Martedì 23 ottobre

 

Martedì 23 ottobre
ore 18
Libreria All’Arco di via Emilia,
Massimo Storchi presenta il suo romanzo
“Il patto di Katharine”
(Aliberti editore).


Reggio Emilia, 1941: pochi giorni di licenza, un breve ritorno a casa di Dario Lamberti, allievo ufficiale pilota, per ritrovare la propria città, gli amici, un amore che sembra vero. E invece, oltre la guerra ormai alle soglie di casa, Dario scopre che la fedeltà forse non esiste, e che anche morire non è un affare semplice nella Reggio fascista di fine regime. La licenza diventa una dura prova per un ragazzo di vent’anni, affascinato da signore sfuggenti e ragazze troppo facili, costretto a imparare, in fretta e sulla propria pelle, come la realtà sia sempre più complicata di quanto sembri.

 
Massimo Storchi, laureato in Storia Contemporanea e diplomato in  archivistica, ha pubblicato diversi saggi su fascismo, cooperazione, lotte politiche e sociali nel dopoguerra in Emilia Romagna. E’ Responsabile Scientifico del Polo Archivistico del Comune di Reggio Emilia.



Ne parlerà con l’autore

Frediano Sessi, scrittore, saggista, consulente editoriale e traduttore. I suoi ambiti di indagine privilegiata sono lo studio della Shoah e della Resistenza. Dirige presso Marsilio la collana “Gli specchi della memoria” e collabora alle pagine culturali del “Corriere della Sera”.

 

Verso l’estate, terremoti e nuovi libri…

parmigiano-terremoto-emilia_650x447.jpgMi scuso con i miei 25 lettori se ho marinato FB per qualche settimana. Ma credo che sia giusto scrivere se e qualora si abbia qualcosa da dire e le cose intorno non erano (e tali restano) particolarmente stimolanti. Cose vecchie, quasi antiche, un paese che non riesce a cambiare, dove tutti si dicono riformisti purchè le riforme inizino sempre un po’ più in là. Una continua e ripetuta fuga dalla realtà, come se non fossimo ancora sull’orlo di un precipizio, tutti presi (loro) a discettare su alleanze, percento, in un perpetuo moto immobile che coinvolge tutti gli schieramenti, o almeno quelli che conoscevamo finora.

E in più il terremoto che ha preso tutti alla gola, anche qui che, per fortuna, ne abbiamo subìto solo la paura. Un terremoto che ha svelato tutte le debolezze e l’avidità di questa terra ricca, la mia/nostra terra, che però vediamo sotto una nuova luce, più ambigua e complessa. Case squarciate ci mostravano arredamenti lussosi, cucine hi-tech su solai vecchi e fragili, capannoni tirati su in sette (7) giorni afflosciati come la casetta dei tre porcellini. Ma qui la favola non c’entra e persone ci sono rimaste sotto. Niente da ridere.

Ma il crollo nei magazzini del grana mi sembra, come dicono quelli colti, archetipico. Scaffalature alte 10 metri, cariche di tonnellate di “grana” (non a caso noi lo chiamiamo così il Parmigiano-Reggiano) lasciate libere, senza ancoraggi, senza sicurezza. Pronte a oscillare ad innescare un drammatico domino che ha sfondato muri e abbattuto colonne. Nessun s’è fatto male, bene, meglio. Però. Anche nelle scatole di montaggio Ikea per uno scaffale Billy, altro nemmeno due metri, viene inserito l’apposito gancetto di fissaggio alla parete. Non per le tonnellate di grana? Se non siamo in grado di tutelare il nostro “grana”, cosa pretendere? E il terremoto c’entra poco, è la minima sicurezza che si richiede. In archivio se vado oltre i 2,50m. devo ancorare, fissare, legare. Logico. Ma costoso e allora, risparmiamo, ottimizziamo, razionalizziamo, etc…E le chiese, torri rovinate a terra? Ci fidavamo nella non sismicità emiliana? Non sismicità? Ma gli architetti del Duca d’Este nel XVI secolo lo dissero a chiare lettere: “Il terremoto non è un disastro, è un fenomeno naturale, è l’uomo che lo trasforma in disastro”. Tutti presi nel gioco del mattone, a tirar su villette in stile geometrile (che, ahimè, sono rimaste su quasi tutte), condomini postmoderni et similia, abbiamo lasciato andare in malora un patrimonio che avevamo ereditato senza meritarlo.

Poi, è vero, siamo emiliani, un po’ matti e con tanta voglia di fare, sempre. In fondo il nostro motto potrebbe essere “Pochi bàli, sò ch’andòm!”, siamo gente strana, come è stato scritto sul web: se vogliamo costruire auto noi facciamo le Ferrari e la Lamborghini, se vogliamo della musica abbiamo Verdi, se vogliamo un formaggio facciamo il grana (ancorato però la prossima volta). Ce la faremo, è la nostra storia che ci ha insegnato a non aspettare gli altri ma a lavorare noi, e bene. Ma riflettiamo su questo evento, riprendiamo a lavorare sul nostro presente/futuro, uscendo dagli slogan dell’Emilia felix, meraviglioso paradiso. Oggi un po’ meno meraviglioso.

Ma la mia assenza da FB è stata motivata anche da un’altra questioncella: ero impegnato in un altra impresa editoriale. Confesso: ho scritto un altro libro! Che volete farci: “è capitato ed è quello che so fare”, dice il poeta.

Un altro libro. Ma stavolta è una cosa diversa. Lascio per un po’ la storia e racconto storie. Curiosi? Spero di sì.

Inverno (F.De Andrè)

DSCN3358.web.jpgSale la nebbia sui prati bianchi
come un cipresso nei camposanti
un campanile che non sembra vero
segna il confine fra la terra e il cielo.

Ma tu che vai, ma tu rimani
vedrai la neve se ne andrà domani
rifioriranno le gioie passate
col vento caldo di un’altra estate.

Anche la luce sembra morire
nell’ombra incerta di un divenire
dove anche l’alba diventa sera
e i volti sembrano teschi di cera.

Ma tu che vai, ma tu rimani
anche la neve morirà domani
l’amore ancora ci passerà vicino
nella stagione del biancospino.

La terra stanca sotto la neve
dorme il silenzio di un sonno greve
l’inverno raccoglie la sua fatica
di mille secoli, da un’alba antica.

Ma tu che stai, perché rimani?
Un altro inverno tornerà domani
cadrà altra neve a consolare i campi
cadrà altra neve sui camposanti.