Testimonial

Ogni partito e/o movimento deve avere un suo testimonial. Vediamo gli ultimi pervenuti:

LR.jpgPartito dell’Amore

pam-anderson-google.jpg.jpegRagazze di Azione Cattolica

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Alcoolisti anonimi

 

 

 

 

 

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Partito (e basta)

Hans Küng: Ratzinger reciti il mea culpa sulla pedofilia

di Hans Küng, la Repubblica, 18 Marzo 2010

Si è detto che dopo aver ricevuto in udienza l`arcivescovo Robert Zollisch il Papa era «profondamente scosso» e «sconvolto» per i numerosi casi di abusi. Dal canto suo, il presidente [della Conferenza episcopale tedesca] ha chiesto perdono alle vittime, citando nuovamente le misure già adottate e quelle previste. Ma nessuno dei due ha risposto a una serie di domande di fondo che non è più possibile eludere. Stando ai risultati dell`ultimo sondaggio Emnid, solo il 10% degli interpellati trova soddisfacente l`opera di rielaborazione della Chiesa, mentre per l`86% dei tedeschi l`atteggiamento degli alti livelli della gerarchia ecclesiastica manca di chiarezza. Le loro critiche troveranno peraltro conferma nell`insistenza con cui i vescovi continuano a negare ogni rapporto tra l`obbligo del celibato e gli abusi commessi sui minori.

Prima domanda: Perché il Papa continua, contro la verità storica, a definire il «santo» celibato un «dono prezioso», ignorando il messaggio biblico che consente espressamente il matrimonio a tutti i titolari di cariche ecclesiastiche? Il celibato non è «santo», e non è neppure una grazia, bensì piuttosto una disgrazia, dal momento che esclude dal sacerdozio un gran numero di ottimi candidati, e ha indotto molti preti desiderosi di sposarsia rinunciare alla loro missione.
L`obbligo del celibato non è una verità di fede, ma solo una norma ecclesiastica che risale all`XI secolo, e avrebbe dovuto essere sospesa ovunque in seguito alle obiezioni dei riformatori dal XVI secolo.
In nome della verità, il Papa avrebbe dovuto quanto meno promettere un riesame di questa norma, da tempo auspicato dalla grande maggioranza del clero e della popolazione. Anche personalità come Alois Glück, presidente del Comitato centrale dei cattolici tedeschi, o Hans-Jochen Jaschke, vescovo ausiliare di Amburgo, si sono espresse in favore di un rapporto più sereno con la sessualità e della possibilità di far coesistere fianco a fianco sacerdoti celibi e sposati.

Seconda domanda: È possibile che «tutti gli esperti» abbiano escluso l`esistenza di qualsiasi rapporto tra la pedofilia e l`obbligo del celibato sacerdotale, come ha nuovamente asserito l`arcivescovo Zollitsch? Chi mai può conoscere il parere di «tutti gli esperti»!? Di fatto si potrebbero citare innumerevoli psicoanalisti e psicoterapeuti che al contrario hanno sottolineato questo rapporto: mentre l`obbligo del celibato impone ai preti di astenersi da qualunque attività sessuale, i loro impulsi sono però virulenti, col rischio che il tabù e l`inibizione sessuale li induca a ricercare una qualche compensazione. In nome della verità, la correlazione tra l`obbligo del celibato e gli abusi non può essere semplicemente negata, ma va presa invece in seria considerazione.
Lo ha ben chiarito ad esempio lo psicoterapeuta americano Richard Sipe, che a questi studi ha dedicato un quarto di secolo (cfr. «Knowledge of sexual activity and abuse within the clerical system of the Roman Catholic church», 2004): la forma di vita del celibato, e in particolare la socializzazione che la prepara (il più delle volte nei convitti e successivamente nei seminari) può favorire tendenze pedofile. Richard Sipe ha individuato un tipo di inibizione dello sviluppo psicosessuale più frequente nei celibi che nella media della popolazione; ma spesso la consapevolezza dei deficit dello sviluppo psicologico e delle tendenze sessuali si raggiunge solo dopo l`ordinazione al sacerdozio.

