Auguri, maestro!

Gillo Dorfles compie 100 anni. Auguri.

Sull’Unità di oggi un’intervista di Bruno Gravagnuolo

«Italia disunita e senza stile dove ormai è in vigore la dittatura dello sgradevole»

“Dipendesse da me abolirei età e compleanni. Ma verrano a prendermi degli amici per festeggiarmi. Una cosa fuori città, ma che mi salverà da chi vuole felicitarsi…”. Dunque niente celebrazioni per Gillo Dorfes, centenario domani e «irritato» con chi gli fa gli auguri. I cento anni però ci sono e del resto Milano li ha già celebrati con una splendida antologica a Palazzo Reale ancora in corso. Lì c’è tutto il Gillo pittore, straordinario artefice di fantasmi fluidi e disarmonici, né astratto né figurativo. Artista di un pensiero visivo in germe, ironico. Che è poi la «sua» cifra di artista del Movimento di Arte Concreta, che fondò nel dopoguerra con Munari, Soldati e Monnet. Solo che Gillo, si sa, è molto altro.

Critico, psichiatra, estetologo, musicologo, musicista viaggiatore, esperto di design, moda, osservatore del gusto. Fu tra i primi a farci conoscere l’arte contemporanea e a tematizzare «armonia/disarmonia» nel raffronto tra arte orientale e occidentale. Uno scrigno di osservazioni, teorie, «flanerie» del buon gusto e del cattivo gusto (il kitsch). Chi se non lui può raccontarci l’Italia, dal punto di vista dello «stile» di una nazione? E poi ha raccolto per Castelvecchi le sue Irritazioni, manuale degli abusi e dei tic (anti) estetici che ci rattristano la vita. Sentiamo.

Nel catalogo delle irritazioni che la assediano – stuzzicadenti, piumini viola, grandi fratelli etc – cosa la irrita di più di questa Italia leghista e berlusconiana?
«Ha quasi detto tutto lei… ma il dato che più mi colpisce è la mancanza di gentilezza comunitaria. Niente sorrisi, le risposte nei negozi monche e sgarbate. Una sensazione di peggioramento nei rapporti col prossimo e l’assenza totale di cura per l’altro».

Barbarizzazione del costume italico?
«Non saprei fare diagnosi. È una forma di autismo privatistico senza interesse alcuno per ciò che accade attorno».

Al nord la Lega parla molto di comunità, Dio, patria e famiglia…
«Queste che dovrebbero essere le regioni più evolute, mostrano di non essere affatto le più avanzate. Invece prenda Salerno. È in piena fioritura e hanno convocato i migliori architetti e urbanisti internazionali per il Piano regolatore. Cose che non vedo qui. Evidentemente c’è una decadenza di tutto il nord. Anche a Milano l’ambiente è peggiorato e malgrado i grandi progressi economici del dopoguerra, mi pare che il progresso si sia fermato. Specie dal punto di vista culturale».

Milano non era la capitale del design, dell’architettura urbana e della moda?
«Lo è ancora, per la moda e il design. Triennale e Salone del Mobile sono ancora manifestazioni di eccellenza. Ma sono casi a sé. Vedremo più in là che cosa sarà l’Expo che s’annuncia interessante. Nomi e progetti fanno ben sperare – da Piano a Liebeskind – e non si intravedono progetti kitsch. Ma io parlo di un clima più generale, conformistico e un po’ depressivo».

Il conformismo di massa, uno dei suoi tormentoni polemici. In che consiste?
«Nella tendenza di ciascuno ad adeguarsi a quel che vede intorno. Il famoso individualismo italico è azzerato. Tutti vogliono gli stessi jeans, lo stesso impermeabile e lo stesso cibo. Una coazione maggioritaria penosa. E lo stesso vale per i giovani. Dal piercing, all’orecchino ai tatuaggi, vogliono tutti iscriversi alla stessa tribù».

Che ruolo gioca in questo il narcisismo e la voglia di esserci, coi reality show ad esempio?
«C’è un horror pleni dell’apparire a tutti i costi. E il Grande Fratello ne è l’esempio più sgradevole. Il fatto che esistano persone disposte ad autotorturarsi in gruppo in tv è aberrante. E l’esibizionismo domina su tutto, in un fracasso che annienta “segretezza” e pudore, cose sottoposte a ludibrio in basso e in alto. Di fatti né l’autorità né il pubblico vogliono preservarle».

