Dopo i cappelletti e una fetta di zampone…

regali-di-natale.jpgDopo i cappelletti e una fetta di zampone, un bicchiere di Sangiovese e uno di passito mi sono assopito. Il sonno epatico genera mostri. Ero da solo in una grande piazza e andavo rimuginando una cosa del genere:

 

Ebbene sì, lo confesso, sono un nemico dell’economia, un sabotatore della crescita, un oscuro figuro che vive e trama nell’ombra cospirando contro sua maestà il PIL (Prodotto inutile ladrocinio). Non cambio l’auto da quattordici (14) anni, porto il mio giaccone da 9, un paio di scarpe mi dura 4 anni. Porto ancora l’abito di nozze del 1988 e comunque ho l’armadio pieno ogni oltre mia speranza di vita. E vivo bene.

Mi piace passare per le vie del centro per accorgermi di quanta roba io NON abbia bisogno, guardo le vetrine e mi sorprendo a chiedermi: se in cento metri ci sono 6 negozi di scarpe cosa vuol dire? O che per i reggiani è iniziata la mutazione verso la forma-millepiedi oppure…

Sarà l’età o l’inizio del definitivo rincoglionimento ma ho anche superato la fase legata al potere consolatorio dell’acquisto (o quasi), al massimo, al colmo della depressione, vado alla Buffetti e mi compro matite, gomme e cancelleria varia. Poco, troppo poco per far ripartire l’economia. Lo so, dovrei far di più. Grazie ai furti subiti (3 in 2 anni) ho finanziato l’industria dei velocipedi. Ma non basta. Compro libri (sì, ho questa orrenda abitudine) ma così lo spread non cala. Quando cambio il mac lo prendo a rate e poi questo succede ogni cinque anni! Insomma una vergogna.

La vigilia di Natale e feste equipollenti sono preso dallo scompiglio: tutti corrono a comprare, pacchettini come piovesse e io? Niente. Mi sento un “diverso”, un pinguino all’equatore, un nero ad un congresso del KuKluxKlan. Mi chiedo se i miei figli non porteranno questo trauma per decenni, poi mi accorgo che loro sono come me. Doppio complesso di colpa! Forse li ho già rovinati, ho compromesso il loro futuro di consumatori, ne ho fatto dei “diversi”?

Domanda inutile e futile (e retorica): ma non sarà che questa crescita sia fantozzianamente “una boiata pazzesca”? Domanda retorica perché tutti sappiamo la risposta, ben prima del buon Latouche. Il problema è, per dirla con il poeta di Pavana, che “bisogna saper scegliere in tempo, non arrivarci per contrarietà”. Immagino che rinunciare al viaggio sul Mar Rosso sia dura e non avere il ventottesimo paio di scarpe possa rappresentare un dramma personale, ma vi assicuro che è molto più agevole rinunciare a ciò che non si è mai avuto/fatto/comprato. Semplicemente perché è/era inutile e “ciò che è inutile è dannoso” (M.Beuttler). Adesso la crisi, lo spread, i bund, ci stanno poco delicatamente informando di ciò che sapevamo già. Abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità. Abbiamo fatto della “Milano da bere” il nostro orizzonte, degno di un macaco ubriaco; anche a sinistra (o insomma quella cosa lì) abbiamo scambiato il consumo per il lavoro come bene primario, convinti che la giostra avrebbe girato all’infinito, dando anche a noi un pezzetto di gioia, di Mar Rosso. Abbiamo pensato che la soluzione a tutto sarebbe stato il mercato e la globalizzazione e che accumulare cose inutili ci avrebbe dato la felicità.

Ci siamo sbagliati, ma lo abbiamo capito? Leggo notizie terrificanti sulla nostra cara Fondazione bancaria che ha visto calare il valore delle sue azioni del 90%. Roba da assalto ai forni, da suicidi giù dalla Torre del Bordello. Invece nulla. Ma chi la gestiva quella Fondazione, chi li aveva scelti quei geni del Mònopoli? A far simili danni bastavo anch’io e sarei costato molto meno.”

Poi mi sono svegliato. Che sogno, che incubo! Poi leggo che il calo previsto dei prossimi saldi sarà del 30%, per Natale si sono spesi 400 milioni in meno, compresi i miei 50 euro, dovrei sentirmi preoccupato? E perché?

Ma si sa non faccio testo, a stento rappresento me stesso, figuriamoci una città, un paese, il mondo. In fondo sono un (mezzo) montanaro venuto giù con l’ultima piena, felice di starsene sugli spalti di Fortezza Bastiani a guardare le carovane passare giù in fondo alla valle.

BellaItalia: l’autostrada della morte (?!)

L’autostrada Palermo-Messina è stata inaugurata il 21 dicembre 2004, dopo 35 anni, 35 governi e una spesa di 4 miliardi e mezzo di euro, circa la stessa somma che servirebbe per realizzare il ponte sullo Stretto. L’allora governatore Cuffaro la definì “l’opera che segna una nuova era per la nostra regione”. Oggi però l’A20 è nota soprattutto come “l’autostrada degli incidenti”, ben 610 in cinque anni lungo un tratto di 49 chilometri fra Acquedolci e Falcone. Il bilancio finora è stato di 13 morti e 400 feriti. A calcolarli è la Procura di Patti, secondo cui sarebbe avvenuto uno scontro ogni tre giorni e mezzo.

