Una lettera del 1975

Roma, 24 maggio 1975

Carlo Leo…bisogna fare uno sforzo autocritico per comprendere le ragioni storiche e politiche dei limiti che ebbe la Resistenza. Ed a questa ricerca tutti, anche gli azionisti ed i socialisti, debbono portare il loro contributo. Non ho risposto a Sandro (Pertini, ndr), perchè con lui è impossibile discutere. Dopo il mio libro “Lettere a Milano” mi inviò una letteraccia perchè avrei esaltato la funzione del partito d’Azione e sottovalutato quella svolta dal Psi. Ed è inutile indicargli “esasperazioni massimalistiche e cedimenti opportunistici compiuti in questa o in quella occasione dal Psiup”. Egli pretende di riassumere tutta la vita del Psiup…Credo che tu potresti essere il più preparato a fare la storia della vita (gloriosa) e la fine (dolorosa) del partito d’Azione…

Il problema principale per me è sempre quello del ritardo con cui vennero ricostituiti e riorganizzati i partiti antifascisti, e quindi della mancata preparazione programmatica. Noi comunisti avevano alle spalle vent’anni di ininterrotto travaglio, spesso assai doloroso. Ciò non escludeva i motivi di dissenso, ma permetteva a tutti di muoverci, oltre che per ragioni di costume e di disciplina, entro un quadro unitario. Perchè, ad esempio, non si riuscì a formare un partito dei “democratici del lavoro” che si richiamasse al pensiero e all’esempio di Giovanni Amendola? Molte volte ho chiesto a La Malfa ed a Parri perchè avessero lasciato quella bandiera a Meuccio Ruini. Fu la “pregiudiziale repubblicana” che separò democratici, come La Malfa e Sergio Fenoaltea, da liberali come Antonicelli e Pepe, impedendo la formazione di un partito laico di nuova democrazia. Invece la bandiera del laicismo liberale rimase a quelli che erano i sopravissuti della vecchia democrazia prefascista, ormai tagliati fuori dal processo storico.

Insomma, sostengo, c’era da parte di tutti noi: 1. Scarsa conoscenza della realtà italiana; 2. Mancanza di un progetto di ricostruzione economica; 3. Sottovalutazione del peso dell’eredità fascista (nell’economia, nella cultura, nella scuola, nell’amministrazione dello Stato e, soprattutto, nel costume). Credo che questa autocritica possa essere utile, perchè, malgrado questi limiti, abbiamo fatto grandi cose e lasciamo ai giovani un paese che è migliore di quello in cui ci trovammo a combattere le nostre prime battaglie.

Lettera di Giorgio Amendola a Leo Valiani.

( in: Repubblica, 2 marzo 2009)