei rimangono ebrei non è importante la religione ma la razza. Armand cerca in qualche modo di nascondere e proteggere gli ebrei di Parigi grazie alla sua posizione. Di fronte a lui c’è un nemico micidiale: Alois Brunner il braccio destro del demoniaco Adolf Eichmann.
Eichmann da Berlino pianificava l’arresto e la deportazione degli ebrei d’Europa, Brunner – città per città, casa per casa – li scovava e li metteva sui treni per l’inferno. Brunner aveva ripulito Vienna mandando verso la morte quarantaseimila ebrei, aveva distrutto la comunità ebraica di Salonicco mandando ai campi di sterminio quarantaquattromila persone. Brunner era un uomo prezioso che amava il suo lavoro di carnefice.

Nel giugno 1943 Eichmann inviò Brunner a Parigi, toccava agli ebrei francesi morire. Brunner compì anche questa missione: ventitremila ebrei francesi partirono verso la morte. Questo era l’uomo che Armand Kohn cercò, nel suo piccolo, di ostacolare. A Brunner non piaceva che qualcuno compromettesse il suo lavoro.
Armand Kohn venne accusato di sabotaggio il che equivaleva ad una condanna a morte, significava un biglietto per Auschwitz. Ma Brunner non aveva fretta e per certi versi l’alto incarico di Armand dava ancora delle garanzie.
Soltanto all’alba del 28 luglio 1944 Brunner irruppe in casa Kohn insieme ad altre due SS: Samson e Reich. I Kohn ebbero un’ora di tempo per raccogliere le loro cose. In strada c’era un autobus che li condusse alla stazione e di lì al campo di concentramento di Drancy. Ma Drancy era solo l’anticamera dell’inferno, il 17 agosto 1944 un nuovo treno ed una nuova destinazione: Auschwitz.
Nel vagone piombato c’é tutta la famiglia Kohn: Armand, sua moglie Suzanne, l’anziana nonna, Rose-Marie, Antoiniette, Philippe e il piccolo Georges. Dopo tre giorni di viaggio – il 21 agosto 1944 alle 2 del mattino – Rose-Marie e Philippe ruppero le grate della piccola finestrella del vagone merci. Si accese una discussione: papà Armand disse che l’unica speranza era rimanere uniti ma Rose-Marie e Philippe non obbedirono e saltarono giù dal treno in corsa. Con loro fuggì Jacques Lazarus (che sarebbe diventato dopo la guerra ambasciatore israeliano a Parigi) ed altre 27 persone.
Il 25 agosto il treno si fermò a Buchenwald. Ma a Buchenwald rimarrà soltanto Armand, il resto della famiglia venne fatto ripartire per Auschwitz.
Sulla banchina il medico delle SS seleziona il trasporto. La mamma Suzanne, la nonna e Antoinette vanno a destra verso le camere a gas. Georges va a sinistra per lui c’è una baracca speciale, la baracca dei bambini, il “Block 10”.

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“Miglioristi”, do you remember?

Rapporti e affinità tra una delle correnti del Pci e il leader socialista
di Gianni Barbacetto e Peter Gomez

“Non dimentico il rapporto che fin dagli anni Settanta ebbi con lui… Si trattò di un rapporto franco e leale, nel dissenso e nel consenso che segnavano le nostre discussioni e le nostre relazioni”.
“Lui” è Bettino Craxi. E chi “non dimentica” è Giorgio Napolitano, oggi presidente della Repubblica.

Nella sua lettera inviata alla vedova di Craxi a dieci anni dalla morte del segretario del Psi, il capo dello Stato sostiene che, nel “vuoto politico” dei primi anni Novanta, avvenne “un conseguente brusco spostamento degli equilibri nel rapporto tra politica e giustizia”. A farne le spese fu soprattutto il leader socialista, per il peso delle contestazioni giudiziarie, “caduto con durezza senza eguali sulla sua persona”.
Il rapporto tra Craxi e Napolitano fu lungo, intenso e alterno. Naufragò nel 1994, quando Bettino inserì Napolitano nella serie “Bugiardi ed extraterrestri”, un’opera a metà tra satira politica e arte concettuale. Ma era iniziato, appunto, negli anni Settanta, quando il futuro capo dello Stato si era proposto di fare da ponte tra l’ala “riformista” del Pci e il Psi.
Negli Ottanta, Napolitano rappresentò con più forza l’opposizione interna, filosocialista, al Pci di Enrico Berlinguer: proprio nel momento in cui questi propose la centralità della “questione morale”.
Intervenne contro il segretario nella Direzione del 5 febbraio 1981, dedicata ai rapporti con il Psi, e poi ribadì il suo pensiero in un articolo sull’Unità, in cui criticò Berlinguer per il modo in cui aveva posto la “questione morale e l’orgogliosa riaffermazione della nostra diversità”.

