Una verde sicurezza..

Lo dicevamo un paio di giorni fa “Attendiamo fiduciosi, sappiamo che le nostre iene verdoline non ci deluderanno.” E infatti, eccoli presenti con la leghistata del giorno. Mentre la Svizzera si conferma per quel posto inquietante che conosciamo (basta leggersi qualcosa di Dürenmatt o vedersi il bellissimo “Le conseguenze dell’amore” per averne una conferma), i nostri verdoni armano la doppietta e sparano. Come sempre senza poter collegare prima quell’organo di cui non sono dotati, essendo la loro scatola cranica destinata, da una crudele variante evoluzionista, solo a sorreggere le orecchie e ad ospitare il cavo orale cui dare aria appena possibile.”Faremo così anche a noi”, “No ai minareti in Italia” “Mettiamo la croce sulla bandiera”. Solito copione, alzare la voce, infrangere le regole del vivivere civile e dell’intelligenza, proferire cose senza senso ma facilmente digeribili al loro “popolo”. La lega (che, ricordo le parole di mio figlio, “non merita neppure la maiuscola”). Solo la lega.

Riporto l’intervento di Leonardo Coen, preso dal suo blog (http://coen.blogautore.repubblica.it/2009/11/30/?ref=hpsbsx)

 

L’orologio a cucù dell’intolleranza.

Il voto del referendum svizzero contro la costruzione di nuovi minareti – il 57,5 per cento degli elvetici andati a votare ha approvato gli argomenti razzisti dell’Udc (l’Unione di Centro, formazione populista di estrema destra) – dimostra ancora una volta di più quali possano essere i rischi, le devianze e le minacce della cosiddetta democrazia diretta, quella che tanto piacerebbe esercitare alla nostra Lega e a Berlusconi (l’elezione diretta di premier e presidente della Repubblica). Il ventre del popolo è sempre stato deleterio per il popolo. Dando spazio alla paura degli altri, al rifiuto della razionalità e di ogni logica (in Svizzera per 400mila musulmani, quasi tutti originari della Turchia e dei Balcani, ci sono 200 moschee e appena 4 minareti!), stimolando la xenofobia e promettendo di esaudire gli interessi immediati (meno tasse, per esempio), il referendum si trasforma in uno strumento assai pericoloso nelle mani dei demagoghi, perchè li autorizzano poi ad andare sempre più oltre: così si istigano le cacce alle streghe, così si autorizzano le ronde contro gli extracomunitari, così si favoriscono l’intolleranza assoluta, la repressione, l’odio nei confronti degli oppositori, la censura, il pensiero “unico”; così diventa prassi l’idiosincrasìa nei confronti dei diritti e della dignità umana, della libertà di stampa e di quella politica. E dopo? Dopo, violenze, soprusi. E regime.
Non a caso, in gran parte dei paesi democratici non solo si diffida dei referendum ma li si proibisce. Altrimenti sbucherà fuori qualcuno che intimerà alle “élites” massonigiudicaicheinternazionaliste di smetterla di negare le aspirazioni e i timori dei popoli europei. Anzi, qualcuno l’ha già fatto. In Francia, il Fronte Nazionale…

Così per ricordare

Così, tanto per ricordare:

…In data 11 dicembre 2004, il tribunale di Palermo ha condannato Marcello Dell’Utri a nove anni di reclusione con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Il senatore è stato anche condannato a due anni di libertà vigilata, oltre all’interdizione perpetua dai pubblici uffici e il risarcimento dei danni (per un totale di 70.000 euro) alle parti civili, il Comune e la Provincia di Palermo.
Nel testo che motiva la sentenza si legge:
« La pluralità dell’attività posta in essere da Dell’Utri, per la rilevanza causale espressa, ha costituito un concreto, volontario, consapevole, specifico e prezioso contributo al mantenimento, consolidamento e rafforzamento di Cosa nostra, alla quale è stata, tra l’altro offerta l’opportunità, sempre con la mediazione di Dell’Utri, di entrare in contatto con importanti ambienti dell’economia e della finanza, così agevolandola nel perseguimento dei suoi fini illeciti, sia meramente economici che politici.  »
Inoltre:
« Vi è la prova che Dell’Utri aveva promesso alla mafia precisi vantaggi in campo politico e, di contro, vi è la prova che la mafia, in esecuzione di quella promessa, si era vieppiù orientata a votare per Forza Italia nella prima competizione elettorale utile e, ancora dopo, si era impegnata a sostenere elettoralmente l’imputato in occasione della sua candidatura al Parlamento Europeo nelle file dello stesso partito, mentre aveva grossi problemi da risolvere con la giustizia perchè era in corso il dibattimento di questo processo penale. »
La ripresa del processo d’Appello, dopo la pausa estiva, è stata fissata per il 17 settembre 2009. Sono previste in calendario 10 udienze, una ogni venerdi, fino alla sentenza che si stima dovrebbe arrivare entro Natale 2009…

http://it.wikipedia.org/wiki/Marcello_Dell’Utri

Perché gli operai votano a destra?

