Predicozzo di Natale

Auguri.

L’anno sta mollemente avviandosi alla fine sotto i cieli bigi e nebbiosi della Padania. Qui a Fortezza Bastiani, stelle fredde nella notte e tagli di luce nelle giornate più corte dell’anno. Intanto, come giusto, il “mondo continua e va avanti con noi o senza e ogni cosa si crea su ciò che muore e ogni nuova idea …”.

Per i miei amici credenti è arrivato il nuovo Vescovo, così potranno ricordarsi di me ogni domenica al momento della preghiera quando invocheranno Massimo, lo stesso per i miei antipatizzanti che non potranno fare a meno di risentire il mio nome. Basta poco per essere felici.

Noto che nelle scorse settimane si pregava ancora per “Adriano, il suo ausiliare Lorenzo e il vescovo eletto Massimo”. Eletto da chi? Residuo linguistico di quando davvero i vescovi erano eletti dai fedeli. Ora sarà meglio interpretare quel “eletto” nel senso latino, participio passato di eligo, scegliere, scelto. Scelto. Nominato. Vabbè, contenti loro…

Eletto, quindi elezioni. I miei 25 lettori avranno, forse, letto il post in cui raccontavo le mie disavventure di apprendista elettore primario. Il tempo passa ed è galantuomo. Mi stupisco, consentitemi una tantum l’immodestia, della mia inaspettata lucidità di analisi. La mia vecchia prozia Elvira, Dio l’abbia in gloria, talvolta bofonchiava “’gioun mèe…”, che nel suo bel dialetto significava “ho ragione io..”. Beh, avevo ragione io. Le cose erano sbagliate e ne abbiamo oggi la estrema dimostrazione. Consentitemi una sintesi: 1. Il 25 novembre si tennero le Primarie di coalizione (non del solo PD); 2. Si registrarono quindi anche, legittimamente, elettori di SeL (candidato Vendola) e dell’UDC (candidato Tabacci); 3. Al ballottaggio le iscrizioni non furono riapertee non lo saranno per le primarie del 30; 4. Per le Primarie del 30 (che sono primarie per i candidati del PD) faranno fede quelle liste.

Ergo la situazione gogoliana è questa: alle Primarie del 30 per i candidati del PD potranno votare elettori di SEL e UDC ma non potranno votare potenziali elettori del PD. Perfetto. Geniale. Primo caso in una democrazia occidentale in cui è il partito a scegliere i propri elettori, anzichè lasciare a questi il diritto di scelta.

Demagogia, demagogia, per piccina che tu sia…bastava poco per non cadere in questa ridicola situazione. Lasciar perdere le proclamazione di democrazia, perché porti alle urne un paio di milioni di persone, e dichiarare onestamente che quelle erano le primarie interne del PD e che, quindi (giustamente) erano ammessi al voto solo gli iscritti al PD. Punto, finito. Nessuna figuretta penosa e stop alle polemiche. Del resto se qualcuno avesse dubbi basta vedere gli esiti del sofisticato e geniale meccanismo di selezione dei candidati in terra reggiana: 7 su 7 persone (ottime, figurarsi) interne allle strutture politiche e amministrative del partito (2 parlamentari uscenti, 1 consigliere regionale, 1 sindaco, 1 assessore, 1 presidente Circoscrizione, 1 segretario comunale del PD). Il mondo esterno? Seguirà alle urne.

Il governo dello zio Mario ha rassegnato le dimissioni. L’ora di lezione è finita si può tornare alla ricreazione. Il buon vecchio Napo chiamò i tecnici perché i “politici” non erano presentabili, né credibili per salvare il paese dal crollo. Destra e sinistra. Buon senso avrebbe voluto che in questa ora di lezione i discoli avessero messo la testa a posto, qualcuno fosse stato cacciato, per ridare voce alla “politica”, come pomposamente si è sentito dire a destra come a sinistra in questi mesi.

Nulla. Il parlamento ha resistito fino all’ultimo, arroccato come neanche a Stalingrado, per difendere sè stesso e, a caduta, lobby, club, circoli, bocciofile, tutti impegnati e voraci a perpetuare un paese in agonia.