È in quel periodo che la vicinanza tra Craxi e Napolitano sembra cominciare a farsi più forte. Tanto che nel 1984, il futuro presidente appoggia, contro il Pci e la sinistra sindacale, la politica del leader socialista sul costo del lavoro.
Il mondo, del resto, sta cambiando. E in Italia, a partire dal 1986, cambiano anche le modalità di finanziamento utilizzate dai comunisti. I soldi che arrivano dall’Unione Sovietica sono sempre di meno. E così una parte del partito – come raccontano le sentenze di Mani pulite e numerosi testimoni – accetta di entrare nel sistema di spartizione degli appalti e delle tangenti.

La prova generale avviene alla Metropolitana di Milano (MM), dove la divisione scientifica delle mazzette era stata ideata da Antonio Natali, il padre politico e spirituale di Craxi. Da quel momento alla MM un funzionario comunista, Luigi Carnevale, ritira come tutti gli altri le bustarelle e poi le gira ai superiori. In particolare alla cosiddetta “corrente migliorista”, quella più vicina a Craxi, che “a livello nazionale”, si legge nella sentenza MM, “fa capo a Giorgio Napolitano”. E ha altri due esponenti di spicco in Gianni Cervetti ed Emanuele Macaluso.
Per i “miglioristi” Mani Pulite è quasi un incubo: a Milano molti dei loro dirigenti vengono arrestati e processati per tangenti. Tutto crolla. Anche il loro settimanale, Il Moderno, diretto da Lodovico Festa e finanziato da alcuni sponsor molto generosi: Silvio Berlusconi, Salvatore Ligresti, Marcellino Gavio, Angelo Simontacchi della Torno costruzioni.
Imprenditori che sostenevano il giornale – secondo i giudici – non “per una valutazione imprenditoriale”, ma “per ingraziarsi la componente migliorista del Pci, che in sede locale aveva influenza politica e poteva tornare utile per la loro attività economica”. Il processo termina nel 1996 con un’assoluzione. Ma poi la Cassazione annulla la sentenza e stabilisce: “Il finanziamento da parte della grande imprenditoria si traduceva in finanziamento illecito al Pci-Pds milanese, corrente migliorista”. La prescrizione porrà comunque fine alla vicenda.
Più complessa la storia dei “miglioristi” di Napoli, che anche qui hanno problemi con il metrò. L’imprenditore Vincenzo Maria Greco, legato al regista dell’operazione, Paolo Cirino Pomicino, nel dicembre 1993 racconta ai pm che nell’affare è coinvolto anche il Pci napoletano: il primo stanziamento da 500 miliardi di lire, nella legge finanziaria, “vide singolarmente l’appoggio anche del Pci”. E lancia una velenosa stoccata contro il leader dei miglioristi: “Pomicino ebbe a dirmi che aveva preso l’impegno con il capogruppo alla Camera del Pci dell’epoca, onorevole Giorgio Napolitano, di permettere un ritorno economico al Pci… Mi spiego: il segretario provinciale del Pci dell’epoca era il dottor Umberto Ranieri, attuale deputato e membro della segreteria nazionale del Pds. Costui era il riferimento a Napoli dell’onorevole Napolitano. Pomicino mi disse che già riceveva somme di denaro dalla società Metronapoli…e che si era impegnato con l’onorevole Napolitano a far pervenire una parte di queste somme da lui ricevute in favore del dottor Ranieri”.
Napolitano, diventato nel frattempo presidente della Camera, viene iscritto nel registro degli indagati: è un atto dovuto, che i pm di Napoli compiono con cautela, secretando il nome e chiudendo tutto in cassaforte. Pomicino, però, smentisce almeno in parte Greco, negando di aver versato soldi di persona a Ranieri e sostenendo di aver saputo delle mazzette ai comunisti dall’ingegner Italo Della Morte, della società Metronapoli, ormai deceduto: “Mi disse che versava contributi anche al Pci. Tutto ciò venne da me messo in rapporto con quanto accaduto durante l’approvazione della legge finanziaria… Il gruppo comunista capitanato da Napolitano ebbe a votare l’approvazione di tale articolo di legge, pur votando contro l’intera legge finanziaria”.
Napolitano reagisce con durezza: “Come ormai è chiaro, da qualche tempo sono bersaglio di ignobili invenzioni e tortuose insinuazioni prive di qualsiasi fondamento. Esse vengono evidentemente da persone interessate a colpirmi per il ruolo istituzionale che ho svolto e che in questo momento sto svolgendo. Valuterò con i miei legali ogni iniziativa a tutela della mia posizione”. Alla fine, l’inchiesta finirà con un’archiviazione per tutti.
Anche Craxi, quasi al termine della sua avventura politica in Italia, aggiungerà una sua personale stoccata a Napolitano. Nel suo interrogatorio al processo Cusani, il 17 dicembre 1993, dirà, sotto forma di domanda retorica: “Come credere che il presidente della Camera, onorevole Giorgio Napolitano, che è stato per molti anni ministro degli Esteri del Pci e aveva rapporti con tutta la nomenklatura comunista dell’Est a partire da quella sovietica, non si fosse mai accorto del grande traffico che avveniva sotto di lui, tra i vari rappresentanti e amministratori del Pci e i paesi dell’Est? Non se n’è mai accorto?”. Fu la brusca fine di un dialogo durato due decenni. E riannodato oggi con la lettera inviata da Napolitano alla moglie dell’antico compagno socialista.

