Antidoto alle boiate leghiste

Siete stanchi di sentire le solite boiate leghiste, tipo “Gli stranieri sono il 23%”, “Tutti questi clandestini…”, “Ci portano via il lavoro…”, “Nei paesi islamici non ci sono chiese…” e simili defecazioni verbali? Allego perchè ognuno se lo scarichi “Mandiamoli a casa”. I luoghi comuni. Razzismo e pregiudizio. Istruzioni per l’uso. Un file interessante, utile, da leggere e diffondere:

263_mandiamoliacasa.pdf

Il fondamentalismo padano: una “Jihad” in salsa lumbard

di Massimiliano Boschi

Entrambi auspicano una guerra santa, entrambi vogliono i propri simboli religiosi sulle bandiere nazionali, entrambi utilizzano la religione per pura propaganda e alimentano la paura per volontà di potere. Le vicinanze tra i fondamentalisti islamici e i leghisti nostrani non sono mai state così evidenti. Ovviamente fare propaganda alla guerra santa tra i campi profughi piuttosto che nei bar della Padania produce effetti diversi. La violenza da una parte è solo evocata, dall’altra praticata ma, nei fatti, i leghisti inseguono gli integralisti sul loro stesso terreno.

Un esempio è l’articolo del 29 dicembre scorso sulla Padania dove Enrico Macchi attacca la Chiesa “schiacciata com’è su posizioni solidaristiche del tutto perdenti” e invoca una nuova battaglia di Lepanto “perché a volte la guerra, metaforica o meno, è necessaria per ottenere la pace”. Dalla Padania, quindi, l’invito a tutti i cristiani a coalizzarsi contro i mussulmani come fece Pio V a Lepanto. Una “Lega santa” per una “Jihad” in versione “lumbard”. Che i leghisti si ispirino ai fondamentalisti è poi esplicitato da loro stessi. Si veda la proposta di un referendum contro le moschee in Italia in nome di una presunta reciprocità: “là niente chiese, qua nessuna moschea”. In Marocco, però la Chiesa cattolica è presente con 18 chiese che possono ospitare i 20.000 fedeli presenti.ln Tunisia le parrocchie sono 6, mentre i luoghi di culto in generale sono circa 15.

La chiesa cattolica è presente persino in Pakistan con sette diocesi. É invece in Arabia Saudita, terra di Bin Laden, che sono proibiti gli edifici cristiani. Non risulta, però che la maggior parte degli immigrati presenti in Italia sia di origine saudita. Senza contare che centinaia di moschee sono presenti in Germania, Francia, Olanda. Evidentemente la Lega ha altre fonti di ispirazione e preferisce il modello saudita.

Ultimamente gli unici europei che stanno simpatici ai leghisti sono gli svizzeri solo perché hanno votato contro i minareti. Anche se la Svizzera ospita comunque 200 tra moschee e luoghi di preghiera islamici. Restano proprio solo i sauditi. Altrove hanno compreso che se si chiede il rispetto per la propria religione si deve rispettare quella dell’altro. In caso contrario si rischia di arrivare a quella guerra santa che sembra tanto affascinare i fanatici di ogni religione. Quelli che insieme al fanatismo coltivano un identico vittimismo. Si legga quanto scriveva Bin Laden nel sua “fatwa” del 1996: “Non dovrebbe venirvi nascosto che il popolo dell’lslam ha sofferto per le aggressioni, le iniquità e le ingiustizie infertegli dall’ alleanza di crociati e sionisti e dai loro collaboratori; a tal punto che il sangue dei musulmani è diventato quello meno prezioso e il loro benessere è il bottino nelle mani dei nemici. Il loro sangue è stato versato in Palestina e in Iraq. Le orrende immagini del massacro di Cana, in Libano, sono ancora vive nella nostra memoria. Massacri in Tajikistan, (…) Filippine, Somalia, Eritrea, Cecenia e Bosnia. Massacri che danno i brividi e scuotono le coscienze”.

Questo “invece” (si fa per dire), ha scritto il Gruppo Consiliare della Lega Nord in Emilia Romagna nell’introduzione all’opuscolo/slam e immigrazione. I numeri di un’invasione: “Nelle capitali dei paesi islamici si assaltano sedi diplomatiche, si bruciano simboli dell’odiato occidente, si distruggono chiese e si uccidono preti e missionari, si mettono bombe per annientare quel poco che resta delle comunità cristiane che da centinaia di secoli popola quei paesi”. Da “Al Qaeda” alla Lega: stesso tono, stesso vittimismo, stesso invito alla rivolta contro il nemico religioso. Così, se da una parte si semina il terrore, dall’altra una più gestibile “fifa”, ma intanto si innalza il muro attraverso una propaganda assillante su quanto “l’altro” sia pericoloso, tra provocazioni reciproche. E se da un parte si bruciano le bandiere occidentali, dall’altra si cammina con i maiali sui terreni adibiti alle costruzione delle moschee.

