“Calpestare l’oblio”

La differenza tra calpestare l’oblio e calpestare la verità
In questi giorni abbiamo assistito ad un piccolo miracolo, un feroce ed organizzato attacco da parte degli organi di informazione legati al potere politico (Il Giornale, Il Corriere della Sera, Libero, Il Foglio, La zanzara) contro un e-book di poesia, “Calpestare l’oblio”, liberamente scaricabile dal sito de “La Gru” (www.lagru.org), che consiste nell’unione di trenta poeti italiani “contro la minaccia incostituzionale, per la resistenza della memoria repubblicana”.
I toni sono per lo più dileggiosi e volti ad operare una riduzione macchiettistica finalizzata allo sfottò nei confronti dei partecipanti, dipinti come una “corazzata Potëmkin” (Il Giornale) di vecchi ed “oscuri” (Libero) poeti nostalgici del ’68 e carichi di “odio” nei confronti di Silvio Berlusconi (Il Giornale, Il Foglio), e nei confronti dell’operazione in sé rinominata “Poeti contro Silvio” (Il Giornale).
Alcune precisazioni.

1) I nomi
Al di là di autori più anziani e di facile riconoscibilità come Roberto Roversi (1923), Giuliano Scabia (1935), Alberto Bellocchio (1936), Maurizio Cucchi (1945), Franco Buffoni (1948) e Gianni D’Elia (1953), e al di là anche dei più giovani ma già conosciuti Alba Donati (1960), Giancarlo Sissa (1961) e Maria Grazia Calandrone (1964), l’antologia “Calpestare l’oblio” è costituita per i suoi due terzi da poeti della nuova generazione, nati negli anni ’70 ed ’80.
Per la precisione, da alcuni dei suoi esponenti di maggiore rilievo come Flavio Santi, Massimo Gezzi, Marco Giovenale, Enrico Piergallini, Luigi Socci, Martino Baldi, Matteo Zattoni o Raimondo Iemma, di cui chiunque abbia una pur vaga familiarità con la storia critica della poesia italiana degli ultimi quindici anni è a conoscenza.
Domanda: le redazioni culturali dei quotidiani italiani di oggi hanno una pur vaga familiarità con la storia critica della poesia italiana degli ultimi quindici anni o la ignorano completamente?

2) Gli stili
Gli autori contenuti nell’antologia “Calpestare l’oblio” sono di diversa provenienza estetica, vale a dire che l’opera risultante è assolutamente eterogenea nei contenuti e negli stili di scrittura. Si va dall’intervento civile alla meditazione metafisica sul tema della memoria, dal poemetto espressionista alla radiografia post-human della mutazione antropologica, così come formalmente si passa dal metro tradizionale alla prosa ritmata, o dal genere lirico allo sperimentalismo narrativo.

Ridurre a genere anti-berlusconiano un’antologia vasta e densa di autori e di percorsi, è solo l’ennesima offesa che la destra italiana rivolge volgarmente alla poesia contemporanea.
Basti perlomeno ricordare il celebre intervento “Il poeta povero? Ormai è un falso mito” (Il Giornale), uno degli innumerevoli sfottò nei confronti dell’arte più umiliata, ferita ed offesa dall’ultimo trentennio di storia nazionale.
“Calpestare l’oblio” vuol dire anche che i nuovi poeti italiani non intendono più restare in silenzio di fronte allo sfacelo culturale del proprio Paese, sfacelo che se può essere definito sinteticamente “berlusconismo”, più propriamente è la Storia del trentennio dell’interruzione culturale e della colonizzazione televisiva della società italiana.

3) I temi
Contro questo Trentennio di interruzione culturale i poeti di “Calpestare l’oblio” si ribellano.
Essi dicono anche che l’ideologia della separazione, per cui alla poesia sarebbe dato di occuparsi solo del bello e del poetico, è finita.
I poeti di “Calpestare l’oblio” reclamano il proprio diritto alla cittadinanza nella Polis del dibattito politico e culturale.
I temi del pretesto antologico (La memoria della Resistenza, la resistenza della memoria) sono definiti dal giovane storico Luigi-Alberto Sanchi in apertura dell’e-book “Calpestare l’oblio”, introduzione la cui lettura avrebbe forse consentito ai giornalisti che si sono occupati in questi giorni del caso dei “poeti in rivolta”, una lettura più pertinente e consapevole dei fatti.

