Il patto di Katharine (stasera)…

Martedi 2 ottobre

Biblioteca S.Croce, via Adua

ore 20,30

3558447204.jpgIl Gruppo di lettura “Una pagina a caso” presenta
Il patto di Katharine. Gli strani casi di Dario Lamberti
di Massimo Storchi – Aliberti edizioni.
Alla presenza dell’autore

Aperitivo offerto dal Circolo La Paradisa di Massenzatico

Patria e Onore….

Quel mausoleo alla crudeltà
che non fa indignare l’Italia
Il fascista Graziani celebrato con i soldi della Regione Lazio

patria-onore_b1--180x140.jpgIl mausoleo costruito per Rodolfo Graziani ad Affile, in provincia di Roma, sul quale dominano le scritte ‘Patria’ e ‘Onore’, capisaldi del fascismo.
«Mai dormito tanto tranquillamente », scrisse Rodolfo Graziani in risposta a chi gli chiedeva se non avesse gli incubi dopo le mattanze che aveva ordinato, come quella di tutti i preti e i diaconi cristiani etiopi di Debra Libanos, fatti assassinare e sgozzare dalle truppe islamiche in divisa italiana. Dormono tranquilli anche quelli che hanno speso soldi pubblici per erigere in Ciociaria un sacrario a quel macellaio? Se è così non conoscono la storia.
Rimuovere il ricordo di un crimine, ha scritto Henry Bernard Levy, vuol dire commetterlo di nuovo: infatti il negazionismo «è, nel senso stretto, lo stadio supremo del genocidio». Ha ragione. È una vergogna che il comune di Affile, dalle parti di Subiaco, abbia costruito un mausoleo per celebrare la memoria di quello che, secondo lo storico Angelo Del Boca, massimo studioso di quel periodo, fu «il più sanguinario assassino del colonialismo italiano». Ed è incredibile che la cosa abbia sollevato scandalizzate reazioni internazionali, con articoli sul New York Times o servizi della Bbc,ma non sia riuscita a sollevare un’ondata di indignazione nell’opinione pubblica nostrana. Segno che troppi italiani ignorano o continuano a rimuovere le nostre pesanti responsabilità coloniali.

Francesco Storace è arrivato a dettare all’Ansa una notizia intitolata «Non infangare Graziani» e a sostenere che «nel processo che gli fu intentato nel 1948 fu riconosciuto colpevole e condannato a soli due anni di reclusione per la semplice adesione alla Rsi». Falso. Il dizionario biografico Treccani spiega che il 2 maggio 1950 il maresciallo fu condannato a 19 anni di carcere e fu grazie ad una serie di condoni che ne scontò, vergognosamente, molti di meno.

È vero però che anche quella sentenza centrata sul «collaborazionismo militare col tedesco», era figlia di una cultura che ruotava purtroppo intorno al nostro ombelico (il fascismo, il Duce, Salò…) senza curarsi dei nostri misfatti in Africa. Una cultura che spinse addirittura Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti (un errore ulteriore che ci pesa addosso) a negare all’Etiopia l’estradizione di Graziani richiesta per l’uso dei gas vietati da tutte le convenzioni internazionali e per gli eccidi commessi e rivendicati. E più tardi consentì a Giulio Andreotti a incontrare l’anziano ufficiale, in nome della Ciociaria, senza porsi troppi problemi morali.

Il sito web del comune di Affile dedica una pagina a Rodolfo Graziani ‘figura tra le più amate e più criticate a torto o a ragione’
Allora, però, nella scia di decenni di esaltazione del «buon colono italiano» non erano ancora nitidi i contorni dei crimini di guerra. Gli approfondimenti storici che avrebbero inchiodato il viceré d’Etiopia mussoliniano al suo ruolo di spietato carnefice non erano ancora stati messi a fuoco. Ciò che meraviglia è che ancora oggi il nuovo mausoleo venga contestato ricordando le responsabilità di Graziani solo dentro la «nostra» storia. Perfino Nicola Zingaretti nel suo blog rinfaccia al maresciallo responsabilità soprattutto «casalinghe».
Per non dire dell’indecoroso sito web del Comune di Affile, dove si legge che l’uomo fu una «figura tra le più amate e più criticate, a torto o a ragione» del periodo fra le due guerre e un «interprete di avvenimenti complessi e di scelte spesso dolorose». Che «compì grandiosi lavori pubblici che ancor oggi testimoniano la volontà civilizzante dell’Italia». Che «seppe indirizzare ogni suo agire al bene per la Patria attraverso l’inflessibile rigore morale e la puntigliosa fedeltà al dovere di soldato».

«Inflessibile rigore morale»? «Rodolfo Graziani tornò dall’Etiopia con centinaia di casse rubate e rapinate in giro per le chiese etiopi», racconta Del Boca. «Grazie a lui il più grande serbatoio illegale di quadri e pitture e crocefissi della chiesa etiope è in Italia». Certo, non fu il solo ad avere questo disprezzo per quella antichissima Chiesa cristiana fondata da San Frumenzio intorno al 350 d.C. Basti ricordare le parole, che i cattolici rileggono con imbarazzo, con cui il cardinale di Milano Ildefonso Schuster inaugurò il 26 febbraio 1937 il corso di mistica fascista una settimana dopo la spaventosa ecatombe di Addis Abeba: «Le legioni italiane rivendicano l’Etiopia alla civiltà e bandendone la schiavitù e la barbarie vogliono assicurare a quei popoli e all’intero civile consorzio il duplice vantaggio della cultura imperiale e della Fede cattolica ».

