Ma, come noto, in Italia l’unico rigore che può interessare è quello del calcio. Caduto il porco partì la giostra dei desideri, tutti volevano tutto e subito. E a nulla serviva dire che ci eravamo fermati sull’orlo del baratro e che bisognava mandar giù rospi grossi e viscidi. Ma soprattutto che il maiale non era stato trasformato in salsicce ma grufolava ancora nella fanga a condizionare ancora il paese. Un paese dove anziché rigore dilagava di nuovo l’eterno italico senso dell’arrangiarsi, di farsi i propri, schivare i doveri per urlare i propri diritti che poi fossero diventati rovesci a carico di altri, cosa importava?
Un paese bloccato, immobile, in cui nulla funziona ma in cui non si può cambiare nulla. Riforme, riformisti del nulla. Riformisti tutti purché tutto rimanga come sempre. Una destra impresentabile e orribile e una sinistra incapace di qualunque innovazione, diventata paladina di ogni privilegio, chiusa nelle sue liturgie, nei suoi apparati.
E poi fuori, confusi, urlanti, maleducati eccoli i barbari. Li abbiamo visti crescere su quel nulla che gli altri hanno lasciato, contro quelle stanze chiuse, quei walzer di seggiole e poltrone, oltre quel linguaggio vuoto e insopportabile che parlava solo a sè stesso e ai suoi adepti. Hanno trovato il nulla e sul nulla si può fare tutto, a parole, a urla, a vaffanculo. Hanno radunato ostrogoti autostradali, vandali cibernetici, calmucchi ecologisti, garagisti teosofici, hanno raccolto, come Cola di Rienzo e Masaniello, il grido della folla confusa, che come la mosca d’inverno sbatte sul vetro a casaccio cercando l’uscita, hanno raccolto i giovani usciti dalle scuole dove il sapere è divenuto un optional poco richiesto, tanto basta il diploma, la triennale e wikipedia. Hanno raccolto il rancore e la paura dei deboli travolti dalla crisi. Le fila si sono ingrossate, le abbiamo viste dall’alto degli spalti passare là in fondo come un fiume in piena a spazzare via tutto.
E come ai tempi di Romolo Augustolo buon anima mentre le mura crollavano ognuno reiterava autisticamente il proprio copione. Chi a fuggire dai giudici, chi a parlare di innovazione senza cambiarsi nemmeno i calzini di cachemire, chi ad aspettare la rivoluzione fra un mojito e un weekend nelle città d’arte.
Rigore? Nemmeno il calcio. Un paese perduto, una folla ubriaca a sbevazzare sulla tolda del Titanic, a questionare su tutto mentre la disoccupazione è aumentata del 22% e lo spread è lì a minacciare tutti. Un paese scoperto nella realtà di quello che è, un paese che sceglie al 50% o ancora il vecchio maiale o la tribù dei barbari urlanti. Un paese dove la sinistra si condanna alla futura irrilevanza, nella onanistica purezza di una conservazione dell’inesistente.
Andate sul web o in videoteca e guardatevi la miglior rappresentazione del nostro oggi: L’invasione degli ultracorpi, film del 1956 di Don Siegel, la terra invasa dagli alieni che, in silenzio, si sono presi tutti i terrestri, senza dolore, senza raggi laser, semplicemente entrando nei loro corpi e nelle loro menti.
“Sentinella a che punto è la notte?”. La notte è appena iniziata.