Il compagno Gianfranco

Fini: “Leggi razziali, un’infamia e la Chiesa non si oppose”

Nuova condanna del Presidente della Camera a 70 anni dai provvedimenti. “Fare i conti con questa vergognosa pagina alla quale l’Italia e il Vaticano si adeguarono”. Levata di scudi nel mondo politico cattolico: “Sulla Chiesa Fini sbaglia”. Un richiamo apprezzato invece da Veltroni, Bondi e dalla comunità ebraica.
ROMA – Il fascismo rivelò la sua anima razzista prima delle leggi razziali, ma la Chiesa non fece abbastanza per opporsi a “quell’infamia”. Il presidente della Camera Gianfranco Fini torna a condannare duramente le leggi razziali, ma questa volta – a Montecitorio, in apertura del convegno “1938-2008: settant’anni dalle leggi antiebraiche e razziste, per non dimenticare” – sottolinea anche la passività della società italiana e della Chiesa cattolica contro la legislazione antiebraica.
Ridirei ciò che ho detto. Di fronte alle vivaci prese di posizione non solo dal mondo cattolico contro le sue parole Fini è tornato sul tema ribadendo il concetto. “Ho espresso un convincimento, direi quasi banale, non pensavo che potesse determinare delle polemiche politiche. Io mi riferivo al 1938 e non al 1942. Leggere dichiarazioni polemiche fa parte del quotidiano di un politico, ma io riscriverei il concetto che ho detto perché mi sono documentato e ho fatto riferimento ad un documento del Vaticano del 2000 sulla Chiesa e gli errori del passato”.
“Vergogna”. Fini usa parole dure, come “infamia”, “odiosità” e “vergogna” per riferirsi ai provvedimenti varati da Mussolini: “La loro odiosa iniquità si rivelò in particolare contro gli ebrei che avevano aderito al fascismo. Ma l’ideologia fascista da sola non spiega l’infamia – sottolinea il presidente della Camera – c’è da chiedersi perché la società italiana si sia adeguata, nel suo insieme, alla legislazione antiebraica e perché, salvo talune luminose eccezioni, non siano state registrate manifestazioni di resistenza. Nemmeno, mi duole dirlo, da parte della Chiesa cattolica”. Oggi Fini e il presidente degli ebrei italiani Renzo Gattegna hanno scoperto una targa nella sala della Regina a Montecitorio per ricordare il settantesimo anniversario.
Il significato. Fare i conti con “l’infamia storica” delle leggi razziali per Fini significa “avere il coraggio di perlustrare gli angoli bui dell’anima italiana, sforzarsi di analizzare le cause che la resero possibile, in un Paese profondamente cattolico e tradizionalmente ricco di sentimenti di umanità e solidarietà”.
Le cause. Tra le cause delle leggi razziali, ricorda il presidente della Camera, “c’è l’anima razzista che il fascismo rivelò nel 1938, ma già presente nell’esasperazione nazionalistica che caratterizzava il regime e la politica coloniale”. E alla base della “mancata reazione della popolazione”, continua, ci furono altri elementi, come “la propensione al conformismo” o la “possibile condivisione della popolazione, negata ma presente, dei pregiudizi e delle teorie antiebraiche, una vocazione all’indifferenza più o meno diffusa”. Dunque, “denunciare l’inequivocabile responsabilità politica e ideologica del fascismo non deve portare a riproporre lo stereotipo autoassolutorio e consolatorio degli ‘italiani brava gente'”.
Le reazioni del mondo politico cattolico. Dopo la netta presa di posizione di Fini, una levata di scudi bipartisan nel mondo politico cattolico. Il vicepresidente della Camera, Maurizio Lupi (Pdl), ha detto: “La Chiesa ha sempre con forza contrastato le leggi razziali, cercando di aiutare gli ebrei perseguitati anche a rischio della vita di numerosi sacerdoti, suore e laici. Questi sono i fatti, lo testimoniano le pagine dalla storia”. Gli ha fatto eco Enrico Farinone (Pd): “Sul fatto che leggi razziali fossero un’infamia siamo d’accordo. Sul fatto che nemmeno la Chiesa sia opposta no. Generalizzare non serve”. Secondo Renato Farina (Pdl): “Che la Chiesa non si sia opposta alle leggi razziali è una leggenda nera, e dispiace che il presidente Fini si adegui a questa versione della storia politically correct”.
Anche Veltroni d’accordo con Fini. D’accordo con le parole di Fini sulla chiesa poco esposta contro le leggi razziali si dichiara Walter Veltroni: “Sono una verità storica, una verità palmare” su cui sono incomprensibili le polemiche. A sostegno di Fini interviene anche il segretario del Pri, Francesco Nucara: “Parole coraggiose, veritiere. Del resto, c’è poco da discutere, visto che Giovanni Paolo II si scusò con il popolo ebraico per le leggi razziali e altro ancora. Vogliamo sperare di non essere noi gli unici a ricordarsi di Wojtyla”. Il ministro per i Beni culturali, Sandro Bondi è convinto che l’applicazione delle leggi razziali del 1938 “fu permessa da un generale ottundimento degli italiani che in buona parte, per quieto vivere, non si esposero troppo a favore degli ebrei”.
“La chiesa non prese una posizione sul massacro degli ebrei”. “Un richiamo che apprezzo perché ricorda che il mancato pronunciamento ufficiale della Chiesa di allora contro la Shoah favorì il persecutore nazista” è il commento dell’ex presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane Amos Luzzatto alle parole del presidente della Camera Gianfranco Fini. “A tutt’oggi siamo nelle condizioni di dover dire che, a parte l’ipotetica enciclica di Pio XI, la chiesa cattolica non prese una posizione ufficiale sul massacro degli ebrei. E il silenzio – continua Luzzatto – rafforzò indubbiamente la possibilità del regime nazista di non doversi guardare le spalle. Quando deportarono gli ebrei romani è impossibile che in Vaticano non si sapesse”.