Terza domanda. Oltre a chiedere perdono alle vittime, i vescovi non dovrebbero finalmente riconoscere anche le proprie corresponsabilità? Per decenni, dato il tabù sulla norma del celibato, hanno occultato gli abusi, limitandosi a disporre il trasferimento dei responsabili. Tutelare i preti era più importante che proteggere bambini. C`è poi una differenza tra i casi individuali di abusi commessi nelle scuole, al di fuori della Chiesa cattolica, e gli abusi sistemici, spesso reiterati e frequenti, all`interno stesso della Chiesa cattolica romana, in cui vige tuttora una morale sessuale quanto mai rigida e repressiva, che culmina nella norma sul celibato. In nome della verità, anziché porre un ultimatum di 24 ore al ministro federale della giustizia, sopravvalutando peraltro gravemente l`autorità ecclesiastica, il presidente della Conferenza episcopale avrebbe dovuto finalmente dichiarare con chiarezza che d`ora in poi, in caso di reati di natura penale le gerarchie della Chiesa non cercheranno più di eludere l`azione giudiziaria dello Stato. O dovremo aspettare che per ricredersi, la gerarchia sia costretta a pagare risarcimenti dell`ordine di milioni di euro? Negli Usa la Chiesa cattolica ha dovuto versare a questo titolo, nel 2006, ben 1,3 miliardi di dollari; e in Irlanda, nel 2009 il governo ha stabilito con gli ordini religiosi un accordo – rovinoso per questi ultimi – per un fondo risarcimenti di 2,1 miliardi di euro. Cifre del genere sono assai più eloquenti dei dati statistici sulle percentuali dei celibi tra gli autori di reati sessuali, citati nel tentativo di sdrammatizzare il dibattito.

Quarta domanda: Il papa Benedetto XVI non dovrebbe assumersi a sua volta le proprie responsabilità, anziché lamentarsi di una campagna che sarebbe in atto contro la sua persona? Nessuno finora, in seno alla Chiesa, si è mai trovato sulla scrivania un così gran numero di denunce di abusi. Vorrei ricordare quanto segue: Per otto anni docente di teologia a Regensburg e in stretti rapporti col fratello Georg, maestro della cappella del Duomo (Domkapellmeister), Joseph Ratzinger era perfettamente al corrente della situazione dei Domspatzen, i piccoli cantori di Regensburg. E non si tratta qui dei ceffoni, purtroppo all`ordine del giornoa quei tempi, bensì anche di eventuali reati sessuali.
Arcivescovo di Monaco per cinque anni, in un periodo durante il quale un prete, trasferito nel suo episcopato, perpetrò una serie di ulteriori abusi che oggi sono venuti alla luce. Anche se Mons. Gerhard Gruber, suo vicario generale (oltre che mio ex collega di studi) si è assunta la piena responsabilità di questi episodi, la sua lealtà non poteva bastare a scagionare l`arcivescovo, responsabile anche sul piano amministrativo.
Per 24 anni Joseph Ratzinger è stato prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, nel cui ambito si prendeva atto dei più gravi reati sessuali commessi dal clero in tutto il mondo, per raccoglierli e trattarli nel più totale segreto («Secretum pontificium». Il 18 maggio 2001, con una lettera rivolta a tutti i vescovi sul tema delle «gravi trasgressioni», Joseph Ratzinger aveva confermato per gli abusi il «segreto pontificio», la cui violazione è punita dalla Chiesa).
Papa per cinque anni, non ha cambiato di una virgola questa prassi infausta.

In nome della verità Joseph Ratzinger, l`uomo che da decenni è il principale responsabile dell`occultamento di questi abusi a livello mondiale, avrebbe dovuto pronunciare a sua volta un «mea culpa». Così come lo ha fatto il vescovo di Limburg, Franz Peter Tebartz-van Elst, che in un`allocuzione trasmessa per radio il 14 marzo 2010 si è rivolto a tutti i fedeli in questi termini: «Poiché un`iniquità così atroce non può essere accettata né occultata, abbiamo bisogno di cambiare strada, di invertire la rotta per dare spazio alla verità. Per convertirci ed espiare, dobbiamo incominciare col riconoscere espressamente le colpe, fare atto di pentimento e manifestarlo, assumerci le responsabilità e aprire così la strada a un nuovo inizio».

(18 marzo 2010)

Mah, che tempi..