A causarli non è soltanto la distrazione o la troppa fretta al volante, ma anche le condizioni pietose in cui versa l’autostrada. Secondo l’Anas i punti non regolamentari sono in tutto 473, con due gallerie che sono addirittura sul punto di crollare perché fradice d’acqua. Nella relazione della Procura, affidata al professor Gianfranco Capiluppi del Politecnico di Torino, si parla di “possibilità di distacco del rivestimento di circa il 70 per cento entro la prossima primavera”.

Eppure la manutenzione non dovrebbe essere complicata, se si tiene conto del fatto che il Consorzio per le Autostrade Siciliane (Cas), cui spetta la responsabilità dei 268 chilometri di carreggiata, paga ben 348 dipendenti e 150 stagionali. Cioè, in pratica, due lavoratori per ogni chilometro. Eppure gli interventi non sono mai stati fatti, a dispetto della convenzione con l’Anas che impone di destinare alla manutenzione non meno del 35 per cento dei ricavi derivati dai pedaggi, che sono in tutto 80 milioni di euro ogni dodici mesi. Anche se il 45 per cento di queste somme è destinata agli stipendi, contro il 35 per cento delle altre concessionarie autostradali.

http://it.notizie.yahoo.com/palermo-messina–l-autostrada-degli-incidenti.html?nc

Cittadinanza a punti sì, ma per i leghisti (Federico Faloppa)

Sconvolti per quanto successo a Torino prima, e a Firenze poi. Quindi coinvolti in discussioni, ragionamenti, commenti. O semplicemente raccolti nell’indignazione silenziosa, nell’incredulità, nella commozione. Gli ultimi sette giorni sono stati vorticosi per tante, tantissime persone. Perché vorticosa è stata la gravità dei fatti. In un’escalation che dal tentato pogrom di sabato scorso ha portato all’omicidio assurdo di Samb Modou e Diop Mor. Due vicende non certo legate: comunque frutto di un clima che si è drammaticamente manifestato ora, ma i cui segnali erano già presenti da tempo, come dicono, non da oggi, molti attivisti e osservatori. E come sanno le tante vittime di atti di discriminazione, sopruso, violenza razzista.

In molti – e a ragione – si è puntato il dito sui mezzi di comunicazione mainstream. Sulle loro responsabilità. Sul loro modo di distorcere l’informazione. Sul loro «razzismo inconsapevole», come ha ammesso in un ormai celebre messaggio di scuse un caporedattore de «La Stampa», domenica scorsa. Pensavamo che quel messaggio rappresentasse una cesura, una nuova consapevolezza. Ma ci siamo stupiti di nuovo martedì pomeriggio, scorgendo sul web il primo titolo proprio de «La Stampa», che ha proposto la discutibile espressione di «Far West a Firenze» (immagine che ricorda scontri a fuoco tra pistoleri, più che un barbaro omicidio). O scorrendo le prime edizioni online di alcuni quotidiani, che hanno chiamato «vu cumprà» i due cittadini senegalesi morti, ma «ambulanti» i loro colleghi italiani; che hanno negato per tutto il giorno, alle due vittime, un nome e un cognome (mentre hanno fatto a gara per poter dare quello di Casseri). O leggendo un lancio dell’Ansa, in cui l’assassino veniva definito «giustiziere». E dallo stupore siamo passati alla rabbia quando abbiamo letto ieri, su «Il foglio», l’elzeviro di Camillo Langone.

In molti siamo rabbrividiti di fronte ai farneticanti proclami neo-nazisti zeppi di «scorrerà altro sangue», «punire gli invasori», «immondizia negra». Come siamo rabbrividiti a scoprire che in Italia l’estrema destra, in questi anni di razzismo strisciante, è cresciuta, si è organizzata, si è radicata.

In molti siamo rimasti increduli di fronte ai commenti di chi non ha perso occasione – neanche in questi giorni – per sostenere che un po’ di colpa ce l’hanno anche loro: gli zingari, gli immigrati. Come se la causa del razzismo dovesse essere cercata nelle presunte colpe delle vittime, più che nei comportamenti dei razzisti. A me personalmente è capitato di rimanere sbacalito ieri – durante il programma «Coffee Break» su La7 – di fronte alla pochezza di argomenti e alla protervia di un onorevole leghista che pensava di essere – sbagliando vergognosamente tempi e contesto – in campagna elettorale. Come sono rimasto sbacalito in questi anni, insieme alla maggioranza di noi, di fronte alle dichiarazioni razziste di molti esponenti della Lega: da quelle sugli «immigrati» che sono una «malattia», a quelle che paragonavano gli «zingari» ai «topi», a quelle che evocavano i «forni crematori» per gli «immigrati». Frasi che, se pronunciate in un altro paese europeo, avrebbero costretto i loro autori a dimettersi, immediatamente, da qualsiasi carica pubblica. E che da noi invece sono state fatte passare come «folklore».

