Che tristezza quegli outlet (Aldo Cazzullo)

La coda dei milanesi all’outlet di Serravalle, dove i saldi non erano ancora iniziati, con il centro di Milano semideserto tranne corso Buenos Aires e via Montenapoleone, dove i saldi c’erano già, è un dato che va oltre la cronaca. Segna la definitiva trasformazione del centro commerciale in piazza, città, posto non solo di commercio, ma anche di incontro. Non ha più senso chiamarli «non luoghi». Non sono spazi artificiali dove non si depositano memoria e identità. Sono, soprattutto per i giovani, ma ormai pure per le famiglie, i nuovi luoghi della vita, che stanno sostituendo quelli — appunto il centro storico, la piazza, il paese; ma anche la chiesa, lo stadio, il cinema — dove i nostri padri per secoli si sono conosciuti, parlati, amati, magari imbrogliati.

Non a caso, da Fidenza a Valmontone, da Noventa Piave a Mantova, i centri commerciali che hanno fatto i migliori affari d’inizio 2010 si chiamano outlet. Non a caso, sono costruiti come paesi finti, come borghi medievali posticci, con le mura, le porte, le fontane e le botteghe, dove portare il cane a passeggio, i bambini a giocare, e la moglie (o il marito) a prendere con 99 euro il maglione di cachemire che fino a qualche giorno fa in centro ne costava 400. Outlet, che in inglese vuol dire tutt’altra cosa, è parola-chiave dell’Italia di oggi. Non indica solo il centro commerciale divenuto città nuova. È metafora della svendita. Simboleggia la mercificazione dei valori. Può significare il degrado dei rapporti umani, un tempo in cui tutto può essere comprato e venduto, con la rapidità di chi considera la conversazione una perdita di tempo e la cortesia un segno di debolezza.

Non è detto però che questa profonda trasformazione sia negativa. Certo coincide con una perdita. La piazza è un tratto distintivo della nostra civiltà: non esiste nella cultura araba, dove la città prende forma attorno al commercio e i suq sono centro commerciale ante- litteram; né in quella americana, dove i «mall» sono da sempre passatempo preferito e primo luogo di aggregazione. Ma serve davvero a poco rimpiangere il buon tempo andato; anche se va tenuto a mente che i denari spesi nel negozietto sotto casa restano all’interno della comunità anziché finire alle multinazionali. Né è utile ripeterci che le città italiane sono le più belle del mondo; il che è vero, ma dovrebbe essere uno sprone più che una consolazione. Serve di più rendere i centri storici «competitivi» con i centri commerciali: sicuri, facili da raggiungere, attraenti anche il tardo pomeriggio e la sera, grazie a quelle ricchezze — l’arte, la musica, il teatro, financo la preghiera—che nelle nostre città si forgiano da secoli, e che gli outlet (a Serravalle suonano cantautori e jazzisti, a Roma Est la domenica si celebra la messa) possono al più riprodurre. I segnali di vita non mancano. La Bocconi e le vie attorno, la sera dopo il pacco-bomba del 16 dicembre, erano piene di giovani per l’inaugurazione di una mostra. Venezia discute su come salvare le sue botteghe. I commercianti della capitale pensano a saldi più frequenti, a ogni fine stagione. E forse riusciranno anche a risolvere il giallo del maglione di cachemire che ieri costava 400 euro e oggi 99.

http://www.corriere.it/editoriali/10_gennaio_05/editoriale-cazzullo-outlet_eba0a252-f9c2-11de-ad79-00144f02aabe.shtml

Inverno (F.De Andrè)

DSCN3358.web.jpgSale la nebbia sui prati bianchi
come un cipresso nei camposanti
un campanile che non sembra vero
segna il confine fra la terra e il cielo.

Ma tu che vai, ma tu rimani
vedrai la neve se ne andrà domani
rifioriranno le gioie passate
col vento caldo di un’altra estate.

Anche la luce sembra morire
nell’ombra incerta di un divenire
dove anche l’alba diventa sera
e i volti sembrano teschi di cera.

Ma tu che vai, ma tu rimani
anche la neve morirà domani
l’amore ancora ci passerà vicino
nella stagione del biancospino.

La terra stanca sotto la neve
dorme il silenzio di un sonno greve
l’inverno raccoglie la sua fatica
di mille secoli, da un’alba antica.

