Sabrina, Valentina e la nostra mutazione (P.G.Paterlini)

Piergiorgio Paterlini per Piovonorane.it

Qualcosa è veramente cambiato in questi giorni nel nostro rapporto malato –  non moderno o post-moderno, malato e basta – con la televisione. E non è stato certo l’annuncio in diretta della morte di Sarah Scazzi, evento – a quanto possiamo capire, speriamo sia davvero così – imprevedibile e difficilmente gestibile.

Il mutamento è avvenuto dopo.

Come è possibile, come si può definire, a cosa fa pensare, che sentimenti suscita… il fatto che tutti i giorni, su tutte le reti, dalle otto del mattino alle due di notte, per ore, come niente fosse, con voce normale, con occhi freddi e asciutti, le due cugine di Sarah, Sabrina e Valentina stiano lì in collegamento diretto a rispondere ai giornalisti, in studio tv o accanto a loro sul divano di casa, a parlare della loro quasi sorella morta ammazzata, a parlare del loro padre che si è autoaccusato dell’omicidio. Lì, ferme, tranquille, a disquisire di una intercettazione, di un auricolare, e se erano le 14.35 o le 14.40 e di un portone di un garage, di quel garage. Più fredde, competenti e lucide di una squadra dei Ris, o – meglio – di una puntata di Criminal Minds.

Sabrina e Valentina sono la vera novità e il nostro terribile specchio. Erano lì già la mattina dopo la confessione del padre. Erano lì un’ora prima e un’ora dopo il funerale!

Quelle due ragazze mi agghiacciano. Mille volte più di tutte quelle ragazzine che si vendono per partecipare a una fiction, a un reality, a un gioco a premi, a qualcosa… Letterine, Letterone, Letteronzole, boh.

Ha ragione Sgarbi che spudoratamente dice: io vivo perché vado in televisione, perché mi fermano per strada – per insultami o per applaudirmi – ma perché mi hanno visto in tv. Io non sarei vivo – letteralmente – senza andare in tv. Ha ragione lui? Le cose stanno così? Noi siamo così?

Io non vado in tv. Penso, spero di essere vivo lo stesso. E così spero di voi.

http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/

Ecco le vere fabbriche del fango (A.Sallusti)

1171890968_pericolo.gifAvviso ai lettori: Pericolo! La lettura prosegue a vostro rischio e pericolo! Articolo di Alessandro Sallusti, mica noccioline…

Due paginate di fango su La Re­pubblica a firma D’Avanzo, quel­lo che nel torbido pesca da anni per costruire teoremi che mai reggono la prova dei fatti. Un articolo fa­zioso sul Corriere della Sera , firmato da Fiorenza Sarzanini, prima firma delle procure italiane. Più briciole di veleno e menzogne sparse su organi democrati­ci di vario ordine e grado. Dobbiamo proprio far paura se contro di noi scen­dono in campo le prime linee dell’anti­berlusconismo militante, quello che si infilò nel letto del premier al tempo del­la D’Addario, che mise nel tritacarne mediatico quel capolavoro di efficienza che fu la prima ricostruzione dell’Abruz­zo, che da 18 anni insegue Silvio Berlu­sconi manco fosse un serial killer. Trop­po onore. Ci accontentiamo del giudi­zio dei nostri lettori, che in questi giorni ci premiano facendo schizzare le vendi­te del Giornale a cifre da record. E del parere di due giornalisti liberi e autore­voli come Piero Ostellino e Giampaolo Pansa. Il primo ha scritto ieri un articolo in nostra difesa che il Corriere della Sera ha ben nascosto a pagine 36 senza ri­chiamarlo, cosa rarissima, in prima pa­gina. L’ex direttore del Corsera difende la libertà del Giornale di pubblicare ciò che meglio crede, e lui crede che quelli letti fino ad ora siano fatti concreti e non dossier spuntati da chissà dove o ordina­ti da chissà chi. Non solo. Ostellino si indigna per il silenzio della classe intel­lettuale e dirigente del Paese, e si stupi­sce che la gente tutta non abbia un moto di ribellione di fronte a un magistrato che spedisce i carabinieri nella sede di un quotidiano per curiosare nei cassetti e negli archivi di giornalisti. Più o meno gli stessi concetti li ha so­stenuti Giampaolo Pansa in un editoria­le apparso domenica su Il Riformista. Ostellino e Pansa, due uomini che pro­vengono da esperienze e idee diverse, ma che hanno in comune un forte senso di verità e libertà. Il primo l’ha pagata vedendo chiudere anzitempo la sua di­rezione del Corriere della Sera . Il secon­do con l’emarginazione prima da Re­pubblica e poi da L’Espresso e infine dal­la sinistra tutta. Il principe dei liberali italiani e un ex comunista intellettual­mente onesto che ha osato rileggere la storia ufficiale della Resistenza ci chie­dono di non farci intimorire e di andare avanti. Ci basta. I D’Avanzo e i Woo­dcock a loro confronto sono piccoli. Concita De Gregorio e la sua Unità , che non ha mai scritto una riga sui guai giu­diziari del suo editore Soru, ancora di più.

