La laicità (Marco Paolini)

Perché laicità di per sè è un senso etico, credo, è una regola non scritta che ti tiene insieme, è un codice,
che viene prima del genuflettersi verso l’oriente o del farsi il segno della croce.
Se tu avessi quello, non importa se tu genufletti verso oriente o se ti fai il segno della croce.
Ma se tu hai solo il segno della croce o solo il genufletterti e lì il problema.
La laicità non è soltanto sapere che risposte dare ai casi di coscienza,
è identità,
è qualcosa che si è sedimentato nel tempo e se ne parliamo è perché non riusciamo a definirla, a trovarla.
L’angelo, il diavolo, ti tirano come vuoi.
Chi è che non crede più agli angeli custodi? Tutti, è comodo credere agli angeli custodi.
Sono epifenomeni della religione non molto diversi dalle veline, gli angeli custodi.
E’ tutto prèt a porter.

(http://tv.repubblica.it/dossier/eluana/no-alla-religione-pret-a-porter/29179?video)

“Noi non denunceremo nessuno”

Diamo a Cesare quel che è di Cesare..con quel che segue. E allora oggi leggo una buona notizia: la CEI, ricordandosi del Vangelo, boccia la nuova legge del sign.Marroni (ministro provvisorio degli Interni) che vorrebbe fare dei medici dei delatori:

“Dice monsignor Segalini, vescovo di Palestrina e segretario della commissione Cei per le migrazioni: “Il mio cuore di pastore mi dice di aiutare chi è in difficoltà e non sono obbligato a denunciare nessuno”. Così, continua, “le indicazioni che daremo alle realtà di base sono quelle del rispetto delle leggi ma al di sopra di tutto c’è il rispetto della salute”, “continueremo a mettere al caldo i barboni” ha aggiunto. Quindi, ha spiegato il responsabile Cei per l’immigrazione, bisogna valutare in questo specifico frangente “oltre le strettezze delle leggi le capacità del cristiano”. Compito di un medico, aggiunge, “è quello di assistere chi soffre senza guardare alla religione, al colore della pelle o se è un condannato a morte”.”

Buona notizia. Da dare a al sig.Marroni e agli altri cialtroni di questo governo provvisorio. Si chiama “obiezione di coscienza” o “disobbedienza civile”. Una “obiezione”(nostra) come risposta alla “abiezione” (loro).

Buone notizie da Famiglia Cristiana

DI FRONTE ALL’ATTUALE CRISI ETICA, SOCIALE ED ECONOMICA DEL MONDO

LA CHIESA HA MOLTO DA DIRE
SULLA SCIA DEL CONCILIO

Secondo don Floriano, le camere a gas sarebbero state usate solo per “disinfettare”.

«Occorre vigilare perché non vengano usate formule che ci riportino indietro rispetto al concilio Vaticano II». Con un articolo apparso il 2 febbraio del 2008 su La civiltà cattolica, il cardinale Carlo Maria Martini elencava “alcune cose da evitare” nel Sinodo dei vescovi convocato per ottobre, e dedicato al tema La parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa.

Il richiamo del cardinale fu letto come una preoccupazione indirizzata a quanti tendono a relegare il Concilio tra i reperti di un passato ingombrante, da “tradire” più che “tradurre” nella complessa realtà del nostro tempo.

A questi “affossatori” del Concilio, che cercano di arruolare abusivamente nelle loro truppe anche papa Ratzinger, vale la pena ricordare le parole che Benedetto XVI, appena eletto rivolse ai cardinali, il 20 aprile 2005, nella Cappella Sistina: «Nell’accingermi al servizio che è proprio del successore di Pietro, voglio affermare con forza la decisa volontà di proseguire nell’impegno di attuazione del concilio Vaticano II, sulla scia dei miei predecessori e in fedele continuità con la bimillenaria tradizione della Chiesa».