La destra sociale da Salò a Tremonti.

Intervista a Guido Caldiron
Perché gli operai votano a destra? Quali sono le ragioni del successo della “destra plurale” italiana negli insediamenti sociali tradizionali della sinistra? Intervista a Guido Caldiron, autore di “La destra sociale. Da Salò a Tremonti” (Manifestolibri).
di Emilio Carnevali

Lo scorso 14 maggio Il Sole 24 Ore pubblicava un articolo intitolato: “Da Marx a Bossi. I nuovi operai”. L’ironico incipit di quel testo si soffermava sull’homepage del sito toscano della Lega Nord: il Quarto Stato di Pellizza da Volpedo con il lavoratori ritoccati in camicia verde e la scritta “la classe operaia va col Carroccio…”.
Negli ultimi anni articoli come questo si sono susseguiti sempre più numerosi sulla stampa italiana, registrando il fenomeno della trasmigrazione a destra di cospicui settori sociali che fin dagli albori delle democrazie moderne avevano costituito la base elettorale dei partiti di sinistra, legati al movimento operaio e socialista.
Cosa c’è dietro questo epocale mutamento della geografia politica e delle culture sociali del nostro Paese? In realtà – come testimoniano anche le recenti elezioni europee, che hanno visto la considerevole affermazione di forze politiche di ispirazione populista e xenofoba un po’ in tutto il Continente – il fenomeno non interessa solo l’Italia. Tuttavia nel nostro Paese la dinamica sintesi fra varie e talvolta assai diverse “anime” della destra dà vita ad un “laboratorio politico”, la cui indagine può certamente essere utile per una comprensione più generale del pericolo neoautoritario a livello globale.
Nel suo La destra sociale. Da Salò a Tremonti (appena pubblicato da Manifestolibri) Guido Caldiron affronta proprio questa analisi, andando a rintracciare le radici culturali della moderna destra nelle esperienze storiche del novecento per poi individuare i tratti di continuità/discontinuità con i movimenti contemporanei e le loro traiettorie di sviluppo. Una analisi tanto più utile quanto più il disagio sociale legato alla crisi economica nella quale siamo immersi non sembra affatto avvantaggiare le opposizioni di sinistra (e le risposte tradizionalmente riconducibili alla categoria della “classe”), quanto piuttosto il territorialismo difensivo bandito dall’asse Tremonti-Lega.
Giornalista di Liberazione, Caldiron ha pubblicato in passato diversi ed interessanti saggi sulle nuove destre, come Gli squadristi del 2000 e Lessico postfascista (entrambi editi da Manifestolibri).

Caldiron, quali sono secondo lei le principali cause di questo sfondamento della destra in larghi settori popolari del nostro Paese?
I motivi del successo delle destre tra i lavoratori italiani credo vadano ricercati nell’incrociarsi di diversi fenomeni, di natura politica come anche sociale e economica. Mi spiego. Da un lato le destre hanno saputo sfruttare paure e ansie emerse nei settori sociali un tempo tradizionalmente vicini ai partiti della sinistra, hanno saputo indirizzare il timore della globalizzazione prima e della crisi poi verso i temi della “sicurezza” e dell’immigrazione, facendo sì che per molti lavoratori che vedono messo in discussione il proprio posto ci sia un “colpevole” da indicare facilmente: lo straniero, colui che ha comportamenti ritenuti socialmente devianti e via dicendo. Non c’è però solo questa costruzione del capro espiatorio nel repertorio delle destre italiane. In alcune aree del paese, e penso in questo caso soprattutto al settentrione, la destra, soprattutto quei suoi segmenti più innovativi in termini di culture politiche, perché meno legati alla storia del Novecento, hanno saputo tradurre in rappresentanza politica le grandi ristrutturazioni produttive degli ultimi vent’anni: al capitalismo che mutava diventando sempre più diffuso sul territorio la destra ha saputo proporre una sorta di politicizzazione del territorio stesso, con tanto di invenzioni identitarie ad hoc.