Fu lui, l’«eroe di Affile», a coordinare la deportazione dalla Cirenaica nel 1930 di centomila uomini, donne, vecchi, bambini costretti a marciare per centinaia di chilometri in mezzo al deserto fino ai campi di concentramento allestiti nelle aree più inabitabili della Sirte. Diecimila di questi poveretti morirono in quel viaggio infernale. Altre decine di migliaia nei lager fascisti.

E fu ancora lui a scatenare nel ’37 la rappresaglia in Etiopia per vendicare l’attentato che gli avevano fatto i patrioti. Trentamila morti, secondo gli etiopi. L’inviato del Corriere, Ciro Poggiali, restò inorridito e scrisse nel diario: «Tutti i civili che si trovano in Addis Abeba hanno assunto il compito della vendetta, condotta fulmineamente con i sistemi del più autentico squadrismo fascista. Girano armati di manganelli e di sbarre di ferro, accoppando quanti indigeni si trovano ancora in strada… Inutile dire che lo scempio s’abbatte contro gente ignara e innocente».

I reparti militari e le squadracce fasciste non ebbero pietà neppure per gli infanti. C’era sul posto anche un attore, Dante Galeazzi, che nel libro Il violino di Addis Abeba avrebbe raccontato con orrore: «Per tre giorni durò il caos. Per ogni abissino in vista non ci fu scampo in quei terribili tre giorni in Addis Abeba, città di africani dove per un pezzo non si vide più un africano».

Negli stessi giorni, accusando il clero etiope di essere dalla parte dei patrioti che si ribellavano alla conquista, Graziani ordinò al generale Pietro Maletti di decimare tutti, ma proprio tutti i preti e i diaconi di Debrà Libanòs, quello che era il cuore della chiesa etiope. Una strage orrenda, che secondo gli studiosi Ian L. Campbell e Degife Gabre-Tsadik autori de La repressione fascista in Etiopia vide il martirio di almeno 1.400 religiosi vittime d’un eccidio affidato, per evitare problemi di coscienza, ai reparti musulmani inquadrati nel nostro esercito.

Lui, il macellaio, quei problemi non li aveva: «Spesso mi sono esaminato la coscienza in relazione alle accuse di crudeltà, atrocità, violenze che mi sono state attribuite. Non ho mai dormito tanto tranquillamente ». Di più, se ne vantò telegrafando al generale Alessandro Pirzio Biroli: «Preti e monaci adesso filano che è una bellezza».

C’è chi dirà che eseguiva degli ordini. Che fu Mussolini il 27 ottobre 1935 a dirgli di usare il gas. Leggiamo come Hailé Selassié raccontò gli effetti di quei gas: si trattava di «strani fusti che si rompevano appena toccavano il suolo o l’acqua del fiume, e proiettavano intorno un liquido incolore. Prima che mi potessi rendere conto di ciò che stava accadendo, alcune centinaia fra i miei uomini erano rimasti colpiti dal misterioso liquido e urlavano per il dolore, mentre i loro piedi nudi, le loro mani, i loro volti si coprivano di vesciche. Altri, che si erano dissetati al fiume, si contorcevano a terra in un’agonia che durò ore. Fra i colpiti c’erano anche dei contadini che avevano portato le mandrie al fiume, e gente dei villaggi vicini».

Saputo del monumento costato 127 mila euro e dedicato al maresciallo con una variante sull’iniziale progetto di erigere un mausoleo a tutti i morti di tutte le guerre, i discendenti dell’imperatore etiope, come ricorda il deputato Jean-Léonard Touadi autore di un’interrogazione parlamentare, hanno scritto a Napolitano sottolineando che quel mausoleo è un «incredibile insulto alla memoria di oltre un milione di vittime africane del genocidio», ma che «ancora più spaventosa» è l’assenza d’una reazione da parte dell’Italia.

Rodolfo Graziani «eseguiva solo degli ordini»? Anche Heinrich Himmler, anche Joseph Mengele, anche Max Simon che macellò gli abitanti di Sant’Anna di Stazzema dicevano la stessa cosa. Ma nessuno ha mai speso soldi della Regione Lazio per erigere loro un infame mausoleo.

Gian Antonio Stella

Corriere della Sera, 30.9.2012

“Ci hanno rubato il futuro”…

 305f1.jpg“Ci hanno rubato il futuro” è il mantra che sentiamo ripetere da giovani e meno giovani. Se le parole hanno (ancora) un senso, la frase sta a significare che qualcuno (chi?) ha rubato il domani, il dopodomani etc. a diverse categorie di persone (che resteranno, loro malgrado, nel nulla, nel dolore, nella disperazione). Sì, perché ho sentito questa frase pronunciata da giovani neolaureati come da pensionati mancati. Il qualcuno è noto: le multinazionali, gli speculatori, i politici, il capitalismo. Tutti. Quindi nessuno. Così si torna al senso della frase da rimodulare: “Nessuno ci ha rubato il futuro”, avrebbe detto il buon Ulisse al povero Ciclope.

In realtà questa frase è la solita geremiade che trova facile successo in questa Italia riscoperta eternamente piagnona, pronta alla chiacchiera da bar (in questo senso Facebook è anche una sorta di Bar Sport planetario) e alla vuota lamentazione. A prendersela sempre con gli altri, colpevoli di tutto, e mai a cambiare qualche piccola deleteria abitudine.