Ma l’effetto più assurdo e preoccupante è quello per cui per difendere “le nostre libertà”, i leghisti propongono di limitarle costantemente e in molti, anche a sinistra, si adeguano. Si veda per esempio la costante “talibanizzazione” delle città italiane. Ovvero il lunghissimo elenco di divieti in cui sono maestri i sindaci leghisti, seguiti purtroppo da primi cittadini di ogni colore politico in cerca di facile consenso. E così ci ritroviamo a vivere in città in cui è vietato lo stazionamento “a più di tre persone nei parchi nelle ore notturne” (come a Novara), in cui si multa un bambino di quattro anni perché mangia un panino davanti a una chiesa (Verona) in cui non si può camminare a torso nudo (Sanremo) o si segano le panchine dei parchi pubblici come a Treviso. Mentre il ministro dell’Interno, il leghista Roberto Maroni, vieta le manifestazioni davanti ai luoghi di culto. Destino inevitabile,perché quello che spaventa realmente leghisti e fondamentalisti non è la religione altrui, ma la libertà.

 

 da Il Fatto quotidiano, 14 gennaio 2010

 

Povera Anna Frank…

Leggono a scuola il Diario di Anna Frank, deputato leghista li denuncia: “Pagine hard”
Interrogazione di Grimoldi al ministro Gelmini: “Vi è un passo nel quale Anna Frank descrive in modo minuzioso le proprie parti intime e la descrizione è talmente dettagliata da suscitare turbamento in bambini delle elementari”

PaoloI.jpgIl deputato leghista Paolo Grimoldi ha presentato un’interpellanza al ministro dell’istruzione, Mariastella Gelmini, chiedendo il suo intervento nei confronti di una scuola elementare brianzola in cui è stato letto il testo integrale del Diario di Anna Frank. Secondo il leghista, nella versione integrale “vi è un passo nel quale Anna Frank descrive in modo minuzioso e approfondito le proprie parti intime e la descrizione è talmente dettagliata da suscitare inevitabilmente turbamento in bambini della scuola elementare”.

Immediata la replica dalla scuola, la Lina Mandelli di Usmate Velate (Monza-Brianza). “Credo che il ministro dell’Istruzione abbia cose più importanti di cui occuparsi”, ha detto Claudio Redaelli, dirigente vicario dell’istituto. Secondo il dirigente le pagine a cui si riferisce il deputato sono “descrizioni in termini talmente ingenui, come logico attendersi da una dodicenne degli anni Quaranta, da non destare, soprattutto se mediata dall’intervento dell’insegnante, particolare turbamento in bambini del ventunesimo secolo che in tivù vedono e sentono di peggio”.

“Io sono stato interpellato dagli stessi genitori della scuola per ben tre volte – ha detto Grimoldi – La prima volta ho riposto che c’è l’autonomia scolastica, la seconda che forse c’e stato un abuso dell’autonomia, la terza mi sono sentito in dovere di fare questa interrogazione: credo che quelle pagine per bambini di nove anni si possano definire hard”.

Vorrei spezzare una lancia per uno dei miei intellettuali di riferimento, come i miei sodali ben sanno: Cesare Lombroso. Come dare torto al suo genio? Osservate la foto dell”Onorevole” (si fa per dire) della leeegha e poi traete le dovute conclusioni.

http://milano.repubblica.it/dettaglio/leggono-a-scuola-il-diario-di-anna-frank-deputato-leghista-li-denuncia:-pagine-hard/1830061

___________

Biografia del leeeeghista:

Dopo essersi diplomato al Liceo Scientifico “Villoresi San Giuseppe” di Monza ha seguito vari master in economia e comunicazione aziendale oltre che uno stage presso l’Università di Mosca. Iscritto alla Lega Nord dal 1991 è stato Coordinatore del gruppo Monzese del MGP organizzazione giovanile della Lega Nord di Umberto Bossi, successivamente Coordinatore Provinciale MGP della Brianza e Coordinatore Nazionale MGP della Lombardia, dal 2002 è Coordinatore Federale del Movimento Giovani Padani.Nel 2004 viene eletto Consigliere Provinciale per il Carroccio a Milano, quindi viene eletto parlamentare per la prima volta alla Camera dei Deputati nelle elezioni politiche del 2006, nella circoscrizione Lombardia 1. È stato membro della Commissione “Lavoro Pubblico e Privato” della Camera dei Deputati. Rieletto nel 2008 alla Camera dei Deputati per la Lega Nord nella circoscrizione Lombardia 1.

pericolo_di_morte.jpgATTENZIONE! Solo per maggiorenni, duri di scorza e provati dalle cose della vita. Il sito del leeeeghista Grimoldi:

http://www.giovanipadani.leganord.org/scuolafed.asp?StringaDaCercare=Parlamento&Stringa=Federale

Felici di odiare (3)

