Una nuova casa per Pound (B.Sebaste)

Si chiama Casa Pound il centro sociale neofascista (sembra un ossìmoro) occupato a Roma dal 2003 in una via del quartiere Esquilino, il più multietnico della capitale. La notizia è che anche Parma, città di storico e conclamato antifascismo, ha ora una «Casa Pound». Alla protesta di molti abitanti (che segnalano anche episodi di violenza) si aggiunge un appello che non si limita a condannare, ma analizza la capacità di attrazione di questa presenza neofascista verso giovani di diversa estrazione sociale, cui propone «un’identità politica semplice e comunitaria, contrapposta a chi ne minerebbe i valori» – immigrati, zingari, barboni, omosessuali, ebrei, musulmani, comunisti… Insomma, quel senso comune nazista che fa il successo della Lega Nord, o quello dei patrioti dell’America profonda che, licenziati dalle fabbriche, issano striscioni contro l’aborto e per la guerra in Iraq. Ora, a parte l’ovvia condanna alla violenza e al fascismo, da tempo penso al nome che questi giovani hanno scelto di indossare: casa Pound. Lo hanno mai letto? Dico: il poeta Ezra Pound. A 18 anni divorai i suoi Canti Pisani (poema intrecciato come una ragnatela di lingue e di culture), poi la traduzione che egli fece con Ernst Fenollosa delle poesie cinesi: sublimi. Perché non fare (a Parma, a Roma) una lettura pubblica dei bellissimi Cantos, un reading collettivo di versi di Pound, così intimamente, palesemente agli antipodi delle idee fasciste, che ispirarono la poesia di Allen Ginsberg e la beat generation. Un fascista (come un leghista) non sa nulla di poesia: poesia è apertura, differenza, alterità, liberazione; è migrazione e mescolanza di generi, lingue, corpi, identità. Come il mercato di cibo e spezie di Piazza Vittorio, per es., cuore dell’Esquilino («da tanta bellezza qualcosa ha da nascere» – «Le nuvole di Pisa», The Pisan Cantos, Ezra Pound).

http://www.unita.it/news/beppe_sebaste/94733/una_nuova_casa_per_pound

Bologna e sindaci “rossi”, una crisi che viene da lontano

di Valerio Evangelisti, da il manifesto, 27 gennaio 2010

Un poeta bolognese dei primi del Novecento, Olindo Guerrini in arte Lorenzo Stecchetti, scrisse dei versi intitolati Primo Maggio. Vi si descriveva la marcia lenta, solenne e silenziosa di un corteo di operai. «Toccandosi le mani ognun di loro / cerca il vicin chi sia. / Se i calli suoi non vi segnò il lavoro, / quella è una man di spia».

Senza rimpiangere (ma un poco sì) l’intransigenza dei socialisti di epoca prefascista, fama meritata di onestà a tutta prova ebbero anche i sindaci comunisti del dopoguerra. Io nacqui al tempo di Giuseppe Dozza, magari stalinista, però uomo tutto d’un pezzo, che ancora appariva in pubblico con un fazzoletto rosso al collo.

Un mito d’uomo, tanto che mio padre, pur lontano dal Pci (era socialdemocratico), lo ammirava senza riserve. Ugualmente limpidi sotto il profilo morale furono i successori di Dozza: Guido Fanti, Renato Zangheri, Renzo Imbeni – uno dei sindaci migliori che abbia avuto la mia città. Persino Zangheri, che combattei nelle strade nel ’77, era dal punto di vista personale di un’onestà ineccepibile. Nessuno avrebbe seriamente immaginato che lo slogan settantasettino «Bologna è rossa/è rossa di vergogna» potesse essere riferito, di lì a trent’anni, ai comportamenti del suo sindaco.