Ma tu che stai, perché rimani?
Un altro inverno tornerà domani
cadrà altra neve a consolare i campi
cadrà altra neve sui camposanti.

Assalto agli outlet (Giuseppe Caliceti)

Assalto agli outlet (Giuseppe Caliceti)

Boretto ore 9, è il 2 gennaio, le porte automatiche di Diffusione tessile si aprono, una marea di donne di ogni età e provenienza entra assatanata nel negozio. Insieme a loro un dieci per cento di maschi dai trenta ai sessant’anni. Io per questa impresa mirabolante sono stato arruolato mesi fa dalla giovane donna che accompagno. Iniziano i saldi, non possiamo lasciarceli scappare. Specie in tempo di crisi.
Inizio a rincorrere la giovane donna da uno scaffale all’altro. Le mie braccia iniziano a riempirsi di abiti. Il mio ruolo è semplice: l’uomo-attaccapanni. Anche gli altri uomini dentro al negozio fanno lo stesso. Gli uomini-attaccapanni rincorrono le loro donne-salvadanaio da uno scaffale all’altro dell’immenso negozio. Le donne palpano i tessuti, passano in rassegna i capi di abbigliamento. Mi metto ad ascoltare le coppie accanto. Lui: “Ma quanti ne prendi?” Lei: “Ma adesso li provo e poi scelgo”. Lui: “Ma non dovevamo risparmiare?” Lei: “Se non è risparmio questo! Costava 400 euro e adesso è a 190”. Lui: “Ma sono sempre 190!”.
Intanto anche le mie braccia si riempiono di abiti, giacche, sciarpe, borsette. E’ arrivato il momento della prova abiti anche per la mia giovane donna. Naturalmente tutti i camerini a disposizione sono occupati. Mi metto vicino ad uno in attesa che si liberi. Mi guardo attorno. Ci sono ragazze senza uomo-attaccapanni al seguito che si mettono addirittura in reggiseno, pur di provarsi camicie e maglioni. Altre avventurose e intrepide mamme che si sono portate dietro carrozzine sgommanti e pupi addormentati da ore. Sono sempre lì ad aspettare che un camerino si liberi. Una signora chiama una commessa e si lamenta perché c’è un’altra signora che ha messo a guardia del camerino suo marito e lei va e viene a far prove vestito.
Finalmente si libera un camerino. Mi avvento. La mia giovane donna si inizia a provare i capi d’abbigliamento selezionati. L’operazione dura un’ora. Al termine si portano i capi scelti alla cassa e lei riprende a girare tra gli scaffali come un barracuda affamato. Io sono stremato. Chiedo di fare una pausa. Alla toilette dei maschi c’è la fila, invece a quella delle donne non c’è stranamente nessuno. Mi metto in turno, aspetto. Torno sul campo di battaglia e continuo a fare l’uomo-attaccapanni. Mi metto ancora a caccia di un camerino. Portiamo un cappotto alla cassa. Ci sono file più lunghe che all’ipercoop alla chiusura.
Chiedo un’altra pausa. Esco all’esterno del negozio a fumare. Di nuovo solo uomini. Uno, sui cinquanta, dice a un altro: “Nella buona e nella cattiva sorte. Compreso a Boretto all’apertura dei saldi”. Tutti hanno la faccia un po’ lunga come me. C’è chi ha detto che la pornografia è per gli uomini quello che sono i cartoni animati per i bambini. Beh, a Boretto ci sono i cartoni animati per le donne. Le guardo in faccia: hanno tutte disegnate addosso un’aria soddisfatta, quella di chi sa di aver fatto un grande affare.
Tre ore, quattro ore. Finisco il pacchetto di sigarette. Torno in bagno. Mi metto in fila per le casse mentre la mia giovane donna sfreccia per gli scaffali per essere sicura di non essersi dimenticata nulla. Sciarpe? Guanti? Cinture? Altri accessori vari? Esco da Diffusione tessile come Babbo Natale. Carico tutto in auto. Accendo il motore. La giovane donna mi chiede: “E gli altri negozi non li guardiamo?”.