4) “Calpestare l’oblio” non è un lavoro antologico concluso, l’azione va avanti e tutti i poeti italiani sono invitati ad unirsi inviando alla redazione de “La Gru” un proprio testo poetico che sottoscriva il nostro atto di rivolta culturale e poetica contro l’ideologia italiana della separazione, contro l’oblio dello spettacolo, per la resistenza umanistica e della memoria repubblicana.
Venerdì otto gennaio, dalle ore 18 sino a tarda notte, “Calpestare l’oblio” sarà un’assemblea di poeti ed intellettuali, con reading e concerto musicale, presso il locale “Beba do Samba”, nel quartiere San Lorenzo di Roma.
In tale occasione sarà presentata l’antologia rinnovata e definitiva di “Calpestare l’oblio”.

Per la redazione de “La Gru”,
Davide Nota

Libri da leggere, film da vedere

Costretto davvero stavolta nella Fortezza Bastiani, ho avuto tempo per dedicarmi alla lettura, ai film, alla scrittura a pensare (beh, vabbè, quello che si può con i miei tre stanchi neuroni…) segnalo agli amici un paio di libri e qualche film degno di nota:

Gad Lerner, Scintille, Feltrinelli 2009

Mario Calabresi, Spingendo la notte più in là. Storie della mia famiglia e di altre vittime del terrorismo, Mondadori 2007.

Giovanni De Luna, Le ragioni di un decennio. 1969-1979. Militanza, violenza, sconfitta, memoria, Feltrinelli 2009.

Film:

L’uomo che non c’era (J.Coen, 2001)

Sleuth. Gli insospettabili (K.Branagh, 2007)

Giù al nord (D.Boon, 2007)

 

Discorso sulla servitù (G.D’Elia)

“Se l’idelogia è la distanza tra ciò che si è e ciò che si dice di essere, bisogna tornare all’analisi delle parole che dicono il loro contrario. Dopo la Casa della Libertà, il Partito della Libertà, eccoci giunti al Popolo della Libertà. Facciamo l’antìfrasi. Il riassunto italiano degli ultimi quindici anni merita ormai una definizione storico-linguistica, che attinga alla storia (francese) della cultura e della critica umanistica del dispotismo politico: si pensi all’opera di Etienne de la Boétie (1530-1563) intitolata Discorso della servitù volontaria, composta giovanissimo nel 1546 o nel 1548 e pubblicata postuma grazie al suo erede testamentario e amico Montaigne nel 1574, manifesto della libertà protestante. “La distanza fra ciò che gli uomini sono e quello che dicono di essere” (Franco Fortini) deve far sostituire alla parola libertà il suo contrario; avremo così il rovescio della falsità, la verità storica e presente dell’Italia, dal plurale della Casa della Servitù al singolare del Partito della Servitù, e , ancora più pregnante per il nostro riferimento, l’irresistibile Popolo della Servitù.
Il celebre libello di La Boétie, composto “in onore della libertà contro i tiranni”, fu da allora ribattezzato “Il Contro Uno” e spesso riutilizzato nella storia francese come appello alla rivolta contro l’autorità costituita: diritto e dovere di difesa. E tuttavia, cosa oggi assi più interessante per noi, dopo la rovina della strategia e della tattica rivoluzionaria comunista, la resistenza alla miseria e all’oppressione non passa, secondo La Boétie, attraverso la violenza e il delitto, ma attraverso la coscienza e la sua diffusione, contro l’unico Maîstre, Signore e Padrone.
La servitù dei popoli è infatti volontaria, perché “non si può dubitare che noi siamo naturalmente liberi, dato che siamo tutti compagni, se non può cadere nell’intendimento di nessuno che la natura abbia messo qualcuno in servitù, avendoci tutti messi in compagnia!”, pare il cuore della “Ginestra” leopardiana, il “vero amor”, gli “uomini confederati”, contro i deliri razzisti e sciovinisti delle fasulle identità padane dei leghisti nostrani.
Il “Discorso” è infatti una difesa della dignità umana, e dei suoi inalienabili diritti individuali e collettivi, civili, religiosi. La Boétie elenca tre tipi di tiranni, che derivano da tre tipi di fonti, azioni e funzioni: elezione (popolo), forza (violenza delle armi), successione (dinastia). A questi tre tipi di tiranno corrispondono tre tipi di servitù: elettiva, armata, dinastica. La servitù elettiva è quella che ci riguarda, perché è quella volontaria della democrazia mediatici e parlamentare che viviamo. La servitù del popolo italiano è volontaria; sono i cittadini che “si tagliano da soli la gola” e che, accettandone il giogo, snaturano la natura umana e democratica: la maggioranza degli italiani. Gli italiani sfuggiranno dunque alla loro orribile soggezione, soltando riconquistando la loro prima verità, la loro “natura franca”. Da questo risorgimento ontologico, contro la restaurazione politica, dipende la grande peripezia della vita civile che, in una prospettiva di nuovo contrattualistica e concreta farà di ogni cittadino un uomo e non un suddito, il solo artefice del mondo politico, non più delegato né a Dio né ai suoi luogotenenti, “unti del Signore”, Padroni e servi e masse manipolate.