Il fatto è che il Pci, con gli anni Ottanta e ben prima dell’ ’89, iniziò a rompere silenziosamente con la propria tradizione. Gran parte della sua base era transitata dalle classi subalterne al ceto medio, con vocazione prevalentemente commerciale, e in parallelo era cambiata l’ideologia di cui era stata portatrice. Avanguardia della trasformazione fu forse la Lega delle Cooperative, passata a un modello compiutamente capitalistico che poco conservava di “alternativo”; seguirono a ruota tutte le altre istituzioni informali o formali cui il movimento operaio aveva dato vita.

L’elogio smodato della piccola impresa diventò, sic et simpliciter, elogio dell’esistente. Ciò condusse all’amministrazione del sindaco Walter Vitali, pronta a tutte le privatizzazioni in campo ospedaliero e scolastico, e alla mano dura contro gli immigrati che avevano osato occupare (nel senso di entrare e restarvi) la basilica di San Petronio. Fu scandaloso vedere il Gabibbo accorrere in soccorso di poveracci ricoverati dal Comune, dopo lo sgombero, in un edificio scolastico abbandonato: una spelonca sporca, fredda e fatiscente.

Dopo la pausa politica di Guazzaloca, vincitore grazie all’avversione che il suo predecessore era riuscito a suscitare, Cofferati si incaricò di portare a termine il lavoro avviato da Vitali. Politiche tutte incentrate sull’ordine pubblico, misure proibizionistiche, guerra ai nomadi e ai poveracci, chiusura di centri sociali, semi-militarizzazione dei vigili urbani, ecc. Fino al divieto di costruire una moschea in un quartiere periferico. Ciò rispondeva al profilo di un partito che ormai si era sfaldato. Nei suoi ranghi rimaneva un pugno di militanti «usi a obbedir tacendo», ammiratori di D’Alema perché ha i baffi come Stalin, e segretamente convinti che i programmi neoliberisti del Pd siano una raffinata mossa tattica in direzione del comunismo.

Accanto a costoro, però, stavano prendendo posto nuovi rampanti usi più ai salotti che alle riunioni di sezione, al richiamo dei vip che ai volantinaggi. Esattamente come il Psi negli anni di Craxi (ritenuto da Fassino e altri una specie di modello). Poco interessati, di conseguenza, alla cosiddetta «questione morale». Ideologia comune? Nessuna ideologia, salvo l’avversione nei confronti della volgarità berlusconiana, troppo plebea e sguaiata per i loro gusti raffinati.

Nemmeno Vitali e Cofferati, specchio delle diverse fasi di una trasformazione di base, furono attaccabili sul piano della condotta personale. Perché si arrivasse a questo era necessario che il partito (intendo il Pci-Pds-Ds-Pd) perdesse gli ultimi brandelli di coerenza, scoprisse i benefici dell’atlantismo e delle guerre umanitarie, i valori di mercato, l’utilità delle privatizzazioni a oltranza, la consonanza – a fini elettorali – con forze politiche popolate da personaggi collusi con la mafia, oppure fautrici di un ultraliberismo di stampo reaganiano e capaci di proporre lo scioglimento dei sindacati. A quel punto, con un partito ormai privo di organizzazione e di tenuta ideologica, quale fu il Psi di Craxi al tempo «dei nani e delle ballerine» (forma organizzativa attualmente chiamata «primarie», come surrogato della democrazia interna), c’era spazio per ogni avventura.

L’ultima di esse: candidare a sindaco Delbono. Non so se colpevole o innocente (spero nella seconda ipotesi), ma comunque, a differenza dei suoi predecessori, sospettabile di corruzione. Meno incattivito – nel suo breve mandato – nella persecuzione delle minoranze, etniche o politiche, di quanto lo fosse Cofferati, ma subito impegnato nel licenziamento di centinaia di precari e nel finanziamento pubblico delle scuole private. Cosa che lascia indifferente il suo partito (ammesso che esista ancora), proteso verso ben altri, superiori fini. Cioè trovare, attraverso le consuete «primarie», un nuovo candidato sindaco decente. Compito quanto mai difficile.

