Una buona e una cattiva notizia

vino-rosso_19280jpg.jpegLa vita è complicata, mai tutto è nero o bianco. Qualche volta è rosso. Come il buon vino. E qui abbiamo una buona e una cattiva notizia. Iniziamo dalla cattiva: a forza di percepire lauti emolumenti a nostre spese il nostro generale Aureliano Buendia de Gallipoli, dopo aver solcato i mari con la sua navicella, ora si getta in un’altra impresa. A Montecastrilli in Umbria si è comprato un vigneto di tre ettari e una cantina dove produrrà e imbottiglierà il suo vino.

Già si vocifera sull’etichetta delle prime due prestigiose bottiglie: “Bicameral” un rosato leggero, molto leggero, con retrogusto sapido amarognolo, gusto di frutti maturi (molto maturi), un vino che riprende i vitigni già noti come Titanic; “Inciucione salentino“, un rosso possente, ad alta gradazione ma senza alcool, solo aria fritta.

Dov’è la buona notizia? Vedi mai che il nostro Aureliano si appassioni tanto al suo nuovo “giochino” e ci liberi delle sue geniali pensate…

La Repubblica, 19.4.2010

Il primo giorno d’inverno

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M.Storchi-I.Rovali, Il primo giorno d’inverno. Cervarolo 20 marzo 1944. Una strage dimenticata, Aliberti Editore 2010. €17,50.

 

La strage di Cervarolo (20 marzo 1944)
Nel marzo 1944 furono condotte dalle truppe tedesche, con l’appoggio di reparti della GNR fascista, una serie di operazioni sull’Appennino reggiano-modenese con l’intento di distruggere le nascenti formazioni partigiane.
Il 18 marzo l’obiettivo fu il versante modenese del Dragone-Secchia con l’attacco, sostenuto anche dall’artiglieria, ai paesi di Monchio, Susano e Costrignano. I reparti della Divisione Hermann Göring rastrellarono il territorio uccidendo civili inermi. Le vittime furono 132.
Sul versante reggiano l’azione, condotta ancora da altre unità della Divisione Hermann Göring prese avvio il successivo giorno 20, quando Civago e Cervarolo furono investite da una preordinata azione di rastrellamento, condotta nonostante fosse noto ai comandi tedeschi e fascisti che non c’erano più reparti partigiani nella zona, scioltisi nei giorni successivi alla vittoriosa battaglia di Cerrè Sologno (15 marzo). Sulla mulattiera per Civago i paracadutisti della Göring uccisero un giovane pastore e ferirono gravemente un vecchio, giunti in paese uccisero altre due persone; poi si diedero al saccheggio, bruciando una ventina di case e danneggiandone trenta.
La milizia fascista rimase fuori dall’abitato a presidiare le uscite affinché i tedeschi potessero compiere indisturbati la loro azione. Carichi di bottino, i tedeschi tornarono poi sui loro passi, per unirsi agli altri paracadutisti che intanto stavano saccheggiando Cervarolo, sempre con la complicità dei militi fascisti. Ammassarono nel recinto di un’aia del paese, sorvegliandoli con le armi puntate, tutti gli uomini che poterono catturare. Due ne uccisero in mattinata, padre e figlio, nella loro abitazione.
Si recarono anche dall’anziano parroco Don Battista Pigozzi, obbligandolo a firmare un foglio in cui avrebbe dovuto dichiarare che gli arrestati erano tutti partigiani. Il sacerdote resistette alle minaccie e rifiutò ogni collaborazione, tanto da essere denudato, picchiato e lasciato all’addiaccio per ore, poi condotto anch’esso nell’aia insieme ai suoi parrocchiani prigionieri. Erano uomini di tutte le età, compresi tra i 17 e gli 84 anni, persino un povero paralitico, posti di fronte alle armi automatiche. Dopo aver derubato quanto potevano dal paese, i tedeschi fecero allontanare le donne e mitragliarono gli uomini; quindi le case vennero date alle fiamme. Furono 24 i civili trucidati a Cervarolo e tra loro anche il parroco G.Battista Pigozzi, in quella tragica giornata. Solo tre persone scamparono alla morte.
Per oltre 50 anni non è stato possibile individuare le responsabilità individuali della strage. Solo dopo il 1994 con l’apertura dell’”Armadio della vergogna” a Roma, ove erano stati occultati-negli anni sessanta- i fascicoli relativi alle indagini compiute nell’immediato dopoguerra il percorso di giustizia è stato riavviato con le indagini condotte dalla Procura Militare di La Spezia che hanno condotto al processo che ha preso il suo avvio nel novembre 2009 presso il Tribunale Militare di Verona.

