Parlamentari e analisti ascoltati da l’Unità concordano sul fatto che 131 caccia non servono e che è ragionevole una riduzione degli acquisti a 40-50. Ciò porta con sé la necessità di aprire un tavolo con i nostri partner internazionali e riflettere, in quell’ambito, se quel programma ha davvero un futuro e, se sì, quale. Nessun obbligo, dunque, tanto più che anche Stati Uniti e Gran Bretagna stanno procedendo al rallentamento del programma F35, con riduzione di ordini e ripensamenti graduali. Un ripensamento strategico che non riguarda solo Washington e Londra. Norvegia, Canada, Australia e Turchia hanno di recente messo in discussione la loro partecipazione al programma, in qualche caso arrivando a una vera e propria sospensione, mentre in Olanda la Corte dei conti ha aperto un dossier sull’argomento.
Ma il dossier che l’Italia dovrebbe aprire al più presto è più ampio e ambizioso, investendo il complesso delle nostre spese militari con una visione strategica e non ragionieristica. Una necessità che non sembra sfuggire al ministro della Difesa, Giampaolo Di Paola: «Oggi lo strumento militare, così come è strutturato, non è più sostenibile. Questa è la realtà. E la realtà, oggi, impone una revisione dello strumento per conservare ciò che più conta, la sua operatività e la sua efficacia..»: così Di Paola nel tradizionale messaggio di fine anno rivolto al personale, civile e militare, della Difesa. Revisione dello strumento militare significa, ad esempio, riflettere sulla dimensione dei nostri investimenti in armamenti. Non ci sono solo gli F35, ma l’ultima trance del programma per i caccia Eurofighter (5 miliardi); l’acquisto di 8 aerei senza pilota (1,3 miliardi); l’acquisto di 100 nuovi elicotteri NH-90 (4 miliardi); l’acquisto di 10 fregate Fremm (5 miliardi); 2 sommergibili militari (1 miliardo); il programma per i sistemi digitali dell`Esercito che costerà alla fine oltre 12 miliardi di euro. Un ripensamento che deve riguardare anche la dimensione quantitativa delle nostre Forze Armate.
Questi i dati: le Forze Armate italiane contano complessivamente 178.600 unità (Esercito 104.000; Marina 32.300; Aeronautica 42.300). La Gran Bretagna conta, complessivamente, 177.00 unità in divisa; la Germania 152.000; la Spagna, 135.000; l`Olanda 44.700; il Canada, 41.800.
Molti analisti, non certo tacciabili di veteropacifismo, considerano l’organico delle nostre Forze Armate eccessivo, non giustificabile dal nostro impegno in missioni all’estero né funzionale ad una visione più dinamica, e integrata, di un moderno ed efficiente sistema di difesa. La riduzione ipotizzabile è di 30-40mila unità. Ma l’anomalia italiana, in questo campo, investe un dato che non ha eguali tra i Paesi europei a noi dimensionabili, e anche oltre: il rapporto tra stipendi del personale e bilancio complessivo della Difesa. Il bilancio 2011 della Difesa prevede 14 miliardi di euro.
Anche considerando i fondi per le missioni si arriva a 15,5 miliardi di euro. E di questo totale ben 9,5 miliardi sono destinati al personale: oltre i due terzi del bilancio. La spesa per il personale invece di diminuire è aumentata di quasi l’1%: un incremento che non risponde di certo a criteri di «buona amministrazione».
Quanto alla «dieta» declamata dal Governo Berlusconi-Tremonti-La Russa, rimarca generale Leonardo Tricarico (ex capo di stato maggiore dell`Aeronautica e socio della Fondazione Icsa), i tagli non hanno abolito gli sprechi ma hanno inciso «sugli stanziamenti per l’esercizio, ossia addestramento, manutenzione e infrastrutture»: insomma, un disastro. Riflette in proposito Andrea Nativi, curatore del Rapporto Difesa 2011 della Fondazione Icsa: «La situazione della Difesa italiana è sempre più precaria perché si continua a rimandare quell’intervento complessivo di razionalizzazione che tutti i partner stanno realizzando o hanno già realizzato…». L’Italia ha perso tempo prezioso. E il costo del «non decidere», rileva sempre Nativi, «è elevato perché si continuano a sprecare soldi mantenendo una struttura inadeguata e perché i partner si stanno muovendo».
Rischiamo di rimanere gli unici a non aver dato mano alla ristrutturazione delle Forze Armate. Un ben triste primato. Triste e costoso.
Unità, 4.1.2012
http://rassegna.governo.it/rs_pdf/pdf/18YM/18YM2B.pdf