Dopo i cappelletti e una fetta di zampone, un bicchiere di Sangiovese e uno di passito mi sono assopito. Il sonno epatico genera mostri. Ero da solo in una grande piazza e andavo rimuginando una cosa del genere:
“Ebbene sì, lo confesso, sono un nemico dell’economia, un sabotatore della crescita, un oscuro figuro che vive e trama nell’ombra cospirando contro sua maestà il PIL (Prodotto inutile ladrocinio). Non cambio l’auto da quattordici (14) anni, porto il mio giaccone da 9, un paio di scarpe mi dura 4 anni. Porto ancora l’abito di nozze del 1988 e comunque ho l’armadio pieno ogni oltre mia speranza di vita. E vivo bene.
Mi piace passare per le vie del centro per accorgermi di quanta roba io NON abbia bisogno, guardo le vetrine e mi sorprendo a chiedermi: se in cento metri ci sono 6 negozi di scarpe cosa vuol dire? O che per i reggiani è iniziata la mutazione verso la forma-millepiedi oppure…
Sarà l’età o l’inizio del definitivo rincoglionimento ma ho anche superato la fase legata al potere consolatorio dell’acquisto (o quasi), al massimo, al colmo della depressione, vado alla Buffetti e mi compro matite, gomme e cancelleria varia. Poco, troppo poco per far ripartire l’economia. Lo so, dovrei far di più. Grazie ai furti subiti (3 in 2 anni) ho finanziato l’industria dei velocipedi. Ma non basta. Compro libri (sì, ho questa orrenda abitudine) ma così lo spread non cala. Quando cambio il mac lo prendo a rate e poi questo succede ogni cinque anni! Insomma una vergogna.
La vigilia di Natale e feste equipollenti sono preso dallo scompiglio: tutti corrono a comprare, pacchettini come piovesse e io? Niente. Mi sento un “diverso”, un pinguino all’equatore, un nero ad un congresso del KuKluxKlan. Mi chiedo se i miei figli non porteranno questo trauma per decenni, poi mi accorgo che loro sono come me. Doppio complesso di colpa! Forse li ho già rovinati, ho compromesso il loro futuro di consumatori, ne ho fatto dei “diversi”?
Domanda inutile e futile (e retorica): ma non sarà che questa crescita sia fantozzianamente “una boiata pazzesca”? Domanda retorica perché tutti sappiamo la risposta, ben prima del buon Latouche. Il problema è, per dirla con il poeta di Pavana, che “bisogna saper scegliere in tempo, non arrivarci per contrarietà”. Immagino che rinunciare al viaggio sul Mar Rosso sia dura e non avere il ventottesimo paio di scarpe possa rappresentare un dramma personale, ma vi assicuro che è molto più agevole rinunciare a ciò che non si è mai avuto/fatto/comprato. Semplicemente perché è/era inutile e “ciò che è inutile è dannoso” (M.Beuttler). Adesso la crisi, lo spread, i bund, ci stanno poco delicatamente informando di ciò che sapevamo già. Abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità. Abbiamo fatto della “Milano da bere” il nostro orizzonte, degno di un macaco ubriaco; anche a sinistra (o insomma quella cosa lì) abbiamo scambiato il consumo per il lavoro come bene primario, convinti che la giostra avrebbe girato all’infinito, dando anche a noi un pezzetto di gioia, di Mar Rosso. Abbiamo pensato che la soluzione a tutto sarebbe stato il mercato e la globalizzazione e che accumulare cose inutili ci avrebbe dato la felicità.
Ci siamo sbagliati, ma lo abbiamo capito? Leggo notizie terrificanti sulla nostra cara Fondazione bancaria che ha visto calare il valore delle sue azioni del 90%. Roba da assalto ai forni, da suicidi giù dalla Torre del Bordello. Invece nulla. Ma chi la gestiva quella Fondazione, chi li aveva scelti quei geni del Mònopoli? A far simili danni bastavo anch’io e sarei costato molto meno.”
Poi mi sono svegliato. Che sogno, che incubo! Poi leggo che il calo previsto dei prossimi saldi sarà del 30%, per Natale si sono spesi 400 milioni in meno, compresi i miei 50 euro, dovrei sentirmi preoccupato? E perché?
Ma si sa non faccio testo, a stento rappresento me stesso, figuriamoci una città, un paese, il mondo. In fondo sono un (mezzo) montanaro venuto giù con l’ultima piena, felice di starsene sugli spalti di Fortezza Bastiani a guardare le carovane passare giù in fondo alla valle.