Il futuro è quello che è, non c’è scampo più per me…” urlava nel sonno il nipotino di Frankestein, come Mel Brooks ci ricordava nel suo genio. Siamo lì?

Come corollario di “Ci hanno rubato il futuro” c’è l’ovvio “I giovani non hanno futuro”. Bene. Bello. Costruttivo e incoraggiante. Io che di figli ne ho tre, ogni giorno a pranzo e cena per incoraggiarli a studiare, impegnarsi a non far cazzate, li guardo negli occhi e ripeto loro “Non avete futuro!” e poi sputazzo loro in faccia per prepararli al domani.

Popolo di corta memoria e di enorme capacità digestiva abbiamo dimenticato tutto. Per noi “giovani d’epoca” invece è stato tutto facile, bello, divertente. Io, ventenne alla metà dei settanta, laureato negli ottanta mi sono divertito un sacco, ho trovato subito lavoro, ho fatto carriera, mi sono fatto i soldi. Io no, sarebbe normale, ma neppure quelli come me allora. Ma non c’era nessun frangigonadi a dirci “I giovani non hanno futuro”, il futuro era il giorno dopo, era studiare e prepararsi perché comunque quello studio sarebbe servito (come serve oggi, non contiamoci fanfaluche). In tempi di disperati sogni rivoluzionari, finiti nel sangue e nella merda, ho sempre pensato che se anche fosse arrivata la rivoluzione comunque era meglio sapere una parola in più che una in meno, aver letto un libro in più che uno in meno e che il mondo era molto più complicato degli slogan che mi passavano accanto nelle strade e nelle piazze. Canticchiavo un pezzetto del buon Faber “certo bisogna farne di strada per diventare così coglioni da non riuscire più a capire che non ci sono poteri buoni…”.

Finita l’università, come concordato, i miei chiusero i rubinetti. All’emiliana mi dissero “Va’ mo’…” e io sono andato. E state tranquilli che anche allora c’era la politica opprimente e occupante che distribuiva posti e carriere. Solo che allora i posti e le carriere erano tante e in tanti venivano accontentati. Oggi si accontentano solo i politici e gli altri si incazzano, non per etica ma per delusione.

All’Università pensate fosse un collegio di Orsoline? Il mio prof di tesi mi disse onestamente “vorrei tenerti qui, ma io non ho peso e quindi entreranno gli allievi di A,B,C, bravi o no…se vuoi puoi restare ma gratis…”. No, grazie, agratis non potevo, e così mi detti da fare, feci corsi di specializzazione, per mantenermi feci il fotografo a un buon livello, tale che ancora oggi posso permettermi di sorridere davanti a certe mostre. Poi, intestardito nella pazza idea di fare quello per cui avevo studiato (lo storico) passo a passo ci sono arrivato. Storico di quartiere, di strada, niente a che vedere con quei A,B,C che lasciai allora nei corridoi. Banalmente povero ma felice. Si fa per dire. Ma almeno con la memoria ancora sufficientemente viva per non sopportare boiate come “Ci hanno rubato il futuro”.

Semplicemente oggi molte cose sono diverse, ma per fortuna sono diversi anche i nostri giovani (dei pensionati mancati dichiaro qui e ora che non me ne frega una cippa). Inciso: categorizzare è sempre una fesseria, l’inizio della banalità, ogni categoria è fatta di singoli, persone. Esistono giovani in gamba e giovani coglioni, esattamente come gli elettricisti, i chirurghi o i senatori. Punto.

Io uscii dall’Italia la prima volta a 24 anni, lavorando come ingegnere (ma questa è un’altra storia) con quel po’ d’inglese imparato a scuola o sulle canzoni rock. Mia figlia a 22 anni, sa 3 lingue, vorrebbe vivere a Berlino (dove è già stata un anno) e ha già avuto il triplo di occasioni di crescita e opportunità della nostra generazione allora. I tempi sono difficili, come lo sempre stati. I nostri figli hanno tutte le carte in mano per farcela. E ce la faranno, esattamente come noi. Più fatica? Meno fatica? Comunque sudore.

I nostri genitori cosa avrebbero dovuto dire nel 1945? Loro sì avevano tutto il diritto di esclamare “Ci avete rubato il futuro”. Invece no. Si rimboccarono le maniche e all’emiliana dissero “Va’, mo’..’” e hanno fatto quello che sappiamo. Come sempre il futuro è lì, nessuna Spectre lo può rubare perché non appartiene a nessuno. Appartiene alla voglia di fare, di impegnarsi. Anche fra i miei conoscenti di allora c’erano i fancazzisti, i perditempo, i menabubbole. Qualcuno è schioppato, qualcuno è diventato artista, qualcuno ha fatto i soldi, qualcuno no. Normale, come è dalla notte dei tempi. Il cambiamento lo facciamo tutti, tutti insieme ogni giorno.

Io che di figli ne ho tre, ogni giorno a pranzo e cena per incoraggiarli a studiare, impegnarsi a non far cazzate, li guardo negli occhi e ripeto loro “Non avete futuro!” e poi sputazzo loro in faccia per prepararli al domani. Loro mi guardano, mi compatiscono, e poi in un ottimo dialetto mi rispondono: “Mo’ va a caghèr..!”.

