Libera Casta in libero Stato (Bruno Manfellotto)

D’improvviso ci siamo ricordati che il Vaticano non paga l’Ici sul suo patrimonio immobiliare: grida, polemiche, accuse di lesa Santità. E però qui non si parla di religione, ma di equità. E di un’altra solidarietà

(25 agosto 2011)

jpg_2159051altan.jpgIl diavolo a volte ci mette la coda, e pure lo sterco. E così accade che la supertassa sui redditi oltre i 90mila euro sia chiamata “contributo di solidarietà”, che sa di chiesa più che di fisco; e succede pure che si scateni sui giornali e in rete una dura polemica contro il Vaticano che la sua “solidarietà” alla manovra potrebbe anche darla, magari accettando finalmente di pagare l’Ici almeno su una parte dell’ingentissimo patrimonio immobiliare di vescovadi e ordini religiosi, pii sodalizi e congregazioni, comunità e arciconfraternite.
Tanto più che venerdì 19 agosto, dai microfoni di “Radio Anch’io”, il numero uno dei vescovi Angelo Bagnasco, predicava con grande efficacia mediatica contro l’evasione fiscale (“cifre impressionanti”), e anzi s’augurava che “il dovere di pagare le tasse possa essere assolto da tutti per la propria giusta parte”. Bravo. Ma l’invito dovrebbe valere pure per l’elusione, in cui la Santa Sede storicamente (e legalmente) brilla: se tutti hanno da fare la loro parte…

Scavando nella memoria, poi, ci si è ricordati anche di altri aiuti, sconti e agevolazioni di cui gode la Chiesa, e di tutte le volte che il tentativo di modificare in Parlamento qualche regalìa, concordataria e non, si sia infranto contro un solido muro di “no” rigorosamente bipartisan. E Dio ci perdoni se questo rosario di piccoli e grandi privilegi ci ha dettato l’irriverente copertina “La santa evasione” e il titolo qui sopra che rimanda a un’altra casta ben più celebre e processata.

La verità è che anche in questo caso, come in tanti altri della vicenda italica, concessioni sacrosante e limitate sono divenute quando non arbitrio, certo altro da sé. Si pensi all’8 per mille, introdotto nel 1985 dal governo Craxi con l’impegno che se ne sarebbe via via valutata l’entità: è passato un quarto di secolo, il gettito si è moltiplicato, ma di quella correzione non s’è più parlato. E certo pesa che l’istituto sostituisca l’assegno di congrua, lo stipendio che lo Stato pagava ai sacerdoti a mo’ di risarcimento dopo la breccia di Porta Pia e la caduta del Papa re. Il Tevere non è più largo di centoquaranta anni fa.

Si pensi poi agli immobili vaticani, esclusi da tassazione o per ragioni di extraterritorialità o perché destinati al culto, all’assistenza, al volontariato. Giusto. Ma negli anni, dal primo al secondo Concordato a oggi, quel patrimonio immobiliare è cresciuto a dismisura e spesso la destinazione è cambiata: ville trasformate in case di cura; appartamenti nei centri storici delle città ieri destinati alle famiglie bisognose e oggi ambìti da manager, politici, ministri; immobili diventati asili e scuole a pagamento; negozi e botteghe, garage e capannoni.

La beneficenza, è vero, nasce sovente dallo sterco del diavolo. Ma che c’entrano queste attività imprenditoriali con il culto e l’assistenza? E a quanto ammonta questo patrimonio parcheggiato in un’indefinibile zona grigia? Basterebbe un’operazione trasparenza, avviare almeno un censimento di beni e proprietà, se non altro per capire come davvero stanno le cose. Facile a dirsi, impossibile finora a farsi: non ne ha sentito l’esigenza il Parlamento, figuriamoci il Vaticano. E così si preferisce urlare e blaterare di cose di cui si sa poco o nulla.

Forse all’origine di tutto c’è un patto non scritto tra Stato e Chiesa in virtù del quale le mille braccia del mondo cattolico provvedono lì dove lo Stato non può arrivare: sanità, assistenza, istruzione. Prestazioni in qualche modo ripagate con vaste regalìe di elusione (e di evasione). Se così stanno le cose, forse è arrivato il momento di chiedersi, complice la straordinaria e inedita crisi che viviamo, se un equilibrio di tal fatta sia ancora equo e sostenibile. E se non sia opportuno cominciare a vivere la solidarietà in forme nuove. Parlando al meeting di Cl, il socialista Giuliano Amato si è chiesto come mai “abbiamo perduto la fiducia in un futuro comune”. Noi più modestamente ci chiediamo perché questa fiducia mostri di averla persa perfino la Chiesa di Pietro.

 
http://espresso.repubblica.it/dettaglio-inviato?idarticolo=espresso_2159094&idmessaggio=2500743
 
Mi chiedo perchè la gerarchia (la Chiesa è un’altra cosa) non reagisca che a due temi (due): il 6° comandamento e i soldi. Un paese devastato, giovani che fuggono all’estero, evasione fiscale, la morale pubblica peggio che S&G (Sodoma e Gomorra), niente, qualche paroletta vaporella, magari detta dal Pastore Tedesco: “Pizogna ezzere puoni…”, basta. Ma appena spunta una tetta, un pisello, un profilattico o la minaccia di dover tirare fuori euri, dobloni, talleri, AAAARGHH!!!! Tuoni, fulmini, sturmunddrang, desertstorm. Sul Giornale di Reggio di oggi, riprendendo Affenire di qualche giorno fa, che si tira fuori? Dai, è facile: la congiura demoplutoMASSONICA, ci manca solo la vendetta dei Templari e qualche mistero de Fatima e poi il catalogo delle bojate è (quasi pieno). 6° comandamento e soldi: che siano questi i famosi “principi non neggozziabbilli”?
Libera Casta in libero Stato (Bruno Manfellotto)ultima modifica: 2011-08-31T09:52:53+02:00da pelikan-55
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Un pensiero su “Libera Casta in libero Stato (Bruno Manfellotto)

  1. “Si pensi poi agli immobili vaticani, esclusi da tassazione o per ragioni di extraterritorialità o perché destinati al culto, all’assistenza, al volontariato. Giusto.”

    Giusto un bel cavolo, caro il mio Manfellotto. già così la proposta nasce zoppa e ridicola.

    requisire tutti i beni del clero come post 1789 in Francia, altro che chiacchere! Manfellotto non ci faccia ridere con le sue proteste all’acqua di rose.

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