La memoria e il futuro

Nella nuova prefazione al suo “Questo novecento” (Einaudi, 2008), poco prima di lasciarci, Vittorio Foa scriveva: “Mi sembra che esista un fenomeno dai tempi lunghi: una destra profonda che prende le forme più varie, a volte persino forme di sinistra. Le forme della destra profonda possono essere nazionaliste, militariste, razziste, fasciste, o puramente liberistiche. In tutti questi casi la chiusura nel proprio particolare, nella famiglia e il proiettare il rapporto con il mondo sulla propria particolarità diventano dominanti“.

Nessuno parla più di futuro, nessuno di politica. Un eterno commentare e rincorrere il dettaglio, perdendo il contesto. Un tirare avanti e sopravvivere, difendendo-appunto-sè stessi e la famiglia. C’è un grande bisogno, invece, di innovazione e di tenacia. Un dire, forte e chiaro, “non ci piegherete mai” ma, nello stesso tempo, la capacità di proporre innovazione e rigore, senza sconti, perchè di demagogia anche la sinistra ne ha fatta tanta e continua a muoversi in percorsi resi ormai ridicoli dalla realtà. Parole come meritocrazia, capacità, competitività sono state lasciate alle chiacchiere della destra, anzichè farne i nostri punti di riferimento. O c’è qualcuno che rimpiange ancora i tempi del “salario come variabile indipendente?”