http://www.reggio24ore.com/Sezione.jsp?titolo=Saldi&idSezione=9190

Le parole e il loro senso

“Stabilire che l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro non significa assolutamente nulla. La riforma della Costituzione non dovrà riguardare solo la seconda parte della Carta ma anche la prima. A partire dall’articolo 1 Renato Brunetta, ministro, 2 gennaio 2010

Le parole hanno un senso, prima si corrompono le parole e poi le idee. Ma come stupirsene in questi tempi stercorari? Spezzo una lancia a favore di brunetta-gridolo: dicevano gli antichi oportet ut scandala eveniant, è bene che le cose (anche quelle che danno scandalo) vengano fuori, il re è nudo da tanto tempo solo che ci vogliono convincere che nudo-è-bello. Cambiamo l’art.1 della Costituzione? Perchè no? Questo è quello che pensano LORO e gridolo l’ha detto. Tutto qui. Del resto cosa c’è di meno valorizzato, di più insultato oggi del lavoro? Diceva la mia mamma: “O si lavora o si fanno i soldi…”, quindi stiamo ancora a credere a queste favole da bravi ragazzi? Nella Francia di Luigi Filippo si diceva “arricchitevi!” Questo il nuovo credo. Arricchirsi, comunque e dovunque. Il lavoro? A prescindere.

Poi, però, cosa scriveranno all’art.1 della nuova costituzione del Regno dei Birboni? L’Italia è una repubblica monarchica fondata su..i favori? I nostri comodi? La concorrenza sleale? La truffa? Le cosce di una velina? O ascoltiamo quelli della leeegha e la fondiamo su dio (il loro), la pelle bianca, i baffi di Alberto da Giussano? La discussione è aperta.

Riflessione: qualche bello spirito dei “nostri” vorrebbe sedersi al tavolo per negoziare riforme con questa gente?

Ancora sulle parole. Modesta proposta. Aboliamo il termine extracomunitario! Per favore! Come possiamo lavorare per l’integrazione se già marchiamo l’altro dicendogli che lui è “fuori”? Salvo, per rigore, chiamare così anche gli statunitensi, gli svizzeri, etc..Usiamo altri termini: “migrante” se volete, passi anche “immigrato” ma non usiamo più quell’extra. Anzi no, io lo userei in un altro caso, proprio per quelli della leegha. Loro sono “extraculturali”, fuori dalla nostra cultura, dalle nostre tradizioni (quelle vere), dalla nostra storia. Sono fuori. Sia chiaro. Grazie.

Ancora sull’esule…

Torniamo all’esule, pardon al ladro (singolarmente rilevo l’assonanza fra leader e lèder) di Hammamet. Chi ha avuto la forza di vedere 14.30 di L.Annunziata oggi magari qualche pensierino se l’è fatto. Massimo rispetto umano per Stefania Craxi (come figlia), ma sentire le stesse cose (e giustamente Annunziata questo sottolineava) ripetute per craxi allora, oggi per il vecchio satiro incerottato qualcosa vorrà dire. Il complotto dei comunisti, della magistratura, dei giudici, etc…ma soprattutto il diritto ad essere supra legem allora di craxi come oggi del nostro bel tomo.

E sempre si discute rimuovendo i fatti, che sono, a parte le sentenze, un bel pezzo della storia d’Italia degli anni ottanta. Leggete il pezzo di Guido Crainz oggi su Repubblica (Il segno di Craxi sugli anni ottanta) per una salutare rinfrescata di idee. In particolare quando racconta quando il Censis iniziò a segnalare “crescenti fenomeni di <società incivile>”, le sempre più diffuse tendenze della politica <ad usare il pubblico come strumento di interessi privati>” e concludeva: “Una società che si sente non governata…finisce per esprimere al proprio interno una specie di dislocazione selvaggia, particolaristica e furbastra dei poteri e delle decisioni…in cui tutto c’è tranne moralità collettiva, coscienza civile, senso delle istituzioni, rispetto delle regole del gioco statuale”.

Conclude Crainz: “Molta parte della successiva storia d’Italia è inscritta in queste brevi righe, e su di esse sarebbe bene riflettere anche oggi. Sempre pensando all’oggi, non stupisce che si pensi di indicare ai cittadini come esempio, dedicandogli una via o un parco, un leader politico che si è sottratto alla magistratura e alle istituzioni di un Paese che aveva governato. Una via o un parco della città che più di altre vide quell’affermarsi della corruzione pubblica come sistema di cui Bettino Craxi non su solo un marginale e quasi incolpevole comprimario.