Mah, che tempi…

ci tocca fare il tifo per Gianfranco che, sembra, l’unico a dire “no” al satiro plastificato, mentre 110 deputati del PD si sono dichiarati pronti a discutere sulle “riforme” con il suddetto satiro (i nomi, vogliamo i nomi…)

In compenso nella bella Emilia, dopo 15 giorni non abbiamo il bene di sapere chi sarà nella Giunta di Errani che abbiamo votato (e già ci girano i cabasisi)…del resto anche a Reggio non sappiamo ancora chi uscirà dal valzer di poltrone per il vicesindaco…

Per fortuna l’ultimo segretario reggiano del Pci ci è venuto a spiegare cosa non va nel PD e il dentista banchiere che fece tanto la gioia del risparmiatori locali tiene lezioni di etica sulla stampa quotidiana.

tre_streghe.jpg.jpegVengono in mente le streghe di Macbeth, ricordate:?

E’ brutto il bello, è bello il brutto, libriamoci per la nebbia e l’aer corrotto.

Good night and good luck!


Mitico!

_Ferrari312T021.jpg.jpegMariella Burani cade a pezzi, ma il fondatore del gruppo di moda non rinuncia alla sua passione per le automobili di lusso. Mentre la family holding a cui fa capo il pacchetto di maggioranza di Mariella Burani Fashion Group la scorsa settimana è stata dichiarata fallita dal tribunale di Milano, dopo la richiesta in tal senso avanzata dal liquidatore Luigi Giovanni Saporito, si scopre che il presidente del gruppo Walter Burani ha iscritto la sua Ferrari alla settima edizione del Gran Prix de Monaco Historique, in programma a Montecarlo il prossimo primo maggio.

Burani, che sarà al via della gara automobilistica con il numero 21, ha una vera e propria passione per la Formula 1, tanto che nei garage di famiglia custodisce gelosamente la Ferrari 312T che fu di Niki Lauda e una McLaren del ’76 appartenuta a James Hunt, che talvolta l’ex patron esibisce in pista mettendosi in prima persona al volante.

Modesta proposta: e se qualche decina degli operai di Mariella Burani Fashion Group facessero un bel weekend a Montecarlo (conto a spese del Walter) e aspettassero il pilota all’arrivo per…congratularsi per lo spirito sportivo?

http://reggio24ore.netribe.it/reggio24ore/Sezione.jsp?idSezione=12549&idSezioneRif=3

Una guerra

172737914-7bc0812e-7875-4d38-8d4b-e9fd54690591.jpgI premi Pulitzer 2010 per il fotogiornalismo sono stati assegnati a Craig F. Walker del Denver Post e Mary Chind del Des Moines Register. Il primo si è aggiudicato il prestigioso riconoscimento nella categoria Feature Photography con la serie a colori “Ian Fisher: American Soldier”, il lungo racconto per immagini della vita del soldato Ian Fisher. Dalla scuola superiore al campo d’addestramento fino all’anno trascorso in Iraq e al ritorno in patria: la vita del giovane americano è stata seguita da Walker a partire dal 2007. “Premiato per il suo ritratto intimo di un adolescente che si unisce all’esercito americano al culmine delle violenze in Iraq, in una ricerca commovente di senso e virilità”

Firma per Emergency

“Sabato 10 aprile militari afgani e della coalizione internazionale hanno attaccato il Centro chirurgico di Emergency a Lashkar-gah e portato via membri dello staff nazionale e internazionale.

Tra questi ci sono tre cittadini italiani: Matteo Dell’Aira, Marco Garatti e Matteo Pagani. Emergency è indipendente e neutrale. Dal 1999 a oggi EMERGENCY ha curato gratuitamente oltre 2.500.000 cittadini afgani e costruito tre ospedali, un centro di maternità e una rete di 28 posti di primo soccorso”.

FIRMA L’APPELLO SUL SITO DI EMERGENCY www.emergency.it

Auguri, maestro!

Gillo Dorfles compie 100 anni. Auguri.