 

 

 

 

 

Que serà, serà…

DAY429216.jpgQue serà, serà…What ever will be, will be, the future is hard to see, que serà, serà. Cantava Doris Day in “L’uomo che sapeva troppo” (A.Hitchcock, 1956). E più o meno le cose sotto il cielo restano immutate. Non farò considerazioni politiche, non ne capisco niente, ci sono grandi esperti per questo. Però. Quando il gen.Aureliano Buendia di Gallipoli (quello che fece 33 rivoluzioni e le perse tutte) dichiara, con la solita aria stronfia: “Basta governi tecnici, adesso tocca alla politica!”, beh, mi corre un brivido per la schiena e, istintivamente, mi concedo una toccatina scaramantica.

Lo zio Mario-Paperone arrivò perché i nipotini Qui, Quo e Qua ne avevano combinate di tutti i colori, svuotato le casse, fatto debiti con tutta Paperopoli e oltre, gozzovigliato e cazzeggiato allegramente convinti che la cuccagna sarebbe durata all’infinito. E’ arrivato Zio Mario e tutti zitti, contriti, lacrimuccia sul ciglio. Non potendo fare altro hanno accettato la ricetta dura e così niente dolce a fine pasto, niente settimana bianca, auto blu addio. Hanno accettato, convinti italianamente che “ha da passà a nuttata”, per tornare poi alla solita baldoria, appena quella borsa di zio se ne fosse andato. Bene. Cioè, mica tanto. Adesso dovrebbe tornare la politica. Giusto. Ma questa affermazione mi suona tanto come gli appelli papali “Bisogna essere buoni..”, o quei proclami sentimental-pacifisti del tipo “mai più guerre”. Figurarsi se non si è d’accordo: chi sosterrebbe il contrario (anche se son convinto che certe guerre vadano fatte)? Ma sono frasette vuote se poi non le portiamo dal cielo alla polverosa terra.

Deve tornare la politica. Ma fatta da chi? Dagli stessi Qui, Quo, Qua che hanno scassato lo Stato per 20 anni? Convertiti? Pentiti? Contriti? Hanno visto la luce? Sono sempre gli stessi da 40 anni in qua e ora dovremmo credere a cosa? Manco sono stati a Lourdes per supporre un intervento celeste.

Non so se meglio Bersani o Renzi. Non ne capisco nulla di politica-politicata, però mi sembra che almeno Renzi potrebbe essere un bel pretesto per far finta (forse) che le cose siano cambiate. Mandati a casa gli stanchi eroi di tante battaglie perse magari qualche giovinotto ci sarà, pronto a perdere ancora, ma almeno con un poco più di voglia di cambiare e, comunque, qualcuno può pensare ancora di ritrovarsi Uolter in giro? O Marini? O Rutelli redivivo? Violante, etc….?

Da un paese così poteva nascere un fiore? E’ vero che dal letame qualcosa salta fuori ma Faber non ha fatto in tempo a vedere questa Italia, altrimenti altro che “Domenica delle salme…”.

E anche la democrazia diretta del web è durata lo spazio del mattino. Facile da immaginare: se pensiamo-come bimbi entusiasti della playstation-che il web sia la democrazia si finisce poi nelle mani del padrone del server che decide lui cosa sia la “vera” democrazia. Avevamo avuto un movimento sessual-popolare, ci mancava un movimento eterodiretto-commercial-mediatico. E in mezzo tante persone in buona fede che vorrebbero fare, partecipare, ma si trovano sempre ad avere a che fare con imbonitori, dementi, urlatori e venditori di tappeti usati (male). Ma queste persone, spesso “usate” e tradite, sono anche il segnale allarmante di una sostanziale debolezza di cultura civica. C’è molto da lavorare per creare una solida cittadinanza se qualcuno cade nella trappola del “web come democrazia diretta” e scambia il mezzo per la sostanza. Attacchiamo, come è giusto, i demagoghi e i populisti, ma ci scordiamo poi di lavorare seriamente per far maturare le loro potenziali vittime: la gente, il popolo, cioè noi.

Que serà, serà…

 

 

Wikipedia e la “verità” sul web: il caso Panitteri

Philip Roth chiede a Wikipedia di modificare alcune informazioni sulla pagina a lui intestata, perchè false, e Wikipedia rifiuta di intervenire rispondendo che “Capiamo l’argomentazione che l’autore è la massima autorità sul suo lavoro, ma le nostre regole …richiedono il conforto di fonti secondarie». http://www.lettera43.it/cronaca/roth-lettera-aperta-contro-wikipedia_4367563864.htm
Meraviglioso. Questa è la democrazia del web, alla faccia dei nostri entusiasti seguaci di Grillo che scambiano il mezzo per la sostanza.

Anche nel mio (molto) piccolo ho avuto esperienza di questo paradosso basato sulla demagogica uguaglianza delle fonti. Perchè è corretto confrontare varie fonti in merito a una questione ma non possiamo pensare che tutte le fonti siano uguali, affidabili e fondate. Ogni fonte, in quanto tale, va considerata, valutata ed utilizzata in base alla propria attendibilità. Philip Roth è nato il 19 marzo 1933. Ma se un’altra fonte dicesse invece 14 marzo? Wikipedia sospende la notizia? O indicherà anche l’altra ipotesi perchè “le nostre regole …richiedono il conforto di fonti secondarie”?