“Contro la separazione dei fenomeni” (Pasolini) vediamo l’insieme. Dopo Mussolini, Berlusconi è il caso italiano più esasperante. Ascoltiamo Baudelaire, da  Il mio cuore messo a nudo…:”Insomma, davanti alla storia e di fronte al popolo francese, la grane gloria di Napoleone III sarà stata quella di provare che il primo venuto può, impadronendosi del telegrafo e della stampa, governare una grande nazione. Imbecilli quelli che credono che simili cose si possonorealizzare senza l’assenso popolare, così come quelli che credono che la gloria non si possa fondare che sulla virtù. I dittatori sono i domatici del popolo, niente di più, un fittuto ruolo, del resto se la gloria è il risultato dell’adattamento di uno spirito tale alla stupidità nazionale”. Il primo venuto si è impadronito, da noi, non del telegrafo, ma della televisione e della Stampa nazionale, e quindi del governo. Anche noi non siamo imbecilli e sappiamo che l’accondiscendenza del popolo italiano è fondata sul voto e sul fascino del reato e del vizio che il piccolo tiranno italiano di oggi incarna, per tutti gli evasori e i puttanieri della nostra sterminata piccola borghesia arricchita e razzista: è la sua gloria, e la loro.

L’adattamento alla stupidità nazionale dice che la questione italiana, purtroppo, è una questione di servitù volontaria degli italiani, più che della loro classe politica, di una buona metà. Sarebbe bello poter dire, a compenso, la famosa frase del film: “E’la stampa bellezza!”. Purtroppo, anche la stampa dovrebbe scioperare contro la maggioranza di sì stessa, perché finisca l’Italia della servitù volontaria che ci soffoca se, secondo Pasolini, noi non sapremo mai, ma almeno diremo la verità: “Ora, quando si saprà, o, meglio, si dirà tutta intera la verità del potere di questi anni, sarà chiara anche la follia dei commentatori politici italiani e delle èlites colte italiane. E quindi la loro omertà” (“Il Mondo”, 28 agosto 1975). Questa è la lettera luterana che dovremmo impugnare, nel conflitto dirompente tra l’interesse al silenzio e l’interesse al dissenso della verità politica, contro la pratica politica di sempre.
(“Il Fatto quotidiano, sabato 10 ottobre 2009”)

La Boëtie Etienne de, Discorso sulla servitù volontaria. Testo francese a fronte, 2007, La Vita Felice, € 6,00

Gianni D’Elia (Pesaro, 1953) è un poeta, scrittore e critico letterario italiano.
Ha fondato e diretto la rivista Lengua (1982-1994), collaborando come critico con numerose riviste e giornali. Nel 1993 ha vinto il premio Carducci. Ha pubblicato varie raccolte poetiche, fra cui Notte privata (Einaudi 1993), Congedo dalla vecchia Olivetti (Einaudi 1996), Bassa stagione (Einaudi 2003). Nel 2005 ha pubblicato L’eresia di Pasolini. L’avanguardia della tradizione dopo Leopardi (Effigie, Milano 2005), studio seguito poi da Il petrolio delle stragi. Postille a L’eresia di Pasolini, (Effigie, Milano 2006).