In molti abbiamo sorriso – a denti stretti – di fronte alla massima (e di nuovo Lega dixit) «il razzismo esiste per colpa del buonismo». Perché è vero: c’è stato troppo «buonismo». Ma non certo nei confronti dei migranti, a cui progressivamente sono stati negati dei diritti. Piuttosto, nei confronti dei razzisti, a maggior ragione di quelli «istituzionali». Che non avrebbero dovuto dire, ripetere, fare – impunemente – certe cose. Altro che cittadinanza a punti per gli «immigrati». La cittadinanza a punti la si dovrebbe dare a chi non rispetta la Costituzione, a chi disprezza la dignità delle persone, a chi istiga al razzismo.

Ecco. Prendo spunto dalla provocazione per rovesciare uno stato d’animo. Dopo la commozione, l’indignazione, la condanna dovremmo passare all’azione. All’orgogliosa risposta. Alla proposta. Deve esserci una svolta. Una svolta nel nostro modo di ragionare, di discutere di certi temi. Respingendo l’approssimazione, il confronto al ribasso e le battute da bar. Ed esigendo – a partire da noi stessi, sapendo che ci costerà fatica – una nuova qualità tanto degli argomenti quanto dell’argomentazione. Ci deve essere una svolta in chi fa, per chi fa informazione. Che deve dimostrare di essere all’altezza del proprio compito, dell’intelligenza dei lettori, della complessità della realtà. Ci deve essere una svolta nelle risposte politiche. Non più ricalcate – a sinistra – su quelle della destra. O basate sui sondaggi del giorno prima, che negli anni scorsi hanno imposto il mantra della «sicurezza», intesa soltanto come «ordine pubblico».

Ci deve essere una svolta, insomma, nel pensare alla società «multiculturale». Non si tratta di trovare la pietra filosofale. Basterebbe, per cominciare, partire dalle tante elaborazioni, sperimentazioni, iniziative costruite negli anni da chi ha lavorato sul territorio. E a cui spesso urlatori, piazzisti, improvvisatori – anche a sinistra – hanno sottratto visibilità sui media, nelle istituzioni. È una voce collettiva quella che va ripresa. Una voce che leghi le tante esperienze già svolte, i tanti contenuti già discussi, negoziati, condivisi: all’interno di un progetto di lunga durata, svincolato – finalmente – dall’emergenza (altra parola a cui ci siamo, colpevolmente, assuefatti, nella mistificante retorica di questi anni). Una voce che non soltanto si opponga alla barbarie, ma che senza timore, a testa alta, si esponga. Una voce che – sui razzismi e sui leghismi – progressivamente si imponga.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/12/16/cittadinanza-punti-leghisti/178083/

Nemico del popolo?

tafazzi.jpgScioperi dei trasporti
e dei dipendenti pubblici
 
​Disagi nei prossimi giorni per gli scioperi indetti per protestare, tra l’altro, contro la manovra da oltre 30 miliardi del governo di Mario Monti. Giovedì e venerdì sarà la volta dei lavoratori delle ferrovie e del trasporto pubblico che manifesteranno a sostegno della vertenza per la sottoscrizione del nuovo contratto della mobilità, «rimasta irrisolta e aggravatasi con i tagli ai finanziamenti al trasporto locale ed al cosiddetto servizio ferroviario universale, a causa delle disposizioni del governo Berlusconi», come si legge in una nota.

Nell’ambito di questa agitazione – proclamata da Filt Cgil, Fit Cisl, Uiltrasporti, Ugltrasporti, Orsa Trasporti, Faisa e Fast – incroceranno le braccia giovedì 15 dicembre tutti gli addetti ai bus che effettuano i servizi extra-urbani mentre venerdì 16 la protesta interesserà il personale di bus, metro e tram dei servizi urbani. Gli addetti al trasporto ferroviario si fermeranno dalle 21 del 15 dicembre alla stessa ora del 16.

DIPENDENTI PUBBLICI IL 19 DICEMBRE
La settimana prossima invece – lunedì 19 dicembre – sarà la volta dei dipendenti del pubblico impiego che si asterranno dal lavoro per otto ore per protestare contro la manovra del governo Monti. Anche in questo caso si tratta di uno sciopero unitario contro la manovra considerata «fortemente iniqua per lavoratori dipendenti e pensionati e che sconta l’inaccettabile assenza di confronto con le parti sociali».

A rischio di beccarmi la nomea di “nemico del popolo” o, più banalmente, di fissato antisindacale e sfidando le ire di amici e compagni, riporto il suddetto articoletto a stampa (viene da “Avvenire”, ma poco importa) per concretizzare quanto già detto e scritto sulla necessità di adeguare gli strumenti di protesta alla contemporaneità senza rimanere vincolati a strumenti ormai divenuti obsoleti, rituali e autolesionisti.

Il 15 e 16 sciopero dei trasporti. Bus fermi, metro ferme. Tutti in auto a bestemmiare come turchi (che poi di certo non bestemmiano: bestemmiano solo i cattolici e in particolare gli italiani, chissà perchè?). Pendolari appiedati, studenti a casa. Tutta gente che apprezzerà moltissimo-ne sono certo- le ragioni dell’agitazione. Come una sasso in una scarpa o una spina nell’alluce. Gente che lavora e studia, i famosi “deboli” che diciamo di voler difendere, mollati all’acqua. Immagino che Moretti, informato dell’iniziativa sindacale, sarà precipitato in un profondo stato di depressione, lo vedo dietro la sua scrivania megagalattica, versare calde lacrime sulla poltrona in pelle umana.