Sull’Unità di oggi un’intervista di Bruno Gravagnuolo

«Italia disunita e senza stile dove ormai è in vigore la dittatura dello sgradevole»

“Dipendesse da me abolirei età e compleanni. Ma verrano a prendermi degli amici per festeggiarmi. Una cosa fuori città, ma che mi salverà da chi vuole felicitarsi…”. Dunque niente celebrazioni per Gillo Dorfes, centenario domani e «irritato» con chi gli fa gli auguri. I cento anni però ci sono e del resto Milano li ha già celebrati con una splendida antologica a Palazzo Reale ancora in corso. Lì c’è tutto il Gillo pittore, straordinario artefice di fantasmi fluidi e disarmonici, né astratto né figurativo. Artista di un pensiero visivo in germe, ironico. Che è poi la «sua» cifra di artista del Movimento di Arte Concreta, che fondò nel dopoguerra con Munari, Soldati e Monnet. Solo che Gillo, si sa, è molto altro.

Critico, psichiatra, estetologo, musicologo, musicista viaggiatore, esperto di design, moda, osservatore del gusto. Fu tra i primi a farci conoscere l’arte contemporanea e a tematizzare «armonia/disarmonia» nel raffronto tra arte orientale e occidentale. Uno scrigno di osservazioni, teorie, «flanerie» del buon gusto e del cattivo gusto (il kitsch). Chi se non lui può raccontarci l’Italia, dal punto di vista dello «stile» di una nazione? E poi ha raccolto per Castelvecchi le sue Irritazioni, manuale degli abusi e dei tic (anti) estetici che ci rattristano la vita. Sentiamo.

Nel catalogo delle irritazioni che la assediano – stuzzicadenti, piumini viola, grandi fratelli etc – cosa la irrita di più di questa Italia leghista e berlusconiana?
«Ha quasi detto tutto lei… ma il dato che più mi colpisce è la mancanza di gentilezza comunitaria. Niente sorrisi, le risposte nei negozi monche e sgarbate. Una sensazione di peggioramento nei rapporti col prossimo e l’assenza totale di cura per l’altro».

Barbarizzazione del costume italico?
«Non saprei fare diagnosi. È una forma di autismo privatistico senza interesse alcuno per ciò che accade attorno».

Al nord la Lega parla molto di comunità, Dio, patria e famiglia…
«Queste che dovrebbero essere le regioni più evolute, mostrano di non essere affatto le più avanzate. Invece prenda Salerno. È in piena fioritura e hanno convocato i migliori architetti e urbanisti internazionali per il Piano regolatore. Cose che non vedo qui. Evidentemente c’è una decadenza di tutto il nord. Anche a Milano l’ambiente è peggiorato e malgrado i grandi progressi economici del dopoguerra, mi pare che il progresso si sia fermato. Specie dal punto di vista culturale».

Milano non era la capitale del design, dell’architettura urbana e della moda?
«Lo è ancora, per la moda e il design. Triennale e Salone del Mobile sono ancora manifestazioni di eccellenza. Ma sono casi a sé. Vedremo più in là che cosa sarà l’Expo che s’annuncia interessante. Nomi e progetti fanno ben sperare – da Piano a Liebeskind – e non si intravedono progetti kitsch. Ma io parlo di un clima più generale, conformistico e un po’ depressivo».

Il conformismo di massa, uno dei suoi tormentoni polemici. In che consiste?
«Nella tendenza di ciascuno ad adeguarsi a quel che vede intorno. Il famoso individualismo italico è azzerato. Tutti vogliono gli stessi jeans, lo stesso impermeabile e lo stesso cibo. Una coazione maggioritaria penosa. E lo stesso vale per i giovani. Dal piercing, all’orecchino ai tatuaggi, vogliono tutti iscriversi alla stessa tribù».

Che ruolo gioca in questo il narcisismo e la voglia di esserci, coi reality show ad esempio?
«C’è un horror pleni dell’apparire a tutti i costi. E il Grande Fratello ne è l’esempio più sgradevole. Il fatto che esistano persone disposte ad autotorturarsi in gruppo in tv è aberrante. E l’esibizionismo domina su tutto, in un fracasso che annienta “segretezza” e pudore, cose sottoposte a ludibrio in basso e in alto. Di fatti né l’autorità né il pubblico vogliono preservarle».

Tendenza solo italica o globale?