Dicevo della mia piccola esperienza nel mondo wikipediano. Potete ricercare il nome “Francesco Panitteri” (1921-1990), fascista trapanese etc.. Cosa c’entra? Panitteri lo incontrai negli atti della Corte di Assise Straordinaria di Reggio Emilia, processato in contumacia quale co-responsabile della condanna a morte di don Pasquino Borghi e dei suoi (30 gennaio 1944). Fra quelle carte esiste la Sentenza della Corte (dic.1946), in cui si condanna il Panitteri e Armando Dottone a 24 anni di reclusione. Sentenza in nome del popolo italiano. Documento reale e consultabile da chiunque voglia. Perchè Panitteri e Dottone? Perchè il Capo della Provincia Enzo Savorgnan il pomeriggio del 29 gennaio 1944 convocò nel suo studio il proprio segretario (Panitteri), il proprio medico (Dottone) e il segretario del PFR locale Wender e decise la fucilazione all’alba del giorno dopo dei 9 antifascisti. Non ci fu alcun processo, nessuna parvenza di legalità. Quattro persone decisero e basta. Panitteri poi, con ammirevole zelo, si incaricò di formare il plotone d’esecuzione e di presenziare alla esecuzione.

Al momento della condanna di Panitteri e Dottone (contumaci perchè fuggiti da Reggio in tempo utile) Savorgnan e Wender erano già stati uccisi dai partigiani, il primo a Varese il 28 aprile 1945, il secondo a Concordia il 22 marzo del medesimo anno.

Bene. Si fa per dire, perchè Panitteri e Dottone non scontarono mai un giorno di carcere, condannati in contumacia furono AMNISTIATI nell’aprile 1946. Per una volta la verità giudiziaria coincide con la verità storica. Basta consultare gli atti.

Invece su Wikipedia le cose non vanno così (http://it.wikipedia.org/wiki/Francesco_Panitteri) perché nonostante abbia tentato più volte di modificare la voce e mi sia rivolto al sig.Wikipedia in persona, a Trapani c’è un gruppo di fascisti che si ostina a modificare la voce a loro uso e consumo. Basta leggere [oggi, 8.9.2012]:

Evaso in agosto dal campo, si diede alla latitanza e venne processato in contumacia dalla Corte di Assise Straordinaria di Reggio Emilia nel dicembre 1946 per aver fatto parte del Tribunale speciale per la difesa dello Stato della RSI. Condannato con Armando Dottone a 24 anni di reclusione,[6] venne assolto, sempre in contumacia, con formula piena in appello dalla Corte d’Assise di Reggio Emilia nel 1948, assieme al giudice Dottone.[7]

Panitteri non fu imputato per aver fatto parte del Tribunale Speciale.., ma per essere stato responsabile della fucilazione di 9 persone mai processate e fu amnistiato e MAI assolto con formula piena dal Tribunale di Reggio Emilia (del resto si concede l’amnistia a qualcuno assolto con formula piena?). Tutte informazioni basate su una fonte documentaria inoppugnabile (atti giudiziari dei processi). Ma per Wikipedia questo vale esattamente quanto un’altra fonte “secondaria” che dica il falso. Questa è la democrazia del web, bellezza!

Aggiungo un altro particolare sulla triste vicenda. Ancora su Wiki si legge:

[Panitteri] “Il 29 gennaio del 1944 ricoprì l’incarico di pubblico ministero del tribunale speciale straordinario e in uno dei processi chiese, in qualità di pubblico ministero, la condanna a morte di don Pasquino Borghi e altri otto partigiani, tra i quali l’anarchico Enrico Zambonini[4].”

E se consultate la nota [4] a fondo pagina troverete questa chicca:

“Gli altri partigiani erano Romeo Benassi, Umberto Dodi, Dario Gaiti, Destino Giovannetti, Enrico Menozzi, Contardo Trentini e Ferruccio Battini, i quali furono trovati nascosti in chiesa,e dopo un conflitto a fuoco furono fatti prigionieri, processati, furono fucilati il giorno seguente a San Prospero Strinati, il quartiere di Reggio Emilia dove esisteva il poligono di tiro.”

I 7 antifascisti furono arrestati nelle loro case a Correggio e Rio Saliceto nella notte fra il 28 e il 29 gennaio 1944 per rappresaglia per l’uccisione del sottoufficiale della GNR Ferretti, azione alla quale erano tutti estranei. Furono portati in carcere a Reggio all’alba del 29, interrogati in giornata (tutti respinsero le accuse) e fucilati all’alba del giorno seguente senza nessuna parvenza di processo. Il conflitto a fuoco era avvenuto giorni prima a Tapignola, sull’Appennino, quando militi fascisti si erano scontrati con partigiani rifugiati nella canonica di don Pasquino, assente.

Questa la realtà storica, ma per Wikipedia la realtà può avere molte facce…. Quindi ricordiamoci sempre che il web è bello ma l’uso del cervello è ancora meglio. 

p.s. le notizie corrette si trovano nella scheda su don Pasquino (http://it.wikipedia.org/wiki/Pasquino_Borghi)

“Settembre, andiamo, è tempo di migrare..”

foto_030912.jpg“Settembre, andiamo, è tempo di migrare..”, recitava il Vate, e sotto la pioggia (finalmente) battente di oggi la nebbia nasconde la valle sotto Fortezza Bastiani e le carovane in transito verso le cime. Inutile nasconderselo, con Ferragosto e il ritorno dalle vacanze inizia davvero il nuovo anno che, ancora per formalità o per affezione, facciamo decorrere dal 1 gennaio. È più forte il senso del cambiamento oggi 3 settembre di quello che ci sfiorerà il 1 gennaio 2013 (sempre che la profezia dell’ape Maya non abbia avuto il sopravvento), si torna alle usate cose, si lasciano usi e costumi estivi (ciabatte, calzoncini e maglietta) per riprendere la grisaglia e la vigogna di tutti i giorni.