«Col passare degli anni», proseguiva il Papa, «i documenti conciliari non hanno perso di attualità; i loro insegnamenti si rivelano anzi particolarmente pertinenti in rapporto alle nuove istanze della Chiesa e della presente società globalizzata».

Nelle sue parole si avvertiva l’eco del “testamento spirituale” di Giovanni Paolo II: «Stando sulla soglia del terzo millennio in medio Ecclesiae, desidero esprimere gratitudine allo Spirito Santo per il grande dono del concilio Vaticano II, al quale insieme con l’intera Chiesa mi sento debitore. Sono convinto che ancora a lungo sarà dato alle nuove generazioni di attingere alle ricchezze che questo Concilio del XX secolo ci ha elargito. Come vescovo che ha partecipato all’evento conciliare dal primo all’ultimo giorno, desidero affidare questo grande patrimonio a tutti coloro che sono e saranno in futuro chiamati a realizzarlo».

In un mondo percorso dai brividi di una crisi etica, sociale ed economica di proporzioni inquietanti, la Chiesa ha ancora molto da dire e da dare, proprio sulla scia del Concilio. A proposito dell’economia, ad esempio, la Gaudium et spes riafferma la centralità del lavoro, «di valore superiore agli altri elementi della vita economica, poiché questi hanno solo valore di strumento». Così com’è attualissimoil richiamo che riserva ai politici: «I partiti devono promuovere ciò che è richiesto dal bene comune; mai è lecito anteporre il proprio interesse a tale bene».

E a quanti, per meschini calcoli elettoralistici alimentano e cavalcano le ondate di xenofobia, il Concilio ricorda: «Ogni genere di discriminazione circa i diritti fondamentali della persona, sia in campo sociale che culturale, in ragione del sesso, della razza, del colore, della condizione sociale, della lingua o religione, deve essere superato ed eliminato, come contrario al disegno di Dio».

Il recupero degli scismatici lefebvriani (con un vescovo che nega l’olocausto degli ebrei e preti che contestano l’esistenza delle camere a gas) rischia di appannare l’immagine della Chiesa cattolica e del Vaticano II, così come la mano tesa alla Fraternità di san Pio X avrebbe meritato ben altra regia e comunicazione.

(Famiglia Cristiana, n.5.1/2/2009_ http://www.sanpaolo.org/fc/0906fc/0906fc03.htm)

The times they’re a changing


I cinici non riescono a capire che la terra è franata sotto i loro piedi che gli argomenti politici stantii che ci logorano da tempo non valgono più. Oggi non ci chiediamo se c’è troppo Stato o troppo poco Stato, ma ci chiediamo se la macchina dello Stato funziona – se aiuta le famiglie a trovare un lavoro retribuito in maniera dignitosa, a curarsi sopportando costi contenuti, ad avere una pensione dignitosa. Ogni qual volta la risposta è affermativa, abbiamo intenzione di continuare sulla stessa strada. Quando invece la risposta è negativa è nostra intenzione porre fine ai programmi pubblici che non funzionano. E quelli di noi che gestiscono il denaro pubblico debbono rispondere del loro operato – debbono spendere con saggezza, rivedere le cattive abitudini e operare alla luce del giorno – perché solo così facendo possiamo ripristinare il rapporto di fiducia tra il popolo e il governo.

Sappiamo infatti che la nostra composita eredità è una forza, non una debolezza. Siamo una nazione di cristiani e mussulmani, ebrei e indù e di non credenti. Si mescolano nel nostro Paese lingue e culture di ogni parte della terra e, dal momento che abbiamo assaggiato l’amara brodaglia della guerra civile e della segregazione e siamo emersi da quel buio capitolo della nostra storia più forti e più uniti, non possiamo non credere che i vecchi odii un giorno svaniranno, che i confini della tribù presto si dissolveranno, che nella misura in cui il mondo diventerà sempre più piccolo, si rivelerà la nostra comune umanità e che l’America deve svolgere il suo ruolo nell’aprire la strada ad una nuova era di pace.

