Un secolo affondato: quel difficile ‘900

ghiara.jpgPochi giorni fa, discutendo con un rappresentante del Comune, mi è stato detto che le mie critiche erano “superficiali” e “qualunquiste”. Avevo obiettato che nel 2012 il Comune non aveva partecipato ai Viaggi della Memoria e che, Dio non voglia, anche quando andasse in porto il progetto Rota sui Civici Musei, la nostra città non avrebbe un centimetro quadrato di spazio museale dedicato alla storia reggiana nel ‘900. Faccio fatica a capire come dei fatti, reali, verificabili da chiunque, possano essere superficiali o qualunquistici; tali possono esserlo le mie considerazioni al riguardo (per questo chiedo scusa: la prossima volta studierò di più) ma i fatti restano fatti.

Come già scritto su queste pagine il problema è la difficoltà, se non il rifiuto, di confrontarsi con la storia del secolo scorso. Certamente non è questa una novità e non appartiene solo a questa amministrazione che paradossalmente, ma non tanto, condivide questa difficoltà con le precedenti. Parlo di paradosso ma il termine è inadeguato. Partendo da problemi, situazioni, culture opposte ci si è ritrovati-amministrazioni precedenti e attuali- ad avere lo stesso problema di rapporto con quello che la città e il territorio hanno espresso e rappresentato nel ‘900.

Ancora una volta lo spartiacque è il 1989. In una faticosa e affannata riconversione dopo il crollo dell’impero sovietico, con cui i rapporti-seppur indeboliti e sempre più esili-si erano mantenuti almeno fino a pochi anni prima, quelli che erano stati “i comunisti”, per sfuggire all’ingrato ruolo di ex hanno impegnato energie degne di miglior causa nel tentativo di far dimenticare il passato recente e non. Sfumato per motivi giudiziari il fascinoso approdo craxiano agli inizi degli anni ’90 ci si è ridotti alla rincorsa di ogni “novità”, scandita dal periodico mutamento della ragione sociale del “nuovo partito” in cui si agitava qualunque nuova idea di importazione. Si è stati così, stagione dopo stagione, “clintoniani”, “blairiani, “zapateriani”, cercando “terze vie” spesso collocate anche oltre le porte di Tannhauser. Nessuna riflessione, nessuno stop sul mondo nuovo in cui ci si trovava ma solo necessità di andare comunque avanti nella gestione di un potere che, comunque, era rimasto più o meno immutato. A forza di voler essere “qualcos’altro” si è finito per non essere più nulla.

In questo affannoso rincorrere un mondo in tanto  rapido cambiamento come confrontarsi con il ‘900, secolo di sogni e di incubi, di speranza e tragedie, ma soprattutto di costruzione di quel modello emiliano da parte di un partito/chiesa/stato che il 1989 aveva definitivamente cancellato? Si poteva riutilizzare quello che il mondo aveva riconosciuto, come il sistema educativo reggiano (bastava solo tralasciare il fatto che Malaguzzi fosse stato, come tanti, comunista) o si potevano utilizzare i modelli trascorsi nei comizi del 25 aprile ma non andare oltre: si preferì rispolverare miti più tranquillizzanti come il Tricolore e la contessa Matilde. E infatti il Museo della Resistenza sciolto in silenzio alla metà degli anni ’80 venne avvicendato dal nuovo (si fa per dire) Museo del Tricolore. Si metteva in soffitta il novecento per rispolverare parte del secolo dei lumi, tanto preoccupati delle scansioni temporali da far coincidere il termine del nuovo allestimento con la scadenza del primo centenario (1897) e il discorso del buon Giosuè Carducci, giusto alle soglie del tanto preoccupante ‘900.

Missione compiuta, evoluzione terminata, il novecento restava buono per qualche celebrazione, qualche intitolazione di strade e tangenziali mentre la Reggio di Calatrava era lanciata verso il futuro, una città sul modello Pistorius, veloce ma senza gambe, senza memoria.