http://www.ilgiornale.it/interni/ecco_vere_fabbriche_fango/12-10-2010/articolo-id=479623-page=0-comments=1

Il nemico ritrovato (Luca Telese)

“Il Fatto quotidiano”, 8 ottobre 2010.

Polemiche resistenti
IL NEMICO RITROVATO
Lo storico Storchi e la deriva di Pansa: gli voglio bene, ma i suoi libri non mi piacciono.

Di Luca Telese

A Reggio Emilia lo chiamano “l’anti-Pansa”. Storico della Resistenza, pubblicato da Marsilio, Franco Angeli e Aliberti, responsabile del Polo archivistico cittadino, Massimo Storchi ha studiato molte delle cose che Pansa ha inserito nel suo Ciclo dei vinti. La cosa curiosa è che per più di dieci anni è stato un amico stretto dell’autore dell’autore del Bestiario. Poi, come in una trama shakesperiana, dopo una presentazione infuocata su Il sangue dei vinti, i rapporti cessano e resta la battaglia culturale su fronte opposti. “Io ho una grande stima per lui-spiega Storchi-ma ho idee radicalmente opposte dalle sue sulla Resistenza. Non ha senso dare a Pansa del falsario, il che non è vero, ma che la sua contestualizzazione degli eventi falsa la reale percezione dei fatti”.