Ma, temo, che i cambiamenti si fermino qui. Basta sbirciare la stampa di oggi (e della ultime settimane) per rendersi conto che la grande palude gelata è ancora lì. Quasi in uno scenario dantesco i personaggi, bloccati nello Stige ghiacciato, non solo non possono/riescono/vogliono spostarsi ma sono condannati alla iterazione delle loro solite, logore e tristi parti in commedia.

Da una lato “siamo pronti allo sciopero generale”, dall’altro un comico dà delle “salme” all’avversario e quello gli risponde “fascista”. Un tale intima al Capo dello Stato “di tirare fuori le carte” (per una briscola?), dall’altra una “signora” plastificata in spiaggia in Versilia definisce “barbara” l’attività antievasione della GdF e invita a colpire invece i veri evasori “gli extracomunitari che in spiaggia vendono merce contraffatta”.

Signora mia! Dice che ha sentito la mia mancanza? Che avrei dovuto scrivere da FoBa? Dagli spalti dove il sole picchiava forte e trasformava i prati verdeggianti in una sorta di giallo deserto del Gobi? Là dove la velocità di trasmissione dati si misura non in megabyte, ma in byte? Insomma aria da anni 90 quando ancora usavamo il modem esterno che ci gracchiava con il suo “crii-gnii-kkk”.

Si chiama “digital divide”, montagna reggiana, mica Wasiristan. Ma tutto resta uguale a se stesso, mese dopo mese, anno dopo anno.

Che avrei dovuto scrivere? Che siamo fermi, immobili, incapaci di qualunque azione. In un paese dove nulla più funziona ogni minuscolo e volenteroso tentativo di riforma viene massacrato dal tiro incrociato, destra/sinistra, di infiniti piccoli interessi contrapposti

Dopo la caduta del governo del suino plastificato scrissi proprio su FoBa della necessità di “rigore”, verso ognuno di noi, prima che per gli altri. Di rigore ne ho visto poco: al massimo quelli della nazionale agli europei, o i tentativi del povero zio Mario di far rigar dritto una banda di sciagurati intenti a litigare sul colore delle tappezzerie mentre il Titanic affonda. Come nella tradizione italiana: dopo il 25 luglio nessuno era stato fascista, dopo Hammamet nessuno era stato socialista, dopo il Muro di Berlino spariti i comunisti, dopo Berlusca “deve tornare la politica”. Perfetto. Siamo un popolo che rispetta le sue tradizioni.

Appunto: “Dopo la parentesi del governo tecnico deve tornare la politica”. Dicono gli esperti (anzi ex-perti). Bene. Giusto. Ma. Politica di cosa, fatta da chi? Da quelli che da 20 anni sono lì, a perdere battaglie/guerre/partite, tutto? Da quelli che hanno fatto accordi con Silvio (conflitto di interessi, do you remember Violante?). Dovrei lasciar campo in economia non più a zio Mario ma al duo Bonani-Fassina che, leggo, “hanno bocciato Monti?” Questa la politica? Con il Titanic alla deriva chiamereste Schettino?

In compenso oggi c’è una buona notizia: il generale Aureliano Buendia di Gallipoli recensisce il nuovo (gasp) libro di Uolter. Dopo aver massacrato la sinistra per 30 anni, raso al suolo tutto e tutti, come due cowboy impegnati nella classica rissa da saloon, finalmente scatta la pace/tregua? Proposta per i prossimi 25 anni: Uolter scrive (pardon, fa scrivere il suo ghostwriter, ben noto) e Aureliano recensisce, entrambi veleggiando verso i mari del sud. La “politica” ci guadagna e la letteratura non ci perde più di tanto, anche considerato come, dopo lo Strega a Piperno, rimanga poco da mandare a ramengo.

Pioggia anche sulla Chiesa, muore un grande come Martini e il pastore tedesco non va al funerale. Quasi quasi lo capisco. “Si crea un precedente..” gli avranno detto in Curia. Già. Pensate, un Papa che va al funerale di un vero cristiano. Roba da matti, no? Quasi come con questa storia insopportabile e patetica dei “cristiani” nel PD. Fioroni? Ma esiste qualche cristiano che si senta rappresentato dal suddetto? Quelli alla Fioroni, potere e sedie a parte, sono già con l’Udc mentre i geniali strateghi del PD per inseguire quei pochi si giocano i molti cristiani credenti ma laici che non ne possono più di “no” a qualunque cosa giusta e di buonsenso nel campo dei diritti civili.

Piove, almeno non posso dire “governo ladro”. Anche se questa ultima cosa del concorso per gli insegnanti mi lascia l’amaro in bocca. In Italia ci sono due sole professioni “eterne”, il sacerdozio e l’insegnamento. “Semel abbas, sempre abbas”, ma anche “semel magister, sempre magister”. Facciamo il concorso, bene. Finalmente. Ma poi? Chi controllerà nel tempo la capacità di questi insegnanti? E poi la solita sanatoria dei precari. Bene. Ma chi controlla che sappiano insegnare? E, in caso contrario, chi li accompagnerà all’uscio, gentilmente, dicendo loro: “Cambia mestiere?”. Nessuno. Mai. Jamais. Nella pubblica amministrazione vige solo il valore degli anni. Merito e capacità sono parole sconosciute.I presidi che pure avrebbero-per legge-questo potere, non rischieranno mai l’incolumità delle loro sacre terga nel terrore di una chiamata al tar o al sindacato. Quindi chi paga? I nostri figli ma soprattutto i figli di quelli più poveri e deboli che riceveranno un insegnamento scadente senza avere la possibilità, a casa, di genitori in grado di limitare i danni subiti in classe.