Piccoli dalemini, alle prese con cose più grandi di loro

di Pierfranco Pellizzetti, Il Fatto Quotidiano, 17 aprile 2010

Bacchettate nei giorni scorsi, le sedicenti tesi riformiste del responsabile giustizia Pd Andrea Orlando meritano solo l’archiviazione. Magari con l’aggiunta di qualche considerazione sul dilettante allo sbaraglio che giocava all’Hans Kelsen della Val di Magra. E gli altri dalemini.
Lo dico per conoscenza diretta: lo spezzino Orlando resta un bravo ragazzo, finito nei marosi della politica senza neppure le tre lezioni preliminari di galleggiamento.

Anni fa facemmo a capocciate nel talk-show di una TV locale sul programma dell’Ulivo, di cui era qualcosa come il portavoce. All’obbiezione che si erano dimenticati del lavoro in quanto soggetto politico, l’Orlando mi invitava con sufficienza a studiare le carte: la Summa Theologica ulivesca prevedeva aumenti dei salari minimi di qualche decina di euro.
D’obbligo replicargli che erano semplici “risarcimenti”, mentre io mi riferivo a tutt’altro: le crescenti morti bianche, la sicurezza, i diritti del e nel lavoro.
Da quell’incidente iniziò un dialogo via mail che me lo fece conoscere un po’ meglio: una biografia tipica dei rampanti di partito, ragazzotti che leggiucchiano i titoli dei giornali e mai un libro, cresciuti nei corridoi in penombra di sedi sempre più fatiscenti nella convinzione che il mondo si riduce al cerchio stregato del politicante.
Insomma, furbetti del partitino come polli in batteria.
Ennesima conferma che qui siamo proprio per la qualità umana di chi è preposto alla guida di una società democratica. Quelli che nel 1993 reputavano Silvio Berlusconi “la nostra Thatcher” e – comunque – da trattare con riguardo perché bloccava la discesa in campo di un avversario ben più temibile: nientepopodimenoche Mario Monti!
Comunque assunti perentori, sempre e nonostante tutto. Poi ripresi a pappagallo dagli ipotetici rimpiazzi generazionali.
Fatto sta che in Italia latita qualcosa di somigliante a un cursus honorum, un percorso d’apprendimento. Non certo le scuole e i corsi di formazione politica: luoghi di puro indottrinamento alla banalità.
In pratica si sale soltanto grazie a meccanismi cooptativi: una selezione secondo criteri che variano dall’affinità umana nei suoi tratti peggiori alla servizievole disponibilità nel gioco sporco a favore del proprio boss.
Il vero motivo per cui “i nuovi” sono sempre peggio dei “vecchi”.
Ammettiamolo: c’è una distanza siderale tra i vari D’Alema-Veltroni-Bersani e un Enrico Berlinguer o – quasi indicibile – tra PierFurby Casini e i dorotei cui portava la borsa. E la corsa al peggio continua.
Così poveri ragazzi vengono lasciati a far danni maneggiando cose più grandi di loro.
Qualcuno ha notizie di Debora Serracchiani? Quella che doveva guidare il rinnovamento generazionale e lascia solo il ricordo di una frangetta sbarazzina?