(16 dicembre 2008)

 

I testi delle Leggi razziali:
http://www.cittadinolex.kataweb.it/article_view.jsp?idArt=2037&idCat=75

Parole. Io. Noi

…In tal modo si è creata una koinè comune alla destra e si sono imposti nel dibattito politico-culturale temi quali: l’esaltazione dell’individualismo sregolato, la mitizzazione dello Stato minimo, il disprezzo del pubblico, il neonazionalismo soft, l’ostilità agli immigrati rasentando la xenofobia, l’adozione, spesso impropria, dei riferimenti religiosi uniti a un via libera a ogni intromissione della Chiesa, la riduzione dei diritti civili a optional, la glorificazione acritica dell’Occidente e del Grande Fratello d’oltre Oceano, l’euroscetticismo, l’insofferenza per i checks and balances costituzionali a fronte dell’idolatria populistica del volere del popolo (salvo quando si schiera per quasi i 2/3 contro le proposte dei geni di Lorenzago nel referendum, presto dimenticato, di due anni fa). Tutto questo non si è costruito in un giorno: è il risultato di un impegno “metapolitico” di anni. E ora se ne vedono i frutti.

Pietro Ignazi, L’egemonia del cavaliere, L’Espresso (15 maggio 2008).

Da dove ripartire in questa specie di deserto che le ultime elezioni hanno lasciato?
E se ripartissimo dalle parole e, prima ancora, dai valori? E se cercassimo, per una volta, di fare il punto, di riflettere, anziché cercare la nuova, ennesima, incerta, scialuppa di salvataggio? In questi anni il centro-sinistra è stato tutto (ecologista, blairiano, clintoniano, veltroniano, prodiano, dalemiano e chissà cos’altro ancora) e in questa disperata rincorsa alla fine si è ritrovato, come lo Zelig di alleniana memoria, un essere vuoto e senza identità, pronto stavolta ad accettare la pietà del vincitore e a plaudire ad una inedita civiltà di rapporti, come se la mortadella, i cappi e i rutti fossero venuti dai banchi del governo e non da quelli, scomposti e decomposti, della ex-opposizione.
E poi ha ancora senso parlare di un “noi”? In questi anni le leggi elettorali prima hanno riportato la figura del Podestà nei nostri Municipi, un Podestà da scegliere a scatola chiusa ogni cinque anni con un atto di fede più che di scelta politica e di partecipazione democratica, una legge che ha soltanto preparato la nomina dei nostri eletti a limitata rappresentanza, limitata visto che, appena possibile, lo strumento delle primarie viene aggirato fra il tripudio di apparati e oligarchie.
Noi, che in questi anni siamo stati tante volte redarguiti di immaturità ed inesperienza, come se per perdere le elezioni, come è accaduto, fosse necessaria la maturità e l’esperienza dei nostri esausti apparati dirigenti.
Allora ripartire dai principi, dai valori e dalle parole. Emergenza. L’emergenza come norma. Ma davvero pensiamo che in un paese dove la camorra ha ucciso 230 persone negli ultimi due anni e 3000 (tremila) nell’ultimo ventennio i Rom siano l’emergenza? Tanto da richiedere un Commissario straordinario? Parole. Attenzione. Con gli ebrei si iniziò così. Nell’indifferenza generale. E con gli ebrei ad Auschwitz c’erano proprio i Rom, inghiottiti dagli stessi forni e dall’amnesia generale.