Eh, sì, gliel’abbiamo fatta vedere noi a quello lì!

Già. L’azione di protesta dovrebbe danneggiare il “padrone” e aumentare il consenso alle ragioni della protesta. Così era nel secolo scorso (e prima ancora). Ma oggi? Il 15 e 16 Moretti continuerà la sua politica, gli enti locali continueranno ad affidare i trasporti locali a un personale politico impresentabile e amen. La gente sarà solo incapperata verso chi lo sciopero lo fa e gli arreca un danno senza nessun ritorno, visto che ormai i trasporti locali sono per gli “sfigati”, proprio quelli per i quali si dice di scioperare.

Massimo danno (a se stessi) con il massimo sforzo. Perfetto.

 

Per tagliare bisogna studiare (Luca Ricolfi)

Ogni volta che un governo prova a tagliare la spesa pubblica – un mostro che ogni anno costa qualcosa come 700 miliardi di euro, più o meno la metà dell’intero prodotto nazionale – le reazioni sono immancabilmente due: la (comprensibile) protesta da parte degli interessi colpiti, e il biasimo nei confronti del governo.

Al governo si rimprovera di non essere capace di colpire i «veri» privilegiati, di non essere capace di individuare i «veri» sprechi, di non sapere intervenire sulle «vere» inefficienze. Parti sociali, gruppi di pressione e singoli cittadini più o meno indignati si uniscono in una sacra crociata contro i «tagli lineari», spesso dando ad intendere che, ove i tagli stessi non fossero lineari, coloro che protestano ne sarebbero esenti.

Tutto ciò, è importante sottolinearlo, succede indipendentemente dal colore politico del governo.
Di praticare tagli lineari, indiscriminati e quindi ingiusti, veniva accusato Padoa Schioppa, di tagli lineari veniva accusato Tremonti, di tagli lineari viene ora accusato Monti. I governi cambiano ma i tagli restano sempre lineari. Sembra proprio che nessun governo sia capace di procedere a tagli non lineari, ossia tagli mirati, selettivi, chirurgici. E anche per questo tutte le manovre, che le faccia la sinistra, che le faccia la destra, o che le faccia un governo tecnico, finiscono sempre per puntare più sugli aumenti delle tasse che sui tagli alla spesa.
È un fatto rilevante, perché una correzione di 20 miliardi fatta con 15, con 10, o con 5 miliardi di tasse in più ha effetti profondamente diversi sulla crescita, e quindi sul futuro di un paese. Se gli aumenti di tasse sono eccessivi e/o mal indirizzati, i rischi di recessione aumentano, e la correzione può non bastare. Si deve procedere a un’altra correzione, che a sua volta rischia di rendere ancora più difficile un ritorno alla crescita, in una spirale che può durare anni.

Ma perché è così difficile evitare tagli che sono o appaiono lineari, e quindi ingiusti?
Una ragione che spesso si dimentica è che, nella maggior parte degli ambiti di spesa, e in particolare nella sanità, nella scuola, nella giustizia, nei servizi pubblici locali, per disporre di un piano di tagli «non lineari» e ragionevoli, ci vogliono almeno un paio di anni di studi. Un partito, una forza politica, una coalizione che aspiri a governare un Paese, dovrebbe avere i cassetti pieni di decine e decine di piani operativi, frutto di studi accurati, analitici, dettagliati. Non basta sapere che nell’erogazione di un servizio ci sono 15-20 miliardi di sprechi (è il caso della sanità italiana) ma occorre sapere con estrema precisione dove gli sprechi si annidano: in quali regioni, in quali ospedali, in quali reparti, per quali prestazioni. Quel che occorrerebbe, in altre parole, non è solo una spending review, ossia una ricognizione generale delle inefficienze della Pubblica amministrazione come quella avviata a suo tempo dal governo Prodi (e colpevolmente congelata dal governo Berlusconi), ma una miriade di micro-analisi, una rete di piani di intervento, di progetti di trasformazione, supportati da anni di analisi particolari. Quando la politica «decide» qualcosa – riformare la sanità, dismettere parte del patrimonio pubblico, ridurre gli sprechi di un servizio – dovrebbe avere già i piani operativi pronti, come li hanno gli stati maggiori degli eserciti. Nessun Paese è privo di piani militari di difesa, nessun Paese rinuncia ad aggiornarli costantemente, perché in caso di attacco bisogna essere in grado di reagire subito, non c’è il tempo per riunirsi, studiare, discutere, dibattere, nominare commissioni. Invece le forze politiche, pur sapendo da almeno venti anni quali sono i problemi strutturali dell’Italia, sono del tutto prive di piani operativi (non hanno studiato!), tanto è vero che, quando decidono di intervenire su qualcosa, invariabilmente procedono nominando una commissione «per studiare il problema», come se il problema fosse sorto in quel momento. Ma quella commissione, di nuovo, non avrà tempo per studiare. E così la storia si ripete all’infinito.

Insomma, solo l’emergenza muove la politica, ma proprio la mancanza di piani operativi la rende incapace di fronteggiare efficacemente le emergenze. Così non siamo mai pronti, e rischiamo di perdere la guerra.