Ah, dimenticavo la chicca: volevate che mancasse in un’affare sporco il nostro Aureliano Buendia di Gallipoli? Riferisce la figlia dell’esule: “Un’ora dopo la morte di mio padre, telefonò D’Alema [all’epoca primo ministro], offrendo i funerali di Stato!” Chapeau!

Per rinfrescarsi le idee: http://www.manipulite.it/travaglio_cronistoria.php

http://dailymotion.virgilio.it/video/x39ic5_marco-travaglio-contro-la-leggendar_news

Oggi su Il Giornale:

Una via Craxi? Non scelgono gli ex pm

Sergio Rotondo

(…) Ma Milano no, non può farlo. Milano, la città dove Bettino Craxi è nato e si è formato politicamente, no non deve farlo. E, guarda caso, i più feroci oppositori dell’iniziativa lanciata dalla Moratti nelle ultime ore del 2009 sono tra i protagonisti di Mani pulite: l’ex pm, ora leader dell’Italia dei Valori, Antonio Di Pietro, e l’ex procuratore capo di Milano Francesco Saverio Borrelli.
Sprezzanti e durissime le loro dichiarazioni: «Indecoroso e offensivo dedicare una strada a chi è morto da latitante» ha detto Borrelli. «Facciamola questa piazza Bettino Craxi, ma sotto il nome, come in tutte le targhe, scriviamo politico, corrotto, latitante» ha detto Di Pietro. Ma, tutto sommato, dichiarazioni comprensibili. Dedicare una via o un parco a Bettino Craxi vorrebbe infatti dire archiviare definitivamente Mani pulite, mettere una pietra tombale sulla rivoluzione giudiziaria. Logico che chi di quel ribaltone politico è stato artefice opponga resistenza. Del resto non fu proprio Francesco Saverio Borelli, divenuto nel frattempo Procuratore generale di Milano, a lanciare nel 2002 il famoso «resistere, resistere, resistere» contro le proposte di riforma della giustizia del governo Berlusconi?
Non solo. Una via dedicata a Craxi potrebbe favorire un dibattito serio, storico, non più politico e quindi fazioso, proprio su Mani pulite. Decantandone i meriti, che indubbiamente ci sono stati, ma anche mettendo in risalto, una volta per tutte, le zone d’ombra che, altrettanto indubbiamente, ci furono. I metodi, la «selezione» dei partiti e dei politici da mettere alla gogna, l’uso della stampa per amplificare al massimo ogni mossa del pool alla faccia del segreto istruttorio. No, non si può permettere una revisione storica di quel periodo soprattutto ora che è in atto il tentativo di una seconda rivoluzione politica per via giudiziaria.
Ma una città come Milano non può consentire che le sue scelte siano condizionate da ex magistrati. Perciò mi auguro che la Moratti abbia il coraggio di andare avanti, di portare la sua decisione in giunta e in consiglio. Tocca a lei, agli assessori e ai consiglieri di Palazzo Marino decidere se è il caso di dedicare una via, un parco, una statua a Bettino Craxi. Non ad Antonio Di Pietro, non a Francesco Saverio Borrelli.

Omelie, coscienze e narcisi

Omelie

In una famosa campagna elettorale si è improvvisato premier-operaio, per l’inaugurazione dell’Alta velocità ha vestito i panni del premier-ferroviere, nella vita reale fa il premier-tycoon. Ma è stato a Natale che Silvio Berlusconi ha raggiunto il massimo, grazie alla “solerzia” del sindaco di Messina, da lui chiamato il 25 dicembre, durante la messa, per avere informazioni sugli sfollati di Giampilieri.
Il primo cittadino della città siciliana, preso dall’eccitazione per quella telefonata, è salito sull’altare e ha appoggiato il cellulare al microfono. Così i fedeli hanno potuto ascoltare Berlusconi e Berlusconi ha potuto giocare al premier-parroco. Che dire?

1 – E’ inopportuno tenere il cellulare acceso durante la messa.
2 – Ovviamente era tutto accuratamente preparato prima.
3 – Anche il sacerdote la cui omelia è stata interrotta era al corrente della “sorpresa” organizzata.