di Alessandro Dal Lago, da MicroMega 6/2009

3. Il primo anno e mezzo del terzo governo Berlusconi ha fatto emergere una progressiva deriva fascistoide. Naturalmente, questa tendenza non è apparentemente in contraddizione con la forma democratica di un paese inserito in Europa e nel sistema delle alleanze occidentali. Si tratta piuttosto di una dittatura soft dell’esecutivo e del suo beatus possidens, dell’emarginazione progressiva del parlamento, del ridimensionamento della magistratura e della costruzione di un legame diretto e a senso unico con la pubblica opinione grazie al controllo assoluto della televisione e al crescente condizionamento della stampa quotidiana. Un processo che, con tutte le differenze che si possono stabilire, ricorda l’ascesa al potere di Napoleone «il piccolo».
Ma ci si sbaglierebbe pensando che questo cesarismo sia l’esclusivo effetto della manipolazione mediale (come risulta anche dal recente film Videocracy). In realtà, lo strapotere di Berlusconi si fonda anche su un legame sociale parzialmente nuovo (in quanto emerso soprattutto negli anni Novanta) con il pubblico, quello relativo al bisogno indotto di sicurezza personale o, se vogliamo, di incolumità (13). Se l’odio contro i migranti (la famosa «cattiveria» di Maroni) riafferma la relazione esclusiva di una popolazione con il territorio, la questione della sicurezza è funzionale alla costituzione (o alla protezione) immaginaria dell’identità individuale. Odiare gli stranieri significa affermare un’identità collettiva, un «noi». Odiare chi ci rende insicuri vuol dire produrre un’identità personale, disporre di un «io». È naturale che attribuire agli stranieri la responsabilità dell’insicurezza comporta una fusione dell’identità collettiva immaginaria con quella individuale.
La citazione di Hobbes riportata in epigrafe chiarisce come il tema della paura, centrale nella teoria della sovranità nel Leviatano, sgorgasse da un’esperienza diretta della madre del filosofo. Infatti, il parto prematuro sarebbe stato causato nel 1588 dal terrore degli inglesi nell’imminenza dell’attacco dell’Invencible armada spagnola. Ed ecco il passo dell’autobiografia di Hobbes da cui ho tratto l’esergo:

When that Armada did invade our Isle,
Called the invincible, whose freight was then
Nothing but murd’ring steel, and murd’ring men,
Most of which navy was disperst, or lost,
And had the fate to perish on our coast.
April the Fifth (though now with age outworn)
I’th’early spring, I, a poor worm, was born. […]
For fame had rumour’d that a fleet at sea
Would cause our nation’s catastrophe
And hereupon it was my mother dear
Did bring forth twins at once, both me and fear.
For this my countries foes I e’r did hate
With calm peace and my muse associate (14).

La paura è fondamento dell’odio per i nemici della patria e quindi della delega del potere al sovrano che difende la nazione. Ma il tema della sicurezza individuale o dell’incolumità personale costituisce, rispetto a questo luogo fondamentale della teoria politica moderna, una variante che ha acquistato senso e centralità soprattutto dopo la fine del bipolarismo (15). Venuto a mancare il nemico per eccellenza, e cioè il regime sovietico (che Berlusconi ha in parte sostituito con un comunismo immaginario), sono soprattutto i nemici interni ad alimentare in negativo il bisogno di sicurezza e quindi un’identità individuale idiosincratica. Un bisogno performativo, e quindi impossibile da soddisfare se non nella sua incessante e interminabile ripetizione. La sicurezza richiesta dai cittadini (o da chi parla in loro nome) è evidentemente utopica e quindi illusoria. Nessuno, e tanto meno le truci ronde spontanee o le ridicole pattuglie di alpini mandati a passeggiare nei nostri centri storici, può assicurare l’assoluta protezione dai rischi della vita urbana. Ma nel momento in cui il potere (e Berlusconi sa farlo meglio di chiunque altro) riconosce la legittimità, anzi la priorità, della richiesta incessante di sicurezza, il cittadino – che ovviamente corre gli stessi rischi che ha sempre corso, e cioè quelli abituali di qualsiasi città europea – vede soddisfatto non tanto il suo bisogno di sicurezza, quanto il suo diritto di esigerla.
In questo senso, il diritto alla sicurezza ha sostituito gran parte degli altri diritti: un salario decente e stabile, un’autentica partecipazione politica, le libertà civili. Se il diritto al salario esprime il riconoscimento dei bisogni materiali e della dignità del lavoro, e la partecipazione e le libertà civili rappresentano in qualche misura una cittadinanza paritaria e non soggetta alle istituzioni, il «diritto» alla sicurezza (in larga parte immaginaria) presuppone – esattamente come quello alla protezione dai nemici esterni di cui parla Hobbes – un cittadino che invoca lo Stato e quindi finisce per delegargli ogni potere. La questione delle ronde non deve trarre in inganno. Il cittadino che ha rinunciato ai suoi diritti sociali e civili in nome della sicurezza è un cittadino infantilizzato, incapace di vedere al di là della porta di casa, e di immaginare i rapporti con i suoi simili se non in chiave di minaccia. Oggi si illude di partecipare alla gestione della propria sicurezza, ma in realtà non fa che mimare in modo farsesco la repressione dei nemici interni, reali o immaginari che siano, su cui si basa ogni potere totalitario, formalmente legittimo o no.
Nella costituzione di un nuovo legame di dipendenza sociale, la destra berlusconiana non è stata sola. In realtà, grazie all’azione avanguardistica della Lega, ha portato alle estreme conseguenze un processo politico-culturale a cui ha partecipato gioiosamente anche il centro-sinistra, almeno negli anni Novanta, quando era per lo più al governo. Rileggendo le cronache di quegli anni si scopre facilmente come a iniziare il discorso del diritto alla sicurezza, della sicurezza «partecipata», della lotta contro il «degrado» urbano, alle iniziative dal basso contro la microcriminalità (soprattutto degli stranieri) eccetera siano ambienti Ds o Pds. Probabilmente, uomini come Amato, Violante, Chiamparino, Fassino, Veltroni, Livia Turco o Giorgio Napolitano, per citare solo quelli più noti, si illudevano che in questo modo avrebbero strappato alla destra un formidabile argomento politico (16).