E intanto piove “sulle tamerici, sui mirti salmastri” e si riprende l’usato cammino. Un ben ritrovato ai miei 25 lettori, coraggio! La strada è ancora lunga…

 

Un parcheggio in centro: ma perchè? Ovvero: essere stupidi..

Immagine17.pngCurio Casotti, personaggio mitico della Migliara che non c’è più, ricordava sempre una grande verità: “Essere stupidi è concesso a tutti, ma quello lì se ne approfitta..!”.

Ecco, io mi chiedo perchè non solo si pensano ma si fanno anche cose stupide, tanto più detestabili in quanto non limitate al privato ma destinate al pubblico. Forse perchè nemmeno Dio è perfetto, visto che ha posto limiti all’umana intelligenza ma non alla stupidità.

Sto parlando del costruendo parcheggio sotterraneo di piazza della Vittoria a Reggio. Una cosa inutile, lucrosa per pochi e dannosa per molti. Anacronistica. Quindi si farà.

Non c’è nessun bisogno di altri parcheggi. Quelli esistenti bastano e avanzano. Lo dicono i dati ufficiali e le statistiche.

Abbiamo impiegato almeno 30 anni a portar fuori le auto dal centro e adesso andiamo a rimettere traffico e scarichi nel centro del centro. E poi cianciamo di città delle persone, di piste ciclabili e auto elettriche. Balle. E’ una scelta urbanisticamente cretina, tant’è che l’assessore alla mobilità è contrario ma, come noto, tutti gli assessori di questa giunta sono uguali, ma alcuni sono più uguali di altri…

Sotto la piazza ci sono le fondazioni della cittadella medievale, hanno fatto le prospezioni in modo furbo (o doloso?) scavando buchi in punti dove non c’è nulla, per poter dire “visto? tranquilli, non faremo danni!”.

L’operazione costerà carissima, fatta in “project financing”: cioè, io, pubblico non ho soldi, tu, bravo pietoso e mecenate privato, paghi, fai l’opera, e te la concedo per 99 anni, lasciandoti libero di aumentare tariffe quando vuoi, comprare, vendere, tutta roba pubblica, eh?

Il parcheggio della Zucchi è sotto-utilizzato ma tant’è. Non bastava fare un percorso protetto e attrezzato da quello alle fontane, se proprio le damazze reggiane nella notte temono l’assalto del marocchino infoiato? Con un decimo di spesa si faceva tutto e si abbelliva la piazza. Signora mia, che mi dice? Poca spesa, poco guadagno, non l’ha ancora capito? Benedetta ingenuità!! Se proprio poi si voleva soddisfare la libido excavandi ancora sotto alla Zucchi si poteva fare un silos di 25 piani, sicuri che lì sotto non si sarebbe trovato altro che terra.

Si dice: i parcheggi sono per i residenti. I residenti che contano, quelli con gli eurini, quelli dell’isolato S.Rocco e strade nobili. Perchè gli altri residenti in centro storico no? In realtà posti auto ce ne sono per tutti i residenti basta cercarli. Oppure, come ha fatto il sottoscritto, si trasforma un negozio in garage e ci si tiene l’automobilina.

Invece no. balle e ancora balle. In realtà l’unica ipotesi che aggira la diagnosi di totale stupidità dell’operazione è una sola, semplice, vile e banale. L’operazione Piazze, avviata con le fontane et similia, si deve concludere prima della fine della legislatura per lasciare un monumento ai posteri, in tempi di crisi non ci sono i soldi e allora si vende ai privati il business del parcheggio. Loro scavano, fanno i box da vendere e, in compenso, sopra, ti finiscono la piazza.

Semplice, banale, vile denaro. Chissà se però nel progetto finale in mezzo alla piazza è previsto anche un monumento equestre al sonder-assessore, lui, alto sul destriero che galoppa fra i funghi e le balene, in basso il volgo reggiano, ignorante e incapace di comprendere tanta grandezza….

Agosto, mondo mio ti riconosco…

Tranquillizzo i miei 25 lettori: non sono espatriato dopo aver vinto alla lotteria. Resisto al caldo, un po’ nei boschi della Val di Fiemme e un po’ nell’infermeria di Fortezza Bastiani. Il riacutizzarsi delle ferite riportate sul fronte greco-albanese mi stanno limitando nella mia proverbiale agilità e flessuosità. Ma tant’è, per dirla con il prof.Jones “non sono gli anni, sono i chilometri che pesano…”.

Comunque non è che il mondo circostante si sia particolarmente impegnato a mostrarci nuove e meravigliose prospettive. Mi sto impegnando a superare la dipendenza da spread: alzarsi al mattino e chiedersi “oggi saremo a 450, o a 460?” E ascoltare stupefatto il solerte giornalista che ti informa che in borsa c’è “una ondata speculativa”. Ma dai! Come sentirsi dire che a Monza non si rispettano i limiti di velocità..

In compenso stimati statisti come Gasparri e Calderoli elaborano nuove ipotesi di legge elettorale. Una delle ultime idee è il cosiddetto Pertusellum: chi vince a Caronno Pertusella (VA), ha vinto tutto e si prende un premio di maggioranza del 85%, del resto cosa aspettarsi da due esperimenti genetici venuti male? Più o meno quello che ci si può aspettare dal consigliere provinciale Pagliani che, per dimostrare la moderazione del PDL reggiano, ha dichiarato di appoggiare la proposta di quel tale consigliere di Gualtieri (altro esperimento genetico mancato?) che voleva intitolare una scuola a Benito Mussolini, che in quella scuola insegnò qualche mese agli albori del secolo scorso. Moderato, non c’è che dire. Se era estremista che proponeva? Di intitolare un campo sportivo ad Adolf Hitler, visto che aveva organizzato così bene le Olimpiadi del 1936? Il caldo qui non c’entra: un fascista è un fascista. Semplice tautologia.