Adesso arriva il bersaniano ex verde Carlo Menguzzi a caldeggiare la terapia del ringiovanimento grazie all’individuazione di altri due Nichi Vendola. Al nord il sosia sarebbe lui: ma va là. Al centro l’avatar vendoliano si chiamerebbe Matteo Renzi, il sindaco di Firenze che votò contro la cittadinanza onoraria a Peppino Englaro dichiarandola “scelta che divide”.
Alla faccia del nuovo che avanza…
Nient’altro che figli della provincia profonda, tesi a perseguire personali ascese puntando sulle ataviche virtù furbesche – tra Bertoldo e Arlecchino – incistate nella loro mentalità; trasformate in rudimentale cassetta degli attrezzi intellettuali.
Sicché li troviamo estatici davanti al luccichio del caleidoscopio mediatico di cui intuiscono l’importanza ma non il funzionamento. Mentre ai berluscones è sufficiente detenerne il know-how basico per sembrare maghi del consenso, dei colossi della politica. Non gli illusionisti della realtà virata in reality mediante la compressione forzata attraverso il tubo catodico.
Contro cui i vecchi furbetti del partitino si rivelano inermi quanto gli amerindi di fronte ai conquistadores, gli armigeri di Cortés e Pizarro. E i “nuovi” non sono da meno.
Nuovi? Suvvia, cloni venuti male.

Grande Stanley!

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Dieci anni di ricerche, la catalogazione di migliaia di negativi originali per arrivare a un grande risultato: le fotografie del geniale Stanley Kubrick, una sorta di racconto in immagini, inedito. È la prima volta, che una mostra indaga un aspetto finora poco conosciuto della carriera del regista noto al mondo per i suoi film. Dal 16 aprile al 4 luglio 2010, a Palazzo della Ragione di Milano saranno esposte 300 fotografie, suddivise in 12 storie, stampate dai negativi originali, realizzate da Stanley Kubrick dal 1945 al 1950 quando, a soli 17 anni, venne assunto dalla rivista americana Look. L’esposizione, presentata a Milano dal curatore Rainer Crone, realizzata dal Comune di Milano e da Giunti Arte Mostre Musei, in collaborazione con la Library of Congress di Washington e il Museum of the City of New York (che custodiscono un patrimonio ancora sconosciuto di oltre 20.000 negativi di Kubrick giovanissimo), testimonia la sua capacità di raccontare la vita quotidiana dell’America dell’immediato dopoguerra, attraverso le storie di celebri personaggi come Rocky Graziano o Montgomery Clift, le inquadrature fulminanti e ironiche nella New York che si apprestava a diventare la nuova capitale mondiale, o ancora la vita quotidiana dei musicisti dixieland.

(Stanley Kubrick, Autoritratto)

Il rogo di Gomorra (Massimo Gramellini)

Sono d’accordo con l’Amato Premier. La mafia italiana è appena la sesta nel mondo (il prossimo anno non parteciperà neanche alla Champions), la sua fama è tutta colpa di «Gomorra». Che in realtà parla di camorra ed è pubblicato dalla casa editrice dell’Amato. Ma sono quisquilie. Piuttosto: perché fermarsi a Saviano, dico io. Si chiami il ministro fuochista Calderoli e gli si commissioni un bel falò per buttarci dentro altri libri disfattisti. Comincerei dai «Promessi sposi»: tutti quei bravacci e signorotti arroganti, che agli stranieri suggeriscono l’immagine fasulla di un Paese senza regole, dove la prepotenza e la furbizia prevalgono sul diritto. E «Il fu Mattia Pascal»? Vogliamo continuare a diffondere la favola negativa dell’uomo che cerca un legittimo impedimento per potersi fare i fatti suoi? Nel fuoco, insieme con «La coscienza di Zeno», un inetto che non riesce nemmeno a liberarsi del vizio del fumo, quanto di più diseducativo per una gioventù che ha bisogno di modelli positivi come il vincitore di «Amici».

Porrei quindi rimedio alla leggerezza sconsiderata del «Gattopardo». «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi». Hai trovato la formula segreta del potere e la spiattelli in giro così? In America nessun romanzo ha mai raccontato la ricetta della Coca-Cola. Nel fuoco anche Tomasi di Lampedusa: con quel cognome da nobile sarà di sicuro comunista. E poi «Il nome della rosa». Morti e sesso torbido in un monastero. Di questi tempi! Il nome della Rosa è Pantera. Il resto al rogo. Su con quelle fiamme e linea alla pubblicità.