E invece non facevano che legittimare una relazione profondamente impolitica tra cittadini e Stato. E questo avveniva proprio nella fase in cui altri diritti, soprattutto quelli sociali, venivano messi in discussione. Con ciò il centro-sinistra si avviava a perdere non solo una precisa identità politica, ma soprattutto una base sociale. Un cittadino impaurito, timoroso del futuro ma senza possibilità di vedere rappresentati i propri bisogni, non può che alla fine votare la destra, se non altro perché questa si mostra evidentemente più decisionista nella repressione dei nemici interni.
Non sappiamo se l’individuo Berlusconi sopravviverà politicamente alla sua attuale delegittimazione internazionale e (parzialmente) interna. Ma il legame sociale basato sulla sicurezza (che oggi, insieme al controllo dei media, è un fondamento del potere berlusconiano) è difficilmente modificabile senza un profondo ripensamento della sua natura impolitica. Opporre alla sicurezza repressiva e xenofoba della destra la «sicurezza» partecipata, come si sostiene in alcune penose riflessioni del centro-sinistra, non ha altro significato che la subalternità al modello sociale su cui il Cavaliere ha costruito quindici anni di trionfi. È vero che non si tratta di un’eccezione e che la subalternità, strategica, psicologica e culturale, è la principale chiave di lettura delle sconfitte dell’Ulivo. E tuttavia, il terreno della sicurezza appare quello più delicato e in prospettiva decisivo per l’esistenza stessa della sinistra.
Stabilire una buona volta un confine tra realtà e psicosi collettive in materia di microcriminalità, degrado eccetera, rinunciare a un’idea di legalità basata sul divieto ossessivo di comportamenti socialmente irrilevanti, rivedere alla radice il problema delle migrazioni e dei diritti dei migranti, e soprattutto smetterla con una concezione infantilizzata della cittadinanza sarebbero i primi passi per rinunciare alla subalternità nei confronti della destra per ora trionfante. Ma c’è da dubitare fortemente che l’attuale ceto dirigente del centro-sinistra, privo com’è di cultura politica e perso nelle sue irrilevanti diatribe, ne sia capace.

Note

(1) «E fu così che la mia cara mamma/ partorì d’un colpo due gemelli, me e la paura», ora in Th. Hobbes, Leviathan, with selected variants from the latin edition of 1668, a cura di Edwin M. Curley, Hackett, Indianapolis 1994.
(2) Si veda per un’analisi della cultura di cui Berlusconi è avanguardia ed espressione, P. Pellizzetti, Fenomenologia di Berlusconi, Manifestolibri, Roma 2009.
(3) Forse, poujadismo sarebbe più appropriato, per definire in parte la cultura leghista. Ma con «fascistoide» si può intendere un fondo costante della cultura italiana che, per quanto affine ad altre tendenze di destra in Europa, risale appunto al nostro fascismo.
(4) Tale cultura non è affatto in contraddizione con l’imprenditorialità, la capacità di fare affari a distanza eccetera. Questo è il mondo dei piccoli imprenditori che magari esportano (o esportavano) in tutto il mondo, ma poi votano Lega perché è il partito che assicura vantaggi nel «territorio». Quando una certa sociologia dilettantesca, negli anni Novanta, si è esaltata per il modello del «Nord-Est» non ha compreso che attivismo microindustriale e reazione politica erano del tutto compatibili.
(5) «Io, per effetto di vero amore e di stima/ lavoro e penso dapprima/ ai miei compatrioti e alla mia terra/ e poi, se mi avanza, ai forestieri», G. Rota, citato in B. Belotti, Storia di Bergamo e dei bergamaschi, Bolis, Bergamo 1959.

(6) Da ultimo, cfr. M. Marzano, «I muri che alimentano la nostra paura», la Repubblica, 31-8-2009.