Da Il Fatto Quotidiano del 20 gennaio

Il credo nazionale

“Vedi, Paoletto, tu sei intelligente buono e anche bellino ma furbo non lo sei. Ora ti dico una cosa: il mondo è tondo e chi non sa stare a galla, va a fondo. Hai capito bene? Ricordale. [traffico, infrazioni, clacson, furberie al volante] Aspetta che passo io!”.

E il bambino: “Papà, il semaforo è rosso”. “Hai visto il vigile? No? E allora che ti frega? Fai le corna, fai le corna, bravo così!”.

(Ugo Tognazzi al figlio Ricky ne I nuovi mostri (1963).

Una legge ad personam anche per me (T.Riina)*

Egregio dottor Massimo Fini, le chiedo scusa se mi permetto di rivolgermi a Lei, ma, benché io sia notoriamente religioso e credente, non so più a che santo votarmi. Da anni, anzi da decenni, sono vittima di un “racket dell’odio” che vede uniti certi settori di una magistratura deviata e si può dire l’intera stampa nazionale. Sono oggetto di un “accanimento giudiziario” che non ha precedenti né paralleli nella storia del nostro paese: centinaia di perquisizioni, anche nelle abitazioni dei miei familiari, decine di rinvii a giudizio, di processi, di sentenze senza che potessi beneficiare, almeno una volta, di quella prescrizione che, come Lei certamente sa, oggi non si nega a nessuno.

I magistrati, che quando non sono corrotti sono “antropologicamente dei pazzi” (solo a un individuo che ha delle turbe, probabilmente di origine sessuale, può venire in mente di fare un mestiere che consiste nell’andare a ficcare il naso nei fatti altrui) e i media non hanno avuto riguardo nemmeno per mio figlio, Salvatore, che è un bravissimo ragazzo, che ha fatto studi regolari e si è laureato brillantemente.

Non pretendo che sia nominato sottosegretario agli Esteri, come è accaduto a rampolli di personaggi che più o meno si trovano penalmente nella mia situazione e che oggi vengono doverosamente onorati, ma perlomeno che sia lasciato in pace.

Non intendo, egregio dottor Fini, a differenza di altri, occultare le mie responsabilità. Qui, dalle mie parti, quando ero una persona stimata, rispettata e, diciamolo pure, temuta da tutti (del resto sono convinto che col tempo, che è galantuomo, sarò ricordato dagli amici, e forse anche dai nemici, come un uomo buono) ho chiesto a imprenditori e commercianti quello che da noi si chiama “il pizzo” e al nord “tangente”.

