“L’anno moriva assai dolcemente”, inizia così Il Piacere di Gabriele D’Annunzio e così finisce questo 2011. Ho qualche dubbio su quel “assai” ma la fine è dolce, quasi dolciastra. I giorni fra Natale e Capodanno sono sempre particolari, giorni sospesi, indefiniti. Dagli spalti di Fortezza Bastiani vedo ormai svanire i flussi delle carovane dei grandi compratori, tutti soddisfatti della mutanda rossa per stanotte, del Moscato da mangiare col panettone (scelta atroce, ma tant’è..). Signora mia, che dire, non ci sono più i veglioni di una volta…A dire il vero, forse, anche la volta di una volta non è più quella volta di allora. Tutto cambia perchè tutto, si spera, resti come sempre. Cambiare è come ballare con le scarpe strette: fa male, ognuno annidato nella sua cuccia calda, ci ripetiamo la storica battuta di Igor al dott. Frankenstein: “Capo, potrebbe essere pericoloso…vada avanti lei!”. Tutto ci spaventa, il minimo stormire di fronda può essere l’avviso dell tifone in un paese dove tutto è fermo, bloccato. Una specie di enorme puzzle sociale dove ogni tesserina sostiene quella vicina, ferme, inchiodate a descrivere un quadro ormai cadente e ammuffito.
In quale paese per scrivere sui giornali un poveretto deve dare un’esame di stato? Bielorussia, Corea del Nord? No, Italia, of course. In compenso ognuno di noi sborsa qualche euro l’anno per mentenere in vita giornali che nessuno legge. E’ la democrazia. Sarà. A me sembra solo assistenzalismo sovietico. Tanto più quando la carta stampata è finita, morta. Vogliamo diventare un paese “normale” e non riusciamo a tenere puliti i cessi degli autogrill. Aprono nuovi distributori di benzina lowcost e subito i benzinai protestano: la “mia” benzina è migliore, per questo costa di più. Roba che non ci credevamo nemmeno ai tempi della “Supercortemaggiore, la potente benzina italiana”, inventata da quel geniaccio di Mattei, buonanima. Mi piacerebbe vivere in un paese dove ognuno può fare il lavoro che vuole (se ne è capace) senza mostrare un certificato di nascita o un albero genealogico.
Non riusciamo a liberalizzare i taxi e vogliamo abbassare lo spread? Per decenni siamo (sono) andati in pensione a 55 anni (o anche meno), belli freschi, pimpanti, pronti a dedicarsi ai proprio hobby e viaggi, prendendo mensili che qualcun’altro dovrà pagare. Abbiamo onorevoli che (glielo auguriamo) camperanno ancora trent’anni a 6000 euro di pensione al mese. Euro nostri. Sono soddisfazioni…
Continuiamo a considerare l’insegnamento una specie di ufficio assistenza dove infilare chi non trova altro da fare nella vita, trascurando che la scuola è il primo giacimento culturale, il miglior investimento sul futuro. Non è obbligatorio insegnare, dovrebbero essere i migliori a farlo e invece (Dio mio! I diritti acquisiti, le graduatorie i 24 sindacati!) perpetuiamo il vecchio patto scellerato della DC di allora con la classe docente “tu fai poco, io non ti chiedo niente, ma ricordati nelle urne..”. E poi piangiamo perchè abbiamo avuto la Gelmini? In fondo era la cura omeopatica ad un paziente ormai defunto.
Ci siamo liberati (per ora) della gentaglia forzista-fascista-leghista e già abbiamo scordato tutto e vogliamo questo e quello, “sarà tre volte Natale e Pasqua tutto l’anno” e c’incaxiamo perchè ci dicono che “no”, non si potrà. Anzichè cominciare di nuovo, come i nostri genitori, a risparmiare, spendere meno, cambiare stile di vita, non per contrarietà ma per convinzione. Ricostruire una morale pubblica non è facile. E’ difficile pensare ai “lavoratori” quando si fanno le vacanze a New York. I tempi stanno cambiando, toglietevi dalla vecchia strada se non potete dare una mano o sarete spazzati via. Lo cantava Bob Dylan quasi cinquanta anni fa ma è più comodo applicare il vecchio adagio mafioso “china la testa che passa la piena”, ognuno nel suo nido a godere a spese degli altri.
Perchè in questa Italia che forse si salverà non ci sono vergini e santi. Tutti abbiamo visto quello che succedeva e siamo stati zitti. Come per il fascismo: abbiamo usato la Resistenza come alibi, per chiudere i conti ancora prima di farli. Ci siamo inventati le cartoline precetto che riempivano le piazze. Le piazze erano piene perchè gli italiani ci credevano e i pochi (pochissimi) che avevano capito o erano in galera o se stavano chiusi in casa a farsi i propri, modesti, rispettabili, affari. Noi italiani adoriamo i mascalzoni, i ladri, i puttanieri perchè ci rispecchiano. Benito, Bettino, Giulio, Silvio sono i nostri zietti, debosciati ma simpatici. I galantuomini, i pochi, dopo poco ci rompono gli zebedei, i Parri, Einaudi, De Gasperi, Ciampi, Monti sono il nostro scandalo. Ci dimostrano che si può, si potrebbe, si dovrebbe. Ma. Ma costa fatica, impegno, rigore, onestà. Che palle! Volete mettere la broda calda del trògolo? Il rutto da bar? La carrambata televisiva, la tetta catodica? Studiare, lavorare, dire no. Meglio il grido “sciopero-lotta” lanciato come un riflesso condizionato. Troppo faticoso e, come, ricordava Gadda, la eterna “porca rogna italiana del denigramento di se stessi”, gia avviata, a destra come a sinistra contro questo governo così poco rappresentativo dell’italica speme. Professori, tecnici, nessuna ragazza di gamba svelta, nessun demente della ValSeriana. Gente che sa di quel che parla, almeno. No, non è democrazia.
E poi una cosa mi angoscia e terrorizza: L’Aureliano Buendia di Gallipoli tace, oddio! Che cosa starà facendo? Quale diabolica strategia starà architettendo per perdere l’ennesima volta?
L’anno muore dolcemente, come sempre del resto. Bocca se n’è andato e Sallusti è ancora in giro. Jobs ci ha lasciato e Bill Gates no. Solo all’ultimo il padreterno s’è ricordato che don Verzè aveva 91 anni e che magari…
L’anno muore dolcemente, arriva il 2012 e per dirla con il poeta: “Ho ancora la forza…”
http://www.youtube.com/watch?v=wN0r5XBy6HY
Good night and good luck!