(7) Ciò vale in misura minore anche per l’ostilità nei confronti dei meridionali, che è diffusa nel Nord più di quanto si creda e che la Lega alimenta periodicamente proprio per riaffermare la sua natura territoriale. Naturalmente, finché la Lega resta un partito del governo nazionale, questa ostilità non può superare certi livelli.
(8) Cfr. J. Bale, Sport, Space and the City, Routledge, London 1993. Da parte mia ho analizzato questi processi in A. Dal Lago, Descrizione di una battaglia. I rituali del calcio, il Mulino, Bologna 2001, 2a ediz. Naturalmente, non è necessario che il territorio esista realmente. Deve essere soprattutto un luogo dell’immaginazione. Ecco allora volta per volta il «Nord», la «Padania», il dialetto «lombardo» eccetera, luoghi geografici e culturali quindi aleatori e fungibili, a seconda delle convenienze.
(9) Per un’analisi della funzione critica che le migrazioni rivestono nei confronti delle società di immigrazione cfr. A. Sayad, L’immigrazione o i paradossi dell’alterità, Ombre Corte, Verona 2008.
(10) Cfr., per esempio, G. Cadalanu, «Migranti, Amnesty accusa l’Italia», la Repubblica, 28-5-2009.
(11) Cfr. il mio Non-persone. L’esclusione dei migranti in una società globale, Feltrinelli, Milano 1999 (ediz. aumentata 2004), in cui si analizzano in questo senso il decreto Dini del 1995, la legge Napoletano-Turco del 1998 e la successiva Bossi-Fini..
(12) Il 27 agosto 2009 le principali agenzie di stampa hanno diffuso l’allarme del governo italiano sulle carceri (Alfano: «Carceri sovraffollate da stranieri, serve l’intervento dell’Europa». Bossi: «Sono piene zeppe di immigrati»). A prima, vista si potrebbe pensare una volta di più a uscite goliardiche. Dopo aver varato leggi xenofobe che hanno l’effetto di riempire le carceri, il governo si appella all’Europa o denuncia gli effetti della propria attività. Ma si tratta piuttosto di quello stile fascistoide, tutto giocato sulle boutade a sensazione, di cui parlavo sopra.
(13) Per una discussione di questo punto Z. Bauman, La solitudine del cittadino globale, Feltrinelli, Milano 2000, con una mia postfazione.
(14) «Quando la nostra isola fu invasa dall’armata, chiamata l’invincibile,/ e si sparse il terrore dell’acciaio e degli uomini uccisori,/ gran parte di quella flotta fu dispersa o distrutta/ e il destino la fece perire sulle nostre coste./ il 5 aprile [1588] all’inizio della primavera/ io nacqui, vermiciattolo ora consumato dall’età. […]/ Si era sparsa la notizia che una flotta al largo/ avrebbe causato la catastrofe della nazione./ E fu così che la mia cara mamma/ partorì d’un colpo due gemelli, me e la paura./ Per questo ho sempre odiato i nemici del mio paese/ con tranquilla serenità e sorretto dalla mia musa», Th. Hobbes, Vita carmine expressa, vv. 1-8 e 25-30.
(15) Cfr. C. Robin, Paura. La politica del dominio, Egea, Milano 2005.
(16) Questa è in fondo il motivo per cui le scienze sociali in Italia non hanno criticato queste derive, e hanno invece partecipato alla stigmatizzazione degli stranieri in nome della protezione dei cittadini (penso a un sociologo notissimo come Marzio Barbagli). Cfr. il mio «Ma quando mai è stata di sinistra? Alcune considerazioni sulla sociologia “embedded” in Italia», Etnografia e ricerca qualitativa, 3, 2009.

Felici di odiare (2)

di Alessandro Dal Lago, da MicroMega 6/2009

2. Il personaggio Berlusconi è, insomma, la maschera di un blocco sociale e culturale di destra che si è potuto esprimere liberamente, quasi gioiosamente, grazie alla scomparsa di quei partiti che, dopo la caduta del fascismo, esercitavano in Italia una funzione gramsciana di pedagogia collettiva, e cioé il Pci e la Dc. Il termine generico «destra» è forse inadeguato perché non rende la peculiarità anche storica di questa cultura. «Fascistoide» ne esprime meglio la natura: attaccamento spasmodico alla proprietà, affarismo, decisionismo contro i deboli, mitologia, a seconda delle varianti, della nazione o della piccola patria, spirito strapaesano, sospetto nei confronti di qualsiasi cosa venga da fuori, assoluta indifferenza ai diritti degli altri (3). È una cultura provinciale profondamente radicata nel paese, forse più nelle zone sviluppate e apparentemente moderne che nel resto (4). Probabilmente le sue potenzialità eversive (come si manifestano nella Lega) sono state tenute a freno per molto tempo dalla presenza di un capillare cattolicesimo organizzato. Ma per avere un’idea di quanto sia antico questo genius loci italiano, anzi padano, si considerino i versi apparentemente affabili di un poeta settecentesco, l’abate Giuseppe Rota, difensore della poesia in bergamasco e antilluminista radicale.

Mi per efett de ver amour, de stima,
Lavori e pensi in prima
A i mè compatriogg e a i mè terèr;
E dopo, se ’l men vansa, a i forestè (5).

