L’Italia di Leone Ginzburg

Il 4 aprile ricorreva il centenario della nascita di Leone Ginzburg, il “russo di Torino” come lo chiamavano gli amici, ricordandone la nascita ad Odessa, in una famiglia ebraico-tedesca. Al Liceo D’Azeglio incontrò gli amici di una vita, Norberto Bobbio fra gli altri, che ne ammirarono la precocità di studente e, insieme, la simpatia e l’allegria della sua giovane età. Bindi (Bobbio) e Lollo (Ginzburg) rimasero sempre legatissimi, anche se le loro vite si separarono: Ginzburg a Parigi, sulle tracce di Maupassant (cui aveva dedicato la sua tesi di laurea), incontrò Carlo Rosselli ed entrò in Giustizia e Libertà. Da allora la sua fu una vita doppia, fra le traduzioni di elevatissima qualità dal russo (Taras Bul’ba e Anna Karenina) e l’impegno antifascista. Nel novembre 1933, insieme ad amici del D’Azeglio Cesare e Giulio Einaudi fondò la casa dello struzzo mentre collaborava, in forma anonima, ai Quaderni di GL. Nel 1934 prima gli fu tolta la libera docenza (già professore a 24 anni) in Letteratura russa per non aver voluto giurare fedeltà al Regime e poi, nel marzo, fu arrestato grazie alla spiata di Pitigrilli, lo scrittore di successo che, al soldo dell’OVRA,  si era conquistato la fiducia di tanti antifascisti. Dal carcere prosegue la sua opera di direttore editoriale che riprende nel 1936 , tornato in libertà. Nel 1938, con le leggi razziali, viene privato della cittadinanza italiana, nel 1940, allo scoppio della guerra, è confinato in Abruzzo da dove continua la sua opera di intellettuale (per l’Einaudi) e di antifascismo (per GL). Nel 1943 è fra i fondatori del Partito d’Azione e come militante lavora nella clandestinità dopo l’8 settembre, dirigendo il foglio L’Italia libera. Viene arrestato dalla Gestapo nella tipografia del giornale e muore “per cause naturali”, sotto tortura, a Regina Coeli il 5 febbraio 1944.

“Riflettendo sulla sua morte e sulla sua vita esemplare forse potremmo capire il perché di un sostanziale disinteresse per una figura eccezionale come questa.
Leone Ginzburg è la cattiva coscienza degli intellettuali italiani: quegli stessi che nel ventennio, ed oltre – e, tranquillamente, ai nostri giorni – si sono adattati alla “servitù volontaria”, rendendosi complici del tiranno, ieri come oggi.
L’esempio di coerenza e di coraggio che egli ci ha affidato è fuori del comune; e in tal senso costituisce un peso, per chi allora scelse la tranquilla strada della carriera, come per chi oggi ritiene che ci si possa salvare l’anima rinchiudendosi nello studio o nella creazione artistica, o dà prova di quella ben nota tendenza alla compromissione degli uomini di cultura.

Proprio le inquietanti analogie che sembrano emergere tra quel fascismo e l’odierno regime autoritario-mediatico, rendono necessaria quanto inattuale la voce di Leone. Dall’alto dei soli 35 anni della sua esistenza Leone ci affida un
lascito particolare: che non è negli scritti – pure tutt’altro che irrilevanti: storici, letterari, politici. La sua opera vera è la sua stessa esistenza, che avviata a un promettente destino di studi, fu invece sacrificata per una scelta politica a cui i tempi davano un carattere di dolorosa, aspra necessità.”

(A.D’Orsi, Il silenzio su Leone Ginzburg. La cattiva coscienza degli intellettuali italiani, Liberazione, 3.4.2009)