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9540

Guarda un po’…

ArteGenioFollia1.jpgSempre a dir male della gente, che in fondo la politica è così perchè ci meritiamo quelli che eleggiamo, etc… Invece-forse-non è proprio così. Per quanto può valere un sondaggio, pare che la maggioranza degli elettori, pur giudicando non equa la manovra, ritenga indispensabile approvarla. Sano, diffuso, utile, buonsenso.

Mentre ci tocca leggere i lamenti e i barriti di pensionandi e affini (capisco che rompa andare in pensione 2 anni dopo, ma pensare a quelli che in pensione non andranno mai, no?), di sindacati, segretari e congiunti, forse qualcuno ha recepito, più o meno consciamente la questione: o così o arrivederci, pluf, sbang, crack! Le misure sono quelle che la realtà consente: Monti ha la fiducia di QUESTO Parlamento, non di quello che sognamo dopo un bella bevuta. Non c’è la patrimoniale! La Chiesa non paga l’ICI! Ma dai! Davvero? E queste due riformine chi te le votava? Casini? Alfano?

Primum vivere, deinde philosofari, dicevano i nostri padri. Appunto. Poi ognuno è libero di masturbarsi come vuole lanciando strali contro la Bocconi, le banche, le multinazionali, le spese militari et similia, ma sono-signora mia, scusi il termine poco elegante-pippe. Abbiamo vissuto per anni oltre le nostre possibilità, prima o poi la pioggia doveva arrivare. Abbiamo accettato l’evasione (quante fatture abbiamo preteso dall’idraulico?), la fine di ogni meritocrazia, abbiamo pensionati che pagheremo fino alla loro scomparsa il doppio o il triplo di quanto hanno versato, il liberismo domina perchè non abbiamo saputo pensare altro che un trito, eterno, assistenzialismo. Abbiamo eletto gente senza arte nè parte che nella migliore delle ipotesi non hanno fatto il nulla più spinto e ora veniamo a prendercela con chi deve fare il lavoro sporco per ripulire il nostro guano? Ogni riforma (piccola o grande) erode privilegi, cambia equilibri, il costume nazionale (destra e sinistra in questo affratellati) è nel più perfetto stile andreottiano: “Quieta non movere et mota quietare” (Non muovere ciò che è fermo e ferma ciò che si muove”), alla faccia dei giovani e dell’innovazione.

Per tre anni siamo stati amministrati da nani, puttane e buffoni con la logica di un macaco ubriaco e dopo 20 giorni di Monti già siamo a proporre scioperi? Ripeto il vecchio adagio “Quos vult perdere Deus dementat” (quelli che vuole mandare alla malore Dio li fa impazzire), perchè non trovo nessuna altra spiegazione onorevole a quello che sento proferire dai sindacati. Una specie di collettiva perdita di contatto con la realtà: si scambia la realtà con i nostri desideri, sogni, insomma l’ideologia più spinta e tragica, fingere il mondo per come lo si vorrebbe e non per quello che è.

Good Night and good luck!

 sondaggio in: http://www.repubblica.it/politica/sondaggi/2011/12/06/news/la_manovra_non_equa_ma_va_approvata_alla_svelta-26152452/?ref=HREA-1

Se incontrate un French Bulldog Poppi…

Immagine-1.pngSe, aggirandovi per il Fidenza Outlet (vicino Parma), vi trovate accerchiati da un branco di cani, non vi spaventate. Sono i French Bulldog Poppi, le colorate sculture dell’artista Felipão, che riproducono alla perfezione i nostri amici a quattro zampe, ma «agghindati» in chiave pop. Con il suo tocco eclettico, il creativo madrileno presenta nei centri del circuito internazionali Chic Outlet Shopping l’installazione Fashion & Chic con tredici pezzi unici, mentre una linea di t-shirt, con il ritratto di un cucciolo, viene venduta per raccogliere fondi a favore della onlus animalista National Friends of Animals Association.

C’è aria di Natale invece nei Designer Outlets McArthurGlen di Barberino del Mugello (Firenze), Castel Romano (Roma), Marcianise (Caserta), Noventa di Piave (Venezia) e Serravalle Scrivia (Alessandria), che danno il via al conto alla rovescia per le feste accendendo il grande albero al centro della piazza principale dei rispettivi centri. Si farà shopping tra giochi di luce, cori gospel e soprattutto, prezzi scontati. E visto che a Natale è tempo di doni, Castel Romano Designer Outlet regalerà dieci Fiat 500, La Reggia di Marcianise premierà con abiti e accessori i vincitori del concorso Win your Christmas Style (mcarthurglen.it) e Serravalle offre la consulenza di cinque fashion-blogger per chi venisse colto dal panico da compere. E per non perdere la pazienza tra fiocchi e nastri, un apposito team penserà poi a fare i pacchi. (micol passariello)

 

Il venerdì Repubblica, 25.11.2011

 

French Bulldog Poppi?

Il creativo madrileno?

Fashion & Chic

fashion-blogger?

Panico da compere?

Un team apposito per fare i pacchi?

Shopping tra giochi di luce, cori gospel?

 

Favoletta di Natale

 

Me ne andavo un giorno passeggiando per Fidenza

quando vidi per strada una credenza:

che ci faceva tutta soletta,

abbandonata accanto a un voltafieno,

così lontana dal fiume Reno?