Perché i Rom non sono persone, portatori di diritti e doveri. Sono un problema. Da commissariare, da rinchiudere, da cancellare. Già visto, purtroppo. Ma la “gente” vuole così. E noi senza altre idee o parole accettiamo il lessico. La sicurezza, parola magica. Sicurezza. Una sicurezza che ci verrà proprio da chi parla da anni di fucili, pallottole, bande armate pronte al sacrificio? Ma chi ci difende da questa “sicurezza”? Parole.
Parole come accoglienza, multiculturalismo, sparse a piene mani in città sempre più brutte, amministrate da invisibili, sempre più lasciate all’illegalità, minuscola o maiuscola, come se il fare i propri comodi fosse di sinistra piuttosto che di destra. Una illegalità minuscola che scandalizza per primi proprio i nuovi arrivati, illusi di arrivare in un paese civile e costretti a confrontarsi con i soliti italiani furbastri, dediti al piccolo imbroglio, all’infrazione quotidiana. Perché non adeguarsi, allora? Legalità, la parola, ma legalità per tutti, perché non ci siano furbi di serie A e furbi di serie B.
Egemonia culturale si chiamava una volta. La koinè che Ignazi ricordava, la koinè trionfante di una destra che con i suoi “mezzi di distrazione di massa” ha costruito, giorno dopo giorno, uniformando i gusti, il tempo libero, la scala (o forse meglio la scaletta) dei (dis)valori. Parole. Scompare il noi, trionfa l’io. E con l’io la paura. La chiusura. Il vecchio vizio italico del particolare. Il vizio di un paese incattivito, insicuro di sè, che non riesce ad immaginare un futuro.
Un lessico che ha conquistato tutti. Delitti partigiani. L’inutile 25 aprile. Il vecchio antifascismo da gettare via, per essere finalmente cosa? Moderni? Adeguati ai tempi. Come “loro”. Sempre più numerosi e vincenti (per ora).
E allora anch’io accetto, per un momento, il lessico vincente e dico “io”. Io non ci sto, perché io non sono come loro, forse non migliore, peggiore probabilmente. Ma non come “loro”. Mai. E come me tanti, silenziosi, dispersi. Tanti “io” che fanno, di nuovo, un “noi”.
Noi che crediamo nella dignità e unicità della persona, di ogni persona. Noi che crediamo nel valore della cultura, del lavoro, massacrato proprio dai “nostri” prima che da “loro”.
Noi che conosciamo la precarietà che devasta, che non ti consente nessun futuro. Noi che le leggi le rispettiamo tutte, per convinzione e non per dovere. Noi che ancora crediamo che si possa essere felici solo se lo saranno anche gli altri. Noi che dobbiamo insegnare ai nostri figli a cercare un futuro lontano da questo paese perché non ci hanno mai dato la possibilità di far qualcosa perché le cose andassero in un altro modo. Noi che abbiamo imparato che si può anche scegliere la strada più difficile perché qualcun altro lo ha già fatto prima di noi in tempi molto più difficili.
Noi, “noi” ci siamo ancora, invisibili e silenziosi, stanchi ma testardi e un po’ bastardi. Noi, tante persone uniche e irripetibili. “Noi”. Mai come “loro”.