«Globale. La gente ama mettersi a nudo per autorappresentarsi. Una volta non era così, ma oggi con i media vecchi e nuovi c’è un’orgia del vedere e del voler essere visti. Il che tocca non solo le masse ma anche le elites, i pensatori, gli imprenditori, i banchieri, per non dire degli artisti».

È un rimescolio estetico e audiovisivo che annienta confini e gerarchia, pause e intervalli…
«Sì, anche nell’arte domina l’esibizionismo. Gli artisti diventano eroi semiologici che creano pseudo-opere vistose e perciò riconoscibili. Sicché tutto si equivale e si dissolve».

Berlusconi non è a modo suo uno di questi eroi semiologici fracassoni e accattivanti? Perché resiste e perdura?
«Le ragioni della sua tenuta stanno nell’ammirazione di un certo pubblico. La genta crea e venera questa icona del successo, che vorrebbe imitare».

Piace perché il suo è un successo festoso e trasgressivo?
«È la legge dell’immagine. Nulla di meglio di chi dà l’idea di poter trasgredire con allegria e di trionfare contro tutti e tutto! Anche cattivo gusto e barzellette rientrano nella facile imitabilità del personaggio».

Benché il suo umorismo sia tipico di una vecchia antropologia italica da avanspettacolo?
«Sarà avvilente, ma questo umorismo somiglia a quella che oggi è l’antropologia italica dell’uomo della strada. Non dico che gli italiani siano tutti così o sempre così. Ma negli ultimi tempi è questo il modello imperante».

Berlusconi autobiografia della nazione?

«Autobiografia è un po’ troppo ma in parte i termini concidono».

È stata letale la dissolvenza identitaria della sinistra? E non avverte a riguardo un vacuum, come antidoto mancante?
«Ovvio che è stata una perdita. Speriamo che sia solo temporanea. È stato proprio l’horror pleni contemporaneo ad estinguere in un vacuum ogni energia oppositiva e critica. Il troppo rumore uccide ogni possibilità espressiva, artistica e politica. E poi la sinistra si è rammollita. È astenica, incapace di reazioni e di rappresentare la sua gente».

Un prezzo altissimo pagato a questo rammollimento. Col rischio di apparire inermi ed elitari dinanzi a una destra che ha dalla sua il senso comune popolare…
«Ha vinto il senso comune, che a volte è disastroso: un cattivo senso, retrivo. Altra cosa rispetto al buon senso. E la sinistra oggi perde su entrambi i fronti».

Quanto possono fare l’arte e il senso estetico contro il degrado?
«Ci sarebbe tutto un lavorio da svolgere, a cominciare dall’educazione artistica e musicale dei bambini. Ma siamo ai minimi termini da un punto di vista pedagogico. Comunque non bisogna rassegnarsi. La forza della sensibilità estetica – senza barriere di generi e linguaggi e applicata al quotidiano – è indispensabile per contrastare la dittatura dello sgradevole».

Una volta c’era la grande borghesia a custodire lo stile. Oggi che fine ha fatto la grande borghesia? Lo chiedo a lei che ha traguardato il secolo e frequentato Svevo, Saba, Bazlen e le grandi famiglie triestine, milanesi, genovesi…
«La borghesia in Italia ha fatto fiasco. Almeno una volta c’era una borghesia illuminata. Oggi è pochissimo illuminata. E il cialtrionismo è tipico della borghesia attuale. Finite le oasi di alcuni decenni fa, mentre la diffusione della cultura ha coinciso con l’involgarimento e l’appiattimento. E finita la coesione comunitaria. Da noi la destra non ha saputo fare cultura di punta né generare classi dirigenti, a differenza dei grandi paesi occidentali».

http://www.unita.it/news/culture/97268/italia_disunita_e_senza_stile_dove_ormai_in_vigore_la_dittatura_dello_sgradevole

Banalità

panda_800.jpgBanalità. Sto per scrivere banalità, come certamente qualche “moderno” intellettuale di sinistra potrebbe etichettare con una punta di irritazione. Banalità che però voglio condividere con i miei 24 lettori che si ostinano a frequentare Fortezza Bastiani.