Per fortuna spuntò un creativo madrileno

che sogghignando mi disse,

sbarrando tanto d’occhi:

“E’ tutta colpa dei French Bulldog Poppi!

Tutti presi dai fashion blogger con tanto di tacchi

si son scordati del team apposito per i pacchi!”

Fui preso e travolto dal panico di compere supreme,

che mi scosse il cor e insiem le vene,

Fashion & chic non fanno male,

festeggiam pure il Natale,

ma come fare shopping tra giochi di luce, cori gospel e tante merde

se ancora una volta son rimasto al verde?

Dopo il 25 luglio viene l’8 settembre

“Bisogna saper scegliere in tempo, non arrivarci per contrarietà” ci ricorda il poeta e noi, ovviamente, noi italiani ci siamo arrivati per contrarietà. Non riusciamo neppure a festeggiare la caduta del vecchio suino, i tappi di spumante sono rimasti nella gabbietta perché non si sa se potremo permetterci un’altra bottiglia domani.

Ora, speriamo, arriverà SuperMario Monti, l’uomo giusto al posto giusto. Ma il suo arrivo, che speriamo riesca a frenare la caduta, testimonia soprattutto della fine della nostra classe dirigente. Tutta. Il buon Napisan l’ha coperto con il laticlavio di senatore a vita (a proposito, ricordate quando il suino ventilò la nomina di Mike Buongiorno? Tempi spensierati quelli…) quasi ad attutire la dimostrazione del fallimento della politica rappresentata da questa classe dirigente. L’8 settembre ci fu chi se la diede a gambe (quelle corte di Sciaboletta), chi si chiuse in cantina, chi finì nel lager e chi pensò che era ora di cambiare, ma cambiare davvero.

La strada è quella, cambiare davvero. Bisogna arrivare sempre all’orlo del disastro per capire? Bisogna che ci sia Caporetto, l’8 settembre, Mani Pulite?

Dopo l’8 settembre si trattava di ripulire un paese corrotto e complice del fascismo, la Resistenza ci provò, poi la continuità ebbe la meglio sulla rottura e il “vento del nord” uscì al casello di Orte. Ora si tratta di cercare le fondamenta del nostro essere un paese europeo, non di blaterare di democrazia ferita perché qualcuno viene-per fortuna- a guardarci i casa dopo anni di libero cazzeggio morale ed economico. C’è da riprendere una dignità distrutta, sono stanco delle pacche sulle spalle degli amici stranieri, delle loro occhiate fra il pietoso e il divertito. L’Italia è stata fra i fondatori dell’Europa unita, riusciamo a ricordarcene?

Siamo finiti dove siamo per colpa di tutti, alcuni più di altri, ovvio, ma nessuno era in esilio in questi anni. E non solo sul piano politico ma-soprattutto-su quello etico e civile. Ci siamo abituati all’eccezione abiurando le regole.

Quante volte ci è capitato (e capita), di fronte a un dirigente/onorevole/preside/assessore/sindaco/direttore di pensare “ma questo qua chi lo ha messo qui?”, di fronte alla sua inadeguatezza, incapacità, sublime mediocrità. Abbiamo selezionato il peggio e ora ci lamentiamo? Ci siamo illusi che la macchina andasse avanti sui binari, chiunque fosse alla guida. Non è così, non lo è mai stato e adesso siamo su un aereo alla guida del quale, ancora per qualche giorno, sono seduti suini, puttane (per me l’Escort era solo quella della Ford), nani, socialdemoscoppiati. Riuscirà SuperMario ad attaccarsi alla cloche e “tirar su” il muso del nostro aereo?

Il mio consiglio sarebbe prima di buttare giù la zavorra, come si fa in questi casi. Far prendere una boccata d’aria a 3000 m. agli idioti. Vasto programma, come disse il buon De Gaulle.

E intanto la nostra bella sinistra che fa? Discetta di elezioni?! Invoca il primato della politica (?!), si abbandona a trip lisergici (Berlusconi sarebbe caduto grazie alla manifestazione del 5 a Roma..), litiga su Cicciobello Renzi, fonda correnti e movimenti “riformisti” (roba che se Camillo tornasse li prenderebbe a calcinculo) o dichiara che voterà contro Monti. Bene, bravi, è il miglior complimento che potete fargli, però poi dopo, uscite in silenzio per sempre e spegnete la luce. Grazie.

 

 

 

 

No, la valorizzazione no!!! Lasciate in pace S.Tommaso (il carcere non il santo)

Leggo sulla stampa odierna locale (Resto del Carlino) che si torna a parlare dell’ex carcere di S.Tommaso (“Per l’ex carcere c’è l’ipotesi dismissione del Demanio“). Nel quadro delle dismissioni previste nel maxi emendamento del governo (si fa per dire), beni demaniali sarebbero messi in vendita, fra questi il carcere (ora deposito dell’Archivio di Stato) e l’archivio notarile di via Emilia S.Stefano.

Il nostro SonderAssessore Spadoni ci informa che il comune aveva”..inoltrato richiesta di concessione all’ente locale per un progetto di valorizzazione...”.

