24 aprile

Un breve testo,  frutto di racconti e testimonianze su quel 24 aprile

Siamo arrivati correndo. Bill mi diceva: “stai giù”.

Qualche fucilata si sentiva ancora ma era più in là, verso il centro. Abbiamo girato dietro, da via Fabio Filzi, all’inizio tenevo il moschetto in mano ma facevo più fatica. Così me lo sono messo a tracolla, ma poi ho pensato che se dovevo sparare, il tempo di girarlo e sfilarlo magari ero morto. Così l’ho ripreso in mano ma non sapevo come tenerlo, era carico, e se mi partiva un colpo? Roba che Bill m’ammazzava lui prima che un fascista. Un fascista? Quelli sono già scappati domenica sera, come topi dalla nave che affonda. Li abbiamo visti, con le biciclette e i carretti lungo la via Emilia verso la Pieve. Che voglia di dargli una bella raffica, ma come si faceva, noi della squadra in Gardenia di armi ne abbiamo poche, i caricatori contati.

Nessuno spreco, ha detto Bedo, “verrà il momento di fare i conti”.

Adesso siamo piegati tutti e quattro, ognuno dietro un albero ai giardinetti. Di fronte, in mezzo, il distributore di benzina di Porta S.Stefano.

Siamo nascosti da dieci minuti. Sono sudato e ho fame, è quasi l’una. Per forza.

Di colpo sentiamo una specie di tuono, lontano ma non troppo. Sembrano canonate. E se i tedeschi si fermano e piazzano quelle bestie che abbiamo visto passare la settimana scorsa? E’ merda. Sparano delle pigne da quasi dieci centimetri, roba che ci passano due case come fosse burro.

No, noi qui stiamo fermi.

Oggi è martedì, giorno di mercato, ma nessuno ci è venuto a Reggio a fare affari. Piazza grande sarà vuota, mi piacerebbe arrivarci e vedere. Ma Bill ha detto di stare fermi, fra un po’ arriveranno anche gli altri, stanno distribuendo le armi. Potevano darmi un caricatore in più, però. Ne ho solo tre. Uno l’ho caricato e due in tasca.

Per fortuna li ho messi in quella buona, mica quella bucata che mia madre non ha fatto in tempo a cucirmi stamattina presto. “Aspetta, te la sistemo..”, mi ha detto. Figurati, aspetto che mi rammendi il buco proprio stamattina. Il 24 aprile. È due giorni che aspettiamo, forse è il giorno buono e io sto lì con mia madre con ago e filo!

Due caricatori e basta. E niente da mangiare. Dio bono, altro che cucirmi la tasca! Poteva darmi del pane e una mela, no?

Il tuono ora è meno lontano, tum tum, provo a contare, passano circa tre o quattro secondi fra un tum e l’altro. Speriamo siano gli americani che arrivano.

Questo però non è un tum. Questi sono passi, quasi cadenzati. No. Passi di marcia. Ci alziamo in piedi ancora dietro ai tronchi.

Sbircio un po’ ma non serve, Bill è più avanti.

Poi li vedo. Dio bono. Li vedo.

Uno, due, tre, quattro, sono cinque. Tedeschi. Senza elmetto, con quei berretti a visiera. L’ultimo è il più giovane, ha la giacca aperta e tiene il fucile a tracolla a rovescio, con la canna verso terra.

Sono all’altezza dell’ultima via di via Emilia. Marciano, cioè, camminano ancora un po’ in ordine, ma si vede che sono stanchi.

Guardo Bill. Guardo il mio fucile. Noi siamo quattro. Con tre fucili perché Cilloni ha solo una pistola. Dio bono. Loro sono cinque.

Quello che è in testa alla fila, si volta. Ci saranno quaranta metri. Non può non averci visti. Adesso si voltano anche gli altri. Non si fermano. Il primo ha detto qualcosa, è così vicino che vedo che parla.

Camminano e continuano a guardarci. Adesso sono esattamente di fronte a noi. Anche noi li guardiamo.

Non si fermano, ci guardano e camminano. Poi smettono di guardarci perché dovrebbero quasi voltarsi. Se ne vanno. Sono a cinquanta, sessanta metri, quasi al distributore in mezzo all’incrocio.

Adesso è facile, se Bill me lo dice punto il fucile e almeno l’ultimo, quello giovane, lo becco. Ma Bill non dice niente. Magari non gli piace sparare alle spalle.

Aspettiamo. Forse si nasconderanno dietro alle pompe di benzina e si metteranno a sparare.

Camminano. Se ne vanno.

Bill ci chiama e andiamo da lui. Ci guarda senza dire niente, poi con la testa fa un cenno verso via Emilia.

“Andiamo dentro, proviamo a entrare…”.

Ci muoviamo rasentando i muri, dopo aver passato via Monte Pasubio, Bill, che è davanti a me mi fa:

“Farsi ammazzare l’ultimo giorno..erano dei poveracci..”, quasi a giustificarsi.

Forse ha ragione e poi io, alla schiena, a quello là non avrei sparato.

C’è da liberare Reggio e ormai ci siamo.