Questo è il significato della nostra libertà e del nostro credo che uomini, donne e bambini di ogni razza e fede possano celebrare insieme in questo magnifico spazio e che un uomo il cui padre meno di 60 anni fa poteva non essere servito in un ristorante ora è dinanzi a voi dopo aver pronunciato un sacro giuramento.

Che i figli dei nostri figli possano dire che quando siamo stati messi alla prova non abbiamo consentito che il nostro viaggio fosse interrotto, che non abbiamo voltato le spalle, che non abbiamo esitato e, con lo sguardo fisso all’orizzonte e con la grazia di Dio su di noi, abbiamo portato avanti il grande dono della libertà e lo abbiamo consegnato alle generazioni future.

(Barack Hussein Obama, Washington, 20 gennaio 2008)

Natale e Hanukkah

Per iniziare l’anno in modo dignitoso riporto la “Lettera” n. 137 di Ettore Masina che un’amica mi ha recapitato in questi giorni:

Natale e Hanukkah
…. E la gloria del Signore avvolse i pastori di una grande luce… (Luca 2,9). Da quella luce mi sono tante volte, gioiosamente, lasciato travolgere anch’io, ma quest’anno non ci riesco. Troppe ombre inquiete e inquietanti mi sembrano addensarsi sui giorni che stiamo vivendo; e non sono soltanto le ombre della crisi economica, che martirizza tante famiglie. Questo è il Natale felice della P2: Berlusconi, seguendo il vangelo di Gelli e il proprio sfrenato narcisismo, sente possibile ormai trasformarsi nel Lider Maximo di una democradura e ne dichiara l’intento. È il Natale felice di un’arroganza papista che pretende di definire persino il significato dell’identità di genere mentre senza misericordia distoglie gli occhi dalle crudeli persecuzioni degli omosessuali in tante parti del mondo. È il Natale felice di un clericalismo che impone al governo italiano di revocare i pur esigui tagli al finanziamento delle scuole private e ottiene pronta esecuzione del suo volere. È il Natale felice di cattolici che si credono fedelissimi al Cristo perché vanno alla messa di mezzanotte ma non sentono lo scandalo di un milione di famiglie italiane che non hanno soldi a sufficienza per mangiare e riscaldarsi, mentre il 10 per 100 della popolazione si divide il 50 per 100 della ricchezza nazionale. È il Natale felice dei liberisti, atei devoti che ottengono da Benedetto xvi patenti di nobiltà. È un Natale in cui nelle parrocchie del Nord, salvo belle eccezioni, si tace sul razzismo e nelle nostre “Betlemme” – paesi e città – Maria e Giuseppe invece che casa trovano ostilità e disprezzo perché, extracomunitari, “non sono dei nostri”. E’ un Natale in cui a molti vescovi (compreso quello di Roma) i problemi del sesso, dei feti e della condanna a una “vita” vegetativa sembrano più importanti delle guerre, almeno a giudicare dalla frequenza e dalla severità dei loro interventi.
In questa festa della Natività siamo costretti a ripensare ai morti poiché i vivi appaiono pochissimo vitali, o peggio. Il trentesimo anniversario della scomparsa di papa Giovanni ha fatto ricordare con nostalgia a molti di noi la sua pastorale della tenerezza, il magistero della misericordia, la denunzia della irrazionalità delle guerre e l’assoluta necessità della pace, il riconoscimento della suprema importanza dei poveri come requisito indispensabile della autenticità di una Chiesa evangelica. Abbiamo ricordato con commozione che il suo Concilio ci sospinse verso la coraggiosa ricerca di un nuovo linguaggio della fede, il riconoscimento delle competenze dei laici nelle questioni terrene, la libertà della Chiesa da ogni sudditanza ideologica, economica, culturale e sociale. Ci diede la gioia di un cammino non frenato dalle grida di quelli che egli definì “profeti di sventura”: quelli che allora volevano e oggi vorrebbero il cattolicesimo trasformato in fortezza e in sultanato, macchina erogatrice di voti e idrovora di privilegi, forza conservatrice a difesa delle oligarchie.
Sì, siamo spinti a cercare coraggio nel passato per tenere vive le nostre speranze. Basta vedere come centinaia di blog e di siti riprendono e diffondono, in questi giorni, il testo dell’intervista di Eugenio Scalfari a Enrico Berlinguer sulla corruzione dei partiti diventati strutture di poteri oligarchici e di interessi personali. I “ragazzi dell’Onda” scoprono le profezie laiche di Calamandrei e cominciano ad avvicinarsi a quelle di Gramsci e di Gobetti. È un fatto di suprema importanza che alle nostre spalle vi siano maestri e lezioni che hanno ancora evidente valore. Ma è ben triste vedere tanta parte della cultura d’oggi avvoltolarsi nelle dispute più astratte, lontanissime dai problemi del pianeta. I maestri di ieri non possono bastarci, la giustizia, la libertà, la verità devono essere costantemente ridefinite per rispondere alle sfide che la storia ci pone. Quando in molti pensavamo che la adorazione del Mercato, negando la dignità di popoli interi, non potesse modellare la Terra a proprio piacimento, i suoi adoratori e missionari ci rispondevano con un nome di donna, come quelli che i meteorologi danno agli uragani: TINA. Sorridendo, ci respingevano nei sotterranei dell’illusione e dell’inermità: There Is No Alternative, non c’è alternativa. Cercano di farcelo credere ancora, mentre la smodata fame del capitalismo invoca adesso aiuti e partecipazioni statali.