La destra italiana è però tutt’altro che un corpo omogeneo di culture ed interessi. Pensiamo alla considerevole distanza tra il neoterritorialismo della piccola borghesia leghista e al neostatalismo corporativo delle burocrazie meridionali postfasciste. Come è stato possibile attuare una sintesi così stabile ed “efficace”?
Le destre, che in Italia hanno saputo trarre profitto da una stagione del tutto particolare quale è quella che è sorta con la caduta del vecchio sistema di potere inghiottito in gran parte da Tangentopoli, si sono andate definendo attraverso un profilo “plurale”. Culture tra loro anche molto diverse hanno saputo trovare una sintesi secondo due traiettorie: una politica e una culturale. Sul piano politico, è grazie all’emergere di una figura nuova, come è quella incarnata dal modello populista di Berlusconi – protagonista di un capitalismo che crea sogni e stili di vita quale è quello della televisione e dello spettacolo – che il vecchio mondo neofascista del Msi e la nuova destra del territorio della Lega si sono potuti incontrare. Quanto alla cultura, si è proceduto dapprima attraverso la ricerca di temi forti, dal ritorno di attenzione per l’“identità” e la “comunità”, variamente declinati, parole guida da contrapporre all’immigrazione “invasione”, usata per capitalizzare paure nuove cresciute nella società: l’esito è stato la trasformazione in termini di “sicurezza” di ogni dibattito sulla vita nelle città e più in generale sulla vita sociale. Via via sono cresciuti però anche elementi di sintesi tra i vari settori delle destre che all’inizio rappresentavano soltanto una coalizione elettorale. Il fatto che oggi si possa parlare dell’esistenza di un asse politico e culturale tra un ministro (ex) ultraliberista come Giulio Tremonti, già vicino ai socialisti, e il sindaco di Roma Gianni Alemanno, per anni punto di riferimento dei settori giovanili radicali del Msi, indica come si sia andati oltre la semplice giustapposizione di temi e simboli. Ciò detto, la crisi tra Fini e Berlusconi, che affonda anche nella ricerca del presidente della Camera di immaginare una destra che possa sopravvivere al pensionamento del Cavaliere, fa intravedere tutta la fragilità di una costruzione politica che, non va dimenticato, si è imposta in Italia a partire da una condizione di crisi delle istituzioni e di ristrutturazione economica di grande portata.

Quali sono – se ci sono – le responsabilità della sinistra (moderata e radicale) in questa avanzata della destra all’interno di territori sociali tradizionalmente presidiati da culture inclusive e solidaristiche?
Le responsabilità delle sinistre sono di diversi tipi. Su quella moderata pesa il fatto di aver cercato un’improbabile legittimazione tra ex o post, chi veniva dal Pci con chi veniva dall’Msi, – condita di aperture di credito a un revisionismo storico che nella vulgata popolare, più frutto di Porta a porta che di un vero dibattito storico, ha finito per descrivere le vittime alla stregua dei carnefici – non capendo che sarebbe dovuto essere sul terreno degli atti concreti che si misurava o meno l’approdo democratico di una forza politica: l’Msi entrò nel I governo Berlusconi del 1994 prima di dar vita alla nascita di An, tanto per citare un dato. In modo più rilevante su tutte le sinistre pesa però l’incapacità di aver saputo leggere sia le trasformazioni del lavoro che quelle della società. Sul terreno del lavoro si sono consegnati tutti i nuovi soggetti emersi dalla ristrutturazione produttiva degli anni Ottanta alle destre: non si è visto come fuori dalla condizione di lavoratore dipendente non vi fossero solo “padroncini” ma anche tanti nuovi proletari, magari legati, anche se non solo, a produzioni immateriali, di senso o all’industria della comunicazione in senso lato. Stessa cosa si può dire di fronte all’irrompere dell’immigrazione nella società italiana: invece di interrogarsi sulla natura della propria cultura, cercando di darsi un profilo cosmopolita e di apertura al nuovo, le sinistre hanno o scimmiottato la destra sull’allarme “sicurezza” o visto i nuovi arrivati come membri di una “classe operaia di riserva” da organizzare secondo la tradizione del movimento operaio. In entrambi i casi buona parte della vita sociale cresciuta anche attraverso la presenza dei migranti, non solo nelle grandi città, è rimasta lontana e estranea a questi schemi.


(…) L’intervista completa è in: http://temi.repubblica.it/micromega-online/la-destra-sociale-da-salo-a-tremonti-intervista-a-guido-caldiron/

Verso la fine?

Insolita tempora currunt! Si parla di guerra civile come fosse un programma dei viaggi del Ventaglio (che si fa quest’anno per Natale? Mauritius o una guerra civile?), Napisan manda un messaggio che a paragone la Sfinge sembrava la de Filippi, il PD per fare una forte opposizione, non aderisce ad una grande e spontanea manifestazione contro il vecchio satiro.