Un libro da leggere

Per uscire con stile, e qualche utilità, dal pantano quotidiano, consiglio la lettura del saggio di un amico:

Guido Crainz, Autobiografia di una Repubblica. Le radici dell’Italia attuale, Donzelli 2009. €16.50 (ben spesi)

Dove affonda le sue radici l’Italia di oggi? Guido Crainz cerca le risposte a questa e a altre domande non in vizi plurisecolari del paese ma nella storia concreta della Repubblica, muovendo dall’eredità del fascismo, dalla nascita della “repubblica dei partiti” e dagli anni della guerra fredda. L’analisi si sofferma soprattutto sulla “grande trasformazione” che ha inizio negli anni del “miracolo” e prosegue poi nei decenni successivi: con la sua forza dirompente, con le sue contraddizioni profonde, con le tensioni che innesca. In assenza di un governo reale di quella trasformazione, e nel fallimento dei progetti che tentavano di dare ad essa orientamento e regole, si delinea una “mutazione antropologica” destinata a durare. Essa non è scalfita dalle controtendenze pur presenti – di cui il ’68 è fragile e contraddittoria espressione – e prende nuovo vigore negli anni ottanta, dopo il tunnel degli anni di piombo e il primo annuncio di una degenerazione profonda. “Mutazione antropologica” e crisi del “Palazzo” – per dirla con Pier Paolo Pasolini vengono così a fondersi: in questo quadro esplode la crisi radicale dei primi anni novanta, di cui il tumultuoso affermarsi della Lega e l’esplosione di Tangentopoli sono solo un sintomo. Iniziò in quella fase un radicale interrogarsi sulle origini e la natura della crisi, presto interrotto dalle speranze in una salvifica “Seconda Repubblica”: speranze destinate a lasciare presto un retrogusto amaro.

http://www.ibs.it/code/9788860363848/crainz-guido/autobiografia-di-una-repubblica.html

Disintossicazione

Ci si stanca anche di caviale e champagne, figuriamoci di questa fanghiglia che la cronaca quotidiana ci ammannisce! Così, per disintossicarci, oggi propongo un pezzo tratto da Amos Oz, Una storia di amore e di tenebra, Feltrinelli 2003, che mi ha incantato per la sua intelligenza e saggezza:

Solo di libri, da noi, c’era abbondanza da una parete all’altra, in corridoio e in cucina e in ingresso e sui davanziali delle finestre e dappertutto. Migliaia di volumi in ogni angolo della casa. C’era come la sensazione che mentre gli uomini vanno e vengono, nascono e muoiono, i libri invece godono di eternità. Quand’ero piccolo, da grande volevo diventare un libro. Non uno scrittore, un libro: perchè le persone le si può uccidere come formiche. Anche uno scrittore non è difficile ucciderlo. Mentre un libro, quand’anche lo si distrugga con metodo, è probabile che un esemplare comunque si salvi e preservi la sua vita in qualche scaffale, una vita eterna, muta, su un ripiano dimenticato in qualche sperduta biblioteca, a Reykjavik, Valladolid, Vancouver.

Tutta un’altra strage

Sulla strage di Bologna del 2 agosto 1980 segnalo il volume di Riccardo Bocca, Tutta un’altra strage. BUR Biblioteca Universale Rizzoli 2007.

La mia memoria: la notizia mi arrivò al Rifugio Cantore sulle Tofane alla sera di quella giornata. Avevamo salito la Tofana di Rozes, dopo aver percorso la galleria del Castelletto, scavata dai nostri alpini come galleria di mina per far saltare le posizioni austriache. La galleria termina all’improvviso, nel vuoto, da lì si deve salire la parete attrezzata. L’esplosione aveva spaccato la montagna. Un’altra esplosione a Bologna, quel giorno. “Ma forse è saltata una caldaia“, disse mia madre al telefono. Non era una caldaia.