Temo che Stecchetti, se potesse vivere nella Bologna attuale, di mani callose ne noterebbe poche o nessuna. Di «man di spia» invece tantissime. Fortuna che gli ultimi sindaci di centrosinistra hanno vietato i cortei, nei fine settimana.
Persino questo bisognava vedere.

Anche questa è Resistenza!

Chiarelettere ha pubblicato un pamphlet di Oliviero Beha intitolato I Nuovi Mostri, dedicato alle macerie intellettuali di questo disgraziato Paese: il sistema mediatico ingoia tutto e lo peggiora, i sedicenti intellettuali vi si adeguano, servendo il padrone politico come Arlecchini per i due fronti, di Berlusconi e “nominalmente” contro Berlusconi.

democrazia-resistenza.jpgQuelli che non “abbozzano” vengono respinti dalle fonti di informazione e quindi “non esistono”, la tv ha prostituito dopo i corpi anche le menti. La visibilità è tutto. Scuola e Università sono nel baratro. La crisi è dunque prima e soprattutto culturale, e solo dopo politica, non il contrario. Quindici anni di derby Berlusconi Berlusconi no hanno prostrato l’Italia.

Bisogna non solo resistere e reagire, ma rendere nota questa resistenza. Per questo al libro abbiamo allegato una sorta di censimento di tutte le associazioni che a vario titolo rientrino nell’accezione “culturale” di chi promuove riflessioni sullo stato del Paese senza schierarsi in partenza per nessuno che non sia appunto la resistenza e la ricostruzione dalle macerie. Il mezzo per tale censimento è ovviamente internet.

Vi abbiamo chiesto di mandarci le vostre adesioni per comparire in un elenco iniziale che è stato pubblicato nella prima edizione del libro. Adesso vi invitiamo a continuare la costruzione di questa “rete” nella rete aderendo alla community. Il prossimo passo sarà quello di creare un collegamento con le scuole. E’ da lì che bisogna partire per arginare la propagazione del degrado culturale.

E’ un tentativo di tenere insieme “partigiani” di valori scomparsi, purtroppo imprescindibili per dare una svolta alla peggiore Italia del dopoguerra, l’Italia berlusconizzata nell’idea di società anche in larghissimi settori della sinistra. Il voto ne è poi solo una conseguenza.

http://inuovimostri.gruppi.ilcannocchiale.it/

Oddio, Pierluigi!

Quando ho scorso la notizia sul web subito ho pensato a Samuele Bersani, poi ho letto bene: era lui, il segretario del PD! Interviene sulla cosmica e tritonuante polemica circa l’esclusione del “folletto” (non nel senso di creatura magica ma di strumento dedicato a tirar su polvere) Morgan. “Bisogna dargli un’altra possibilità, dice il Bersani-PD. Ma riesce ad immaginare quante “altre possibilità” noi elettori abbiamo dato e stiamo dando al PD? Pierluigi, non avevi nulla da fare che dire la tua su questo individuo? Magari buttare fuori qualcuno a Bologna? A Roma? A Napoli? Costruire un partito laico, democratico e antifascista (come si diceva una volta)? E ricordarsi la massima “un bel tacer non fu mai scritto?”. Mah, cosa dire di Pierluigi? Stavolta davvero segretario di un partito…PocoDignitoso.

Se questo è un uomo (M.Gramellini)

Ma come farà a essere israeliano con gli israeliani e palestinese coi palestinesi? Ad affermare, davanti a Netanyahu, che bombardare Gaza fu «una reazione giusta» e due ore dopo, davanti ad Abu Mazen, che le vittime di Gaza sono paragonabili a quelle della Shoah? Zelig si limitava a cambiare faccia, a seconda dell’interlocutore da compiacere. Ma questo è un uomo in grado di cancellare il tempo e lo spazio. Riesce a stare con il pilota dell’aereo che sgancia le bombe e nel rifugio sotterraneo con i bombardati. In contemporanea, e dispensando a entrambi parole di comprensione. Nella sua vita precedente insegnava ai venditori di pubblicità a essere concavi coi convessi e convessi coi concavi. Una volta li sfidò a salutare cinquanta clienti, trovando un complimento per tutti. Solo stringendo la mano al cinquantesimo, un uomo brutto e sgradevole, rimase perplesso. Poi gli disse: «Ma che bella stretta di mano ha lei!».