Tendenza solo italica o globale?

«Globale. La gente ama mettersi a nudo per autorappresentarsi. Una volta non era così, ma oggi con i media vecchi e nuovi c’è un’orgia del vedere e del voler essere visti. Il che tocca non solo le masse ma anche le elites, i pensatori, gli imprenditori, i banchieri, per non dire degli artisti».

È un rimescolio estetico e audiovisivo che annienta confini e gerarchia, pause e intervalli…
«Sì, anche nell’arte domina l’esibizionismo. Gli artisti diventano eroi semiologici che creano pseudo-opere vistose e perciò riconoscibili. Sicché tutto si equivale e si dissolve».

Berlusconi non è a modo suo uno di questi eroi semiologici fracassoni e accattivanti? Perché resiste e perdura?
«Le ragioni della sua tenuta stanno nell’ammirazione di un certo pubblico. La genta crea e venera questa icona del successo, che vorrebbe imitare».

Piace perché il suo è un successo festoso e trasgressivo?
«È la legge dell’immagine. Nulla di meglio di chi dà l’idea di poter trasgredire con allegria e di trionfare contro tutti e tutto! Anche cattivo gusto e barzellette rientrano nella facile imitabilità del personaggio».

Benché il suo umorismo sia tipico di una vecchia antropologia italica da avanspettacolo?
«Sarà avvilente, ma questo umorismo somiglia a quella che oggi è l’antropologia italica dell’uomo della strada. Non dico che gli italiani siano tutti così o sempre così. Ma negli ultimi tempi è questo il modello imperante».

Berlusconi autobiografia della nazione?

«Autobiografia è un po’ troppo ma in parte i termini concidono».

È stata letale la dissolvenza identitaria della sinistra? E non avverte a riguardo un vacuum, come antidoto mancante?
«Ovvio che è stata una perdita. Speriamo che sia solo temporanea. È stato proprio l’horror pleni contemporaneo ad estinguere in un vacuum ogni energia oppositiva e critica. Il troppo rumore uccide ogni possibilità espressiva, artistica e politica. E poi la sinistra si è rammollita. È astenica, incapace di reazioni e di rappresentare la sua gente».

Un prezzo altissimo pagato a questo rammollimento. Col rischio di apparire inermi ed elitari dinanzi a una destra che ha dalla sua il senso comune popolare…
«Ha vinto il senso comune, che a volte è disastroso: un cattivo senso, retrivo. Altra cosa rispetto al buon senso. E la sinistra oggi perde su entrambi i fronti».

Quanto possono fare l’arte e il senso estetico contro il degrado?
«Ci sarebbe tutto un lavorio da svolgere, a cominciare dall’educazione artistica e musicale dei bambini. Ma siamo ai minimi termini da un punto di vista pedagogico. Comunque non bisogna rassegnarsi. La forza della sensibilità estetica – senza barriere di generi e linguaggi e applicata al quotidiano – è indispensabile per contrastare la dittatura dello sgradevole».

Una volta c’era la grande borghesia a custodire lo stile. Oggi che fine ha fatto la grande borghesia? Lo chiedo a lei che ha traguardato il secolo e frequentato Svevo, Saba, Bazlen e le grandi famiglie triestine, milanesi, genovesi…
«La borghesia in Italia ha fatto fiasco. Almeno una volta c’era una borghesia illuminata. Oggi è pochissimo illuminata. E il cialtrionismo è tipico della borghesia attuale. Finite le oasi di alcuni decenni fa, mentre la diffusione della cultura ha coinciso con l’involgarimento e l’appiattimento. E finita la coesione comunitaria. Da noi la destra non ha saputo fare cultura di punta né generare classi dirigenti, a differenza dei grandi paesi occidentali».

http://www.unita.it/news/culture/97268/italia_disunita_e_senza_stile_dove_ormai_in_vigore_la_dittatura_dello_sgradevole

Auguri, maestro!ultima modifica: 2010-04-11T12:54:00+02:00da pelikan-55
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