Intanto, nemesi dalla Trinacria, qualcuno inizia a far domande sulla resistibile ascesa del nostro premier, su come ebbe origine la bella balla del self made man, e le domandine vengono proprio dai primi finanziatori, un po’ delusi dal ritorno dei loro miliardi di vecchie lire investiti su quel bel giovane lombardo. E si torna a quanto era noto a tutti già nella Milano da bere, bevuta e scolata dal cinghialone poi finito in esilio sulle ospitali sponde africane. Insomma tutti i nodi vengono al classico pettine ma, domanda angosciante, il vecchio satiro per ordinare quella roba che s’è piantato sulla testa cosa usa? Uno stampo da vetroresina? La spada di Obi-uan-kenobi?

Eh, già, basta aspettare, tutto torna, come la moda, signora mia, basta aspettare e torna anche la minigonna, peccato non averci più le gambe di una volta da mettere all’aria ma tanto cosa importa, basta un po’ di plastica qui e là e tutto va a posto. Come per la proposta di limitare a 6 mesi la Cassa integrazione agli stranieri. Proposta ritirata dal disonorevole della lega, tale fugatti. Tutto normale. Cosa ti aspetti da un leghista? Che suoni il violino e profumi di Givenchy? Abbiamo fatto le iene onorevoli, assessori, sindaci e poi ci stupiamo di cosa? Che ci siano carogne in giro? Ma abbiamo un palato forte e corazzato, mandiamo giù tutto, aspettiamo il domani per la nuova trovata della iena aperta per turno. E intanto si sposta un poco più giù il limite della decenza, della civiltà. Come nel porno, solo che in quel caso finito il catalogo di ogni possibile posizione/accoppiamento si finisce alla massima perversione: la castità, qui invece la putrefazione morale sembra non avere limiti. Attendiamo fiduciosi, sappiamo che le nostre iene verdoline non ci deluderanno.


L’arte di strisciare

“Certi mortali sono affetti da una rigidità di spirito, un difetto di flessibilità nei lombi, una mancanza di flessibilità nella cervicale; quest’infelice funzionamento impedisce loro di perfezionarsi nell’arte di strisciare e li rende incapaci di fare carriera a Corte. Serpenti e rettili guadagnano cime e rocce su cui neanche il cavallo più impetuoso riesce ad issarsi. La Corte non è per niente adatta a quei personaggi alteri, tutti d’un pezzo, incapaci di cedere a capricci, di assecondare fantasmi e nemmeno, se necessario, approvare o favorire crimini che il potere giudica necessari al benessere dello Stato.

Un buon cortigiano non deve mai avere un’opinione personale ma solamente quella del padrone e del ministro, e deve saperla anticipare facendo ricorso alla sagacia; cià presuppone un’esperienza consumata e una profonda conoscenza del cuore degli uomini. Un buon cortigiano non deve mai avere ragione, non è in nessun caso autorizzato ad essere più brillante del suo padrone o di colui che gli dispensa benevolenze, deve tenere ben presente che il Sovrano e più in generale l’uomo che al comando non ha mai torto.

Il cortigiano ben educato deve avere uno stomaco tanto forte da digerire tutti gli affronti che il suo Padrone vorrà infliggergli. Fin dalla più tenera età deve imparare a dominare la propria fisionomia, per evitare che i suoi tratti tradiscano i moti segreti del cuore o che rivelino un’involontaria contrarietà che un abuso potrebbe insinuarvi. Per vivere a Corte è necessario un dominio assoluto dei muscoli facciali, al fine di ricevere senza batter ciglio le peggiori mortificazioni. Un individuo rancoroso, dal brutto carattere o suscettibili non riuscirà mai a fare carriera.

..La nobile arte del cortigiano, l’oggetto essenziale della sua cura, consiste nel tenersi informato sulle passioni e i vizi del padrone, per essere in grado di sfruttarne il punto debole: a quel punto sarà certo di detenere la chiave del suo cuore. Gli piacciono le donne? Bisogna procurargliene. E’ devoto? Bisogna diventarlo o fare l’ipocrita. E’ di temperamento ombroso? Bisogna instillargli sospetti riguardo a tutti coloro che lo circondano. E’ pigro? Non bisogna mai parlargli di lavoro; in poche parole, lo si deve servire secondo i suoi desideri e soprattutto adularlo continuamente.

..Lo spirito del Vangelo è l’umiltà; il figlio dell’Uomo ci ha detto che si esalta sarà umiliato; il contrario è altrettanto vero, e la gente di Corte segue alla lettera tale precetto. Smettiamo di sorprenderci che la Provvidenza ne ricompensi generosamente la duttilità, e che dalla loro abiezione conseguano onori, ricchezza e stima da parte degli Stati bene amministrati.”

da: Saggio sull’arte dello strisciare. Ad uso dei cortigiani. Facezia filosofica tratta dai manoscritti del defunto barone d’Holbach, traduzione di Emanela Schiano di Pepe, Il Melangolo 2009.