Bossi e Garibaldi

Bossi è l’erede di Giuseppe Garibaldi. Il suo vero sogno è uno stato nazionale, centralista, magari un po’ fascista. Quando racconta la storia dei Comuni pensa in realtà a Giulio Cesare e alle glorie dell’Impero Romano. Va a Pontida negli incontri pubblici, ma in privato visita i Fori Imperiali e si reca in gita a Predappio.
La Lega è un partito federale, ma solo in periodo elettorale. Passata la festa, gabbato il valligiano bergamasco. Bossi è più furbo di Andreotti, più calcolatore di Gelli, più panzanaro dello psiconano. Un grande Padre della Patria. Si merita una statua equestre in piazza Venezia. Ha fatto più la Lega per l’affermazione di Roma Caput Mundi e dell’unità nazionale che ogni altro partito apparso in Italia, a parte il fascismo. Il Duce diceva cosa voleva fare e spesso non ci riusciva, il Senatùr dice il contrario di quello che farà e ci riesce sempre. Una mente superiore.
Da quando la Lega è al Governo, in meno di un anno, ha ottenuto risultati strepitosi per il federcentralismo:
– ha eliminato l’Ici, unica vera tassa federale, per i Comuni
– ha privatizzato l’acqua, che passa in gestione dai Comuni alle concessionarie e alle multinazionali
– ha tolto alle Regioni il potere di decidere in materia di politica ambientale
– ha permesso la creazione di una nuova base militare statunitense a Vicenza (“Padroni a casa nostra”) con la proibizione di un referendum indetto dal Comune
– non ha eliminato i Prefetti, ma ha militarizzato le città con l’esercito
– ha tolto alle Università del Nord, ad esempio 40 milioni di euro al Politecnico di Milano, per dare 150 milioni al Comune di Catania e 500 milioni al Comune di Roma, per evitare il fallimento
– ha ignorato la presenza di 90 testate atomiche statunitensi a Ghedi Torre nel Bresciano e a Aviano in Friuli
– ha aumentato i costi della politica
– ha lasciato che 8/9 miliardi di euro di fondi europei OGNI ANNO (soldi interamente versati con le nostre tasse) vadano a Calabria, Campania e Sicilia senza nessun controllo. E chi vuole controllare che non finiscano ai partiti e alla criminalità organizzata, come Luigi De Magistris, viene trasferito.
Le camicie rosse di Garibaldi hanno fatto l’Italia, le camicie verdi di Bossi l’hanno strafatta.
Se dopo alcuni mesi di governo della Lega lo Stato centralista e romano si è rafforzato in questo modo, cosa ci riserva il futuro? La tassa federale per il Nord e gli sgravi fiscali per la mafia?
E’ il federalismo che traccia il solco, ma è la poltrona che lo difende!
(http://www.beppegrillo.it/)

Ricordiamocelo (3)

Articolo 4
Nessun individuo potrà essere tenuto in stato di schiavitù o di servitù; La schiavitù e la tratta degli schiavi saranno proibite sotto qualsiasi forma.
Articolo 5
Nessun individuo potrà essere sottoposto a trattamento o punizioni crudeli, inumani o degradanti.
Articolo 6
Ogni individuo ha diritto, in ogni luogo, al riconoscimento della sua personalità giuridica.
Articolo 7
Tutti sono eguali dinanzi alla legge e hanno diritto, senza alcuna discriminazione, ad un’eguale tutela da parte della legge. Tutti hanno diritto ad un’eguale tutela contro ogni discriminazione che violi la presente Dichiarazione come contro qualsiasi incitamento a tale discriminazione.
Articolo 8
Ogni individuo ha diritto ad un’effettiva possibiltà di ricorso a competenti tribunali nazionali contro atti che violino i diritti fondamentali a lui riconosciuti dalla costituzione o dalla legge.
Articolo 9
Nessun individuo potrà essere arbitrariamente arrestato, detenuto o esiliato.
Articolo 10
Ogni individuo ha diritto, in posizione di piena uguaglianza, ad una equa e pubblica udienza davanti ad un tribunale indipendente e imparziale, al fine della determinazione dei suoi diritti e dei suoi doveri, nonchè della fondatezza di ogni accusa penale che gli venga rivolta.
(Dichiarazione universale dei diritti umani, Articoli 4-10, 10 dicembre 1948)