Dall’altra parte il cambio di amministrazione nel 2004 completa il mosaico di assenze. L’arrivo del primo sindaco cattolico alla guida di una città dove la storia dell’ultimo secolo aveva relegato a ruoli secondari (seppur di altissimo livello come testimonia la breve esperienza dossettiana) quella componente culturale e politica non poteva non avere conseguenze rilevanti ai fini di queste superficiali considerazioni.

Da un lato i nuovi amministratori hanno interpretato il loro arrivo come una “svolta” epocale capace di portare finalmente la città fuori da una situazione cristallizzata operando così un’azione fortemente ideologica e in buona parte controproducente nella costruzione/consolidamento di un consenso in rapida decrescita. Dall’altro, di fronte ad una eredità storica e memoriale che non apparteneva -se non in minima parte-alla loro storia culturale e politica si sono limitati ad assumerne il minimo indispensabile per conservare l’immagine ancora spendibile di città “democratica e resistente” sul piano della comunicazione pubblica (25 aprile, 2 giugno) e per poter gestire i rapporti con una realtà al contrario vitale quale quella espressa dalle tante realtà (Istoreco, Istituto Cervi, associazioni partigiane) attive e radicate proprio in quella storia.

Colpito su entrambi i versanti il ‘900 a Reggio è rapidamente colato a picco e con essa buona parte della nostra storia contemporanea e non, sostituita da una generica attenzione alla “contemporaneità” che ha progressivamente espunto ogni elemento storico e storiografico a favore di una concatenazione di eventi culturali di vario tipo e livello, in bilico fra intellettualismo e provincialismo, che nulla hanno consolidato a livello di strutture.

Con un’espressione superficiale vorrei ricordare che realizzare un luogo di memoria della città richiede una profonda riflessione sul nostro senso di “città”, mancando con tutta evidenza il quale, si è cercato il sotterfugio dell’affidamento all’archistar nel caso dei civici Musei o del totale silenzio/rimozione nel caso della nostra storia nel secolo scorso.

Reggio è forse una delle poche città di medie dimensioni nella quale, per scelta precisa, il Museo della città non si occupa-che in minima parte-della storia della città stesso. Perché, è opportuno ricordarlo, non è solo il ‘900 ad essere assente ma anche gran parte della vicenda storica della città e del suo territorio, almeno dal Medioevo alla fine dell’Ancient Règime. E’ stato questo un progressivo slittamento, un’ “assenza” progressiva realizzatasi nel corso almeno degli ultimi trenta anni nel silenzio generale. E’ questo un elemento degno di qualche riflessione nel momento in cui, al contrario, altre realtà si muovono in altra direzione: è recente l’apertura a Bologna del Museo della città che, per quanto discutibile per più aspetti, segnala un interesse forte alla vicenda storica complessiva di quella comunità. Su altro piano, ma ugualmente da segnalare, è la quasi contemporanea inaugurazione del nuovo Museo Ferrari a Modena mentre si annuncia, proprio nella nostra vicina ex capitale ducale, l’apertura del Centro Immagine e Fotografia che ospiterà le collezioni di Fondazione Fotografia aperta nel 2007.

A Reggio nulla di tutto questo, l’operazione-Reggiane rimane in alto mare, i luoghi di memoria sono (per fortuna) abbandonati al loro destino, sono stati salvati gli archivi più importanti sul territorio ma non c’è nessuna programmazione sul futuro per la loro gestione e valorizzazione. Ci siamo auto-proclamati capitale della fotografia europea ma per un qualunque visitatore che si trovi a passare a Reggio al di fuori del mese di esposizione non esiste alcun luogo che sostanzi quella fantasiosa attribuzione. Come pensare allora a un luogo dedicato alla “Memoria della città”? Utopia o per dirla con Violetta Valery “follia, follia!!”.

Un secolo affondato: quel difficile ‘900ultima modifica: 2012-03-13T10:29:00+01:00da pelikan-55
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