Paul Heinrich Dietrich, baron d’Holbach (1723-1789) è considerato uno dei massimi esponenti del materialismo francese. Collaborò all’Enciclopedie e si adoperò con entusiasmo alla diffusione delle nuove idee e dello spirito illuministico. Scrisse moltissimo e sui più diversi argomenti, ma la sua opera principale resta Il sistema della natura.

Confusione ferroviaria

Sul Frecciarossa viscidolobondi avrebbe viaggiato con il suo cane, nonostante il regolamento delle FFSS lo vieti (che viaggi il cane..). Compulseremo il regolamento per capire, perchè l’impressione è che le polemiche siano le solite uscitate dai komunisti. Dov’è il problema? Che il cane abbiaviaggiato sulla Frecciarossa? Noooo, il problema è che ci abbia viaggiato viscidolobondi! Ma il capotreno lo sapeva? L’ha lasciato salire lo stesso? I fidenti viaggiatori erano stati informati? Avevano dato il loro consenso? No, non credo: bondiviscidolo che viaggiava sulla FrecciaRossa? Naah, deve esserci un errore, controlleremo….i soliti komunisti…

http://www.corriere.it/animali/09_novembre_26/trasporto-animali-trenitalia-ministro-bondi_d85af8a6-da90-11de-a7cd-00144f02aabc.shtml

Clamoroso scoop! Berlusconi è apparso a Filippi!

Ho parlato con Berlusconi!
di Fabio Filippi

Dall’ufficio stampa del consigliere regionale Fabio Filippi riceviamo e testualmente pubblichiamo.

FILIPPI INCONTRA IL PREMIER BERLUSCONI
Colloquio a Roma tra il Presidente del consiglio Silvio Berlusconi e Consigliere regionale del Pdl Fabio Filippi.
Breve colloqui ieri sera (mercoledì 25 novembre, ndr) a Roma, nel quartier generale del Popolo della Libertà di via del Plebiscito, tra il Presidente del consiglio Silvio Berlusconi e Consigliere regionale del Pdl Fabio Filippi.
Filippi si è felicitato con il Premier per i risultati raggiunti alla guida dell’esecutivo nazionale.
“Un colloquio informale, Berlusconi è stato, come sempre, gentile e disponibile. Ho portato al premier i saluti degli iscritti e simpatizzanti del Pdl reggiano.” Ha dichiarato Filippi.
Successivamente il Consigliere reggiano si è trattenuto a cena con dirigenti nazionali del partito e con parte dei vertici della Commissione Vigilanza Rai.

Ufficio Stampa di Fabio Filippi

(è tutto vero:http://www.reggio24ore.com/Sezione.jsp?titolo=Ho+parlato+con+Berlusconi%21&idSezione=8094)

Per i profani:

Il buon filippolo s’è preso su, è andato fino a Roma (s’era messo la cravattina nuova e le scarpe lucide) e s’è messo in cortile ad aspettare. Dopo 4 ore, è apparso il vecchio satiro plastificato che, salendo la scalone in dolce compagnia, si è beccato la leccatona del nostro. Ha chiesto a Letta “E questo chi è?” e senza aspettare la risposta ha lanciato là un “Bravo, cribbio!” e si è dissolto nelle stanze superiori.

Il buon filippolo, abbacinato come Bernadetta nella grotta, è stato portato a cena con due dirigenti del partito (uno di Crotone e l’altro di Castelvetrano) e un consigliere della Rai che gli ha spiegato la differenza fra Grande Fratello e Sporca a sporca (facile: sono la stessa cosa, anche se Vespolo ha meno tette).

Che serata, ragazzi!

p.s. filippolo ha portato al VSP i “saluti degli iscritti” del PdL. Qui siamo al limite del paranormale, roba da Voyager, visto che il Pdl a Reggio non ha sede, nè rilascia tessere a chicchessia….

Il Cavaliere e la favola dei 106 processi (Istruzioni per l’uso)

Così la prossima volta che ghedinik spara le sue bufale sappiamo che balle spara…

Il Cavaliere e la favola dei 106 processi
di GIUSEPPE D’AVANZO

SI dice: il processo sia “breve” e se questa rapidità cancella i processi di Silvio Berlusconi sia benvenuta perché contro quel poveruomo, dopo che ha scelto la politica (1994), si è scatenato un “accanimento giudiziario” con centinaia di processi.