Camilleri: “Il Pd verso il suicidio”

di Silvia Truzzi, Il Fatto Quotidiano, 14 aprile 2010

Nel fumoso studio di Andrea Camilleri oggi si parla del Pd un po’ in cenere. “Io non appartengo al Pd. Posso, quando sono disperato davanti alla scheda, al massimo votarlo. Come si dice a Firenze: il Pd tiene l’anima coi denti. È più di là che di qua. Dalla parte avversa invece c’è molta aggressività. Come la polizia quando si mette lo scudo antisommossa, abbassa le visiere e attacca alla cieca. Da quest’altra parte non c’è che una flebile resistenza. Chi sta appena dietro la prima linea, sembra dire: trovate un accordo, invece che farvi menare”.

Accordo tra chi e chi?
L’accordo si fa in Parlamento. Lo sostiene Bersani e pure la Costituzione. Ma noi non siamo nei termini costituzionali, siamo dentro una democrazia finta. La maggioranza in Parlamento va avanti a voti di fiducia e decreti, mettendo a tacere l’opposizione.
L’opposizione parlamentare è un’utopia?
Sì. L’unica possibilità è che l’opposizione si faccia anche fuori. Esattamente come la Lega.
Politica sul territorio?
L’astrazione in politica non esiste. In politica esiste questa casa, questa via, la casa accanto e la via accanto. Una volta c’erano le sezioni con gli attivisti. Eravamo sfottuti noi del Pci che avevamo sezioni e agit-prop. Era quello che teneva in piedi il partito. Il mio amico Leonardo Sciascia disse una volta che c’erano due parrocchie: quella del Pci e quella vera. Ecco, una ha continuato a esistere. L’altra è scomparsa. A Raiperunanotte hanno parlato i centenari, Dorfles e Monicelli. E le cose più giuste, che hanno atterrito i cinquantenni, le ha dette Monicelli parlando di rivoluzione. E sconvolgendo Giovanni Floris che ha cercato subito di metterci una pezza.
Cosa vuol dire rivoluzione?
Nessuno di noi è così cretino da pensare che sia ‘bandiera rossa e scendiamo tutti in piazza’. Monicelli vuol dire che se non si hanno idee rivoluzionarie rispetto al contesto politico attuale, con questa gente non andiamo da nessuna parte. Come disse un altro regista. In politica non si può essere un uomo buono per tutte le stagioni. Ci sono stagioni buone per ogni uomo politico.
Parliamo di D’Alema?
D’Alema è come il fantasma dell’opera: non si sa mai che fa nel sottopalco. Si è detto che Bersani è una creatura di D’Alema. Magari.
E invece che cos’è?
Uno che non tiene conto delle sollecitazioni che gli arrivano. Dai 49 senatori, da Prodi. E allora? Il marxismo prendeva atto della realtà e agiva di conseguenza. Oggi nessuno è marxista perché è un marchio d’infamia e nessuno tiene conto della realtà.
Se Bersani fosse un personaggio letterario?
SarebbeRubè di Peppe Antonio Borgese: non sapendo che cosa fare, a un certo punto viene travolto dai cavalli della polizia tentando di mediare tra destra e sinistra. Non gli auguro certo questo destino.
Soluzioni, allora.
Ci vuole uno slancio di utopia. Finché questi – come diceva Guicciardini – restano ancorati al particulare, alle poltrone, si muore soffocati. Stanno dentro un pallone, non sono più sulla terra. Non sanno, anche se lo dicono, cosa sono i problemi reali. Ma proclamarlo non basta, perché dall’altra parte c’è un muro. Allora devi trovare i modi per vincere e poi occuparti delle cose vere.
Ecco, il lessico del Pd sembra un po’ altrove. Bersani dal Messaggero: ‘È possibile rafforzare sia gli elementi di pluralità che i presidi dell’unità’. Ma che vuol dire?
È un segno, sono bloccati nel tempo. ‘Ce l’ho duro’ è un modo di comunicare. Volgare, populista, ma se la gente vuole questo non puoi parlare con ‘i presidi dell’unità’.
Bersani ha brindato al risultato delle Regionali.
Quando ero piccolo si studiavano i detti di Fra Galdino. Me ne ricordo uno. Due contadini zappano, ad un certo punto uno si china e s’inzecca un ramo nell’occhio. E dice: meno male. E l’altro: perché meno male? Perché se il ramo era forcelluto, di occhi me ne cavava due. Per favore, lo racconti a Bersani.
Cosa pensa delle “riforme condivise”?
Vizio antico. La Bicamerale mica l’ho inventata io. Però un pregio ce l’ha avuto: ha sdoganato Fini.
È una fortuna?
Gesù mio, sì. A me non frega niente se le sue posizioni sono frutto di una tattica. Ci fa vedere una destra europea che si può rispettare. Davanti a un guastatore continuo della Costituzione come Berlusconi, chi difende i principi ha la mia solidarietà. Anche se oscilla.
A proposito di baluardi: e Napolitano?
È lui che dovrebbe reclamare più potere, non Berlusconi. Se gli capita una legge che non gli va giù gliela possono rimandare così com’è e lui la deve firmare.
Il rinvio, in alcuni casi, avrebbe potuto essere un messaggio politico.
Io avrei fatto come lui: Napolitano sa che se ora piove, tra poco grandinerà.
Hanno fatto la Padania. Cosa ne pensa un siciliano?
Sono segni di scricchiolamento della nazione Italia. La crisi ha accelerato il processo di padanizzazione. Hanno pensato: qui c’è la ricchezza, teniamocela, pensiamo ai cazzi nostri. Vedo lo spettro di un Sud sempre più povero.
Il Pd ha fatto passi falsi anche a Sud. Come la candidatura di De Luca.
Quelli del Pd sono come i lemuri che a un certo punto dell’anno s’inquadrano tutti e si buttano a mare. Ma dico: fatevi visitare. Mettetevi in analisi.
A Enna si parla di una candidatura di Crisafulli, che fu coinvolto in un’inchiesta di mafia.
Sì, lì vince. Però…
Però cosa?
Se Berlusconi lo si combatte su questo campo, a criminale criminale e mezzo, noi siamo perdenti perché non ce l’abbiamo una disponibilità umana così importante. Per uno di loro ne dovremmo trovare uno e mezzo. Ma con tutta la buona volontà noi possiamo avere cose da poco e comunque perdiamo.