Molti hanno letto quei manuali americani che insegnano a infinocchiare il prossimo in 47 lezioni. Ma solo lui ha il fegato di applicarne il precetto fondamentale: credere sempre a quel che dici, anche quando è il contrario di quel che hai appena detto. Una tecnica che evidentemente funziona persino con le vecchie volpi mediorientali. Come farà? Vorrei tanto chiederglielo, se non fosse che lui nel frattempo si è già spostato nella basilica della Natività, a Betlemme, dove sta raccontando ai frati una barzelletta sulla Madonna che avrebbe preferito una femminuccia. A quel punto mi arrendo.

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/hrubrica.asp?ID_blog=41

Antidoto alle boiate leghiste

Siete stanchi di sentire le solite boiate leghiste, tipo “Gli stranieri sono il 23%”, “Tutti questi clandestini…”, “Ci portano via il lavoro…”, “Nei paesi islamici non ci sono chiese…” e simili defecazioni verbali? Allego perchè ognuno se lo scarichi “Mandiamoli a casa”. I luoghi comuni. Razzismo e pregiudizio. Istruzioni per l’uso. Un file interessante, utile, da leggere e diffondere:

263_mandiamoliacasa.pdf

Caffè amaro

«Due euro per un caffè, se sei rom»
Per tutti gli altri solo 75 centesimi
Conto con sovrapprezzo per una nomade in un bar a Tor Cervara: costa caro così ve ne andate da un’altra parte

ROMA – Via di Tor Cervara, un bar. Siamo nella periferia est di Roma, tra Tiburtina e Collatina, vicino al Raccordo anulare. Ma anche nei pressi dell’ufficio immigrazione della questura di Roma e del quartier generale della Guardia di Finanza. Vicino c’è infine un campo nomadi, quello della Martora. In fila alla cassa, per un caffè. Costa 75 centesimi, annuncia la tabella in mostra alle spalle della giovane cassiera italiana. Diamo un euro, in cambio di uno scontrino e di 25 centesimi di resto.
CONTO DIVERSO – Poi tocca a una nomade. Chiede un caffè anche lei. «Due euro», è la risposta. «Ma come?», protesta la donna. «Ieri costava un euro e cinquanta. Oggi due?». Imperturbabile la cassiera ribatte: «Sono due euro». La direttiva deve essere molto netta. Caffè a due euro. La nomade paga, lo scontrino indica come voce dell’acquisto la categoria «varie». Accanto ci sono due agenti, stanno acquistando cartelle del Superenalotto alla vicina cassa, sono indaffarati, forse non sentono. Eppure la nomade ha protestato alzando un po’ la voce.
Il bar in via di Tor Cervara (Brogi)

IL SOVRAPPREZZO – Va avanti così da tempo. Finora era un euro e mezzo, oggi (mercoledì 3 febbraio) è addirittura scattato un ulteriore sovrapprezzo. La banconista addetta alla macchina del caffè è una giovane rumena, alla nomade rumena come lei (ma rom) serve il caffè richiesto in un bicchierino di plastica. Tutto avviene in silenzio ora. Non è la prima volta che succede. La nomade lavora come operatrice di una cooperativa per la scolarizzazione dei bambini rom. Se ne va via col suo bicchierino di plastica in mano e lo scontrino che registra il prezzo del caffè probabilmente più caro d’Italia.
LA SPIEGAZIONE – Una volta fuori la nomade spiega: «Un giorno me l’hanno anche detto chiaro e tondo, il caffè costa caro perché così ve ne andate da qualche altra parte…». Sono appena passate le 15,12, dice lo scontrino, e in via di Tor Cervara si è ripetuta una scena che i rom considerano abituale. Tra gli operatori della cooperativa la vicenda infatti è più che nota, sono state fatte anche segnalazioni a quanto riferiscono alle forze dell’ordine, i controlli si sarebbero arenati di fronte al fatto che ogni esercente fa quello che vuole. Questo il succo degli interventi effettuati. Però, ricordano gli operatori della cooperativa in cui è ingaggiata anche la nomade, la tabella dei prezzi esposta dovrebbe pur contare qualcosa…

