Cristina Castagna era un alpinista. E’ morta in Pakistan, scalando il K3. Aveva lasciato un biglietto partendo dall’Italia: “Se mi accade qualcosa, lasciatemi dove la montagna mi ha chiamato a sé”. Nella mia piccolissima esperienza di escursionista (in passato) e di amante della montagna (sempre) ho provato un brivido leggendo la notizia. Mi sono ricordato di un amico, caduto in montagna, il suo funerale e il coro che cantava “Signore delle cime”. Per chi ha salito, ha sofferto, ha raggiunto (o no) la cima, l’ultimo messaggio di Cristina è logico e giusto.
Nessuno può scegliere la propria morte, il come, dove e quando. Però, potendo, come non condividere? Prima di finire a parlare dell’universo con il dott. Alzheimer, di dipendere da una signora ucraina o bielorussa o di passare le giornate a Montericco (fra l’altro dove si sposarono i miei nel ’54). Come non condividere? Solo in montagna si sfiora l’infinito e la vita sembra davvero buona e giusta. Solo in montagna riesci a sentirti come forse non potresti mai essere.
L’altra sera ho ascoltato dal vivo Reinhold Messner, 65 anni e ancora la voglia di andare, di salire. Ci raccontava le sue salite, ma soprattutto cosa lo aveva spinto avanti, in alto. Non era il fisico. Era la testa. Perchè quella conta.
Ciao, Cristina, che il tuo sonno sia dolce come la neve di un pendio.