Al fondo della diciottesima legge ad personam, favorevole al capo del governo c’è soltanto uno schema comunicativo, fantasioso, perché privo di ogni connessione con la realtà. È indiscutibile che un giudizio debba avere una ragionevole durata per non diventare giustizia negata (per l’imputato innocente, per la vittima del reato). “Processo breve”, però, è soltanto un’efficace formula di marketing politico-commerciale. Nulla di più. Per credere che dia davvero dinamismo ai dibattimenti, bisogna dimenticare che le nuove regole (durata di sei anni o morte del processo) sono un imbroglio, se non si migliorano prima codice, procedura, organizzazione giudiziaria. Sono una rovina per la credibilità del “sistema Italia”, se definiscono “non gravi” i reati economici come la corruzione. Con il tempo, la ragione privatissima del disegno di legge è diventata limpida anche per i creduloni, e i corifei del sovrano ora ammettono in pubblico che la catastrofica riforma è stata pensata unicamente per liberare Berlusconi dai suoi personali grattacapi giudiziari. L’effrazione di ogni condizione generale e astratta della legge deve essere sostenuta – per conformare la mente del “pubblico” – da un secondo soundbite, quella formuletta breve e convincente che, come una filastrocca, deve essere recitata in tv, secondo gli esperti, al ritmo di 6,5 sillabe al secondo, in non più di 12/15 secondi. Diffusa, ripetuta e disseminata dai guardiani vespi e minzolini dei flussi di comunicazione, suona così: Silvio Berlusconi ha il diritto di proteggersi – sì, anche con una legge ad personam – perché ha dovuto subire centinaia di processi dopo la sua “discesa in campo”, spia di un protagonismo abusivo e tutto politico della magistratura che indebolisce la democrazia italiana.

Bene, ma è vero che Berlusconi è stato “aggredito” dalle toghe soltanto dopo aver scelto la politica? E quanto è stato “aggredito”? Davvero lo è stato con “centinaia di processi” tutti conclusi con un nulla di fatto? Domande che meritano parole factual, se si vuole avere un’opinione corretta anche di questo argomento sbandierato da tempo e accettato senza riserve anche dalle menti più ammobiliate.

Il numero dei processi di Berlusconi è un mistero misericordioso se si ascolta il presidente del consiglio. Dice il Cavaliere: “In assoluto [sono] il maggior perseguitato dalla magistratura in tutte le epoche, in tutta la storia degli uomini in tutto il mondo. [Sono stato] sottoposto a 106 processi, tutti finiti con assoluzioni e due prescrizioni” (10 ottobre 2009). Nello stesso giorno, Marina Berlusconi ridimensiona l’iperbole paterna: “Mio padre tra processi e indagini è stato chiamato in causa 26 volte. Ma a suo carico non c’è una sola, dico una sola, condanna. E se, come si dice, bastano tre indizi per fare una prova, non le sembra che 26 accuse cadute nel nulla siano la prova provata di una persecuzione?” (Corriere, 10 ottobre). Qualche giorno dopo, Paolo Bonaiuti, portavoce del premier, pompa il computo ancora più verso l’alto: “I processi contro Berlusconi sono 109” (Porta a porta, 15 ottobre). Lo rintuzza addirittura Bruno Vespa che avalla i numeri di Marina: “Non esageriamo, i processi sono 26”.

Ventisei, centosei o centonove, e quante assoluzioni? In realtà, i processi affrontati dal Cavaliere come imputato sono sedici. Quattro sono ancora in corso: corruzione in atti giudiziari per l’affare Mills; istigazione alla corruzione di un paio di senatori (la procura di Roma ha chiesto l’archiviazione); fondi neri per i diritti tv Mediaset (in dibattimento a Milano); appropriazione indebita nell’affare Mediatrade (il pm si prepara a chiudere le indagini).

Nei dodici processi già conclusi, in soltanto tre casi le sentenze sono state di assoluzione. In un’occasione con formula piena per l’affare “Sme-Ariosto/1” (la corruzione dei giudici di Roma). Due volte con la formula dubitativa del comma 2 dell’art. 530 del Codice di procedura penale che assorbe la vecchia insufficienza di prove: i fondi neri “Medusa” e le tangenti alla Guardia di Finanza, dove il Cavaliere è stato condannato in primo grado per corruzione; dichiarato colpevole ma prescritto in appello grazie alle attenuanti generiche; assolto in Cassazione per “insufficienza probatoria”. Riformato e depenalizzato il falso in bilancio dal governo Berlusconi, l’imputato Berlusconi viene assolto in due processi (All Iberian/2 e Sme-Ariosto/2) perché “il fatto non è più previsto dalla legge come reato”. Due amnistie estinguono il reato e cancellano la condanna inflittagli per falsa testimonianza (aveva truccato le date della sua iscrizione alla P2) e per falso in bilancio (i terreni di Macherio). Per cinque volte è salvo con le “attenuanti generiche” che (attenzione) si assegnano a chi è ritenuto responsabile del reato. Per di più le “attenuanti generiche” gli consentono di beneficiare, in tre casi, della prescrizione dimezzata che si era fabbricato come capo del governo: “All Iberian/1” (finanziamento illecito a Craxi); “caso Lentini”; “bilanci Fininvest 1988-’92”; “fondi neri nel consolidato Fininvest” (1500 miliardi); Mondadori (l’avvocato di Berlusconi, Cesare Previti, “compra” il giudice Metta, entrambi sono condannati).