Ora il colpevole di quella strage è un uomo libero e ringrazia la Costituzione antifascista per avergli dato una seconda possibilità. Difficile da accettare. Molto difficile in un paese che dimentica e perdona tutto, anche l’imperdonabile. Che libera un condannato a 5 ergastoli e che lascia dire a un ex presidente della Repubblica “lasciate perdere, tanto non si saprà mai nulla..”. Difficile vivere in un paese così.

Questa è la storia…

Inserisco il testo narrativo da me letto ierisera alla presentazione del mio libro alla “Bottega dei briganti” a Reggio Emilia:


Questa è la storia di una strada e di una ragazza. Una ragazza che forse si chiamava Anna o Lucia o Silvana, il nome non ha molta importanza.
La strada è una strada del centro, qui vicina. Ma poi ci arriveremo.
La ragazza nel 1945 aveva 21 anni, compiuti da poco, suo padre un artigiano, sua madre una casalinga, altri fratelli e sorelle. Il posto diciamo fra Cavriago e l’Enza.
21 anni, in quell’inverno finale della guerra, Anna era una staffetta partigiana, in bicicletta, a piedi, un  biglietto, una frase, una borsa. Una consegna rapida e via, la paura in gola, sulle strade di campagna. La paura addosso ma anche il pensiero di lui, in montagna, il “moroso” come lo chiamava scherzando sua sorellina, quella piccola. Lui in montagna, a fare il partigiano. Perché era giusto, perché lui aveva coraggio.

Era una mattina di febbraio, ferma alla fermata della corriera, d’improvviso una voce dietro: “lei è…?” e due mani forti a prenderla. Una macchina nera, quei due in borghese di fianco. Senza una parola. E lei senza chiedere perché.
Giusto il tempo di riconoscere Reggio, i viali, la porta verso Parma. La macchina si ferma, una villetta, un grande cedro davanti.
In piedi davanti a una scrivania, le “generalità”, i “documenti”. Adesso c’è anche gente in divisa, la camicia nera e gli stivali.
“Signorina…” la chiamano, “così giovane”, le dicono. “Non abbia paura, qualche domanda…”.
Cosa rispondere, se sai che hai ancora l’ultimo messaggio infilato in quella piega della giacca? Quasi un colpo di fortuna essere chiusa dentro un gabinetto, in piedi, incantucciata nell’angolo per lo sporco e  la puzza. Ma almeno il biglietto sparisce.
Non c’è più luce fuori quando la fortuna finisce.
La vengono a prendere e stavolta non la chiamano più “signorina”, e sorridono e la guardano in un altro modo mentre la portano giù per le scale, in cantina.
Non erano voci straniere, non erano nomi incomprensibili. Quando le hanno strappato i vestiti, quando l’hanno legata. Si chiamavano Manzini, Berti, Barozzi. Nomi delle nostre parti, gente di Reggio. Non erano stranieri quando hanno voluto divertirsi-come diceva il capo- e l’urlo nemmeno le usciva dalla gola, fra l’acqua versata e i colpi che le arrivavano addosso. Forse il tempo si ferma in certi momenti e basta cercare di non pensare. Poi quando tutto finisce il tempo riprende, normale, quasi a dire “si ricomincia a vivere”.
Tre giorni a Villa Cucchi, centro storico, Reggio Emilia, febbraio 1945. Poi la sensazione, inconsapevole che ti prende giorno per giorno, in carcere, che forse sei salva, che forse si sono scordati di te. Altre Anna, altri Giorgio, Marcello. Tu lasciata indietro, lì in un cella ai Servi. Centro storico, Reggio Emilia. Fino a un martedì pomeriggio di aprile, le porte si aprono e capisci che è finita.