Tutto nasce da una serata televisiva. Confesso, non per snobismo, che non sono un teledipendente, frequento soprattutto gialli e serial, vorrei incontrare Leroy J.Gibbs e passare un pomeriggio con Virgil Grissom, ma l’altra sera ero lì a vedere un quarto d’ora, in prima serata su Rai1 “Stasera è la tua sera”. Mi aveva “costretto” mia figlia: sarebbero stati protagonisti del programma di ragazzini di Reggio, in parte nostri conoscenti. Trascuro la scena di cinque ragazzini classe 1994 costretti a suonare (in playback) per accompagnare una squinternata leopardata (che poteva essere loro nonna) come Loredana Bertè. Ma anche i genitori erano lì, le madri (rispettabili mamme reggiane) truccate da truci-punk, degno contorno ad una band hard-rock made in Villa Sesso. Ognuno avrà il suo quarto d’ora di celebrità, diceva Warhol, anche a prezzo di trucibalde comparsate.

Ma quella non era la mia serata. L’ho capito un po’ dopo quando sono tornato davanti al video (l’assassino torna sempre sul luogo del delitto). Zapping e cado sull’altro canale nazionalpopolare Canale5. Trasmissione “Ciao Darwin”, le prime immagini mi hanno subito fatto capire che non era una versione soft di Quark. Un centinaio di persone si confrontavano in un’affollata arena, due squadre: “Amor sacro” e “Amor profano”. Culmine del confronto? Facile: sfilata di intimo femminile. Due fanciulle, una in bianco e una in nero (elementare, Watson) vestite solo di un po’ di fantasia a sfilare fra le urla del pubblico maschile, inquadrato in espressivi primi piani, completi di bava, occhi a palla e mani nei capelli. Sì, ciao Darwin, abbiamo trovato gli anelli mancanti, evviva.

Lo so, i miei 24 lettori non ci crederanno ma ce l’ho fatta: dopo un minuto (confesso) sono riuscito a cambiare canale, confesso da incallito radicalchic sono finito con la Dandini, ad ascoltare Sorrentino raccontare del suo personaggio letterario Tony Pagoda.

A quel punto però stavo per cercare il mio cibo preferito: germogli di bambù. Perchè mi sono sentito un panda, aggrappato al suo vecchio albero spelacchiato, e mi risuonavano le frasi dei tanti che a sinistra da anni ci rompono i cabasisi con il ritornello “la tv non conta, la tv non sposta voti”. Forse quei gonadofrangitori davvero non guardano la tv o (più probabilmente) erano in deliquio sul divano sbavando anche loro con Bonolis, ormai conquistati a quel credo dilagante e vittorioso.

Perchè quella è l’Italia che ci troviamo attorno, un’Italia costruita negli anni e ormai arrivata alla sua in-evoluzione più definita. C’era tutto in quei minuti: il mito del successo facile, il denaro a qualunque costo, la bellezza acquisita comunque, il sesso esibito, il branco urlante. In poche parole: l’orrore. Moralismo da strapazzo il mio. Roba da cattocomunista. Roba vecchia.

Da anni ci stupiamo non di quello che i vari birboni combinano, dal satiro plastificato in giù, ma dalla mancanza di una reazione, etica, morale, anche solo di buona educazione. Reazione? E perchè? Stupirsi delle plastiche di “uomo di stato”? E perchè quando l’essere belli, a qualunque costo, è un valore? Stupirsi della mignottocrazia? E quando mai, se il sesso esibito, buttato in faccia, è la norma? Vergognarsi dell’arroganza, della ignoranza esibita? Ma dove, se si regalano decine di migliaia di euro al primo decerebrato che indovina qual’è il piatto preferito d’estate dagli italiani (ve lo dico: insalata di riso, così magari un’altra volta portate a casa anche voi qualche euro..) in un quiz in prima serata?

Mi stupirei del contrario: se qualcuno si alzasse in piedi a dire “vergogna”. Hanno coltivato il campo, l’hanno concimato con molto, molto, guano e adesso raccolgono dovizia di messe. La televisione ha costruito il sentire comune. Ha ricostruito la scala di valori. Svanita la scuola, impegnata in affari la Chiesa, sputtanati i partiti, la formazione è stata quella del tubo catodico, ora per ora, casa per casa. Non c’è stato bisogno di uscire da casa, il guano è arrivato preciso e puntuale, guano per tutti. La vera democrazia.