Perché in questo paese non funziona nulla, lo vediamo ogni giorno, dai cessi degli autogrill che non riusciamo a tener puliti, agli apparati di uno Stato che per mantenere gli inutili deve continuare ad essere inefficiente, nell’amministrazione come nella scuola, nelle forze armate come nella sanità. Eppure se solo si prova ad avviare, che so, una timida riforma delle viti e dei bulloni, ecco insorgere tre sindacati del cacciavite, due associazioni di categoria della rondella e subito un bel corteo e sciopero al grido “giù le mani dalla brugola”. Fine della riforma.

 fellini_prova_orchestra_r4_c1.jpgIn questi mesi ho ripensato ad un piccolo film dimenticato di Federico Fellini “Prova d’orchestra”: un gruppo musicale in sala prove litiga, urla, bercia, si ribella al direttore, lo esautora. Ognuno vuol dirigere a modo suo, caos completo. All’improvviso un rumore sordo, un tonfo sovrastano le grida dei professori, poi il muro di fondo dell’auditorium viene sfondato da un’enorme palla metallica che una ruspa usa per demolire l’edificio. Ecco da noi quella enorme palla è già arrivata, chiamatela crisi economica, morale, delle classi dirigenti. Ci siamo salvati, per ora, grazie allo zio Mario e ai sacrifici fatti da noi tutti ma siamo pronti già a ributtare via tutto.

Il mondo è cambiato, basta andare a Chiasso e guardare cento metri oltre ma noi ci ostiniamo in riti vecchi di un secolo (scioperi e cortei), crediamo nei complotti del capitale internazionale, promettiamo l’abolizione dell’IMU, pensiamo che basterà tirar fuori ancora soldi dello Stato (cioè da noi) per sistemare tutto e via andando. Si combatte il liberismo ma non si costruisce un’alternativa reale di società. Il vecchio Camillo (Prampolini) sapeva bene qual’era la meta poi fu sorpassato a sinistra da chi pensava che a fucilate si risolvessero le cose. Se ne sono accorti qualche milione di morti dopo. La Repubblica di Weimar fu abbattuta non solo dai nazi ma dai comunisti che volevano i soviet e disprezzavano la democrazia “borghese”. Tant’è che nel 1939 Ribbentrop e Molotov si trovarono benissimo a cena insieme. E l’Europa saltò in aria. Oggi l’Europa è il nostro cortile e la nostra speranza, ma ne siamo davvero convinti? L’ora di lezione sembra passata invano.

A destra un povero vecchio isterico plastificato urla e richiama il suo manipolo di manigoldi, puttane e ricattati contando sulla pancia oscura e melmosa di un paese da terzo mondo, qua e là incazzati in buona fede (più o meno) seguono l’ennesimo guru che fa sembrare Scientology quasi una cosa seria, al centro si aspetta la telefonata del card.Bagnasco anche per andare in bagno, un poco più a sinistra sono già pronti all’eterna gara “io ce l’ho più lungo del tuo..” (capite perché si dà poco spazio alle donne…), all’estrema si dà libero sfogo alla fantasia dadaista (“meno F35 e più asili”).

Il tutto con un contorno, per non farci mancare nulla, di nazisti della Garbatella, leghisti del rutto libero e integralisti del Sant’Uffizio.

Un bel paese, non c’è che dire. A me basterebbero anche soltanto i cessi puliti in autogrill, ma lo so, è chiedere troppo…

“La Storia del mondo è passata di qui. Ora questi luoghi parlino”

intervista di Gabriele Arlotti (Redacon, 6.12.2012)         

Lungo la Linea Gotica si fronteggiarono le cancellerie del pianeta. Lo storico Massimo Storchi lancia un appello: “venendo meno i testimoni, siano i luoghi a parlare”. L’Appennino al centro della storia del ‘900 “deve ritrovare il modo di raccontare degli uomini di quindici nazionalità diverse che qui si affrontarono”. “Le montagne sono state un crocevia di libertà: qui, tra guerra e orrori, accaddero gesti straordinari”. All’orizzonte anche “possibilità di un turismo culturale, con ricadute economiche” 

In Appennino, quasi settanta anni fa, si incrociarono i destini del mondo. E buona parte delle sorti del secondo conflitto mondiale. Ma nei luoghi che contribuirono a segnare le sorti del mondo, proprio nelle nostre montagne, non resta traccia. Una “denuncia” che accogliamo alla presentazione del libro “Si accende il buio” – oggi per altro ripresa da Repubblica – per voce di Massimo Storchi, storico della Resistenza, responsabile scientifico del Polo Archivistico Comune Reggio Emilia.

