Il muro del debito (Alberto Bisin)

Dati dell’Osservatorio nazionale federconsumatori riportano una caduta delle spese natalizie dell`ordine del dieci per cento rispetto alle previsioni. Si dirà che questi sono gli effetti della manovra di fine anno. Vero.

Ma questo non significa che esistesse un’altra manovra possibile per scongiurare effetti recessivi. Per varie ragioni, da questa estate gli investitori sui mercati dei titoli internazionali ci stanno costringendo ad un rientro dal debito molto più rapido del previsto. Molto più rapido rispetto a quello implicito nei piani di imposizione fiscale e spesa pubblica contenuti nella finanziaria.

Questa accelerazione del rientro richiede maggiori tasse e/o minore spesa a breve e a medio termine. Richiede cioè una riduzione della ricchezza attesa dei contribuenti, a cui essi reagiscono, come da manuale, con una riduzione dei consumi.

Una naturale interpretazione dei fatti è la seguente: le famiglie italiane hanno consumato (o meglio, hanno permesso che il settore pubblico consumasse) per anni più di quanto esse non potessero permettersi, indebitandosi; al momento di ripagare i debiti, quindi, sono costrette a ridurre i consumi e a risparmiare.

Per rientrare dal debito, quindi, una recessione sarebbe allo stato delle cose, inevitabile. La manovra di fine anno, anche se fosse stata meglio congegnata, composta cioè più da tagli di spesa e meno dan uove imposte, non avrebbe potuto compiere miracoli: da anni di spesa eccessiva si esce con minore spesa.

Fortuna che la spesa pubblica è per molto tempo stata compensata da un solido risparmio privato, altrimenti la necessaria correzione nei consumi sarebbe stata anche più elevata.

Ma è questa l’interpretazione dei fatti corretta? Hanno davvero vissuto sopra ai propri mezzi le famiglie italiane, godendo di una poco responsabile spesa pubblica? Non vi è dubbio che la rapida e irresponsabile accumulazione del debito, da Bettino Craxi alla Seconda Repubblica, abbia finanziato spesa pubblica, non solo nella “Milano da bere”. E non vi è alcun dubbio che, dopo l’entrata nell`euro, allorché i mercati hanno concesso alla finanza pubblica tassi estremamente convenienti, il Paese abbia perso una grande occasione per compiere una buona parte del rientro dal debito.

In questo periodo, la situazione economica del paese non era affatto favorevole, certo non tale da giustificare crescenti livelli di spesa pubblica. La produttività totale dei fattori, la misura dello stato generale dei fondamentali economici di un paese preferita dagli economisti, è scesa in Italia dal 1995 al 2008 in media del 0,22% l’anno, mentre è cresciuta in Germania e Francia dello 0,5% l’anno, e ancor più negli Stati Uniti. In queste condizioni, anche quella minima crescita del Pil di cui l’Italia ha goduto in questo periodo è stata in parte drogata dalla spesa pubblica a debito.

In queste condizioni, quindi, il rientro dal debito non può che avvenire attraverso una riduzione dei consumi. Ma (queste condizioni non sono affatto immutabili.

Nel medio periodo la capacità di un paese di crescere, e quindi di ripagare il debito senza contrarre drasticamente i consumi, dipende essenzialmente proprio dalla crescita della produttività totale dei fattori, cioè dalla capacità del sistema economico di produrre reddito, per dato impiego dei fattori (per dati capitale e lavoro).

Nel breve periodo invece si può crescere anche aumentando l`utilizzo dei fattori, cioè lavorando di più e investendo maggiore capitale. Ottenere maggiore lavoro e investimenti oggi in Italia è possibile solo attraverso una sostanziale riduzione delle tasse su persone fisiche e imprese.

Anche il lento ma progressivo aumento dell`occupazione femminile richiede interventi in questa direzione. Naturalmente, data la situazione dei conti pubblici, alla riduzione del carico fiscale non possono che far da contraltare estesi tagli della spesa pubblica, che però devono incidere su quella parte della spesa pubblica che risulti particolarmente inefficiente, così da lasciare spazi di crescita del pro dotto interno.

Un ritorno alla crescita della produttività totale dei fattori richiede invece interventi in profondità sul mercato del lavoro, sul mercato dei capitali, sui servizi pubblici fondamentali (giustizia, istruzione, sanità, eccetera), su quelli privati, soprattutto le professioni, sulle infrastrutture.

Gli interventi sui mercati e sulle professioni devono andare nella direzione di liberare risorse garantendo maggiore competitività.

Mentre gli interventi sui servizi pubblici devono garantire incrementi di produttività (e devono farlo liberando risorse utilizzate con scarsa efficienza a causa del vincolo di bilancio).

Tutto questo è possibile, perché ampi sono gli spazi di intervento in Italia. Ancora molto limitata è infatti la competitività del settore privato; basti pensare al mercato del credito e alle professioni. Molto ridotta è anche la produttività del settore pubblico, a fronte di una spesa molto elevata, soprattutto al Sud; si pensi alla giustizia civile e alla scuola, ma anche alla politica locale, alle partecipate pub bliche, alla sanità e così via.

Da “LA REPUBBLICA” di martedì 27 dicembre 2011

Il muro del debito (Alberto Bisin)ultima modifica: 2011-12-29T11:00:00+01:00da pelikan-55
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