Professore, lei, amico di Pansa, diventa “L’anti-Pansa”…
Se lo dicono è per prendermi in giro. Lui vende 100 mila copie a libro. Io, se mi va bene, 10 mila. Servo senso delle proporzioni. Non siamo comparabili.
Le querelle culturali non sono decise dalle classifiche…
Ci mancherebbe altro. Vuole sapere la storia dei miei rapporti?
Prego
Conobbi Pansa nel 1991. Sua moglie è di Reggio come me e ci incontrammo a casa di un’amica. Era simpatico, colto, un grandissimo comunicatore. Nacque un bel rapporto, fino al Sangue dei vinti nel 2003 ho presentato tutti i suoi libri.
Dopo lei non ha più voluto confrontarsi con lui per quello che aveva scritto?
Veramente è lui che non mi ha più invitato.
Cosa accadde quella sera?
Sala affollata, tensione. Criticai fortemente alcune delle tesi del libro. La platea, è un eufemismo, rumoreggiò parecchio.
La fischiarono?
No, erano piuttosto orientati.
Cioè di destra?
Sì, ma non è quello il punto.
Lei si è sentito scippato, come altri storici, da Pansa?
Assolutamente no. Non concepisco la lesa maestà. Fra l’altro avevo scritto il mio primo saggio sulla Resistenza a Reggio nel 1995 e, più volte citando la fonte, Pansa riportava elementi tratti da questi lavori. Dire che Pansa falsifichi è assurdo.
Cosa gli contesta allora?
È il quadro in cui inserisce le sue storie ad essere falsato.
Mi faccia un esempio.
Sto alle cose che conosco meglio e su cui Pansa ha scritto in diversi libri: Reggio Emilia.
Prego
Pansa racconta una serie di storie efferate. Ebbene, lo sono davvero. Poi scrive, cito testualmente, che sono delitti che si verificano nel “mattatoio di Reggio Emilia”. E questo dimostra la ferocia dei partigiani.
Cosa manca nel quadro?
Il contesto. E le proporzioni per aiutare a capire il lettore non professionista. Se invece che partire dalla forza emozionale di un eccidio, io parto dai dati, scopro che il “mattatoio”, in termini statistici non esiste.
Ovvero?
Ho ricostruito la lista delle vittime, in città, andando anagrafe per anagrafe a spuntare le liste. Ebbene, il dato è questo: a Reggio dal 22 aprile al 22 maggio 1945 in tutto 426 morti.
Vuol dire che sono pochi?
Se lei pensa che si era nel mezzo di una guerra civile, per quanto si tratti di morti orribili, devo dire di sì. Molto pochi. Se non si sa che era la Seconda Guerra mondiale e che si combatteva in ogni paese d’Europa, possono sembrare un’enormità.
Ma le stragi non si fermano dopo il 10 maggio.
Mi consente di essere pedante? Ecco i dati del 1945, mese per mese: a giugno 5 morti, a luglio 1, agosto 2, settembre 3, ottobre 7, novembre 1, dicembre 4. Questo sarebbe il feroce pogrom dei partigiani?
Ma ci sono altre cifre che si discostano molto da queste?
Non di molto, a dire il vero. Secondo il Ministero degli Interni, per esempio, una fonte non bolscevica, visto che lo reggeva Scelba, nel 1945 i morti sono stati 425 dispersi 90.
Quelli che Pansa chiama gli “Sconosciuto 1945”.
Bene, molti di questi dispersi risultarono essere vivi. Erano sfollati o in campi di prigionia.
Ma il triangolo della morte?
Conosce i dati per città? 1138 a Torino, 636 a Bologna, 632 a Milano…a Reggio sono 560.
Quindi non ci fu nessuna strage dei vinti, secondo lei? Niente sogni insurrezionali?
Non è che non ci fossero desideri di Rivoluzione o vendette. Ma c’è una data spartiacque, dopo di cui le uccisioni cessano.
Quale?
Nel settembre 1946 arriva Togliatti e dice ai dirigenti: “Signori, o voi sapete e siete complici. Oppure voi non sapete e siete incapaci”.
Cambia la linea?
Molto. Togliatti è il Guardasigilli, è l’uomo dell’amnistia, non può permettersi che nella città fiore all’occhiello del Pci si continui a sparare ai fascisti. E infatti la “mattanza” cessa quasi del tutto.
Ma voi queste cose le avevate scritte anche prima?
Nell’archivio de “La Stampa” c’è un’intera pagina del 1998 sul mio Combattere si può vincere bisogna”, la firmava Paolo Mieli.
Chi è per Storchi Pansa?
Un amico, che però scrive libri che non mi piacciono.
Ma i suoi libri hanno rotto alcuni stereotipi?
Sì, l’agiografia resistenziale ha prodotto danni spaventosi. Ma nel 2005, non lo dico per farmi bello, ho pubblicato Sangue al bosco del Lupo, sui partigiani uccisi dai partigiani. Però Pansa crea anche equivoci: l’idea che la Resistenza sia stata un crimine.
Cosa spiega ai suoi studenti?
Che le vittime sono tutte persone, uomini, vite. Ma che fra di loro c’era chi combatteva per Auschwitz e chi combatteva contro Auschwitz.
Mi faccia un altro esempio
Pansa scrive un capitolo sull’assassinio della figlia di un capo fascista. È tutto vero. Ma se non dico che quello era il capo dei torturatori, è ovvio che non spiego perché-sbagliando-qualcuno gli ha sparato.
Sempre a Reggio Emilia Pansa è stato contestato.
La mamma dei cretini è sempre incinta. Ma ho scoperto leggendo lui che non erano di città.
Mi dice 5 libri da consigliare.
Il bellissimo libro di Pavone sulla guerra civile. I fondamentali saggi di Guido Crainz. Il libro di Gabriele Ranzato sul linciaggio del direttore del carcere di Regina Coeli. Poi “La lunga Liberazione” di Mirco Dondi.
E “il sangue dei vinti”?
Sì, per raccontare l’altra parte. Ma assieme allo straordinario libro di Alessandro Portelli “L’ordine è già stato eseguito” sull’eccidio delle Fosse Ardeatine. E poi “Il massacro” di Luca Baldissara e Paolo Pezzino sulla strage di civili a Monte Sole.

