Salvate il soldato Obama!

Salvate il soldato Obama! Stasera (ora italiana) incontrerà il vecchio satiro per un caffè, da bravo G.I. Obama è riuscito a schivare il pranzo ufficiale e così si è risparmiato barzellette sui neri che ce l’hanno più lungo, sulle labbra di lady Obama e sulla potenza virile del vecchio satiro. Però anche un caffè è una bella prova. Quante cazzate sparerà il nostro (si fa per dire) fra lo zucchero e il latte? Il caffè americano oltretutto è quella broda nera da mezzo litro…E poi c’è il problema statura (no non quella morale, che per il vecchio satiro è come Bolzano in gennaio: -4), Obama è quasi 1,90 il nostro 30 cm. in meno. Cosa farà nelle foto? Metterà zeppe da drag-queen? Salterà con perfetto stacco da saltatore al momento del clic? Zomperà sulle spalle del povero Barack gridando “gid-dap!”? E poi Barack ha già le scarpe belle lucide, anche senza la saliva del premier!

Sarà comunque imbarazzante: mandiamo una taskforce, chiediamo a Spielberg come si fa a salvare il soldato Obama dal satiro premier (provvisorio). Noi siamo pronti, che si fa per la propria patria…

The times they’re a changing


I cinici non riescono a capire che la terra è franata sotto i loro piedi che gli argomenti politici stantii che ci logorano da tempo non valgono più. Oggi non ci chiediamo se c’è troppo Stato o troppo poco Stato, ma ci chiediamo se la macchina dello Stato funziona – se aiuta le famiglie a trovare un lavoro retribuito in maniera dignitosa, a curarsi sopportando costi contenuti, ad avere una pensione dignitosa. Ogni qual volta la risposta è affermativa, abbiamo intenzione di continuare sulla stessa strada. Quando invece la risposta è negativa è nostra intenzione porre fine ai programmi pubblici che non funzionano. E quelli di noi che gestiscono il denaro pubblico debbono rispondere del loro operato – debbono spendere con saggezza, rivedere le cattive abitudini e operare alla luce del giorno – perché solo così facendo possiamo ripristinare il rapporto di fiducia tra il popolo e il governo.

Sappiamo infatti che la nostra composita eredità è una forza, non una debolezza. Siamo una nazione di cristiani e mussulmani, ebrei e indù e di non credenti. Si mescolano nel nostro Paese lingue e culture di ogni parte della terra e, dal momento che abbiamo assaggiato l’amara brodaglia della guerra civile e della segregazione e siamo emersi da quel buio capitolo della nostra storia più forti e più uniti, non possiamo non credere che i vecchi odii un giorno svaniranno, che i confini della tribù presto si dissolveranno, che nella misura in cui il mondo diventerà sempre più piccolo, si rivelerà la nostra comune umanità e che l’America deve svolgere il suo ruolo nell’aprire la strada ad una nuova era di pace.

Questo è il significato della nostra libertà e del nostro credo che uomini, donne e bambini di ogni razza e fede possano celebrare insieme in questo magnifico spazio e che un uomo il cui padre meno di 60 anni fa poteva non essere servito in un ristorante ora è dinanzi a voi dopo aver pronunciato un sacro giuramento.

Che i figli dei nostri figli possano dire che quando siamo stati messi alla prova non abbiamo consentito che il nostro viaggio fosse interrotto, che non abbiamo voltato le spalle, che non abbiamo esitato e, con lo sguardo fisso all’orizzonte e con la grazia di Dio su di noi, abbiamo portato avanti il grande dono della libertà e lo abbiamo consegnato alle generazioni future.

(Barack Hussein Obama, Washington, 20 gennaio 2008)