Questo è un Natale triste per i giovani che vanno acquistando la piena compren-sione del precario destino al quale il liberismo e l’inerzia politica dei genitori (e dei nonni!) li destina. O forse più che triste, questo Natale, per loro è un momento di ripensamento perché dopo le rivolte della banlieu parigina e i fatti di Atene molti studenti e lavoratori sentono che rivendicare i propri diritti è una lotta necessaria che richiede creatività e capacità di autodisciplina. La speranza è che questa lotta sia dura ma abbia, come sinora in Italia è avvenuto, i colori della nonviolenza.
Mi accorgo che continuo a parlare di speranza e ne sono contento. La speranza è un sentimento che spesso mi costringe a essere diverso da come vorrei: più duro nell’indignazione e più attento ai semi di libertà e di giustizia che il vento della storia continua a spargere nei nostri giorni; dolorante per le continue sconfitte che il Potere infligge agli uomini e alle donne di buona volontà e profondamente convinto che nessuna di queste sconfitte è definitiva; appassionato ricercatore di testimonianze di quella piccola gioia cui anni fa dedicò uno splendido articolo Lucio Lombardo Radice: il sentimento che nasce dalla consapevolezza di avere compiuto il proprio dovere. Se ciascuno di noi sapesse tenere un’anagrafe di questi testimoni e usarla per rinsaldare la propria ansia di giustizia e di libertà, se sapessimo testardamente cercare di tessere reti solidali, daremmo luogo a una società ben diversa da quella fondata sulla paura che oggi sembra prevalere. Ma bisogna che impariamo a uscire dalle nostre case per dare vita a laboratori di ideazione e di azione. Io penso che i luoghi privilegiati per questa ripresa etica prima ancora che politica siano la scuola e l’eguaglianza fra cittadini, le cosiddette politiche sociali.
Non si arriva alla mia età senza avere vissuto Natali luminosi e Natali tristi. Nel dirlo mi viene subito in mente quello di quando avevo cinque anni e il volto sfigurato da un “incidente” chirurgico; i 25 dicembre degli anni 1940 e ’41, in cui mio padre era in guerra e noi non avevamo sue notizie; quello del 1956 in cui il giornale presso il quale lavoravo era fallito e io potei regalare a mia moglie soltanto sei marron-glaceés, e via via sino a quello del 2003 che trascorsi in ospedale per una frattura… È a questo elenco che aggiungerò il Natale del 2008, benché io possa dirmi felice nella mia privacy. La grande luce della Notte Santa non mi sembra diffondersi sulla Terra che amo tanto appassionatamente.
La liturgia che celebrerò nel mio cuore sarà piuttosto quella della festa ebraica di Hanukkaa, che va componendosi proprio in questi giorni. È una festa che parla di una speranza piccolissima e insieme audace. Una leggenda racconta che quando, nel secondo secolo a.C., gli ebrei riuscirono a liberarsi del giogo ellenico e a tornare liberamente al centro simbolico della fede, il Tempio, per poterlo liberare dalle tracce delle nefandezze che i pagani vi avevano compiuto, bisognava che per otto giorni ardessero i lumi della menorah, il candelabro a sette braccia. Dell’olio consacrato che doveva alimentare le luci si trovò, tuttavia, soltanto una piccola ampolla che poteva bastare per poche ore. Le fiammelle furono accese, e il Signore le fece ardere per dieci giorni mentre veniva raccolto l’olio necessario. Come tutte le imprese di liberazione degli oppressi, questa storia mi incanta; ma a rendermi più suggestiva la festa e a farmene sentire convocato è soprattutto, al di là della fede che vi si esprime, la liturgia con la quale la si celebra: ogni giorno, per sette giorni, si accende una candela. È come se si facesse quel poco che si può, si desse vita a una luce piccolina, e però, testardamente, un po’ alla volta, quella luce venisse alimentata sino a vincere del tutto le tenebre. Così immagino la mia speranza. La vostra speranza, oso dire.
Parlando di Hanukkah, mi viene in mente l’ultimo libro tradotto in italiano di quel grandissimo scrittore che è Abraham B. Yehoshua. È una storia israeliana che parla di un paese immerso in una tragedia, quella di una perpetua guerra strisciante che di quando in quando si impenna in combattimenti o in atti di terrorismo. Nelle trombe degli ascensori di modernissimi grattacieli risuonano singhiozzi e lamenti, forse perché troppi morti chiedono giustizia o forse perché lavoratori sfruttati hanno inserito volontariamente brecce nei muri; i bambini, il sabato, vanno a trovare i padri negli accampamenti militari; l’odore più diffuso è quello del lubrificante per la manutenzione delle armi… In un paese così anche le parole impazziscono: e “fuoco amico” vuol dire che un soldato è stato abbattuto, per tragico errore, dai suoi commilitoni. Se poi a essere ucciso è un giovane che cercava in qualche modo, di rendersi meno odioso alla popolazione “occupata” , allora si può comprendere perché suo padre abbandoni Israele e vada a vivere in Africa, di questo solo desideroso: di non vedere più nessun ebreo, neppure i parenti, neppure i giornali, neppure un oggetto ebraico, neppure le candeline per le feste di hanukkah.