Buone notizie dalla Cassazione

Previti è un corrotto e non ci sono dubbi. La Cassazione non ha commesso alcun errore nel condannare, il 13 luglio del 2007, Cesare Previti, ad un anno e mezzo per corruzione in atti giudiziari nell’ambito della vicenda del lodo Mondadori. Lo ha deciso la Sesta sezione penale della Cassazione dichiarando inammissibile il ricorso presentato dai legali dell’ex ministro della Difesa nonché ex parlamentare di Forza Italia.

In particolare, la difesa di Previti rappresentata da Alessandro Sammarco, nel ricorso che rappresentava «l’ultima spiaggia», sosteneva che i giudici della Seconda sezione penale, nel 2007, convalidando la condanna inflitta a Previti in appello, avevano commesso «una serie di errori materiali», tra i quali «la mancata valutazione di testimonianze che scagionavano Previti» che avrebbero potuto annullare la sentenza di condanna. Tesi non condivisa da piazza Cavour che ha bocciato il reclamo, condannando Previti anche al pagamento delle spese processuali.

10 dicembre 2008

Ricordiamocelo (2)

Articolo 1
Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.
Articolo 2
Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione. Nessuna distinzione sarà inoltre stabilita sulla base dello statuto politico, giuridico o internazionale del paese o del territorio cui una persona appartiene, sia indipendente, o sottoposto ad amministrazione fiduciaria o non autonomo, o soggetto a qualsiasi limitazione di sovranità.
Articolo 3
Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona.
Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà, senza distinzione alcuna per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita.
(Dichiarazione universale dei diritti umani, Articoli 1-3, 10 dicembre 1948)

Brescia. Bonus bebè: in campo i gruppi cattolici

Bonus bebè: in campo i gruppi cattolici
di Magda Biglia

«I BRESCIANI più abbienti potrebbero rinunciare al bonus in favore di immigrati poveri che hanno avuto un figlio. Il calcolo non dovrebbe essere difficile, chissà». Così aveva scritto in una lettera aperta il vescovo di Brescia Luciano Monari a proposito della decisione della giunta Paroli di attribuire un assegno di mille euro ai nati da italiani nel 2008. Un gruppo di associazioni cattoliche lo ha preso in parola e rilancia l’appello aprendo una raccolta fondi per il ‘donum bebè’ nel quale, in primis coloro che riceveranno i soldi pubblici senza averne bisogno, poi tutti quanti ritengono che «giustizia vada fatta» possono versare una loro somma. Specificando la causale, intestando a ‘Acli senza confini onlus’, via Corsica 165, 25125 Brescia, il conto corrente postale è 42505628, il cc bancario presso la Banca popolare etica è IT26 M 05018 11200 000000511818. Con Carta sì, si può telefonare allo 0302294031. Per ora figurano nel gruppo le sigle del cattolicesimo sociale che nel Bresciano ha radici storiche, Acli, Cisl, Associazione nazionale famiglie numerose, Fuci, Pro famiglia, Mcl, Focolari, Pax Christi, San Vincenzo, Ucid, ma altre si stanno aggiungendo. E non è facile perché la questione è delicata e le sfumature non mancano. Tutti sono accomunati dall’idea di non contrapporsi ma di porre una propria azione di solidarietà in alternativa. «Nel 2007, per avere un riferimento, su 1900 neonati, 650 erano stranieri, figli di lavoratori, che abitano qui, che pagano le tasse, che al Nord contribuiscono per l’11% al Pil, vittime di una scelta legittima ma escludente a cui noi contrapponiamo un’impresa giusta» dice per tutti Roberto Rossini, leader delle Acli. «Nella stessa stanza di ospedale due mamme avranno al seno due bambini con diritti differenti, il bianco e il nero, e magari quella mamma bianca ha un reddito mensile di 10mila euro» spiega con efficacia Mario Sberna che guida l’associazione delle coppie con oltre cinque figli.