Noi diremmo sicuramente la uno e la due…sulla tre ci riserviamo il beneficio del dubbio.

Narcisi

E’ un classico dei giochi tra maschietti. Paola Concia, deputata Pd eletta a Bari, lo spiega in modo assai brutale ma molto efficace: <E’ uno scontro per chi ce l’ha più lungo>. I maschietti coinvolti in questo gioco “sempreverde” sono Nichi Vendola, governatore della Puglia e Michele Emiliano, sindaco di Bari.
Se poi questa lotta per un centimetro in più procura molti voti in meno al Pd e alla sinistra in genere, chissene. L’importante è stabilire chi comanda tra i due. Chiunque vinca, però, avrà le stellette ma non le truppe, che nel frattempo si sono stufate di questo duello tra narcisi.

Coscienza all’asta

La deputata teodem romana Paola Binetti, nel Pd in quota Opus Dei, è in crisi da astinenza mediatica visto che da un po’ non si parla di questioni etiche.
E si esercita nel fare sondaggi sulla sua coscienza politica e si dà da sola delle percentuali: “Al 40 per cento passo con Rutelli, al 60 resto nel Pd”. Intanto, quale parte si è già convinta ad andarsene (la testa? i piedi? il cilicio?) e quale è determinata a restare? Starà forse rispondendo al precetto evangelico “non sappia la mano destra quello che fa la sinistra”?

http://politicamentescorrette.corriere.it/

Reggio, Europa?

E’ difficile parlare del cortile di casa propria, sia perchè “tengo famiglia” (e so, per esperienza, che non è bello trovarsi licenziato su due piedi) sia perchè si finisce, inevitabilmente, per perdere la prospettiva delle cose come per un miope che guardi le cose ad un palmo dal naso. Eppure si può tacere, far finta, o nascondersi dietro alla solidarietà di schieramento? Incontri amici, collaboratori, persone di valore e da tutti la delusione, l’irritazione, la frustrazione ormai al limite del rassegnato, viste certe situazioni. “Tanto ormai non c’è niente da fare” è quello che mi sento dire. E sono tutte persone di grande preparazione, che hanno studiato, si sono specializzate e che trovano, molto spesso, ampi riconoscimenti fuori dalle patrie mura. Ma a Reggio ormai la cultura sembra ridotta ad un fantasma, la nostra città sembra vivere un ritorno al passato di qualche secolo, il Principe decide e l’artista (di corte) corre, esegue, plaude. Nessuna discussione, nessuno spazio per altro che non sia il piacere del Principe che lo dispensa, bontà sua, ad una indistinta folla di popolo plebeo e ignorante, incapace, ahi lui, di comprendere di vivere nel migliore dei mondi possibili. Di fronte all’affanno delle istituzioni culturali in difficoltà nella loro quotidiana attività si indirizzano risorse ingenti all’effimero senza accorgersi che proprio l’Europa ci testimonia di come siano proprio le istituzioni il perno centrale nella costruzione di progetti culturali di ampio respiro. Sono i Musei, gli Archivi, le Biblioteche a fondare, singolarmente, ma soprattutto lavorando in rete, una maturità culturale diffusa che è il presupposto di un senso condiviso di cittadinanza, salvaguardando un patrimonio di memoria destinato, altrimenti, alla dispersione. Come in una famiglia  il buon padre pensa al sostentamento di ogni giorno e, poi, semai, alle vacanze estive, così nella progettazione culturale come pensare allo “straordinario” quando la quotidianità non è non solo garantita ma neppure tutelata? Come pensare che il piacere del Principe possa rappresentare la complessità di una intera comunità? Le risorse destinate alla cultura, alla formazione, non sono spese, sono investimenti per il futuro. Ma chi, potendo scegliere, ai propri figli non lascerebbe una casa piuttosto che un qualche CD con gli ultimi videogiochi?

