Repubblica, 7 ottobre 2016
LA SCADENZA per il voto sul referendum costituzionale si avvicina e, come è normale, il dibattito politico si infiamma. In ogni referendum che ha marcato il passo, il paese si è inevitabilmente diviso (monarchia e repubblica; divorzio, aborto). Accade in democrazia che vi sia una maggioranza e una minoranza.
Ogni uomo di sinistra – quale io mi ritengo d’essere – dovrebbe provare a fare sempre i conti con questa radice oscena. Dovrebbe sforzarsi, innanzitutto soggettivamente e non solo collettivamente, di confrontarsi con il suo carattere scabroso, anti-liberale e anti-libertario: dovrebbe provare a fare sempre attenzione allo stalinista che c’è in lui per lavorarci contro, per impedire che questo grave morbo lo accechi e lo condizioni nella sua azione. La radice inconscia del fantasma del tradimento porta alle estreme conseguenze un principio che appartiene a sua volta al fondamentalismo insito nel concetto “marxista” di militanza. La Causa obbliga alla spogliazione di sé, al sacrificio assoluto della propria individualità, alla soppressione del pensiero critico come un bene superfluo e borghese. Il traditore della Causa è insopportabile perché sancisce invece il ritorno dell’Io e della sua puerile meschinità laddove l’affermazione militante del collettivo avrebbe dovuto estirparne ogni ambizione soggettivistica. Se una personalità pubblica di sinistra oggi difende le ragioni del Sì, le accuse di incoerenza (ma come? prima era per il no ed ora ha cambiato opinione?) ne ricoprano, in realtà, altre ben peggiori. È il caso tipo di Benigni: lo fa per avere contratti, soldi, potere, riconoscimenti o, peggio ancora, perché è servo della finanza, delle banche, dell’Europa dei burocrati o degli Stati Uniti imperialisti, o di chissà quale altro, non meglio identificato, “potere forte”.
Lo fa, insomma, perché si è smarrito moralmente. Vizio storico, ancestrale, primario della sinistra anti- liberale, anti-libertaria e anti-riformista. È la corruzione etica a spiegare la ragione ultima del ragionamento politico, nel senso che quest’ultimo non è altro che il frutto di un calcolo cinico e puramente strumentale del “traditore”. In esso non c’è nessun senso del bene comune, nessun senso della Causa, ma solo un incontenibile protagonismo narcisistico dell’Io. Ai tempi di Stalin questo portava dritti verso il plotone di esecuzione oppure verso i campi di rieducazione (il modello maoista fu, in questo, un esempio notevole di applicazione della pedagogia autoritaria al servizio dell’ideologia). Oggi, in un sistema democratico, conduce tendenzialmente alla diffamazione. La corruzione morale non viene soppressa con la morte, ma con il linciaggio mediatico. La lista dei degenerati attende sempre di essere completata con una tessera in più.