Per la verità non l’ho mai fatto direttamente, alla bisogna provvedevano i miei amici. Potrei quindi anch’io trincerarmi dietro l’argomento che il “non poteva non sapere” è un teorema indegno di uno Stato di diritto. Ma non intendo spingermi fino a questo punto, sarebbe contrario alla mia coscienza morale e al patto di fedeltà che mi lega agli amici. Sapevo, dunque. Ma quanti importanti uomini politici del nord che riscuotevano il “pizzo”, pardon la tangente, si sono salvati mentendo, affermando che non sapevano nulla di quanto accadeva all’interno della loro organizzazione? Che il loro errore era stato solo quello di fidarsi di persone sbagliate? Per me invece questa giustificazione non è stata mai ritenuta valida.

La solita discriminazione ai danni del Mezzogiorno. Aggiungo che non ho cercato di corrompere testimoni in giudizio, che non ho reso falsa testimonianza , che non sono mai stato iscritto alla P2, un’organizzazione peraltro di ciarlatani e di carrieristi ben lontana, mi consenta di dirlo, dal rigore e dalla serietà della mia. Per me sarebbe stata una retrocessione. Infine, benché inseguito da infiniti mandati di cattura, non sono mai scappato dal mio paese. Lo amo troppo, per quanto si sia dimostrato così ingiusto con me.

Lei dice: e gli assassinii? Eh no, io qui mi indigno, mi indigno veramente, sono cose di cui non voglio più nemmeno sentir parlare. Accuse fondate sul niente se non su pregiudizi nei miei confronti, senza lo straccio di una prova che non siano le parole di “pentiti”, di infami, di assassini pronti a tutto pur di sfuggire alla galera. I veri “uomini d’onore”, quelli che, come me, hanno una parola sola, non mi hanno mai accusato di nulla del genere. Hanno tenuto la bocca chiusa.

Il “racket dell’odio” mi accusa anche di aver accumulato enormi ricchezze. Ma tutti hanno potuto vedere in che razza di fetido tugurio, privo di qualsiasi comodità, vivevo quando sono stato ingiustamente arrestato.

Egregio dottor Fini sono vissuto povero e morirò povero. I miei soldi li ho sempre versati all’organizzazione. Dalla mia attività non ho mai tratto guadagni personali. Non ho mai avuto case a New York. Non pretendo per questo che ministri della Repubblica vengano a rendere omaggio alla mia tomba quando sarò morto. Ma che sia riconosciuta la mia onestà personale, questo sì. È un mio diritto.

Le porgo i miei più deferenti saluti.

*testo di fantasia ma verosimile di Massimo Fini

Da Il Fatto Quotidiano del 19 gennaio

19 gennaio: una ricorrenza

Oggi è il 19 gennaio. Una data importante. Giusto ricordare. Giusto valutare l’insieme della storia. Giusto. Il 19 gennaio va ricordato come la giornata di una persona importante.

19 gennaio, magari se Napisan stava zitto era pure meglio. Comunque il 19 gennaio io lo ricordo e lo festeggio.

19 gennaio 1994 nasceva mio figlio Nicola. Auguri Nico!

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Jacqueline Morgenstern

Nel 1939 nel centro di Parigi, al numero 8 di di Rue Beaurepaire – non lontano da Place de la Republique – c’é un grande salone di parrucchieri con 24 posti. Lo gestiscono Karl Morgenstein e suo fratello Leopold. Gli affari vanno bene.
Karl e suo fratello sono arrivati in Francia nel 1928. Provengono da Czernowitz, una cittadina della Bessarabia rumena. Stanchi delle ondate di antigiudaismo che devastano la Romania. Karl – divenuto cittadino francese – si è cambiato nome: non più Karl ma Charles.
Leopold ha portato con se la moglie Dorothea, Charles ha conosciuto una parigina autentica: Suzanne. Charles e Suzanne si sposano e il 26 maggio 1932 nasce una bambina dagli occhi chiari, la chiameranno Jacqueline.
Nel 1940 i tedeschi vincitori arrivano a Parigi. Nel luglio 1943 i due fratelli Morgenstein sono costretti a vendere il loro negozio ad un francese ariano.
Comincia l’incubo. Charles e Suzanne insieme alla piccola Jacqueline riescono a raggiungere Marsiglia nel settembre 1943.
Si sono fabbricati documenti falsi e riescono a nascondersi in Courd Lieuthad 160.