È vero, l’inventario annoia ma qualcosa ci racconta. Ci spiega che senza amnistie, riforme del codice (falso in bilancio) e della procedura (prescrizione) affatturate dal suo governo, Berlusconi sarebbe considerato un “delinquente abituale”. Anche perché, se non avesse corrotto un testimone (David Mills, già condannato in appello, lo protegge dalla condanna in due processi), non avrebbe potuto godere delle “attenuanti generiche” che lo hanno reso “meritevole” della prescrizione che egli stesso, da presidente del consiglio, s’è riscritto e accorciato.

L’imbarazzante bilancio giudiziario non liquida un lamento che nella “narrativa” di Berlusconi è vitale: fino a quando nel 1994 non mi sono candidato al governo del Paese, la magistratura non mi ha indagato. Se non si lasciano deperire i fatti, anche questo ossessivo soundbite non è altro che l’alchimia di un mago, pubblicità. Berlusconi viene indagato per traffico di stupefacenti, undici anni prima della nascita di Forza Italia. Nel 1983 (l’accusa è archiviata). È condannato in appello (e amnistiato) per falsa testimonianza nel 1989, venti anni fa. Nel 1993 – un anno prima della sua prima candidatura al governo – la procura di Torino già indaga sul Milan e i pubblici ministeri di Milano sui bilanci di Publitalia. Al di là di queste date, è documentato dagli atti giudiziari che Silvio Berlusconi e il gruppo Fininvest finiscono nei guai non per un assillo “politico” dei pubblici ministeri, ma per le confessioni di un ufficiale corrotto del Nucleo regionale di polizia tributaria di Milano. Ammette che le “fiamme gialle” hanno intascato 230 milioni di lire per chiudere gli occhi nelle verifiche fiscali di Videotime (nel 1985), Mondadori (nel 1991), Mediolanum Vita (nel 1992), tutti controlli che precedono l’avventura politica dell’Egoarca. Accidentale è anche la scoperta dei fondi esteri della Fininvest. Vale la pena di ricordarlo. Uno dei prestanomi di Bettino Craxi, Giorgio Tradati, consegna a Di Pietro i tabulati del conto “Northern Holding”. Li gestisce per conto di Craxi. Sul conto affluisce, senza alcun precauzione, il denaro che il gotha dell’imprenditoria nazionale versa al leader socialista.

C’è una sola eccezione. Un triplice versamento non ha nome e firma. Sono tre tranche da cinque miliardi di lire che un mittente, generoso e sconosciuto, invia nell’ottobre 1991 a Craxi. “Fu Bettino a annunciarmi l’arrivo di quel versamento”, ricorda Tradati. Le rogatorie permettono di accertare che i miliardi, “appoggiati” su “Northern Holding”, vengono dal conto “All Iberian” della Sbs di Lugano. Di chi è “All Iberian”? Per mesi, i pubblici ministeri pestano acqua nel mortaio fino a quando un giovane praticante dello studio Carnelutti, un prestigioso studio legale milanese, confessa al pool di avere fatto per anni da prestanome per conto della Fininvest in società create dall’avvocato londinese David Mackenzie Mills.

Così hanno inizio le rogne che ancora oggi Berlusconi deve grattarsi. Il caso, la fortuna, la sfortuna, fate voi. Tirando quell’esile filo, saltano fuori 64 società off-shore del “gruppo B di Fininvest very secret”, create venti anni fa e alimentate prevalentemente con fondi provenienti dalla “Silvio Berlusconi Finanziaria”. È in quell’arcipelago che si muovono le transazioni strategiche della Fininvest che, come documenterà la Kpmg, consentono a Berlusconi e al suo gruppo di “alterare le rappresentazioni di bilancio”; “esercitare un controllo con fiduciari in emittenti tv che le normative italiane estere non avrebbero permesso”; “detenere quote di partecipazione in società quotate senza informare la Consob e in società non quotate per interposta persona”; “erogare finanziamenti”; “effettuare pagamenti”; “intermediare tra società del gruppo l’acquisizione dei diritti televisivi”; “ricevere fondi da terzi per finanziare operazioni di Fininvest effettuate per conto di terzi”. È il disvelamento non di un episodio illegale, ma di un metodo illegale di lavoro, dello schema imprenditoriale illecito che è a fondamento delle fortune di Silvio Berlusconi. Per dirla tutta, e con il senno di poi, sedici processi per venire a capo di quel grumo di illegalità oggi appaiono addirittura un numero modesto. Nel “group B very discreet della Fininvest” infatti si costituiscono fondi neri (quasi mille miliardi di lire). Transitano i 21 miliardi che rimunerano Bettino Craxi per l’approvazione della legge Mammì; i 91 miliardi in Cct destinati alla corruzione del Parlamento che approva quella legge; la proprietà abusiva di Tele+ (viola le norme antitrust italiane, per nasconderla furono corrotte le “fiamme gialle”); il controllo illegale dell’86 per cento di Telecinco (in disprezzo delle leggi spagnole); l’acquisto fittizio di azioni per conto del tycoon Leo Kirch contrario alle leggi antitrust tedesche; le risorse destinate poi da Cesare Previti alla corruzione dei giudici di Roma (gli consegnano la Mondadori); gli acquisti di pacchetti azionari che, in violazione delle regole di mercato, favorirono le scalate a Standa, Mondadori, Rinascente. E c’è altro che ancora non sappiamo e non sapremo?

