Europa centrale e miserie di casa nostra

In questi anni la discussione pubblica a Reggio e in Italia si è spesso incentrata sulla violenza partigiana sia nel corso della Resistenza che nelle fasi finali del conflitto. Una discussione che non ha mai sfiorato un livello minimo di fondatezza e di decenza morale, prima ancora che storica. Discussioni in cui lo storico sta(va) alla finestra, un po’ triste e sgomento, ad osservare lo svolgersi degli eventi che, pur se incentrati su avvenimenti del passato, avevano ben poco a che fare con la storiografia. Così, per restare alle nostre terre, abbiamo visto avviarsi un marketing territoriale della “violenza dei rossi” con un mini parco tematico sulle colline di Trinità, un’indecente presenza annuale di fascisti a Fabbrico, croci piantate a Ventoso e altre tristi vicende. Vari esponenti del nostro post-fascismo locale si sono spartiti ognuno un “caso” (uno alle foibe, uno a Scandiano, uno a Vetto, uno a Cernaieto), a tener vivo, indipendentemente dalla vicenda storica, una fiammella tricolore di anacronistico risentimento e rivendicazione dell’impossibile. A ciascuno il suo.

Dopo essermi confrontato volenterosamente per anni su questi tempi credo sia opportuno e corretto il documento proposto dall’Anpi alle amministrazioni locali sulla necessità di non concedere spazi pubblici a chi non si riconosca nei valori della Costituzione. Spero che questo possa essere di aiuto anche a quegli amministratori incerti fra quieto vivere e opportunismo che in questi anni hanno concesso, in nome della solita “pacificazione” opportunità ai neofascisti di ripetere le loro tristi litanie.

Certamente il tema della violenza è un tema centrale quando si vuole parlare di una guerra, anzi, è IL tema. Ne sono ben coscio, visto che la mia attività di ricerca gravita da vent’anni proprio su questo problema. Ma l’unica strada da percorrere è quella della ricerca storiografica, dell’analisi e del confronto. Proprio dal confronto, dalla contestualizzazione degli eventi all’interno della situazione che li hanno prodotti ci consente di delineare un quadro di riferimento, di rendere la complessità delle situazioni, proporre letture fondate che aiutino non a giustificare ma a capire.

Jew_GJM.jpgIl confronto, soprattutto, può aprirci lo sguardo ad una prospettiva reale, quella di una guerra mondiale che in Europa ebbe i tratti della massima ferocia. Uscire dall’autoreferenzialità, dall’assolutizzazione delle nostre vicende. Nei giorni scorsi a Cracovia ho visitato un nuovo Museo, il Galician Jewish Museum, inaugurato nel quartiere ebraico di Kazimierz nel 2010. E’ incentrato sulla secolare presenza ebraica in Galizia, cancellata dallo sterminio nazista. Solo a Cracovia vivevano 68.000 ebrei nel 1939 (in una città di 250.000 ab.). Oggi superano di poco le 100 unità (la città oggi supera gli 800.000 ab.). Scomparsi. Cancellati.

Noi abbiamo avuto la sorte di avere la guerra in casa per 20 mesi, là la guerra ha colpito per cinque anni e mezzo. Noi abbiamo avuto un Montesole, un S.Anna di Stazzema. Là le stragi come Montesole sono centinaia. La regione è boschiva, collinare. Cammini per un sentiero, vedi un cippo: qui sono stati fucilati 450 ebrei. Un boschetto di betulle: una pietra quasi nascosta ti ricorda che lì furono massacrati 342 bambini. Prima di Birkenau, quando la morte era ancora un procedimento artigianale.

Percorrendo l’Europa centro-orientale si è colpiti dalla dimensione della tragedia, i numeri perdono senso, le nostre decine, centinaia di vittime che ci sono costate tanto dolore qui diventano migliaia, centinaia di migliaia, milioni. Abbiamo appaltato a Reggio la celebrazione del Giorno del ricordo ai neofascisti. A coloro-ricordiamolo-che innescarono e fecero deflagrare la questione dei nostri confini orientali. Gli ultimi che potrebbero avere la voce, almeno per decenza, a commemorare quei caduti, quei profughi. Commiseriamo i 300.000 italiani costretti a lasciare l’Istria e Dalmazia fra il 1945 e il 1947 e ci dimentichiamo che furono 11 milioni le persone costrette a fuggire nel 1945 al termine del conflitto, lasciando la loro casa in poche ore.

Costruiamo lapidi per ricordare 24 militari fascisti fucilati nel corso della guerra e dimentichiamo che a Katyn e dintorni i sovietici massacrarono 22.000 militari polacchi. Nell’orrido vespaio di “Porta a Porta” abbiamo compianto gli uccisi nei boschi sloveni dai partigiani jugoslavi dimenticando che si trattava di ustascia, domobranci, cetnici, il peggio del peggio della feroce guerra nel Balcani. Consegnatisi agli inglesi e da questi riconsegnati a Tito.

Girare per l’Europa nord-orientale consente di capire fino in fondo la complessità della tragedia europea. La rivolta di Varsavia dell’agosto 1944: i sovietici sono a pochi chilometri, la città insorge per affrettare la liberazione. Ma la Resistenza è quella sbagliata (per i sovietici), sono in gran parte polacchi fedeli al governo in esilio a Londra. L’Armata Rossa assiste al massacro compiuto dai nazisti. Impedisce addirittura che gli inglesi riforniscano di armi gli insorti. Lasciano che i nazi facciano il lavoro per loro: hanno già sterminato parte della classe dirigente polacca a Katyn nel 1940 il resto si svolge lì. Non vogliono polacchi liberi per la Polonia comunista. L’avanzata riprende a cose fatte.

Complessità, alzare gli occhi e confrontarsi con la difficile memoria europea che è la nostra memoria, ma è una memoria diversa e divisa, anche sulle parole. Per noi antifascismo è un valore di libertà, per un polacco, un ceco o un ungherese antifascismo era l’ideologia di una dittatura che si è dissolta solo nel 1989. Eppure “Noi siamo lì” (questa era la frase centrale del Viaggio della memoria di quest’anno) piantati in questa storia con la quale fare i conti se vogliamo andare avanti.

Lasciando i mercatini neofascisti al loro ruolo, di tristi venditori di cianfrusaglie ideologiche inutili e dannose.

Europa centrale e miserie di casa nostraultima modifica: 2012-03-04T09:42:00+01:00da pelikan-55
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