Frattanto, a Parigi, il 18 ottobre 1943 scatta l’operazione Leopold viene arrestato mentre Dorothea e i suoi bambini riescono a nascondersi.
A Marsiglia il 15 maggio 1944 qualcuno denuncia Charles e Suzanne come ebrei alla Gestapo.
morgenstern.jpgLa Gestapo entra in casa a mezzogiorno. Jacqueline è sola, sta facendo i compiti. I poliziotti sono gentili e le chiedono se sa dove si trova sua madre. La caricano in automobile e si fanno condurre dove mamma Suzanne lavora e l’arrestano.
Charles è stato avvertito di ciò che sta accadendo, è fuggito ma vuole vedere sua moglie e sua figlia, sta dall’altra parte della strada e vede Suzanne e Jacqueline che vengono portate via. Jacqueline lo vede, lo riconosce e urla: “Papà!”. Le SS gli sono addosso in un attimo.
Il 20 maggio 1944 Charles, Suzanne e Jacqueline vengono caricati sul convoglio “74”. Con loro ci sono 564 uomini, 630 donne, 191 bambini. All’arrivo ad Auschwitz 732 persone vengono inviate direttamente alle camere a gas. Charles viene internato nel campo maschile, Suzanne e Jacqueline in quello femminile.
Suzanne cercò di far sopravvivere la sua bambina dandole parte delle sue magre razioni ma ciò significò per lei una denutrizione sempre più rapida. Così venne ben presto selezionata ed inviata alle camere a gas.
Charles sopravvisse ancora.
Quando – all’avvicinarsi delle truppe sovietiche – i tedeschi evacuarono Auschwitz venne trasferito a Dachau dove giunse nel gennaio 1945 stanco, affamato, malato.
Era ancora vivo quando gli americani liberarono il campo ma era ridotto ad una larva umana. Morì il 23 maggio 1945 nell’ospedale di Feldafing.

Alla morte della mamma Jacqueline venne inviata nel “Block 10”, la baracca dei bambini. Jacqueline era sola. Tutti i bambini intorno a lei parlavano polacco a parte un bambino di nome Georges, un francese come lei.

segue in: http://www.olokaustos.org/argomenti/bambini/bullen2.htm

Sergio De Simone, anni sette…

La nostra storia potrebbe cominciare da molti luoghi.
Dalla Russia patria di ventiquattro soldati prigionieri, dalla Francia dove un medico candidato al premio Nobel lavorava. Dalla Polonia, dalla Jugoslavia o dalla Germania.
Tra le tante possibilità la nostra storia inizierà in Italia, a Napoli, quartiere Vomero, al numero 8 di Via Scarlatti, il 29 novembre 1937.

Eduardo De Simone e sua moglie Gisella quel giorno sono felici è nato il primo figlio: un maschietto, si chiamerà Sergio.
L’Italia fascista non ha ancora varato leggi razziali, Gisella che è israelita pensa al suo bambino e al futuro che avrà.
Papà Eduardo è in Marina, imbarcato. La guerra è lontana, probabilmente non ci sarà. Gisella è nata a Vrhnika in Jugoslavia e in quel giorno di novembre mentre guarda il suo bambino ha da poco compiuto trentatré anni.
Come si siano conosciuti Eduardo e Gisella non sappiamo. Forse Eduardo era arrivato a Fiume per lavoro, forse aveva visto quella bella ragazza durante una passeggiata in una giornata di riposo. Gisella viveva lì a Fiume e forse incontrò per la prima volta Eduardo mentre passeggiava con Mira e Sonia le sue due sorelle o mentre teneva per mano il fratellino Giuseppe. Probabilmente quando Gisella decise di parlare di Eduardo ai suoi genitori il padre Mario Perlow avrà scosso la testa, avrà pensato che il matrimonio con un ragazzo napoletano avrebbe allontanato da sé la figlia. Forse avrà incrociato con lo sguardo quello di sua moglie Rosa per capire cosa ne pensasse.
In fondo non ha molta importanza sapere come Eduardo conobbe Gisella. Di certo sappiamo che quando si sposarono Gisella se ne andò con Eduardo a Napoli, in un’altra città di mare come Fiume. Certamente quel 29 novembre 1937 Eduardo telegrafò a Fiume per far conoscere la buona notizia ai nonni, alle zie, allo giovane zio.

desimone.jpgMentre Sergio si fa grande il mondo comincia a bruciare.
Nel settembre 1939 i giornali annunciano che la Germania è entrata in guerra. Il 10 giugno 1940 anche l’Italia fascista entra nel conflitto.
Eduardo è sempre più spesso lontano come tanti, come tutti. In quasi tre anni di guerra la vita si è fatta sempre più difficile. Napoli subirà pesantissimi bombardamenti: quasi 10.000 mila case cadranno sotto le bombe. Ed è forse per paura degli aerei Alleati, forse perché si sente sola Gisella decide di trovare rifugio a Fiume che le sembra più sicura, che le sembra più lontana dal fronte che dopo lo sbarco americano in Sicilia si avvicina sempre di più.
Così Gisella e il piccolo Sergio raggiungono Fiume.