Libro e moschetto, fascista perfetto. L’esercito invade la scuola pubblica (Angelo D’Orsi)

seguitemi.jpgQualche giorno fa, nella sala d’attesa di un medico, ho trovato Panorama: la copertina era dedicata alla scuola, con una tesi ben evidente: gli insegnanti sono troppi, ci sono sprechi, inefficienze, e dunque il governo – sotto l’egida della signora Gelmini, che a sua volta è sotto la tutorship del vero capo dell’Esecutivo, Giulio Tremonti – fa benissimo a tagliare. Quei tagli sono razionalizzazioni, e del resto con la crisi (ma insomma: non era superata da un pezzo, la crisi? Non è quello che ogni giorno sentiamo ripeterci?) i ministri hanno il dovere, non solo il diritto, di tagliare. Tagliare dove è necessario. E si snocciolano cifre piuttosto fantasiose, per dimostrare questi poco credibili assunti: ci pensa poi Giuliano Ferrara, con la delicatezza di cui è capace, a rincarare la dose sputando sulla sinistra che ha rovinato la scuola, sugli insegnanti che si sono lasciati abbindolare (dai “cattivi maestri”, che esercitano una vistosa egemonia sulla cultura, suppongo…), e quant’altro.

Intanto, nelle settimane dell’inizio anno scolastico, abbiamo sentito (malgrado la prudenza, per non dire censura, dei tg di governo o del padrone, che è lo stesso), di proteste a macchia d’olio lungo la Penisola: proteste per tutto, dalle condizioni di centinaia e centinaia di edifici scolastici fatiscenti o addirittura pericolanti, fino alla umiliante raccolta fondi o direttamente materiali didattici tra le famiglie degli alunni per procurare quaderni, fogli, penne, matite, pennarelli nelle classi…; dalle chiusure di sedi alle classi con 35 allievi; dalla riduzione o eliminazione di insegnanti e corsi di sostegno per i ragazzi con difficoltà, per non parlare dei crocifissi inchiodati alle pareti, come se il buon Gesù non fosse stato davvero (nel racconto evangelico) egli stesso inchiodato alla croce…

I più attivi e preparati dei docenti hanno abbinato queste rivendicazioni alla critica radicale nei confronti delle sciaguratissime, e diciamo pure delittuose, politiche governative. Un Paese che fa la guerra al proprio sistema educativo è non solo un Paese privo di speranza, ma è già un Paese in coma. Coma morale, ma coma culturale, e, last but not least, coma economico: la scuola, l’università, la cultura bisogna smettere una volta per tute di considerarle ornamenti della società: esse ne sono l’essenza, ne sono un formidabile volano di sviluppo e di crescita, ne sono lo spirito.

Ma come sappiamo, mentre dai Brunetta e dai Tremonti giungono tagli e insulti, in nome dell’austerità, che producono lacrime vere fra discenti e docenti, arrivano notizie in controtendenza: per esempio la ben nota, scandalosa vicenda di Adro, nel Vicentino, dove pubblico denaro è stato impiegato per discutibili operazioni di arredo scolastico, e ora stiamo aspettando che sindaco e dirigente scolastico paghino i danni. Ma ve lo immaginate che sommossa nazionale ci sarebbe stata se un sindaco di sinistra, con la complicità di un preside, avesse ornato la scuola con falci e martelli: dai banchi alle pareti…? Sarebbero piombati i carabinieri entro le prime 12 ore, e la chiacchiera pubblica avrebbe additato all’ignominia gli autori del malfatto. Ora, stiamo ancora aspettando un arresto, una richiesta di risarcimento danni, quanto meno una incriminazione a piede libero. Nulla.

Ma quella è stato solo un momento della nuova scuola del regno del Nord, sotto Umberto I (ma quello dei Savoia, fu ammazzato a Monza nel 1900: Bossi lo sa?): poco più in là, verso Occidente, procedendo dal Veneto verso il Piemonte, nella Lombardia che i leghisti coccolano nel tentativo di sottrarne il controllo all’odiato “governatore” Formigoni , ci imbattiamo in una interessantissima – agghiacciante, a dire il vero! – iniziativa che la ministra, l’inclita Mariastella Gelmini, ha sostenuto, “di concerto” con…? Con chi? – direte voi: se non lo sapete non lo indovinerete. Con il ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, perbacco. Mi devo soffermare un istante sulla vicenda, che ha visto l’endiadi “Libro e Moschetto” (sottotitolo: “Fascista perfetto”), ripresentarsi e non, per ora, sui colli fatali di Roma, ma nella ubertosa Lombardia, la metà occidentale del “Lombardo-Veneto”, culla delle nuove aspirazioni territoriali leghiste.