Tutti i processi che Berlusconi ha affrontato e deve ancora affrontare nascono per caso non per un deliberato proposito. Un finanziere che confessa, un giovane avvocato che si libera del peso che incupisce i suoi giorni consentono di mettere insieme indagine dopo indagine, ineluttabili per l’obbligatorietà dell’azione penale, una verità che il capo del governo non potrà mai ammettere: il suo successo è stato costruito con l’evasione fiscale, i bilanci truccati, la corruzione della politica, della Guardia di Finanza, di giudici e testimoni; la manipolazione delle leggi che regolano il mercato e il risparmio in Italia e in Europa. Per Berlusconi, la banalizzazione della sua storia giudiziaria, che egli traduce e confonde in guerra alla (o della) magistratura, non è il conflitto della politica contro l’esercizio abusivo del potere giudiziario, ma il disperato e personale tentativo di cancellare per sempre le tracce del passato e di un metodo inconfessabile. Con quali tecniche Berlusconi ha combattuto, e ancora affronterà, questa contesa è un’altra storia.

(La Repubblica, 20.XI.2009)

Signor Presidente del Consiglio


SIGNOR Presidente del Consiglio, io non rappresento altro che me stesso, la mia parola, il mio mestiere di scrittore. Sono un cittadino. Le chiedo: ritiri la legge sul “processo breve” e lo faccia in nome della salvaguardia del diritto. Il rischio è che il diritto in Italia possa distruggersi, diventando uno strumento solo per i potenti, a partire da lei.

Con il “processo breve” saranno prescritti di fatto reati gravissimi e in particolare quelli dei colletti bianchi. Il sogno di una giustizia veloce è condiviso da tutti. Ma l’unico modo per accorciare i tempi è mettere i giudici, i consulenti, i tribunali nelle condizioni di velocizzare tutto. Non fermare i processi e cancellare così anche la speranza di chi da anni attende giustizia.

Ritiri la legge sul processo breve. Non è una questione di destra o sinistra. Non è una questione politica. Non è una questione ideologica. È una questione di diritto. Non permetta che questa legge definisca una volta per sempre privilegio il diritto in Italia, non permetta che i processi diventino una macchina vuota dove si afferma il potere mentre chi non ha altro che il diritto per difendersi non avrà più speranze di giustizia.

ROBERTO SAVIANO

Per aderire: http://temi.repubblica.it/repubblica-appello/?action=vediappello&idappello=391117

Ja, wir sind deutsch!

Ieri, l’edizione principale del Gr di RadioRai si è conclusa con uno strano annuncio: «Può essere necessario cambiare la selezione del Paese scegliendo per esempio Germania invece che Italia». Era un invito agli abitanti del Lazio in difficoltà con il digitale terrestre (Dtt). Che provassero a impostare una diversa nazione del decoder. Germania? E perché mai? È la prima volta che la Rai ammette ufficialmente qualche inconveniente di ricezione nello switch off .

http://www.corriere.it/cronache/09_novembre_24/digitale-terrestre-tv-germania-grasso_d346a552-d8c6-11de-a7cd-00144f02aabc.shtml

Finalmente! Siamo diventati tedeschi! almeno con il digitale terrestre, l’ultima trovata di quel paese dove ogni sei mesi c’è una trovata per impuffare i cittadini fidenti e fiduciosi: il Dtt che ricorda tanto il DDT di lontana memoria. Prima vedevamo tutto gratis, ora, pagando, vediamo male qualcosa. Perfetto, no? Di che ci lamentiamo? Potevano dirci di scegliere come nazione il Guatemala o il Botswana (più adeguate ai nostri standard civili e politici), no, la Germania. Magari qualche ritaglio della vecchia DDR è rimasto in qualche magazzino, magari ce lo danno a poco..magari.