L’8 settembre del 1943 l’Italia firma l’armistizio con gli Alleati, mentre il generale Badoglio annunzia che “la guerra continua”, a Fiume cambiano molte cose.
I tedeschi occupano l’Italia, ne strappano ampie zone, le pongono sotto la sovranità del Reich. Fiume entra a far parte dell’Adriatische Kusterland.
Arrivano nuovi padroni. Arriva Odilo Globocnik e tutti gli uomini che hanno prima gasato migliaia di disabili tedeschi nel quadro del progetto eutanasia e che poi, hanno costruito Treblinka, Sobibor, Belzec. Arrivano a Trieste e Fiume gli uomini che hanno mandato nelle camere a gas quasi un milione e mezzo di ebrei.
Arrivano e la caccia agli ebrei si apre.

Gisella e Sergio non tardano a cadere nella rete. Il 21 marzo 1944 le SS fanno irruzione nell’appartamento dei Perlow in via Milano 17 arrestano Gisella, Sergio, le zie Mira e Sonia, lo zio Giuseppe.
Tutti sono portati al campo di concentramento di San Sabba. Il tempo di una giornata ed il 29 marzo vengono fatti salire sul convoglio T25: destinazione Auschwitz.
Quel treno attraversò l’Europa in quell’inizio di primavera, dopo centinaia di chilometri entrò nel campo di Auschwitz. Erano trascorsi 6 giorni di viaggio.
Centotre maschi vengono inviati subito alle camere a gas, i rimanenti 29 vengono marchiati sul braccio con i numeri dal 179587 al 179615. Cinquantatré donne – tra le quali Gisella, Mira e Sonia – vengono marchiate con i numeri dal 75460 al 76512.
Da questo momento Sergio diventa il prigioniero A 179614. Per un poco viene lasciato con sua madre poi, il 14 maggio 1944, il dottor Josef Mengele seleziona Sergio lo sottopone ad esami del sangue e lo fa operare alle tonsille.
Insieme con lui vengono selezionati altri 19 bambini: 9 maschi e 10 femmine.
Il documento che riporta questa attività di Mengele sfugge miracolosamente alla distruzione degli archivi. Rappresenta l’unico documento ufficiale della tragedia che sta per accadere.

Sergio è solo. Lo portano al Block 10, la “Baracca dei bambini”.

segue in: http://www.olokaustos.org/argomenti/bambini/bullen1.htm

Lo chiamavano Moshè lo Shammash…

Lo chiamavano Moshè lo Shammash*, come se dalla vita non avesse avuto un cognome. Era il factotum di una sinagoga chassidica. Gli ebrei di Sighet-questa piccola città della Transilvania dove ho trascorso la mia infanzia-gli volevano molto bene. era molto povero e viveva miseramente. Di solito gli abitanti della mia città, anche se aiutavano i poveri, non è che li amavano tanto: Moshè lo Shammash faceva eccezione. Non dava fastidio a nessuno, la sua presenza non disturbava nessuno. Era diventato maestro nell’arte di farsi insignificante, di rendersi invisibile.

Fisicamente aveva la goffagine di un clown, e suscitava il sorriso con quella timidità da orfano. Io amavo quesi suoi grandi occhi sognanti perdti nella lontananza. Parlava poco. Cantava, o meglio canticchiava. Le criciole che si potevno cogliere parlavano della sofferenza della Divinità, dell’Esilio della Provvidenza, che, secondo la Cabala, attendeva la Sua liberazione in quella dell’uomo. (segue)

*in ebraico: inserviente

(E.Wiesel, La notte, Giuntina 1980, pag.11)

Domenica 24 gennaio, Sinagoga di via dell’Aquila, ore 15,30 Lettura integrale.