“Non possiamo stare a guardare”

Buone notizie da Milano: l’arcivescovo Dionigi Tettamanzi ha annunziato, nell’omelia di Natale, di aver stanziato un fondo di 1 milione di euro a favore dei cassintegrati, attingendo “dall’otto per mille destinato per opere di carità, da offerte pervenute in questi giorni per la carità dell’arcivescovo, da scelte di sobrietà della diocesi e mie personali”.
“Non possiamo stare a guardare” ha detto l’arcivescovo ai fedeli. “Occorre agire. E l’azione ora deve privilegiare chi nei prossimi mesi perderà il lavoro” ha detto il cardinale invocando “gesti concreti di solidarietà” nella sobrietà. Da qui l’idea di costituire un fondo, chiedendo alle comunità cristiane della diocesi di prestare particolare attenzione alle famiglie in difficoltà a causa del lavoro e di aderirvi. E sarà compito di sacerdoti e laici decidere come parteciparvi: rimandando spese non urgenti, destinando percentuali del bilancio parrocchiale. Le modalità di gestione – che Caritas Ambrosiana e Acli stanno già studiando – verranno rese note successivamente. Il cardinale ha solo anticipato alcune direttrici: “la distribuzione dei fondi non avverrà immediatamente ma nei prossimi mesi e non sarà a pioggia ma a destinazione mirata” perché “queste risorse non devono essere una forma di assistenzialismo, affinché chi perde il lavoro non perda anche la propria dignità”.
(http://www.repubblica.it/2008/12/sezioni/esteri/benedetto-xvi-28/cardinali-crisi/cardinali-crisi.html)