Noi panda restiamo appollaiati sul ramo con i nostri germogli di bambù, di Darwin preferiamo ancora quel libriccino scritto tanti anni fa. Siamo vecchi, obsoleti, geneticamente inadatti.


Consigli di lettura

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Marco Revelli, Controcanto, Chiarelettere 2010.

“Questo “disagio dell’inciviltà” ci opprime. La svolta c’è già stata: le torture a Bolzaneto, le leggi contro i vagabondi, la caccia ai Rom, la segregazione degli immigrati, i “pacchetti sicurezza” del centrosinistra e la scelta a favore della guerra, la violenza contro i diversi e gli Altri. La “pedagogia del disumano” sembra essere oggi l’unica politica possibile. I diritti conquistati nel Novecento – uguaglianza, lavoro, libertà, cittadinanza – non sono più acquisiti in forma universale ma se mai concessi in modo selettivo. Il “Controcanto” di Revelli racconta la mutazione di questi anni, ponendosi dalla parte “sbagliata”, di chi non ha nessuna garanzia e rappresentanza ed è escluso dal grande gioco della democrazia mediatica, plebiscitaria e disciplinare, dove è assente qualsiasi responsabilità civile e politica. Allora è necessario spezzare questa “rappresentazione” con un gesto estremo di secessione estetica ed etica, prima che politica. Un “controcanto” appunto, con un nuovo coro.”

…a pagina 52
“Bisognerà lavorare a lunga scadenza, senza illusioni, senza speranze né scorciatoie né espedienti tattici. Sapendo il perché, senza più chiedersi
quando.”

…a pagina 62
“Se una resistenza può nascere oggi, credo che non possa che costituirsi su un fronte per così dire impolitico… Occorre mettere insieme chi continua a non voler rinunciare alla propria residua umanità.”

Marco Revelli insegna Scienza della politica e si è occupato prevalentemente dell’analisi dei processi produttivi e delle forme politiche del Novecento. Tra i suoi ultimi libri vanno ricordati: “Fuori luogo. Cronache d aun campo Rom” (Bollati Boringhieri 1999), “Oltre il Novecento” (Einaudi 2001 e 2006), “La politica perduta” (Einaudi 2003), “Sinistra destra. L’identità smarrita” (Laterza 2007 e 2009).

 

9788842092087.jpgLuciano Canfora, L’uso politico dei paradigmi storici, Laterza 2010.

“La storia – si dice – la scrivono i vincitori, ma il problema è capire chi sono i vincitori. Anche se questo è un campo che si presta ai paradossi, è ben vero che molto dipende dalla periodizzazione che si adotta: cioè dal senso che si attribuisce a determinati eventi, dalla lettura che se ne da e ancora una volta dalle ‘analogie diagnostiche’, nonché dalla comparazione e valutazione di differenti, possibili, analogie”. Il nostro giudizio sui fatti storici è determinato dalla nostra comprensione di essi: comprensione che avviene appunto attraverso il tipo di analogia in cui caliamo quei fatti. Quell’analogia in cui riteniamo appropriato pensarli (in quanto ci sembra maggiormente comprensiva di elementi che si ritrovano e si rispecchiano a distanza di tempo e reciprocamente si chiariscono) comporta necessariamente il nostro schierarci rispetto a essi. Dunque le analogie utilizzate nella indagine storica sono sempre soggettive e sempre provvisorie, anche perché passibili di essere soppiantate, nello svolgersi stesso degli eventi. Il tema dell’analogia guida l’interpretazione di Luciano Canfora su due grandi svolte della storia: la rivoluzione francese e la rivoluzione d’ottobre.”

Indice

Prefazione Trent’anni dopo – Nota – I. L’analogia come forma della comprensione storica – II. Macroanalogia, microanalogia, narrazione «orientata» – III. Analogia e politica: l’analogia diagnostica – IV. «Pensare» la Rivoluzione francese: la tolleranza e la virtù – V. Tra i barbari e l’impero: analogia o cliofilia? – VI. Il filantropo e il politico – Appendice – Conclusione L’inquietante mestiere dello storico – Indice dei nomi

Luciano Canfora Luciano Canfora insegna Filologia classica all’Università di Bari. È direttore della rivista “Quaderni di storia” e collabora con il “Corriere della Sera”.