Si è prospettata, con Saviano, una soluzione “esterna alla politica” per il Pd. Cosa ne pensa?
Non si può andare avanti con la politica tradizionale se dall’altra parte vince chi fa una politica non tradizionale. Allora chi ci metti davanti? Un Papa straniero? Catone il censore rispondeva sempre a tutto delenda Carthago. Se politicamente non si elimina Berlusconi, io dico sempre delenda Carthago. La soluzione giudiziaria mi fa paura come quello che gli tira la statuetta.
Quale soluzione giudiziaria? Se ci sono reati vanno perseguiti.
Così il premier diventa un martire. La magistratura oggi fa il suo mestiere. Fino a Mani pulite, era un pilastro del governo. Ora che la magistratura ha trovato una sua autonomia, l’hanno buttata in politica. Come se prima non lo fosse. Mi piace di più sapere che da qui a tre anni Berlusconi avrà perso altri milioni di voti. Perché se li perde non li perde per “colpa” della sinistra, li perde perché la gente si sta rendendo conto.
Si renderanno conto che fino ad oggi si è occupato di materie che lo interessano, come la giustizia?
Certo. Ma quando mai si è occupato del Paese? Il 99 per cento delle leggi sono pro domo sua.
La patente a punti è stata una cosa buona.
Mussolini fece la battaglia contro le mosche.
Travaglio ha scritto sul Fatto di ieri ‘La legge è uguale per gli altri’.
Perfetto. È La fattoria degli animali. Nel momento in cui uno dice ‘non mi rompete le scatole, non mi processate adesso, ne parliamo tra un anno’ cade qualunque impalcatura. Propongo di levare il cartello ‘La legge è uguale per tutti’ dai tribunali: ci facciamo ridere dietro.
Ci crede al regime?
Sono stato uno dei primi a parlare di regime, nel ‘94 con Bobbio e Sylos Labini. Fui sputtanato e sbeffeggiato da tutti. Toh, c’è aria di regime. Ma davvero?
A cosa andiamo incontro?
Al sogno di Calderoli. Nel 2013 avrete un capo del governo leghista e Berlusconi presidente della Repubblica. Io a settembre faccio 85 anni. Auguri a voi.

(14 aprile 2010)