Le notti sono fresche a Fortezza Bastiani, da lungi arrivano echi olimpici. Arrivano anche le grida di giubilo per i nostri “guerrieri” sul podio e di biasimo per gli sconfitti. Ma è mai possibile che ogni cosa diventi in terra italica o un dramma o una buffonata? Una via di mezzo, la classica “mesotes” di ellenica fattura, mai? E’ uno sport, anche gli altri giocano e possono vincere. Normale, no? Invece sembra sempre di essere alle Termopili “de noantri”, che sia il fioretto maschile, la Ferrari che non vince o la Pellegrini (mmm, com’è carina la ragazza..) che non trionfa. E’ lo sport, bellezza! E la vita resterà uguale a prima. Se davvero Bartali salvò l’Italia nel ’48 dal caos vuol dire che la patologia è antica e ben radicata.

Aboliamo le provincie, no, si, le ristrutturiamo. Vabbè. Abbiamo capito: viviamo in un paese dove non funziona nulla e appena si tenta una riforma: patatrac! Spuntano associazioni, lobby, club, onorevoli e tutti impegnati a che tutto rimanga rigorosamente uguale, nel pantano noto e stranoto. Oltretutto si parla di riforma, non di giudizio universale: oggi la si fa, fra tre, cinque anni la verifichiamo. No. Jamais. Fermi tutti.

Però spiegatemi a cosa serve la Prefettura, roba che se stanotte implodesse, domattina se ne accorgerebbero solo i solerti impiegati che dovrebbero trovare altri locali per passare il tempo e ripararsi dalle intemperie. O la Motorizzazione Civile (sì, quella che fa dare gli esami per la patente) che si chiama così solo per mimetizzarsi, visto che di civile non ha nulla: quale ente pubblico chiude per ferie per 1 mese (agosto a Reggio Emilia, non a Vibo Valentia)? La Motorizzazione (in)civile, semplice no? Servizio pubblico? Ma dai! Come se l’anagrafe andasse in ferie…

Ancora: Hanno senso comuni con 900 abitanti? Eppure se si propone di accorparli fino alla soglia critica di 10.000 abitanti (5.000 per zone montane) si scatena un coro di proteste “si lede la democrazia…bla, bla…”.

O per venire a cose storiche: quando si aboliscono gli Archivi di Stato? Cattedrali di inutile burocrazia, il cui unico scopo, mantenimento solerti dipendenti a parte, è quello di conservare nascoste e occultate fonti documentarie, depistando il povero malcapitato cittadino/ricercatore con domande, bolli, circolari, richieste, vaglia et simili meraviglie. Tutto con 2 scopi fondamentali: 1. Non fare nulla; 2. Pararsi le chiappe da possibili, remoti rischi. Produttività, merito? Roba da fantascienza.

Quindi attrezziamoci per il caldo, facciamo finta di niente e lasciamo che passi la nottata, basta che la luce ci trovi ancora vivi….

Il mio nuovo libro: “Il patto di Khatarine” (Aliberti, 2012)

Per i miei 25 lettori: come annunciato, da ieri è in libreria (ma anche su Amazon e IBS per i lettori telematici) il mio nuovo volume. “Il patto di Katharine”. Un romanzo.

Il patto_cover.jpgHo già accennato al perchè si può passare dalla storia alle “storie” (e viceversa) e di come anche scrivere un romanzo sia, per me, parte di un percorso di comunicazione della storia. Del resto (si parva licet componere magnis..) per capire il seicento e “vivere” la peste del 1629, cosa c’è di meglio che seguire le vicende di Renzo e Lucia?

Così, per chi vorrà, seguendo le vicende di un “ragazzaccio” come Dario Lamberti, reggiano classe 1920, potrà ripercorrere trentacinque anni di storia, non con la pesantezza di un saggio ma (spero) con  l’interesse agli “strani casi” del personaggio. In questo primo episodio si potrà conoscere “Katharine”, alias Margherita, una signora molto speciale, nella Reggio del 1941.

Se Dario (e il suo modesto autore) saranno riusciti in questo primo episodio a suscitare l’interesse dell’inclito pubblico altri ne seguiranno. Altrimenti il mondo girerà come prima e il miei 25 lettori si saranno persi una occasione fondamentale di conoscenza e divertimento (infotainment per i colti cosmopoliti). Scherzi a parte attendo con curiosità le prime impressioni. Tranquilli, si legge in un weekend sotto l’ombrellone o all’ombra di una bella quercia.

A differenza dei miei libri precedenti, ponderosi saggi, “Il patto di Khatarine” lo presenterò fra qualche settimana, iniziando-logicamente-dalla montagna, dove questo e gli altri romanzi sono stati materialmente scritti.

Per quelli che vorranno poi approfondire la conoscenza di Dario possono andare su: //glistranicasididariolamberti.myblog.it, il blog fratello di FB dove ho inserito (e inserirò) foto dei luoghi, dei personaggi, testi e, perchè no, anche ricette, per consentire anche ad un lettore calabrese di prepararsi una buona zuppa inglese.

Buona lettura.