Paolo Brogi

http://roma.corriere.it/roma/notizie/cronaca/10_febbraio_3/brogi-caffe-rom-prezzo-piu-alto-1602401362345.shtml

Ma che freddo fa….

“Ma che freddo fa…” cantava l’indimenticata Nada, con quelle minigonne che turbavano i nostri sogni adolescenziali. Chissà cosa turba oggi i sogni dei nostri adolescenti, forse un azzurro avatar o, peggio un azzurro e basta, sempre meglio che i mostri e mostrilli che popolano le loro sale cinematografiche. Per crederci vedere il trailer di “Paranormal Activity” (http://www.mymovies.it/film/2007/paranormalactivity/). Boh…meglio Nada.

Comunque il freddo, si sa, schiarisce le idee e ogni giorno capiamo nuove cose che danno senso al nostro temporaneo transito in questo mondo (notizie puffe dal Corriere di oggi):

  • Il supposto ministro Zaia ci delizia con la seguente esternazione: “La sinistra e i suoi megafoni continuano ad abbaiare alla luna, sempre più lontani dai reali problemi e chiusi nella loro sterile ortodossia mentale, che danneggia ogni tipo di sviluppo e ostacola una visione chiara della realtà. Con rammarico, vogliamo dare una brutta notizia a questa sinistra: Stalin è morto.…” Capperi! Poffarre! Acciderbolina! Cos’è accaduto? Nuovi archivi segreti del Kgb rivelati? D’Alema colpito da enterocolite ventosa? Calderoli ha pronunciato una frase di senso compiuto? No, nulla di tutto questo. Il supposto Zaia così continua la sua icastica affermazione: “Stalin è morto. E siamo certi che non si è mai seduto in un McDonald’s, cosa che invece fanno migliaia di ragazzi europei tutti i giorni». Di che sta parlando? Di panini. Yes, panini, in un corrusco scambio di invettive con il quotidiano bolscevico The Guardian (tutti sappiamo che il vero nome del foglio albionico è The (red)Guardian), circa il panino McItaly messo in vendita nella catena ben note. di nefast food. Un panino contenente crema di carciofi, asiago e lattuga. Roba da Amnesty International. Per il supposto zaia è un trionfo dell’italianità, per il Red Guardian: “…E’ sbagliata la risposta di Zaia perché con il suo attacco alla gente di sinistra, agli ex compagni e ai vecchi stalinisti non affronta il vero problema: il fallimento del governo nel proteggere il patrimonio unico del prodotto artigianale italiano…È un’immagine deprimente del divario che esiste tra la vita politica italiana e quella dei cittadini del Belpaese». Chi avrà ragione? Crema di carciofi, asiago e lattuga. Manco la polenta taragna? Buzzecca niente? Mah, che tempi…
  • È bufera su Morgan. Una dichiarazione del cantautore ha scatenato mille polemiche e messo in dubbio la sua partecipazione al Festival di Sanremo. Ma cosa ha detto il protagonista di X-Factor? Il canuto cantautore ha scandalizzato tutti con le sue dichiarazioni sull’uso di stupefacenti: «Io non uso la cocaina per lo sballo, a me lo sballo non interessa. Lo uso come antidepressivo. Gli psichiatri mi hanno sempre prescritto medicine potenti, che mi facevano star male. Avercene invece di antidepressivi come la cocaina. Fa bene. E Freud la prescriveva. Io la fumo in basi (modalità di assunzione nota come crack, ndr) perché non ho voglia di tirare su l’intonaco dalle narici. Me ne faccio di meno, ma almeno è pura». Ohhh, finalmente! Adesso capiamo il perchè delle sue acconciature stile Crudelia demon dopo la centrifuga! Ma la domanda è: se Morgan per dire le boiate che dice fuma crack, Brunetta cosa fuma? Tantalio? Nitrometano? La sua forfora?