Ne sono artefici il dirigente scolastico regionale e il comandante militare della Regione; ma, come si legge nel materiale di propaganda, della bella (!) iniziativa, essa “è supportata dalla sinergia tra il Ministero della Pubblica Istruzione e il Ministero della Difesa che viene sempre di più sospinta dal Ministro”. Una frase che, dopo aver superato il trauma che una sintassi siffatta può provocare in un qualsiasi lettore che abbia raggiunto la III Elementare, non può che inquietarci, sospingendoci verso tempi cupissimi, probabilmente assai cari all’attuale titolare del ministero della Difesa (che, anzi, proporrei di ribattezzare, ipso facto, ministero della Guerra).

Quanto alla signora Mariastella, inopinatamente divenuta addirittura responsabile di un dicastero che si intitola all’Istruzione, all’Università e alla Ricerca, credo che i miei lettori conoscano a sufficienza il personaggio: ma la sua accoppiata con il signor La Russa, il picchiatore fascista asceso a governare la politica delle armi italiane, è degna di attenzione. Come dire? All’uno il governo dei corpi, all’altra quello degli spiriti. Ora che una regione, che sarà certo seguita da altre, si prenda la briga di organizzare corsi di tiro col l’arco, nuoto, arrampicata, orientamento, sopravvivenza in ambienti ostili, e, ovviamente, tiro alla pistola, ed altre attività ginnico-militari, certo lascia quanto meno perplessi.

Se poi si leggono gli opuscoli di presentazione, opera dei bellicosi scrivani del duetto ministeriale che spiegano gli alti scopi dell’iniziativa, la perplessità si tramuta in sdegno. E si trasecola davanti a una prosa che potrebbe essere una imitazione di uno stanco Marinetti. Abbiamo archiviato anche il centenario del Futurismo, che predicava scuole di coraggio e di arditismo e quant’altro. Ma i sullodati lombardi pare non se ne siano accorti. E dopo i corsi, fatti di studio e pratica di quelle impegnative “materie”, ecco che si arriva al gran finale. Seguirà, a fine corso, si legge: “una gara pratica tra pattuglie di studenti”.

Dunque, cominciamo con le pattuglie, che con il cambiare dell’età diverranno ronde: qui, si precisa che il nemico è dato dai “bulli” (ma come facciamo a escludere che qualcuno che “sta antipatico a qualcun altro”, spalleggiato dall’autorità, non venga etichettato come bullo?), poi più avanti saranno rom, o africani, o tossici e disadattati, barboni o ubriachi (o che so? Meridionali e comunisti?…), a essere oggetto delle poco amorevoli “cure” dei rondisti.

Meno male che tra gli obiettivi dichiarati di questa iniziativa sciagurata, che oscilla tra postarditismo e protofascismo vi sarebbe pure lo studio del diritto costituzionale. Francamente, preferirei che quell’insegnamento – che dovrebbe essere obbligatorio per tutti, a cominciare dal nostro ineffabile presidente del Consiglio, che di diritto e di Costituzione non sa nulla di nulla – fosse affidato a competenze diverse – e distanti – da quelle dei colonnelli del (Regio) Esercito.

Angelo d’Orsi
(28 settembre 2010)

http://temi.repubblica.it/micromega-online/libro-e-moschetto-fascista-perfetto-l’esercito-invade-la-scuola-pubblica/

Per Nobel un fuorilegge assassino (Mario Staderini)