Ma l’affabilità dell’uomo di Chiesa è notoriamente scomparsa nei suoi successori leghisti e non solo in loro. È vero che nello stesso centro-destra le sparate xenofobe della Lega fanno alzare qualche sopracciglio, ma questo è lo spirito che anima, con piccole varianti, tutto il Pdl e che Berlusconi ha mirabilmente sintetizzato. È qui la ragione profonda del ruolo centrale che l’immigrazione gioca nella vicenda italiana. La questione ha portato alla luce non tanto una generica ostilità all’altro, come si sostiene ritualmente nei tentativi di analizzare l’anomalia italiana e le derive xenofobe (6), quanto la stessa ragion d’essere, materiale e simbolica, del blocco sociale berlusconiano e della sua espressione più radicale, e cioè la Lega. Se mai questa un giorno dovesse rivedere per assurdo le sue posizioni in materia d’immigrazione, negherebbe la propria ragion d’essere. La Lega è naturalmente e felicemente xenofoba. Essa ha scoperto cioè da una ventina d’anni quanto il suo «popolo» sia felice nell’odiare qualcuno, come se fosse una curva di tifosi perennemente in guerra contro un’altra curva. E quindi paradossalmente, la Lega ha bisogno dell’immigrazione e dell’insicurezza (7).
Ho usato la metafora della curva calcistica perché meglio di ogni altra descrive la profonda topofilia della destra italiana, l’ossessione per il territorio (8). L’immigrato rappresenta, con la sua semplice esistenza di essere umano uscito dal suo paese per entrare in un altro, la negazione della territorialità, e cioè del fatto che si possa esistere come attori sociali e politici solo in un territorio (9). Ma si tratta di una negazione indispensabile alla cultura politica della destra italiana. Se un giorno, sempre per assurdo, gli stranieri non arrivassero più, la Lega esaspererebbe il conflitto con quelli che ci sono, ne inventerebbe di nuovi o ne rispolvererebbe di vecchi (come nelle grottesche e periodiche sparate contro i «meridionali»). Perché la territorialità non si esprime nel semplice possesso esclusivo di un territorio, ma nella sua riaffermazione incessante – tale pretesa deve essere pronunciata in eterno per avere senso politico. Ecco perché la Lega (e in misura minore, ma nello stesso senso, il resto del centro-destra) ha bisogno dell’immigrazione per poterla «contrastare» e quindi riaffermare la propria pretesa esclusiva al territorio.
Si tratta dunque di un contrasto che ha soprattutto una funzione simbolico-politica, al di là dei terribili costi umani che il recente pacchetto-sicurezza e il rifiuto indiscriminato dei richiedenti asilo stanno causando. Mi spiego: l’espulsione preventiva dei migranti (i cosiddetti respingimenti) e la negazione dell’asilo politico non significano la fine dell’immigrazione irregolare. Per mille rivoli, nonostante i naufragi e le deportazioni in Libia, gli stranieri continueranno ad arrivare e ad alimentare il mercato del lavoro clandestino. Se questo rimane invisibile, alla Lega e alla destra va benissimo (come dimostra la sanatoria delle badanti, e cioè di una categoria sociale non solo indispensabile alle famiglie ma scarsamente visibile perché confinata entro le mura domestiche). Per il resto, quello che importa alla Lega e alla destra è il consenso su una politica simbolicamente muscolare. Stando ai sondaggi, il consenso c’è e ciò dà un’idea del grado di implosione culturale e politica del paese.
Questo è dunque il significato di una politica migratoria tutta giocata sulla paura. Poche migliaia di migranti vengono lasciati alla deriva nel Canale di Sicilia o respinti in Libia, dove il loro destino, in base a numerose testimonianze, è a dir poco oscuro (uccisioni, vessazioni di ogni genere, carcerazioni indefinite, violenze, deportazioni verso paesi terzi sottratte a qualsiasi controllo internazionale eccetera) (10). Tutti gli altri, regolari o irregolari che siano, vivono da noi in una condizione d’invisibilità sociale, di mancanza di diritti, di obbedienza ai padroncini e di terrore verso qualsiasi polizia si occupi di loro. Ma il governo di centro-destra non ha mai veramente bloccato il loro afflusso. Negli anni del secondo governo Berlusconi (2001-2006), il numero dei migranti regolarizzati è più che raddoppiato, rispetto all’epoca del precedente governo Prodi, e una tendenza analoga, a partire appunto dalla sanatoria delle cosiddette badanti, è facilmente ipotizzabile oggi. Con la faccia feroce verso gli sventurati che traversano il Canale di Sicilia e gli stranieri che commettono piccoli reati e, allo stesso tempo, l’assorbimento delle categorie degli invisibili nell’economia domestica, il governo Berlusconi realizza un duplice obiettivo: la riaffermazione simbolica della difesa del territorio e il sostegno alle famiglie e alle piccole imprese. Con il recente pacchetto sicurezza si realizza dunque un inasprimento parossistico di quel doppio regime verso gli stranieri (i clandestini «cattivi» e i regolari «buoni») che, in realtà, ha sempre definito le politiche pubbliche italiane, di destra e di sinistra, in materia di immigrazione (11).
Tutto ciò ha naturalmente dei costi sociali e politici. Per cominciare, il pacchetto sicurezza approvato nel luglio 2009 introduce un reato, quello di immigrazione clandestina, che sta portando inevitabilmente al sovraffollamento delle carceri (12). Non solo: l’attività della polizia dovrebbe raddoppiare per controllare davvero i possibili clandestini. E data l’attuale crisi economica e finanziaria, questo è chiaramente impossibile. Inoltre, anche senza chiamare in causa l’opposizione di vasti ambienti cattolici alle leggi dell’attuale governo, il pacchetto sicurezza sta visibilmente aprendo dei conflitti con l’Europa. Benché in linea di principio l’atteggiamento europeo sia altrettanto ostile all’immigrazione incontrollata, quasi tutti i paesi europei hanno una legislazione più aperta nei confronti dei richiedenti asilo. Espellendoli a priori, l’Italia, una volta di più, non fa che scaricare il problema sul resto d’Europa.
La politica italiana in materia di immigrazione e diritto d’asilo espone il paese non solo all’aggravamento di problemi tradizionali (il sovraffollamento delle carceri, l’ingorgo dell’apparato giudiziario e di polizia), ma anche a frizioni con il resto del continente. E tuttavia è assai dubbio che l’attuale maggioranza cambi rotta. Come si è detto sopra, la cultura politica della destra si fonda sull’odio nei confronti di nemici reali e immaginari, forestieri, migranti, clandestini, «comunisti» eccetera. Essa è quindi basata sull’emergenza, sull’idea del territorio assediato, cioè su sentimenti collettivi irrazionali che assicurano alla destra, finché probabilmente la crisi economica non spariglierà i giochi attuali, il consenso del fondo sociale del paese. In questo senso, se altri poteri esterni o interni (l’alleato americano, l’Europa, la Chiesa…) non interverranno, direttamente o indirettamente, Berlusconi e i suoi pretoriani (parte del Pdl, la Lega eccetera) continueranno a percorrere la strada attuale, anche quando è visibilmente contraria agli interessi collettivi.

continua

Felici di odiare (1)

La Lega è naturalmente e felicemente xenofoba. Essa ha scoperto cioè da una ventina d’anni quanto il suo ‘popolo’ sia felice nell’odiare qualcuno, come se fosse una curva di tifosi perennemente in guerra contro un’altra curva. E quindi, paradossalmente, la Lega ha bisogno dell’immigrazione e dell’insicurezza”.

di Alessandro Dal Lago, da MicroMega 6/2009

And hereupon it was my mother dear
Did bring forth twins at once, both me and fear.
Thomas Hobbes, Vita carmine expressa, vv. 27-28 (1).