  • Il titolo è inequivocabile. «Noi amiamo Silvio» è un libro fotografico dedicato a Silvio Berlusconi in cui sono state raccolte le immagini che – si legge nella prefazione firmata dall’editore Alberto Peruzzo – testimoniano il suo impegno a livello nazionale e internazionale. Una sorta di album dei ricordi, dunque, che racconta per scatti la storia politica del premier, ritratto tra i suoi sostenitori e accanto ai più grandi leader mondiali e che dal 27 gennaio scorso è in vendita nelle edicole. Qualcuno però, sfogliandolo, ha notato alcune stranezze. Facce clonate con il copia-incolla (così si riempie Piazza del Duomo a Milano), fiori disegnati in mano al vecchio satiro, luce angelica sul viso in teflon del medesimo. Senza dire che la sua foto è del 1998 e non del 2008. Embè? Se c’è gente (ed è tanta…) che crede nella padania e nel programma “gnocca e soldi per tutti”, cosa volete che sia dare due colpi con photoshop? Stalin nelle foto cancellava i generali fucilati, il nostro aggiunge gente. Non è un uomo adorabile? (Se volete vedere il giochino: http://www.corriere.it//Speciali/bigVision/berlusconi/berlusconi.shtml).
  • MILANO – Il vetro liquido. Più che scienza, sembra fantascienza l’idea di uno spray che, spruzzato su qualunque superficie, la protegga da sporco, usura del tempo e persino dai graffiti e che, stando agli studi di laboratorio, sarebbe pure in grado di tenere fresco il vino. Eppure è questo che promette la rivoluzionaria invenzione turca acquistata dalla tedesca Nanopool, azienda che lavora nel campo delle nanotecnologie, e che altro non è – in realtà – che vetro liquido, ovvero diossido di silicio, mescolato ad acqua o alcol a seconda dell’uso che se ne vuole fare. Meraviglioso! Possiamo svelarvi chi è il proprietario della Nanopool. Facile, no? Ora finalmente il vecchio satiro ammaccato potrà durare nei secoli. Basta silicone, attack, capelli aerografati ogni mattino, iniezioni di botox a mitraglia. Un bagno completo, una full immersion e sarà eterno, lucido e splendente. Come nuovo (si fa per dire). Unica avvertenza ai curatori della salma: ricordatevi di praticare alcuni buchetti qua e là, per gli usi fisiologici, tanto per assicurare ossigeno e scarichi necessari. Ah, avercelo avuto ai tempi del vecchio Lenin! La storia sarebbe stata diversa!

Craxi, il primo berlusconiano (Raniero La Valle)

Con le grandi celebrazioni per Craxi, dieci anni dopo la sua morte in contumacia ad Hammamet, la destra berlusconiana ha rivendicato la sua vera ascendenza, dissipando gli equivoci che potevano essere stati ingenerati da precedenti annunci, o meglio da precedenti vanterie. I veri precursori di Berlusconi non sono né Sturzo – anche lui andato in esilio ma non come latitante – né De Gasperi – anche lui processato e condannato ma da un tribunale fascista – e tanto meno Aldo Moro che vittima sacrificale e martire della politica lo è stato davvero; il vero iniziatore dell’era berlusconiana è stato Bettino Craxi.