rogo_eretici.jpgIn Italia, un Nobel come il professor Edwards sarebbe un fuorilegge per lo Stato e uno sterminatore di vite umane per il Vaticano.
La sua responsabilità: fare ricerca secondo scienza e coscienza in materia di fecondazione assistita e cellule staminali.
Edwards è un simbolo, perché è un incredibile testimonial di come la scienza possa aiutare la vita umana. Aiutare chi non può avere figli, evitare malattie invalidanti, è cosa popolare e immediatamente percepibile dall’opinione pubblica.
Per questo il Vaticano deve metterlo all’indice, insinuare il dubbio che siamo davanti ad un criminale, ad uno scienziato nazista. Per il Presidente della Pontificia accademia per la vita, Edwards ha causato con le sue ricerche la morte di milioni di embrioni, definiti vite umane nascenti. Basta vedere il linguaggio: in riferimento agli embrioni si parla di “morte”, di “vita umana”.  D’altronde il Vaticano fa il suo mestiere, quello di uno Stato assoluto e confessionale. Andiamo allora ad approfondire come sia possibile che, a fronte del riconoscimento unanime della comunità scientifica e dell’opinione pubblica internazionale, in Italia ci ritroviamo una anomalia mondiale come la legge 40 che vieta le sue scoperte e la sua ricerca. Cosa è accaduto per imporci una legislazione medievale sui temi detti etici?
Non abbiamo certo una opinione pubblica ferma su posizioni oscurantiste.
È l’assenza di democrazia che ha permesso alle spinte clericali di saldarsi con gli interessi della partitocrazia per imporre proibizione e divieti.
Prima con la legge 40/2004, approvata nel silenzio dei mass media dopo che nella campagna elettorale i candidati premier Berlusconi e Rutelli avevano affermato che i temi di Luca Coscioni, allora capolista Radicale in tutte le circoscrizioni, fossero solo un problema di coscienza.
Poi con il sabotaggio del referendum abrogativo, quando il combinato disposto di Corte costituzionale e informazione di regime nascosero agli italiani la vera partita che era in gioco: la stessa dei referendum sul divorzio, sull’aborto, una questione sociale e non una questione tecnica, di bioetica o non so quale altra stregoneria.
Se radio e tv cancellano per anni notizie e approfondimenti sul progresso della scienza e le sue applicazioni, e poi tutto insieme parlano per 20 giorni del referendum che voleva abrogare la legge 40 prefigurando clonazioni umane (come dimenticate le puntate di Porta a Porta sulle clonazioni umane dei raeliani! A proposito, ce l’hanno fatta a clonare l’uomo? Chi vede Vespa glielo chieda), siamo davanti ad altro…
Vaticano, chi legge questo blog conosce le mie convinzioni a riguardo, significa potere economico, finanziario, politico, mediatico. Le stesse cose che governano le scelte delle oligarchie che dominano i partiti italiani. Vaticano e Partitocrazia vanno a braccetto, si scambiano favori, e tra i due è sicuramente il primo ad avere il coltello dalla parte del manico. Si pensi al finanziamento pubblico che entrambi riescono a rubare ogni anno dalle tasse dei contribuenti: 250 milioni di euro i partiti tutti insieme, 1 miliardo di euro la Cei da sola.
Se non si aprirà un confronto sul perché in Italia abbiamo la folle legge 40 (peraltro via via smontata dai tribunali), se non si considererà l’analisi che individua nella distruzione delle leggi e delle regole democratiche – oltre che allo strapotere neoclericale – la principale causa di questo nostro arretramento su diritti e libertà civili, altre involuzioni illiberali aspettano il nostro Paese.
Ad esempio quelle annunciate dall’Agenda Sacconi e messe in programma da Berlusconi su aborto, fine vita, ricerca scientifica.
Insomma, nel silenzio dei più, dall’Agenda Coscioni siamo passati all’Agenda Sacconi.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/10/05/per-nobel-un-fuorilegge-assassino/68043/

La blasfemia del Paese reale (Massimo Fini)