Massimo Storchi, stiamo parlando di vicende delle quali restano sempre meno protagonisti…

“Sì. Ma con la progressiva scomparsa dei testimoni i luoghi assumono un ruolo centrale nella trasmissione della memoria, assumendo a pieno titolo il ruolo di una fonte storica insostituibile. Però come ogni fonte deve essere possibile esaminarli, interrogarli, valutarli, inserirli nel contesto che li ha prodotti. Il rischio è una fonte ‘muta’, incapace di trasmettere alcunché”.

L’Appennino, il tal senso, ha luoghi di forte memoria?

“Le rispondo dicendole che la nostra montagna si pone come un ‘patrimonio culturale’ di assoluto rilievo per la nostra storia contemporanea e che rimane invece una risorsa inespressa. Un gigante sonnolento e incapace di mettere in campo tutte le sue potenzialità”.

In questi luoghi durante il secondo conflitto mondiale cosa è successo?

“Negli anni della guerra e ancor più della Resistenza la montagna reggiana (nel contesto della Linea Gotica) è stata, per la prima volta nella sua millenaria storia, al centro della storia mondiale. Quello che accadeva sui nostri monti era oggetto di interesse nella cancellerie europee da Londra a Mosca e oltreoceano. Sui nostri sentieri hanno marciato, hanno combattuto e si sono incontrati uomini di oltre quindici nazionalità, lasciando un segno, nel bene (come il caso del piccolo Francesco Zambonini, fatto nascere a Case Balocchi da un soldato tedesco), come nell’orrore (la strage di Cervarolo) indelebile”.

“Le nostre montagne – prosegue Storchi – sono state un crocevia di libertà: ufficiali inglesi hanno combattuto con i nostri ragazzi, con i soldati russi, con i tedeschi disertori, con olandesi, australiani per sconfiggere il progetto nazista e fascista di schiavitù. Hanno vissuto nei nostri borghi, accolti dalle popolazioni, alloggiati nelle canoniche, quotidiani luoghi di carità. Parroci hanno dato la vita come don Pasquino o don Battista, altri hanno rischiato la propria per salvare ebrei, come don Enzo Bonibaldoni (oggi riconosciuto Giusto di Israele a Gerusalemme). Questa una storia, fatta di gesti straordinari ma anche di sacrifici piccoli e grandi dimenticati e cancellati dal tempo, sacrifici della nostra gente, dura e tenace”.

Di questa storia e della memoria che ha sedimentato cosa rimane?

“Mi chiedo se i nostri luoghi, dove è passata la storia mondiale sanno parlare a chi vuole ascoltare? Chi sa che la canonica di Febbio fu sede del comando partigiano e a pochi metri fu ucciso Luciano Fornaciari, 19 anni, medaglia d’argento? La canonica di don Pasquino resiste un terremoto dopo l’altro, ma ce ne ricordiamo solo il 25 aprile. Lama Golese era sede del ‘distretto’ partigiano, ma per trovare il monumento bisogna frugare nel bosco. Non esiste fra Bettola (con il suo monumento “muto” e il Cusna un luogo dove il turista possa leggere, trovare, capire qualcosa. Stiamo lavorando per costruire un futuro consapevole o lasceremo (per inerzia e superficialità) che il tempo cancelli definitivamente ogni cosa?”

Il rischio quale è?

“Che tra poco i vecchi non potranno più raccontare la loro vita. A noi, cittadini e storici, il compito di non disperdere questo patrimonio: ‘quello che avete udito raccontatelo ai vostri figli’. Un impegno non piccolo ma necessario da svolgere senza retorica ma con la consapevolezza della sua importanza. Non esiste il “dovere della memoria”, si può anche scegliere l’oblio, ma assumendosene poi le conseguenze”.

Oltre alla memoria le prospettive di una simile operazione capace di far parlare i luoghi quali potrebbero essere?

“In questi giorni – risponde Storchi – si sono aperte le iscrizioni ai Sentieri Partigiani del settembre 2013, in poche settimane, come nell’edizione 2012, registreremo ancora ‘sold out’. Tutto esaurito, con relativa lista di attesa. Un centinaio di giovani europei verranno sui nostri monti, percorreranno i sentieri, vedranno i luoghi. E riporteranno in Europa la nostra montagna. Si chiama turismo culturale. Cultura ed educazione civile certo ma anche legittima (e benvenuta) ricaduta economica”. (G. A.)