Lo è stato in un senso materiale, perché senza il decreto con cui il presidente socialista dette il potere televisivo alla Fininvest, Berlusconi non avrebbe potuto avere la fama ed i soldi per intraprendere la sua avventura politica; e lo è stato in senso politico, perché senza la demolizione dei grandi partiti di massa, la DC e il PCI, tenacemente perseguita da Craxi (che amava invece Proudhon), senza la decisiva sconfitta inflitta ai lavoratori con l’abolizione della scala mobile, senza la riforma in senso decisionista dei regolamenti parlamentari, e senza il precedente di un partito-spettacolo, con la sua corte, come ironizzava Formica, in cui c’erano meno politici che ballerine, un fenomeno come Forza Italia e un governo come quello che abbiamo non sarebbero stati possibili.

È chiaro che il movente della glorificazione postuma di Craxi (i discorsi, le strade, le celebrazioni TV) è stato tutto e immediatamente politico: si trattava di fare dell’esule di Hammamet la prima vittima ingiustificata caduta sotto i colpi di una magistratura uscita dalla soggezione al potere politico; si trattava di reclamare l’immunità del potere, esattamente come Craxi aveva fatto con due discorsi alla Camera, in cui non aveva negato i reati, ma li aveva trasformati in problemi politici; si trattava di rivendicare il diritto per i politici in carriera di sottrarsi in ogni modo – con la latitanza, con il legittimo impedimento, con i processi brevi o addirittura non celebrati – al giudizio di magistrati interpreti della legge ma non eletti dal popolo.

Per fare questa operazione era necessario montare la novità mediatica di un Craxi ingiustamente perseguitato, sorvolare sulle condanne da lui subite in regolari processi, e ignorare che i fatti a lui imputati non erano stati solo quelli del finanziamento illecito dei partiti, ma anche la corruzione e il lucro privato. Non c’era dunque da fare alcuna apologia; sicché anche la consolazione offerta da Napolitano nella sua lettera alla vedova di Craxi, secondo cui il peso della responsabilità per i fenomeni degenerativi del sistema politico era caduto su di lui “con durezza senza eguali”, è sembrata eccessiva.

Si è sostenuto però che, a parte la questione giudiziaria e il triste epilogo, Craxi deve essere ricordato per la sua opera di statista. Certo che in questa ci sono state, come pure è stato detto, luci ed ombre. Luce fu la difesa della sovranità nazionale che egli fece contro gli americani a Sigonella, ma notte fonda fu la sua caparbia decisione di fare installare i missili nucleari a Comiso. Con quell’atto l’Italia si sposava al demone nucleare, e diventava potenzialmente genocida (l’obiettivo assegnatole, se ci fosse stata la guerra, era l’Ungheria).

Si è lodata quella sua scelta; senza di lui i missili in Sicilia non ci sarebbero stati, e senza i missili a Comiso non ci sarebbero stati neanche i Pershing 2 in Germania perché, come poi si è saputo, la Germania, se fosse stata sola, non li avrebbe accolti. Può darsi, come molti dicono, che se quei missili non fossero stati messi, l’economia sovietica non sarebbe stata travolta dal dissesto per le spese della corsa agli armamenti, l’URSS non sarebbe crollata, e la guerra fredda non sarebbe finita.

Ma era davvero questo l’unico modo in cui la guerra fredda doveva finire? Non si erano avviati, proprio in quegli anni, diversi e più civili modi per uscire dalla contrapposizione dei blocchi?
Non si era avvistata, come possibile, la pace “in un mondo senza armi nucleari e non violento”, come diceva Gorbaciov?
E il mondo che è succeduto a quello che allora finì, questo mondo attuale senza guerra fredda ma con vere guerre perpetue e infinite, un mondo senza Marx ma anche senza Proudhon, è davvero un mondo migliore?

http://temi.repubblica.it/micromega-online/craxi-il-primo-berlusconiano/