1. […] Il berlusconismo è soprattutto un blocco sociale e culturale relativamente maggioritario, grosso modo lo stesso che a suo tempo sosteneva il Caf. Nel 1993-1994, il talento di Berlusconi si è manifestato nell’aver compreso che, dopo la fine di Craxi e del Caf, questo blocco era privo di un leader. Ecco allora la discesa in campo, l’invenzione di Forza Italia, del Popolo delle libertà e poi del Partito della libertà. È vero che senza le televisioni l’impresa di Berlusconi sarebbe stata impossibile. Ma lo stile è sempre stato quello del maestro Craxi (non a caso grande alleato e sponsor del Cavaliere) e dei congressi pacchiani allestiti dall’architetto Panseca. Che il Pdl, soprattutto nella cerchia più vicino a Berlusconi, pulluli di ex socialisti ed ex democristiani di destra (nonché di transfughi della sinistra) dà un’idea della continuità tra la prima e la seconda repubblica. Se il programma del Cavaliere era quello di Gelli, come molti hanno scritto, significa che il grottesco capo della P2 ha espresso meglio di ogni altro l’anima profonda della destra italiana.
Un blocco sociale e culturale non è solo un’aggregazione di interessi, anche di lungo periodo. È stile di vita idealizzato, assemblaggio più o meno riuscito di quello che un tempo i sociologi avrebbero chiamato «valori», e cioè punti di vista profondi, è un insieme al tempo stesso concreto e immaginario, e quindi un sistema di rappresentazioni in cui riconoscersi. Berlusconi ha offerto al blocco sociale orfano del Caf – lo sterminato mondo della piccola impresa e del commercio che un tempo votava Dc, le tante vandee italiane, il cosiddetto popolo delle partite iva, del l’evasione fiscale e dell’interesse particolare a ogni costo, la piccola borghesia impiegatizia del Sud, le clientele elettorali (a cui si aggiungono anche pezzi di classe operaia delusi dai sindacati) eccetera – un modello culturale in cui identificarsi. Il mito della riuscita personale, il paternalismo del «ghe pensi mi», il maschilismo, la rozzezza da cumenda, le barzellette da caserma corrispondono esattamente ai sentimenti profondi e allo stile di vita del blocco sociale di centro-destra. Esattamente come il provincialismo, l’indifferenza in materia di politica internazionale, il cattolicesimo opportunista, l’ostilità per gli stranieri, le tendenze forcaiole in tema di ordine pubblico e sicurezza (2).
Berlusconi, il cui fiuto politico è indubbiamente superiore a quello dei suoi avversari ha sintetizzato tutto ciò nella sua persona. Nella coalizione che sta guidando gli accenti possono essere molto diversi – la truce goliardia xenofoba della Lega, il moderatismo dell’ala cattolica e centrista del Pdl, il perbenismo statalista degli ex missini, le tendenze separatiste a nord come a sud eccetera – ma Berlusconi rappresenta la capacità di mediazione tra posizioni anche lontane. Non avendo probabilmente nessuna idea personale o qualcosa in cui credere (che non sia la volontà spasmodica di guadagno e successo in ogni campo), egli è volta per volta e allo stesso tempo tutto quello che sono i suoi alleati. Si potrebbe dire, con Lao Tzu, che è il vuoto che dà senso al pieno e quindi permette a una sparsa pluralità di funzionare come unità. Che questa sua capacità di leadership si sia affermata con la manipolazione mediatica e la trasformazione di una saga personale in vicenda pubblica non cambia i termini della questione. Berlusconi è un caudillo in declino. Ma ciò significa soltanto che se mai e quando sparirà, il blocco sociale e culturale che lo sostiene andrà in cerca di un nuovo padrone.

http://temi.repubblica.it/micromega-online/felici-di-odiare/

continua..

Rastrellamenti

Siamo arrivati ai rastrellamenti. Sì’, perchè l’operazione “White Christmas”, ideata dal sindaco leghista del comune di Coccaglio (BS), altro non è che un rastrellamento: andare casa per casa e verificare i documenti dei residenti e scoprire i clandestini, gli irregolari. (http://www.repubblica.it/2009/11/sezioni/cronaca/immigrati-13/immigrati-13/immigrati-13.html)

Ora, a parte che gli irregolari sono i leghisti, che negano e insultano i principi fondamentali della convivenza civile, la domanda rimane sempre quella, inevasa. Dove eravamo mentre questa gentaglia si diffondeva, faceva proseliti, metteva radici, vinceva elezioni? Dov’erano i democratici, quelli di sinistra, dov’era la gerarchia cattolica? E dove sono ora? Chiusi nei circoli a spartirsi le municipalizzate? A darsi reciproche cattedre universitarie? A bearsi nei loro assessorati?