La blasfemia del Paese reale

In questi anni Silvio Berlusconi ha aggirato nel modo più turpe un’orfana di padre e di madre, minorenne, sfilandole qualche decina di miliardi, ha giurato il falso in Tribunale, ha commesso gravi reati da cui è uscito assolto solo per prescrizione, ha corrotto un testimone in giudizio perché desse una falsa testimonianza che gli è servita per salvarsi in un paio di altri procedimenti, attraverso una settantina di società off-shore è autore di un’evasione fiscale colossale, tutti atti oltre che penalmente rilevanti, moralmente ripugnanti, e l’Osservatore Romano, alias il Vaticano, non solo non ha mai mosso orecchia ma, soprattutto sotto la direzione di Mario Agnes, ma anche dopo, ha attaccato costantemente la Magistratura italiana quando si è permessa di richiamare il Cavaliere e i suoi accoliti a quel rispetto della legge cui tutti siamo tenuti e in particolare chi ricopre alte e altissime cariche pubbliche. Insorge improvvisamente adesso e si indigna per una mezza bestemmia inserita in una barzelletta detta da Berlusconi in privato un anno fa. E i giornali gli vanno pedissequamente dietro.
Questo è un Paese che ha perso ogni senso della gerarchia dei valori e delle cose che sono importanti e di quelle che non lo sono affatto. “Insopportabile” non è la pseudobestemmia di Berlusconi, ma l’ipocrisia, il tartufismo, il moralismo un tanto al chilo che permeano ormai l’intero Paese. E poi se è l’ora di finirla con l’impresentabile Berlusconi, per ben altri motivi delle sue barzellette, è anche l’ora di finirla con Papi, Cardinali, Cei, Bagnaschi, preti di tutte le risme che, con un pretesto o con un altro, entrano ogni giorno a piedi uniti negli affari interni dello Stato italiano (se Sarkozy, in una cena fra amici, avesse raccontato una barzelletta blasfema, nessun Osservatore Romano sarebbe intervenuto). Se le opposizioni e i giornali che, in modo diverso, la fiancheggiano vogliono rendere l’ennesimo favore a Berlusconi insistano pure, invece che sulla sentenza Mills, su questa sciocchezza dell’”orchidea” che se allarma alcune beghine cattoliche lo rende simpatico a tutti gli altri. Perché noi oltre che di Santi, di Poeti e di Navigatori, siamo anche un popolo di Bestemmiatori (si pensi alle “madonne“, quasi liriche, dei toscani).
Monsignor Fisichella ha detto che la blasfemia di Berlusconi va giudicata all’interno del contesto in cui è avvenuta.
Una volta tanto siamo d’accordo e speriamo che la pseudobestemmia di Berlusconi serva almeno a evitare un grottesco cartellino rosso al calciatore che, preso un tremendo pestone dall’avversario, sacramenta come dio comanda.

Perché questo è il nuovo regolamento della Figc in omaggio all’ipocrisia di un Paese che è cattolico a parole e nelle parole e profondamente blasfemo nei fatti.

Se li conosci…

pericolo.jpgSe li conosci li eviti, ma noi li conosciamo? Uno dei rischi della “sinistra” è sempre stata l’autoreferenzialità, malattia portata a vertici sublimi dai dirigenti della medesima. Insomma, succede di “cantarsela e suonarsela” fra noi. Facciamo i cortei per darci coraggio e dire “quanti siamo” e poi regolarmente perdiamo le elezioni. “Piazze piene, urne vuote” è la sintesi. Così, per il miei affezionati e pazienti 36 lettori, inizio a mettere su FB anche articoli diversi, molto diversi. Leggiamoli e pensiamo che ci sono persone, non Ufo o Bondi, che questi articoli leggono e condividono.

C’è un regime in Italia: è di sinistra
di Salvatore Tramontano
“Il Giornale”, oggi.

