Anche quelli più giovani forse ricordano Gino Bartali, l’unico in grado di opporsi a Fausto Coppi sulle salite d’Italia e di Francia.
Ma Bartali era noto anche per il suo carattere ruvido e sincero, al limite della sfrontatezza, un carattere che si riassumeva nel suo celebre mantra ripetuto con quel dolce accento toscano: “L’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare..!”.
Bartali è passato, fra l’altro abbiamo scoperto da poco quanto abbia fatto, lui cattolico praticante e devoto, per salvare ebrei durante la Shoah in Italia. Bartali è passato ma si è diffusa la “Bartalite”, una sindrome sociale strisciante e contagiosa che ha travolto fasce sempre più ampie di popolazione.
Sintomo rivelatore: una perenne incazzatura, sorda e lamentosa, che spesso esplode in accessi parossistici.
Nei bar, su FB, circoli e condomini, What’s up o circoli sociali, basta soffermarsi un poco perché qualcuno sia lì a demolire tutto e tutti. A prescindere. Dalla Ferrari al made in Italy, dal Colosseo a Ponte Vecchio.
Per non dire poi, come logico, della politica. Tutti scemi, tutti corrotti, tutti ladri, incapaci, scemi, coglioni, venduti (a questo o a quello, poco importa). Ora, finché si era nel regno del vecchio suino plastificato qualcosa ci poteva anche stare, ma ora, prima Monti, poi Letta, poi Renzi. Napolitano. Niente. Non ne hanno mai azzeccata una. Eppure, statisticamente, anche il più pirla degli incapaci almeno una buona la fa. No. Zero.
In politica la “Bartalite” assume poi la sua forma patologica di “Bartalite travagliata”, dove un giornalista spiega anche al Padreterno dove ha sbagliato e quella più folkloristica (per fortuna in regresso nel paese) di “grillurlantismo”, dove alla patologica demolizione sistematica si aggiungono complicazioni quali complottismo, semplificazionismo compulsivo e cieca adorazione compulsiva del web e del leader.
La cura per ora non esiste o almeno non tramite soluzioni di breve periodo che non siano quelle antiche (con relative e note controindicazioni: assunzione di alcol, psicofarmaci, autoerotismo, consumo di sostanze poco lecite).
In realtà la sindrome andrebbe curata nelle sue radici profonde ma il percorso non si presenta agevole. I pazienti mostrano tutti una predisposizione a sviluppare la malattia data da una comune caratteristica. Hanno (o credono di avere) una vita di merda, il più delle volte con cause endogene ma, proprio per questo, più difficile da accettare. Se a questo poi si aggiunge un’atavica debolezza italica: il “semplicismo” (esistono sempre soluzioni facili a problemi incasinati), il quadro clinico si delinea davvero preoccupante. Ben oltre Ebola, che almeno quello, una volta contratto, ti risolve tutti i problemi davvero.
Certo la cura esiste: si chiamerebbe istruzione, cultura, lettura, riflessione, modestia, impegno ma come pretendere da chi non sa più cosa vuole, ma lo vuole subito?
Gli esperti propendono ormai per una endemizzazione del morbo, alla stregua dell’herpes che sonnecchia in tanti e poi fiorisce per un qualunque stress cui il soggetto possa venire sottoposto. Una endemizzazione che condannerà buona parte paese all’invecchiamento (se tutto fa schifo perché fare figli) e alla paralisi (se tutto è marcio, perché impegnarsi in qualcosa) mentre proseguirà l’esercizio preferito dalle masse colpite dalla “Bartalite”: distruggere sempre tutto e tutti.
Tutti tranne un’eccezione: Papa Francesco. Ma per lui temo valga quello che un collega di Cracovia mi disse a proposito di Papa Giovanni Paolo II: “I polacchi lo adorano, ma mica lo ascoltano..”.