Per venire al mio modesto cortile, come pensare che di fronte al giacimento archivistico di maggior rilevanza per la storia e la memoria della comunità reggiana nel secolo scorso (le “Reggiane”) si possa rispondere con la classica alzata di spalle, a dire “chissene…”? Roba vecchia…O di fronte alla mole di patrimoni documentari messi in salvo in questi anni deliberare gli ennesimi tagli “perchè il bilancio lo impone”, quando il “caso reggiano” (economico, sociale, politico) è oggetto di interesse e studio non solo in sede nazionale ma anche appunto, europea? Sì, perchè in Europa ci andiamo tutti, con gli occhi aperti e ben svegli. Anche noi, piccoli, vecchi  polverosi storici di provincia, forse incapaci di godere le fortune che la nostra Reggio ogni giorno ci dispensa ma capaci ancora di capire che la distanza fra noi e l’Europa, appunto, si sta dilatando, giorno per giorno.

“Libertà di parola? Intendiamoci: la libertà di parola non significa poter dire quello che si vuole, anche sotto Stalin potevi farlo. Libertà di parola significa poter dire quello che si vuole e non aver paura se qualcuno, un mattino, bussa forte alla tua porta”(J.Siffert)


Le scarpe nuove (C.De Gregorio)

L’anno scorso di questi tempi facevamo i conti con l’onda d’urto della più grave crisi economica degli ultimi decenni. La grande illusione di un’economia cresciuta non sul moltiplicarsi e sull’equo distribuirsi dei beni, ma sulla speculazione finanziaria finiva chiusa nei cartoni dei manager di Manhattan costretti a lasciare uffici in disarmo. La fine di un lungo ciclo che dagli anni Ottanta in poi aveva accelerato la corsa a far soldi coi soldi o almeno con la promessa che venissero.

Ci saremmo aspettati, avremmo avuto bisogno, dell’ingegno delle migliori menti, delle energie più fresche, della piu saggia lungimiranza per rifondare un nuovo inizio. Non la ripresa dei consumi, non solo. Prima di tutto un progetto per la produzione e il lavoro, un disegno di lungo periodo che desse agli italiani un orizzonte di certezze. Abbiamo avuto invece la social card. Molta propaganda e qualche briciola che i nostri lettori (e noi con loro) giudicarono subito farraginosa e sostanzialmente inutile. È stata infatti usata pochissimo. I poveri sono rimasti poveri e molti altri lo sono diventati. Abbiamo avuto insieme la stagione politica più desolante e grottesca che potessimo immaginare. Gesta da fine impero, titolammo non molto tempo fa quando il capo del governo, travolto dal suo privato stile di vita, rese esplicita una vocazione imperiale del tutto inadeguata ai tempi, al luogo e persino al suo stesso enorme potere.

È stato un anno di bulli e pupe mentre l’Italia scivolava all’indietro perdendo quantità e qualità nel lavoro, la scuola, la salute, la capacità di integrarsi e di progettare il futuro. Un anno di prove di forza giocando a chi e più furbo, più svelto a scappare e a sfruttare l’onda. La minorenne Noemi, le origini della cui amicizia col premier sono tuttora ufficialmente ignote, viaggia ormai maggiorenne verso un futuro da modella, Patrizia D’Addario ha scritto un libro. Fabrizio Corona è stato condannato in un’aula in cui si è presentato a torso nudo dicendo, in sostanza, così fan tutti ma pago solo io. La transessuale Brenda è morta in circostanze misteriose. Storie di sesso e ricatti, sesso comunque sempre a pagamento, hanno tenuto banco sui giornali. Il ministro Alfano ha visto naufragare il suo lodo salva premier, ma non è detta l’ultima. Il pentito Spatuzza ha raccontato con chi la mafia avesse rapporti, ma hanno fatto tutti finta di scambiare un Graviano per l’altro, la pratica per il momento è chiusa. Gli operai sono saliti sulle gru, così almeno qualcuno si è accorto di loro. Una moltitudine di giovani è scesa in strada vestita di viola. Molti altri si arrangiano, espatriano quelli che possono. Chi resta, noi che restiamo, speriamo che lo show sia finito e lavoriamo per questo. Ostinandoci a credere nella ragione, nell’onestà d’intenti, nella giustizia, nella capacita di reagire di un popolo che sa farlo. E nella crescita di un’opposizione ancora inadeguata, divisa e incapace di indicare una rotta che somigli a una speranza. Serve uno scatto di reni in questa corsa, un indice puntato a indicare a tutti l’orizzonte. Il 2010 è l’anno. Forza, mettete le scarpe nuove e andiamo. Sarà una bella maratona se la corriamo insieme.
http://concita.blog.unita.it//Le_scarpe_nuove_869.shtml