TUTTI CONCORDANO con Renato Zaltieri, segretario generale della Cisl, «che i bambini sono, indistintamente, un bene, il futuro di un Paese nel quale ci siano uguali diritti e uguali doveri» o con Mariella Perini della San Vincenzo quando sostiene che «serve legalità». Però c’è chi calca di più sulle parole del Vangelo. Nello specifico di Matteo che dà voce a Gesù, neonato che a Brescia non avrebbe avuto aiuto: «chi non accoglie un bambino non accoglie me» come ricorda Rosalba Panaro di Pax Christi. E c’è chi fa anche un discorso più politico. Come Mauro Scaroni di Pax Christi: «Non chiediamo al sindaco Paroli di fare una scelta cristiana ma di amministare con giustizia». Come Urbano Gerola della San Vincenzo: «Queste decisioni possono essere un boomerang e creare contrapposizioni, tensioni sociali». E per Luisa Ambrogi del Movimento cristiano lavoratori questa di Brescia sarà la prima mossa, «Che si diffonderà ovunque necessario».
(http://ilgiorno.ilsole24ore.com/brescia/2008/12/05/137260-bonus_bebe_campo_gruppi_cattolici.shtml)

Grecia, Francia, Italia, la gioventù bruciata

…La rivolta di Atene, per alcuni versi, richiama, inoltre, le mobilitazioni che attraversano l’Italia da alcune settimane. Le differenze, in questo caso, sono però ancor più evidenti. Perché in Italia la protesta giovanile non nasce da un episodio violento e non ha assunto toni violenti (se non in alcuni casi molto specifici). Perché ha fini e bersagli squisitamente politici. I provvedimenti del governo in materia di scuola e università. Tuttavia, fra le mobilitazioni vi sono i punti di contatto altrettanto palesi. In Italia come in Grecia i protagonisti sono gli studenti, i teatri le università. In Grecia come in Italia la popolazione studentesca era da tempo in ebollizione, per gli stessi motivi. L’opposizione aperta contro la riduzione delle risorse e degli investimenti sulla scuola – e in particolar modo sull’organizzazione della ricerca e dell’università – pubblica.

Se colleghiamo questi tratti, tanto diversi in apparenza, si delinea un profilo comune e largamente noto. Perché le rivolte investono i giovani, sia gli studenti che i marginali, delle classi agiate e dei gruppi esclusi. I bersagli sono, in ogni caso, le istituzioni di governo, il sistema educativo e le forze dell’ordine, il sistema politico e in particolar modo i partiti e gli uomini di governo. Il denominatore comune di queste esplosioni sociali sono i giovani, occultati e vigilati da una società vecchia e in declino, da un sistema politico im-previdente, inefficiente e spesso corrotto. Schiacciati in un presente senza futuro. Cui sono sottratti i diritti di cittadinanza. Costretti a una flessibilità senza obiettivi. Il che significa: precarietà.

La violenza, in questo caso, diventa un modo di dichiarare e gridare la propria esistenza. Loro, invisibili. Inutile ignorarli, fare come se non ci fossero. Ci sono. Studenti, precari, di buona famiglia oppure marginali e immigrati, politicizzati o apertamente impolitici e antipolitici. Esistono. E se si finge di non vedere si accendono, bruciano. Fuochi nella notte che incendiano le città.

(Ilvo Diamanti, Repubblica 9.12.2008)
http://www.repubblica.it/2007/02/rubriche/bussole/giovane/giovane.html