Much ado for nothing (tanto rumore per nulla)

molto_rumore_per_nulla_09.jpgLunedì di sole in val Padana. Tutto bene quel che finisce bene. Le primarie si sono concluse con un bella partecipazione di popolo, forse un segnale positivo di recupero di parte di quel gap fra politica e cittadini di cui il belpaese ha bisogno. Belle giornate di democrazia. Bene. E io, chiederanno i miei 25 lettori? Renzi, Bersani? E prima ancora Vendola, Tabacci, Puppato? Spiacente. Storchi n.p.. Non pervenuto o, meglio, non partecipante.
Premetto che ritengo il voto un diritto troppo importante per non esercitarlo, penso solo a quanti si sono lasciati uccidere perchè noi potessimo liberamente scegliere chi ci rappresenta o, più modestamente, esprimere un giudizio, una opinione. Per questo ho sempre votato, a denti stretti, magari pensando ad altro (sempre più di frequente negli ultimi anni), ma ho votato.
Questa volta no. Domenica 25 per scelta, domenica 2 perché non mi è stato consentito.
Per scelta perché erano almeno quattro le questioni che mi tenevano lontano dai gazebo: 1. La lotta Bersani-Renzi mi sembrava troppo simile alla resa dei conti fra comunisti e democristiani e, non essendo mai stato nè uno nè l’altro, mi sembrava un segno dell’acronismo dei tempi presenti; 2. La stessa scelta di tanti personaggi (piccoli e grandi, locali e nazionali) fra B. e R. mi ricordava lo spettacolo delle formula 1 alla prima curva del GP: tutti lanciati a trovare lo spiraglio giusto per arrivare avanti e piazzarsi il meglio possibile; 3. La scelta di un candidato premier senza sapere con quale legge elettorale voteremo in primavera mi sembrava un po’ improvvisata; 4. La vaghezza dei programmi di tutti i candidati non mi rassicurava di fronte ai problemi del paese e non mi garantiva nel prosieguo dell’operazione-salvataggio avviata (pur con troppe difficoltà) dal governo Monti.
Non ho votato. Me ne sono stato a Fortezza Bastiani a scrivere, leggermi un libro e pensare alla caducità della vita. Lunedì ho visto e letto dei risultati e, chissà, forse memore del vecchio detto “Chi si estranea dalla lotta è un gran figlio di mignotta” e avendo troppa stima e riconoscenza per mia madre (che Dio la salvi nell’alto dei cieli, amen) mi sono informato come rientrare in gioco.
E qui inizia la parte divertente, gogoliana (le anime morte) o pirandelliana (il gioco delle parti). Cronistoria per l’inclito pubblico: martedì incontro 3 augusti esponenti del PD locale, compreso il leader dei renziani e chiedo loro lumi. Che devo fare per votare al ballottaggio? Si guardano in viso come avessi chiesto l’IBAN di Marchionne. Boh, non so, chissà… Vado a consultare il sito del locale PD e trovo la risposta: “Chi non ha votato il 25 e non è registrato potrà farlo solo nelle giornate del 29 e 30 presso le locali Federazioni”. Bene, giusto, logico. Un amico mi tranquillizza: on line c’è anche un video di Berlinguer (garante dei garanti) che conferma la stessa cosa. Solo due giorni e in luoghi limitati. Penso che un elettore mancato di Collagna non sia comodo venire fino a Reggio in giornate di lavoro, ma chi se ne frega, io abito in centro…
A questo punto parte una giostra che nemmeno Faydeau avrebbe immaginato. Si vota sì, no non si può, c’è la delibera, la controdelibera. E poi l’epifania, la rivelazione, il verbo si incarna ed il logos promana tutto il suo potere. Potrà votare solo chi, registrandosi nei giorni suddetti, porterà la “giustificazione” per l’assenza alla prima tornata. “Giustificazione” da presentare a tre “garanti” che valuteranno se accettarla o no.
Leggo e rileggo il testo della rivelazione. Anche Saulo, caduto da cavallo e rialzatosi, impiegò qualche giorno per riprendersi dalla cecità e capire cos’era accaduto sulla via di Damasco, figurarsi il povero Storchi.
Penso e ripenso e capisco una cosa: io che avrei voluto essere elettore del centrosinistra, ma non sono iscritto nè a Pd, SEL o PSI avrei dovuto presentarmi davanti a tre signori, espressi da questi partiti, per “giustificarmi”. Tre signori che non rappresentano nulla, anzi meno. Sia chiaro, non parlo delle tre persone (che pure conosco) ma del ruolo, della loro funzione. Presentarmi per “giustificarmi” di una scelta personale, libera e democratica? L’ultima volta che ho presentato una “giustificazione” correva l’anno 1973 e rimasi a casa per 25 giorni dal Liceo per polmonite. La mia mamma scrisse “motivi di salute” e tornai in classe (con relativo certificato medico). Ma ora? Giustificarmi? Ma se non mi giustifico nemmeno con mia moglie, vista la fiducia che regna fra coniugi!
Da piccolo storico di provincia mi viene in mente il febbraio 1951 quando, dopo lo strappo di Valdo Magnani, i compagni furono convocati davanti a una Commissione per ribadire la loro incrollabile fedeltà al partito e all’idea. 61 anni fa.
Mentre sono preso in queste considerazioni leggo cose meravigliose: un onorevole (nostro dipendente a caro prezzo) insulta che non si è registrato e poi ha cambiato idea; mi accorgo di essere divenuto ufficialmente un leghista-forzaitaliota-infiltrato; amici mi dicono compunti “le regole sono regole e non si cambiano” (Berlinguer manco lui le sapeva le regole?). Poi un amico un po’ più paziente e pietoso mi spiega che si tratta di difendere la sinistra dai nemici occulti della reazione in agguato, dai servi del neoliberismo che vogliono picchiare gli operai, togliere la pensione alle vecchiette e comperare gli F35.
Cionfoli! E io che avevo solo cambiato idea e mi sarebbe piaciuto dare il mio contributo alla scelta del (forse) leader! Vedi che roba la vita, ti distrai un attimo e ti trovi con la camicia nera addosso!
Ultima ratio tento la registrazione on line, motivazione che inserisco nella casellina “motivi di lavoro” (ma potevo scriverci “capperi miei”?), entro sabato mi faranno sapere…Ma sabato mi arriva una mail minacciosa:

Ricordiamo che solo il Coordinamento Provinciale “Primarie Italia Bene Comune” di Reggio Emilia può autorizzare la straordinarietà dell’iscrizione al ballottaggio del 2 dicembre.
Se non riceve l’accoglimento positivo della sua richiesta dal suddetto Coordinamento Provinciale, non è autorizzato al voto del ballottaggio in base all’art. 14 del regolamento per le Primarie approvato dal Collegio Nazionale Garanti il 19 ottobre 2012.
 
IL COORDINAMENTO PROVINCIALE DI REGGIO EMILIA
 
Sveno Ferri
Franco Ferretti
Silvio Prampolini 

Aargh. Era finita. Respinto. Bocciato. La prima reazione è stato il gesto di Alberto Sordi ne “I vitelloni”, poi, riflettendo con più calma e cercando meglio le parole mi è sgorgato dai precordi un reggiano “mo’ va’ a caghèr!”. Ho passato una domenica tranquilla in famiglia, leggendo un buon libro, dopo una santa messa in quel di Pratofontana.
Lunedi mattina apprendo di essere stato in buona compagnia: noi reprobi abbiamo sfiorato le 125.000 unità. A Reggio sono stati “giustificati” appena più di un centinaio (avevano conoscenze, si sono giustificati meglio? Sono stati convincenti nella loro autocritica?). Comunque i respinti sono stati il 4% dei votanti, fra Bersani e Renzi lo scarto è stato di oltre 30 punti percentuali. Come dire: Tanto rumore per nulla. Si potevano accettare tutti i reprobi e non sarebbe cambiato nulla (ammesso che tutti, io per primo, avessimo votato Renzi). Non ci sarebbero stati casini e il PD non avrebbe fatto una solenne figura di guano, anzi di merda del Volga.
Morale della vicenda? La deducano i miei 25 lettori. Per parte mia garantisco, per rispetto a chi si è sacrificato per noi, di votare sempre. Anzi aspetto le prossime primarie per la scelta dei candidati e stavolta mi registrerò il primo minuto della prima ora, con inchiostro indelebile e mano ferma. Ma, poco ma sicuro, comunque vada il mio voto dovranno sudarselo, tutto e intero.