Questa è la storia di una strada e di una ragazza. Una ragazza che forse si chiamava Anna o Lucia o Silvana, il nome non ha molta importanza.
La strada è una strada del centro, qui vicina. Adesso ci arriviamo.
Ogni martedì si viene a Reggio, c’è mercato, c’è da andare in giro a fare commissioni. In quell’ufficio Anna deve esserci alle nove, per evitare la coda. Scende dalla corriera alla Sarsa e la strada è facile. Ma non può farla.
Perché questa è anche la storia di una strada sbagliata, una strada dove Anna non può passare. Una volta l’ha fatto, la prima volta. Ora non può più. Perché in quella strada, in centro, qui vicino, c’è un negozio, una banale negozio per gli altri. Ma non per Anna. Una volta c’è passata e sulla soglia c’era lui, uno di quelli che s’erano “divertiti”, una, due, altre volte. L’ha guardata, ha sorriso, i baffetti sui denti guasti. L’ha guardata e le ha fatto quel gesto.
Per sette anni Anna non ha potuto fare quella strada, la strada sbagliata. Ha allungato il cammino, ha affrettato il passo per essere in quell’ufficio alle nove, per evitare la coda. Per sette anni è stata ancora prigioniera.
Poi un martedì mattina, lì vicino, su un muro ha visto quell’avviso funebre. Ha letto il nome, il cognome, “è serenamente spirato” c’era scritto.
Ora poteva passare in quella strada.

Anna mi ha raccontato la sua storia, un pomeriggio, alla fine mi ha detto:
“Sai qual’è stata la cosa peggiore?” E io ho pensato a Villa Cucchi, a quei denti guasti, agli stivali, a una ragazza di 21 anni legata a un tavolo.
“La cosa peggiore, per me, è stata che quando ho letto quell’annuncio, non ho provato niente. Solo una gran voglia di piangere perché avevo avuto quasi un momento di felicità. Quella è stata la cosa peggiore”.

La memoria e il futuro

Nella nuova prefazione al suo “Questo novecento” (Einaudi, 2008), poco prima di lasciarci, Vittorio Foa scriveva: “Mi sembra che esista un fenomeno dai tempi lunghi: una destra profonda che prende le forme più varie, a volte persino forme di sinistra. Le forme della destra profonda possono essere nazionaliste, militariste, razziste, fasciste, o puramente liberistiche. In tutti questi casi la chiusura nel proprio particolare, nella famiglia e il proiettare il rapporto con il mondo sulla propria particolarità diventano dominanti“.

Nessuno parla più di futuro, nessuno di politica. Un eterno commentare e rincorrere il dettaglio, perdendo il contesto. Un tirare avanti e sopravvivere, difendendo-appunto-sè stessi e la famiglia. C’è un grande bisogno, invece, di innovazione e di tenacia. Un dire, forte e chiaro, “non ci piegherete mai” ma, nello stesso tempo, la capacità di proporre innovazione e rigore, senza sconti, perchè di demagogia anche la sinistra ne ha fatta tanta e continua a muoversi in percorsi resi ormai ridicoli dalla realtà. Parole come meritocrazia, capacità, competitività sono state lasciate alle chiacchiere della destra, anzichè farne i nostri punti di riferimento. O c’è qualcuno che rimpiange ancora i tempi del “salario come variabile indipendente?”

Grazie

Un “grazie” all’amico Vindice Lecis che sul suo sito pubblica la recensione a “Il sangue dei vincitori”.

(http://www.fuoripagina.net/cult-soc-generale/il-sangue-dei-vincitori-la-verita-sul-dopoguerra-senza-revisionismi-alla-pansa.html)

Un consiglio: un libro

Oggi consiglio un libro di un amico e ottimo storico, Sergio Luzzatto: esce in questi giorni presso Manifestolibri. “I popoli felici non hanno storia”. E’ la raccolta di articoli che Luzzatto ha pubblicato sul Corriere della Sera.

Che cosa ha significato e cosa significa, per noi italiani, avere il papa in casa? Qual’è il rapporto fra passato e presente nella storia, ormai lunga, dei terroristi e del terrore? In che senso le discussioni dell’oggi sulle nuove frontiere della vita e della morte giadagnano a essere illuminate da vicende di ieri  o dell’altroieri?. Perchè l’interminabile conflitto fra israeleiani e palestinesi ci riguarda tutti, più di ogni altra guerra al mondo?