E qui mi vengono i brividi, giù per la schiena e oltre. No, la “valorizzazione” no, tutto ma la “valorizzazione” no. Cos’è questa “valorizzazione”? Consiglio la lettura del suddetto lemma nel dizionario “Parole e pirlate dell’Italia contemporanea“, edito da Scureletture, Budrio 2011.

Valorizzazione“: s.f. a. Come prendere un bene pubblico e regalarlo ai privati; b. Come prendere un luogo storico e farci outlet, boutique del pene, piadinerie e negozi di calzature; c. Come prendere un luogo storico e di memoria e cancellarlo accuratamente dal patrimonio comunitario.

Il Carcere di S.Tommaso (già convento del Corpus Domini) è l’unico luogo di memoria giunto INTATTO a noi: da lì sono passati i Cervi prima di essere fucilati (la loro cella è ancora come quella mattina del dicembre 1943), tutti gli antifascisti reggiani arrestati negli anni ’30 e ’40, i dieci ebrei reggiani finiti ad Auschwitz furono tenuti lì (e i registri del carcere lo confermano). Davanti al carcere il 26 luglio 1943 la folla chiese e ottenne la liberazione dei detenuti politici. E tutto è-per fortuna-ancora lì. Un luogo di memoria unico, nel centro della città, ci è giunto miracolosamente e che noi che pensiamo di farne? Valorizzarlo???

No. Basta. non ne posso più di queste valorizzazioni. Ci raccontano di sapere, cultura e poi? Appena si diffonde nell’aria il profumo del mattone questi qua vanno in trance, hanno orgasmi multipli e via che partono gli incarichi-progetti a architetti penici e penosi che costano talleri su talleri e rimangono (per fortuna!!) sulla carta. Carte costose, ma meglio carta che cemento, signora mia!!

Vogliamo parlare dei Civici Musei? Dello sventramento operato? Dei dieci anni di cantiere che hanno trasformato il palazzo S.Francesco nella biblioteca di Serajevo? E Dio benedica il patto di stabilità e Tremonti (sfpd) che impedisce che parta il progetto Rota (con funghetti e onanistiche stanze del tempo..).

Valorizzazione? Svendita, cancellazione, lucro.

eingang_dokuzentrum.jpgMa è così difficile capire che un luogo di memoria è una risorsa non solo culturale ed etica ma anche economica? Fatevi un weekend a Norimberga e andate a vedere cos’hanno fatto sui luoghi delle adunate nazi. Pensate quante villette, maisonette, direzionali, outlet, svincoli e rotonde avrebbero potuto metter giù i norimberghesi (roba che Malagodj sarebbe andato a vivere là di corsa..), invece no.

Hanno fatto una VERA scelta di valorizzazione, culturale, etica ed eco-no-mi-ca. Investimento in sapere, luoghi di memoria, centri di documentazione dove migliaia di persone ogni anno vanno (portando eurini). http://www.museums.nuremberg.de/documentation-centre/

Qui si fanno le gallerie commerciali, petali, fiori e genialate varie, loro fanno altro.

Noi, illusi patetici, a Reggio rompiamo i cabasisi da anni per avere la “Memoria della città“, un luogo significativo dove che viene a Reggio possa trovare la nostra storia dell’ultimo secolo. Ogni città europea delle nostre dimensioni l’ha fatto o lo sta facendo. Loro pensano a “valorizzare” con outlet e negozi (senza tener conto del livello da terzo mondo dei nostri commercianti..).

Allora, appello ai potenti: non “valorizzate” S.Tommaso. Lasciatelo lì, con la sua polvere, i suo gatti/topi, le carte d’archivio. NON fate niente, fate finta, lasciatelo sciogliere, crollare dolcemente, tenete fuori le coop, gli immobiliaristi che hanno già devastato tutto. Fategli costruire ancora un po’ negli ultimi prati che restano case che nessuno compra più, ma S.Tommaso lasciatelo stare. Grazie.

p.s. visto che ormai sono vecchio e so come va (male) il mondo, a chi toccherà S.Tommaso lancio la maledizione dell’eremita Gualberto di Monforte (sec.XI): “Che ti si attacchino le dita alla matita che stai temperando nel temperino elettrico e che si temperino indice e pollice fino all’osso, che manchi la luce nel bagno e tu possa scambiare carta vetrata per la morbidosa carta igienica profumata, che tu possa restar chiuso in ascensore per sei ore con un petomane e un fumatore di toscano, che ti giunga alfine il caghetto a spruzzo fulminante mentre stai ascoltando l’ennesima conferenza dell’archistar di turno e-logicamente-la sala conferenze non sia dotata di alcun servizio igienico funzionante“. Amen.

Sulla moda.2 (ancora?)

 152337971-f80fd20b-a3d6-4eee-bfc4-b74c70295982.jpgSono un fedele lettore di Repubblica ma il sabato è una giornata dura. Con il quotidiano l’edicolante mi appioppa anche l’inserto D-Donna. Inserto. Si fa per dire. 300 pagine, un oggetto contundente, un magazine, come dicono quelli che hanno studiato al Cepu. E lì scatta il problema: la scelta. Che faccio? Le opzioni sono due: a. versione “braccino corto”: l’ho pagato, è mio; b. versione “libertaria”: è carta straccia, glielo lascio (oltre tutto pesa 4 etti e per chi va in bici ogni grammo conta) e chi se ne frega.