Questa è la vostra libertà di stampa: a mano armata. Non ci sarà nessuno che scenderà in piazza per difendere Maurizio Belpietro. Questo è il marcio di un Paese dove gente dissennata e in malafede passa il tempo a sparlare di regime, di dittatura berlusconiana, di democrazie stuprate. Un giornalista viene seguito davanti alla porta di casa da un militante con la pistola, uno che vuole ammazzarlo e non esita a sparare a un uomo della scorta tra le scale e il pianerottolo. È il direttore di un giornale che sta dalla parte sbagliata. Quella dei venduti, dei pennivendoli, quella senza dignità e senza diritto di parola. Quella bollata di infamia dalla cultura bella, buona e di sinistra, anzi antiberlusconiana. La cultura dei giusti.
È arrivato il momento di chiedersi perché nel mirino di una pistola è finito il direttore di Libero. Perché uno che di mestiere fa soltanto il giornalista, in questi tempi in cui il piombo non dovrebbe essere così caldo, sfiora di un attimo l’appuntamento con la morte. Perché lui? Non dite che scrivere o dirigere un «quotidiano vicino alla famiglia Berlusconi» è un mestiere pericoloso. Non ditelo, perché sembra una cosa dell’altro mondo, ma purtroppo rischia di essere vera.
C’è un concetto nelle parole di Belpietro che deve far riflettere, uno sfogo, un’amarezza: «In questo Paese certe idee si pagano con paura e minacce». Certe idee, quella che per un manipolo di dotti, medici e sapienti sono fuorilegge. Sono le idee di chi non fa la pecora blaterando ogni giorno che tutti i mali di questa maledetta penisola hanno un nome e un cognome: Silvio Berlusconi. Belpietro lo dice chiaramente. «Io sono uno dei pochi direttori sotto scorta, insieme ai colleghi Vittorio Feltri e Emilio Fede. Siamo tutti dell’area moderata e non è un caso. Sostenere le idee contro la vulgata corrente si paga anche da questo punto di vista, con la limitazione della libertà».
Allora è qui che le cose si ribaltano. Se qui c’è un regime è quello dell’antiberlusconismo. È un regime culturale, di clima, di luoghi comuni, di lobby, di parole che rimbalzano come una dottrina imparata a memoria sui blog, sui giornali, sulle trasmissioni televisive, in Parlamento. Questo è il regime dei giusti, dei giacobini, di quelli che dicono che è peccato scrivere per i giornali di Berlusconi o per le sue case editrici, di quelli che danno per verità rivelata l’assioma che i berlusconiani sono rozzi, cattivi, ignoranti e prezzolati. Non è un’opinione. Per il regime questo è un comandamento divino. E poi arriva qualcuno che spara. È tutto già visto, e questa volta non c’è neppure la scusa dell’ideologia.
Gli schizzi di fango cominciano a diventare sangue. Questo è un Paese strabico. Solo una parte ha il diritto di aggredire verbalmente, di sputare odio, di appiccicare etichette, di marchiare l’avversario. Si può dire che Berlusconi è un dittatore, è un mafioso, un depravato. Si può accusare Marchionne di voler affamare gli operai meridionali. Si può battezzare la Cisl di Bonanni come sindacato giallo. Si può mettere all’indice chiunque non sia allineato e coperto. Ma se poi si dice che tutto questo genera odio si passa per mestatori. I cattivi maestri non esistono. La violenza è solo la malattia dei matti. Strano che colpisca sempre dalla stessa parte. Berlusconi davanti al Duomo sanguina per vittimismo, con l’abilità di un grande attore. Qualche fumogeno in faccia a Bonanni non è mica un reato. Non è un tentativo di mettere al rogo, mediatico e non, un sindacalista che ha l’unica colpa di aver firmato un accordo con la Fiat. No, la figlia del pm si è giustificata dicendo che un petardo non ha mai ucciso nessuno. Questa è la dittatura. Far passare questa violenza come normale. In fin dei conti sparare a un berlusconiano non è reato.

No, Belpietro no!

belpietro.jpgNo, Belpietro no! Non toccatemi Belpietro, una così brava personcina, compita, educata, con un alto senso civico e morale. No. Lui no. Anche perchè di martiri e di eroi questo povero paese non ha bisogno. Quindi non ripeterò le ovvie osservazioni della stampa di oggi, quasi si dovesse dire ancora che la libertà di informazione è la premessa non la conseguenza di qualunque riflessione. Libera penna in libero stato.

No, Belpietro no. E poi, come? Con una calibro nove? Roba da Brigate Rotte o da KGB! Ma siamo matti? E’ vero, leggendo la roba che Belpietro scrive anche a me vengono idee che non condivido, ma mai la violenza. “Una risata vi sommergerà” si diceva una volta e allora al massimo, immaginiamoci una qualche punizione per il nostro mancato (per fortuna) martire: 1. Guttalax nel caffè e nell’enterogermina; 2. Pece e piume; 3. Verniciarlo di giallo (smalto lavabile, eh?); 4. Come Alex di arancia Meccanica costringerlo a vedersi 15 volte “Caterina va in città” di Virzì (troppo? beh 10 volte), in alternativa 20 volte un dibattito fra Bertinotti, D’Alema e Pecoraro Scanio; 5. Mettergli in cuffia a palla 6 ore di litanie di G.L.Ferretti (troppo? beh, sì, forse Amnesty Int. avrebbe qualcosa da dire..per la cuffia!).

Insomma un po’ di fantasia, che diamine, e poi, se ci togliete anche la risata, che ci resta?