In Veneto, in Lombardia, le chiese sono piene di leghisti devoti. Dove sono i pastori che li caccino fuori? O che dal pulpito dicano-con cristiana correzione fraterna- che non si può essere cattolici e leghisti, cattolici e razzisti, cattolici e xenofobi? O conta solo intascarsi l’8 per mille?

Siamo ai rastrellamenti. Sdegno, indignazione. Poi? Siamo nel paese dove risuonano mille tuoni ma non piove quasi mai. Dove ogni giorno la polemichetta dell’oggi spazza via quella del giorno prima. Noi dove eravamo?

Quando i nazisti presero i comunisti
io non dissi nulla,
perché non ero comunista.

Quando presero gli Ebrei
io non dissi nulla
perchè non ero ebreo.

Quando presero i sindacalisti,
io non dissi nulla 
perché non ero sindacalista.

Quando presero i cattolici,
io non dissi nulla
perché non ero cattolico.

Poi vennero a prendere me.
E non era rimasto più nessuno
che potesse dire qualcosa

Martin Niemöller
pastore evangelico

Facciamoci conoscere….

Facciamoci conoscere anche all’estero. Facciamo sapere all’Europa che gentaglia si agita dentro e fuori dai confini nazionali. Due immagini scattate al Parlamento europeo in occasione delle votazioni di opposti ordini del giorno sulla libertà di stampa in Italia (entrambe respinte). Una si riferisce al gruppo dei Verdi che sfoggiavano, per l’occasione, una sciarpa turchese per ricordare il caso-Mesiano, l’altra riguarda due cialtroni padani (si fa per dire).

4.JPG.jpeg12.JPG.jpeg

Tutto facile e semplice

E poi dicono che il mestiere dello storico è un po’ noioso! Ho avuto la ventura di partecipare ad un dibattito con un onorevole della lega. Dibattito? No. Perchè, com’è usanza trasversale e bipartizan, l’onorevole è intervenuto, ha parlato e poi se n’è andato “per impegni istituzionali..”, lasciandoci noi, tapini, a proseguire il “dibattito” senza l’autorevole interlocutore. Vabbè.

Ma l’occasione è stata comunque utile: ascoltare dal vero un leghista di primo piano, non un Borghezio qualsiasi, intervenire sul tema “Reggio perde la memoria?”. E qui ho capito, o almeno intuito alcune cose che mi confermano nel mio timore: sono i leghisti il vero pericolo per la nostra convivenza, prima ancora che per la democrazia. I fascisti, alla Filippi o Tadolini, piantano croci, fanno scrivere articoli osceni come quello di ieri sull’Informazione sulla strage di Cervarolo. Ma fascisti sono e come tali vengono etichettati. I leghisti no, i leghisti sono diversi e molto più pericolosi. Salvo pochi casi clinici, non ci si vanta di essere fascisti, mentre invece la “leegha” (secondo l’accezione bossiana) è già un senso di identità per tanti, soprattutto giovani, e lo testimoniano le tante spilline biancoverdi sugli zainetti di studenti reggiani.

E del resto basta ascoltare l’onorevole e come dare loro torto? Un qualunquismo assoluto ma moderno, lucidato, quattro ruote motrici, full optional. L’onorevole ha buttato lì concetti come “noi non siamo di destra o di sinistra, nessuno ha la verità in tasca…Bisogna uscire dall’odio…C’è stata una brutta guerra civile (perchè ce ne sono di belle di guerre civili?), la verità sta nel mezzo, senza ideologie…per capire il dopoguerra bisogna leggere Guareschi…c’è un complotto per il petrolio fra Cina-Iran e Chavez…”. Insomma, complotto intergalattico a parte, una summa di banalità assolute, ma dette bene, con chiarezza, tutte di assoluto, apparente, buonsenso, un rispondere insomma, perfettamente al target medio leghista. Siamo il nuovo, basta destra e sinistra, il mondo è cattivo, basta sistemare le cose qui (fra Cadelbosco sopra e sotto, magari).

Lo ascoltavo e prendevo appunti e, in un attimo di distrazione, mi sono sorpreso a dire “beh, non ha tutti i torti”. Ogni problema, per quanto complicato, trovava la sua soluzione. Giovani e preparati, li hanno definiti. Giovani sì, preparati?

Fra le “verità” dette brillava quella sull’Unità d’Italia: fatta dai piemontesi contro gli altri, contro il sud dove i briganti erano…partigiani! Combattevano per le loro idee e fra di loro c’erano i soldati borbonici fedeli ai loro “ideali”. Tutto facile, all’insegna del “finalmente si può dire..”. Studi? Volumi? Saggi? Intere biblioteche sul processo di unificazione? Bleah, arriva la “leegha” e sistema tutto. Ma facile, semplice, comprensibile anche al gommista di Bagnacavallo.

Vaglielo tu a spiegare la complessità della storia, dei processi di unficazione, le contraddizioni (vedi i garibaldini a Bronte che fucilarono i “liberati”). Cosa volete interessi al suddetto gommista? C’ho da pagare l’iva, il terrone mi porta via il lavoro, io sparo e voto “leegha”. Facile, semplice.

Già facile, semplice, ma sbagliato. Ma la medicina qual’è? La cultura di sinistra che, o nega i problemi, o si occupa non si sa di cosa? Nel campo della fiera vuoto, il primo Dulcamara che arriva vende il suo elisir ai felici paesani. Facile, no?