Storie d’Italia: pillole per non dimenticare (3). La “piemontesizzazione” dell’Italia

Vítor_Emanuel_II_Itália Vittorio Emanuele II a caccia

La Germania moderna nacque nel 1870 con gli Hohenzollern, la Prussia unificò il paese. A noi toccarono i Savoia.

Perché fu proprio il Piemonte a diventare il “motore” dell’Unità?

 Furono vari gli elementi che giocarono a suo favore: i suoi tradizionali rapporti politici con la Francia (in lotta per scalzare il dominio austriaco in Italia) e il riuscito inserimento nello scenario europeo con la guerra di Crimea; aver avviato una serie di riforme economiche moderne, di cui lo sviluppo della ferrovia era il segnale più forte. Gli altri Stati erano tutti, direttamente o meno, sotto il controllo politico e militare austriaco e l’Austria era stata l’artefice di quell’assetto geopolitico. Non dimentichiamo che il grande architetto dell’Europa dopo il congresso di Vienna del 1815, il principe di Metternich, considerava l’Italia una semplice «espressione geografica».

Lo Stato Piemontese, pur basandosi su un sistema politico censitario, era l’unico ad avere una Costituzione liberale effettivamente operante nonché un sistema parlamentare. Lo Statuto Albertino, concesso nel 1848, fu mantenuto in vigore anche dopo la sconfitta nella prima guerra d’indipendenza. L’unificazione nazionale permise di estendere le libertà costituzionali all’intero Paese. Vennero inoltre avviate importanti riforme riguardanti la sanità e l’istruzione e si mise in movimento quel lento processo di democratizzazione della vita politica che ebbe come passaggio cruciale (mai sfruttato completamente) la riforma delle amministrazioni locali.

Non si può ignorare inoltre che l’Italia rappresentava agli occhi delle grandi potenze europee una questione irrisolta e potenzialmente esplosiva (come lo è stata per tutto il Novecento e oltre la penisola balcanica): la creazione di uno Stato unitario fu a un certo punto caldeggiata a livello diplomatico per impedire esiti pericolosi (una situazione di guerra permanente oppure l’ingresso stabile della Penisola nell’orbita di una delle potenze europee concorrenti). Ciò permise al nostro Paese di raggiungere quella «massa critica» in grado di metterlo al riparo dagli appetiti dei nostri ingombranti vicini europei.

 Chi pagò il prezzo più alto dell’unificazione?

 Fu soprattutto il Sud che, paradossalmente, ne fu il “motore” decisivo: se l’impresa dei Mille fosse fallita (cosa che non sarebbe spiaciuta neppure a Cavour) non avremmo avuto un’Italia unita, ma un Piemonte allargato fino al Lazio. La crisi del Regno borbonico era invece arrivata a una fase così avanzata che “bastarono” quei Mille, velocemente accresciuti fino a diventare una moltitudine, a far crollare l’intera struttura statale. I nostalgici hanno parlato – e ridicolmente ancora oggi parlano – di complotti massonici, britannici e simili fesserie, in realtà l’intero Stato borbonico era ormai al collasso. Garibaldi riuscì a far deflagrare quella situazione.

Il Sud fu decisivo ma i Mille vennero dal Nord: erano volontari, molti erano i giovani della classe media (la fascia sociale più debole nella storia nazionale), oltre la metà era di estrazione borghese, il resto erano operai e artigiani delle città. Tre quarti erano lombardi (434 su 1089), poi veneti (151), liguri (160), emiliani e toscani (121), ma c’erano anche siciliani (42) e calabresi (21). Circa un centinaio dei volontari che partirono con Garibaldi erano artisti o scrittori 8.

Fu proprio il Sud a essere caricato del peso dell’Unità, sin dall’inizio, sia in termini di delusioni che di costi umani. Le masse rurali, i “cafoni” si erano uniti ai garibaldini nella speranza di avere finalmente la terra da coltivare, come promesso loro, ma con l’avvento del nuovo Stato italiano la situazione rimase invariata. Il tanto sognato cambiamento sociale rimase una speranza. Ne è un esempio  la famosa considerazione del principe di Salina nel Gattopardo: «Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi». I vari Stati furono unificati con un procedimento sbrigativo: con i plebisciti, anziché con assemblee costituenti che costruissero ex novo il nuovo Stato, come chiedevano i democratici. L’Italia nacque “piemontesizzando” gli altri Stati, nessun spazio fu dato alle autonomie locali, al federalismo di Cattaneo che, non accettando la forma monarchica, se ne andò in esilio in Svizzera, dove rimase fino alla morte. Le élites temevano che un percorso troppo “democratico” avrebbe portato alla dissoluzione del nuovo Stato che stava nascendo con una carenza di legittimazione popolare o che, peggio, trovassero spazio le istanze più radicali dei garibaldini e dei mazziniani. Vittorio Emanuele non ebbe neppure l’avvedutezza e la sensibilità politica di cambiare nome all’atto di divenire re del nuovo Stato.

Storie d’Italia: pillole per non dimenticare (3). La “piemontesizzazione” dell’Italiaultima modifica: 2014-03-03T17:38:05+01:00da pelikan-55
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