Comunque sia la scelta (confesso che di solito lo prendo, lo sfoglio in comoda posizione seduta-in quel luogo dove un’uomo/donna deve essere solo-strappo l’ultima pagina con l’articolo di Galimberti e, in media, 4 ore dopo l’edicola, l’inserto-magazine-mattone è nel mucchio della carta da riciclare.

Non sollevo proteste vetero-ecologiche pensando ai 4 alberelli sacrificati solo per fornire carta alla mia copia ma non riesco a non provare un misto di rivolta-indignazione-ironia di fronte a simili produzioni editoriali.

E’ chiaro il loro scopo, basta sfogliarli una volta: sono enormi, luccicanti, patinati esemplari di carta moschicida pubblicitaria. La pubblicità è lo scopo e l’obiettivo raggiunto: money as usual. Bene. Poi, dovendo chiudere qualche buco bianco nell’impaginato si inventano articoli, articolini, recensioni, consigli per i buyer.

Avviso i lettori, ma soprattutto le lettrici, che mi sto inoltrando in un terreno pericoloso, da obsoleto maschietto mi occuperò di faccende femminili. Chiedo venia in anticipo. Leggo sul sito del suddetto magazine:

 

[Donna, vocativo] Non devi per forza rinunciare alla sensualità e all’attitudine “easy dressing” conquistata durante le vacanze estive. Soprattutto se gli stilisti hanno proposto come quest’anno un’infinità di vestiti femminili e dal look vintage, ma non troppo, con misurate citazioni alla favolosa Swinging London e alla Catherine Deneuve di “Bella di giorno”. Il vestito, facile da indossare e abbinare, è infatti un passepartout molto amato, anche dalle dive che lo indossano volentieri anche sul red carpet (guarda la nostra gallery con i loro outfit). D.it ti propone 8 tendenze tra le quali scegliere l’abito che fa per te.

http://d.repubblica.it/argomenti/2011/09/22/foto/abiti_autunno_inverno-517845/1/

 

Compulso un dizionario moda-italiano e intuisco cosa c’è dietro a questo appello. Niente. O meglio la cosa più importante: compra. Se vuoi essere bella compra, se vuoi essere desiderata compra, se vuoi consolarti compra, comunque compra. Ho sempre avuto la ventura di frequentare, amare, sposare donne (1 sola, eh..) che di tutto ciò se ne infischiavano allegramente, ma mi rendo conto di essere stato fortunato. Anche su FB sento parlare di tacchi, animalier (??), shopping etc… Io non sono reale, FB lo è quindi ne prendo atto. E si torna al mio articolino di ieri sugli stilisti-sarti. Vado a vedermi la galleria di foto relative alle ultime sfilate. Belle. Bellissime. Bravi. Bravissimi. Però. Sono stato un fotografo e ho conosciuto altri fotografi. Pochissimi quelli che ammiravo, non perché non ce ne fossero di bravi ma perché io volevo di più della semplice tecnica, volevo l’idea, un pensiero dietro alla macchina. Mi accorsi che si poteva essere bravi, bastava esserci: auto da corsa? Basta essere abbastanza vicini. Foto di moda? Basta la modella, un buon parco luci e come fai a non fare buone foto?

Così la moda: prendi una diciassettenne semianoressica lettone, alta 1 e 80, occhi blu, capello biondo. Attirerebbe l’attenzione anche con una mia vecchia camicia da lavoro. Basterebbe lasciarla distrattamente aperta ed il gioco è fatto. Eleganza, moda, tendenza.

Io invece lancerei la sfida a questi geni del look, della citazione et similia. Prendete una casalinga di Bagnolo, una ragazza di Baiso. A caso. E vestitele. Capitele come sono davvero, cosa vogliono. Confrontatevi con curve reali, con gambe padane, con polpacci non proprio affusolati. La santa normalità. Siete geniali? Fate funzionare gli emisferi che mamma vi ha regalato. Sarebbe una bella sfida. Impossibile.

Il rischio è che la moda diventi anche, oltre il business che conosciamo, un elemento di infelicità per tante ragazze, donne, signore che già hanno i loro bei problemi. Si offrono modelli irreali, irraggiungibili, si innescano frustrazioni che si risolvono poi con tragiche scorciatoie (diete massacranti o peggio) o con grotteschi rimedi (plastiche, gomme, silicone e altro). Molte donne purtroppo sono disposte a comperare l’infelicità a caro prezzo, aiutate da maschi sempre più vincolati a standard “chic-bordello” (basta guardare l’immagine che si presenta in quelle intere pagine patinate) dove lo stesso stereotipo maschile è quello del “bello-muscolo-impossibile”. Due infelicità che si rincorrono.

 

p.s. Una domanda che ancora non ha trovato risposta: perché tutte queste fanciulle che troviamo sulle pagine delle riviste di moda e/o in tv nelle sfilate hanno sempre una sola espressione sui loro bei faccini: “sono incazzata nera e te la farò pagare?” Perché? Sono giovani, bellissime, superpagate, non conoscono l’odore del fritto misto per le scale, né la calza smagliata alle 8 del mattino o la suocera con badante. E sono incazzate. Perché?