La classifica di Newsweek

Buone notizie da Newsweek: nella annuale classifica dei 50 uomini più potenti al mondo non figura nessun italiano. Nessuno. Visto il livello fognario della nostra classe dirigente si può tirare un sospiro di sollievo. Ci è andata bene.
In seconda battuta altra buona notizia: il Papa è al 37° posto, il che ci da la misura dell’influenza morale dello Stato del Vaticano.

Click! La Beretta fa cilecca

Buone notizie dall’industria italiana: per la prima volta in cinque secoli la fabbrica di armi Beretta chiude per un mese. Spiace per gli 860 operai di Gardone Val Trompia ma sapere che per un mese si produrranno meno armi in terra bresciana compensa l’apprensione per i posti di lavoro. Pare che la crisi sia dovuta alla vittoria di Obama. Il mercato USA assorbe quasi la metà del fatturato e il ritiro di George Bush, amico personale di Ugo Gussalli Beretta e testimonial della linea di abbigliamento della ditta italiana, ha segnato una brusca svolta sul mercato USA (fatturato annuale 450 milioni di euro). A poco è servito la dazione di 2 milioni di dollari da parte di Beretta alla famigerata NRA (National Rifle Association), l’organizzazione che sostiene la libertà di armamento, alla vigilia delle elezioni. Pare anche che la Beretta non bisserà il successo della sua pistola calibro 9 alla prossima asta per l’esercito USA a causa della forte rivalità tecnologica di belgi, tedeschi e americani.
Vabbè, ce ne faremo una ragione! Tanto rimangono sempre i mercati del terzo mondo per i signori fabbricanti d’armi, fin lì Obama non arriva e qualche guerra fra disperati la troviamo sempre. Come diceva quel film di Sordi “Finchè c’è guerra c’è speranza”.
(L’Espresso, 18.12.2008, p.171)

Buone notizie dall’Italia e dal mondo

Buone notizie dall’Italia e dal mondo. Ce n’è bisogno. Accontentiamoci: i giudici hanno condannato il Cavaliere del Lavoro Callisto Tanzi a 10 anni di reclusione per il crac Parmalat.
Un pasticcere di Greenwich (New Jersey) si è rifiutato di decorare una torta con una svastica per i 3 anni di Adolf Hitler Campbell, figlio di Heath e Deborah Campbell, negazzionisti aderenti alla Aryan nation. E bravo pasticcere!

Buone notizie dalla Cassazione

Previti è un corrotto e non ci sono dubbi. La Cassazione non ha commesso alcun errore nel condannare, il 13 luglio del 2007, Cesare Previti, ad un anno e mezzo per corruzione in atti giudiziari nell’ambito della vicenda del lodo Mondadori. Lo ha deciso la Sesta sezione penale della Cassazione dichiarando inammissibile il ricorso presentato dai legali dell’ex ministro della Difesa nonché ex parlamentare di Forza Italia.

In particolare, la difesa di Previti rappresentata da Alessandro Sammarco, nel ricorso che rappresentava «l’ultima spiaggia», sosteneva che i giudici della Seconda sezione penale, nel 2007, convalidando la condanna inflitta a Previti in appello, avevano commesso «una serie di errori materiali», tra i quali «la mancata valutazione di testimonianze che scagionavano Previti» che avrebbero potuto annullare la sentenza di condanna. Tesi non condivisa da piazza Cavour che ha bocciato il reclamo, condannando Previti anche al pagamento delle spese processuali.

10 dicembre 2008