..Sarà la dinamica del segno?

meeting-rimini-2010_articleimage.jpgChiedo aiuto agli amici che, come noto, si vedono nel momento del bisogno. Nel mio arduo percorso di approfondimento di Comunione e Fatturazione mi sono scaricato il sottoscritto Comunicato stampa. Me lo sono letto 3 volte senza capirci un tubulo, il ten.Drogo, uso a ben altri cimenti, l’ha letto da capo a fondo e poi si è allontanato urlando improperi oscuri in una lingua ignota e ora lo vedo saltellare e becchettare l’erba sugli spalti di FB. Che avrà voluto dire?

Leggete e poi ditemi. Per aiutarvi/mi ho evidenziato alcuni passaggi, letti i quali potete barrare una delle seguenti opzioni come risposta alla domanda “What does it mean? (Sa vòl dìr?)”: a. Sono parole in libertà; b. Fried air (aria fritta); c. Ecco cosa succede ad andare a Rimini in agosto e scordarsi il cappello; d. Dov’è la moschea più vicina; e. Boh?

65. Quella natura che ci spinge a desiderare cose grandi è il cuore

 

L’incontro con don Stefano Alberto sul tema del Meeting di quest’anno

Cos’è il cuore e cos’è questo leopardiano “misterio eterno dell’esser nostro”? Quali riduzioni subisce di continuo? Quale risposta può avere il suo “desiderio di abbracciare le infinite possibilità del reale”, come grida il Miguel Mañara di Oscar Milosz? Il compito di spiegare il titolo del Meeting di quest’anno spetta a don Stefano Alberto, docente di Introduzione alla teologia all’Università cattolica del Sacro Cuore di Milano, che si è messo per strada con due grandi compagni di viaggio: Giacomo Leopardi e monsignor Luigi Giussani.

Senza trascurare, comunque, l’incontro con altri prestigiosi viandanti: da Claudel a Camus, da Nietzsche a Pavese. Anche se era chiaro che quello che teneva per mano tutti, nel senso che ne illuminava le parole e ne approfondiva le ragioni, era monsignor Giussani, ampiamente citato lungo tutta la lectio.

Introdotto dallo storico dell’arte Marco Bona Castelletti, don Alberto ha parlato per un’ora, in un auditorium gremito, al pari dell’ampio spazio antistante il salone. Il suo intervento è stato trasmesso dal maxi schermo della Hall Sud e da altri impianti sparsi per la Fiera; la vita del Meeting ha subito un improvviso rallentamento.

A don Giussani appartiene la definizione del “cuore” come quel complesso di evidenze ed esigenze originali (di felicità, verità, bellezza, bontà, giustizia) con cui l’uomo è lanciato dalla natura nell’universale paragone con se stesso, con gli altri e con le cose. Un cuore che, nell’incontro con la realtà, si scopre insoddisfatto, domanda l’impossibile. Come il Caligola di Camus, che chiede la luna, o comunque “qualcosa che non sia di questo mondo”.

Una natura insoddisfatta che nasce da una sete inestinguibile. Il Leopardi dei Pensieri scopre “il maggior segno di grandezza e di nobiltà” dell’uomo proprio nel “trovare che tutto è poco e piccino alla capacità dell’animo”. Intuizione che il poeta ripropone in Sopra il ritratto di una bella donna: le circostanze destano desideri infiniti ma basta “un discorde accento” perché tutto venga meno.

Un “misterio eterno” che non può essere liquidato come “confusa velleità di un adolescente” (Sapegno docet), come domande giovanili che poi i filosofi allontanano da sé come assurde. Anzi. La pianista russa Marija Judina, grande “ospite” di questo Meeting, sosteneva il contrario: “La grandezza dell’uomo non sta principalmente nelle sue doti bensì nell’impulso ad osare, nel suo cuore che ha sete di infinito”.

Questo impulso, questa tensione all’infinito, come già asserito da Leopardi, non regge però ai limiti e alla contraddittorietà delle realizzazioni storiche per cui, non arrivando la risposta che ciascuno tende ad immaginare, “si finisce – ha affermato don Alberto – per ridurre o svuotare di senso le domande ultime costitutive del mio umano”.

La “saggezza”, allora, diventa quella delle colonne d’Ercole dell’Ulisse dantesco: bisogna restare entro la misura stabilita dall’individuo o dalla mentalità che lo circonda.
Nella confusione odierna, in cui si nega ogni elemento spirituale e si riduce il desiderio ad istinto, è ancora Leopardi, con Il pensiero dominante, a mettere al centro il cuore, che se ne sta, gigantesco, conficcato dentro l’uomo “siccome torre in solitario campo”. Nel suo capolavoro, Il senso religioso, Giussani spiega che il cuore non è un’astrazione filosofica, una creatura dell’alienazione umana: è un dato, un criterio di giudizio posto dentro di noi per sapere che cosa mi corrisponde della realtà. È chiaro che il cuore di don Giussani, e del Meeting, non ha nulla a che vedere con certe riduzioni sentimentali che lo contrappongono alla ragione. “Si può affermare – ha chiarito don Stefano – che per Giussani cuore si identifica con ragione, che è coscienza della realtà nella totalità dei suoi fattori”. Ma allora, perché chiamarlo cuore? Risponde don Giussani: “
Perché il cuore è il luogo dell’affectus, ma l’affectus non è antitetico a ragione, è l’aspetto ultimo della ragione”.

Per cui “il cuore è la sede delle evidenze ed esigenze originali che proiettano l’individuo sulla realtà, cercando di registrare come essa è”. “La ragione – incalza il fondatore di Cl – coglie la realtà sostenuta dall’affettività propria di un giudizio di corrispondenza tra la realtà e il cuore, le esigenze del cuore”. Don Alberto, poi, ha chiarito cosa voglia dire fare esperienza, spiegando che è cosa diversa dal semplice provare: “Ciò che si prova diventa esperienza quando è giudicato dai criteri del cuore: se è veramente vero, veramente bello, veramente buono, veramente felice”.

Il docente della Cattolica non si è fermato alla definizione del cuore. Sempre in compagnia dei suoi due amici, è andato oltre, raccontando l’esempio del bambino che aveva smontato una sveglia e alla fine aveva tutti i pezzi dell’orologio ma non era più capace di rimetterli insieme, perché l’idea della sveglia non era un altro pezzetto ma un’altra cosa. Spiega Giussani: “Senza il riconoscimento del Mistero come fattore della realtà non c’è esperienza. Il reale ci sollecita a ricercare qualcosa d’altro che è il significato ultimo di ciò che appare.

È la dinamica del segno. Bloccare questa dinamica all’apparenza sarebbe soffocare irragionevolmente l’impeto originale con cui il cuore, provocato, si protende sul reale”. Leopardi, secondo Giussani, non era andato molto lontano dal capire questo. In Alla sua donna parla di una “Cara beltà”, sempre desiderata e mai raggiunta ma non per questo inesistente, forse viva in altri mondi. Una beltà alla quale far giungere il suo inno di “ignoto amante”. Per Giussani, “Gesù era profetizzato dal genio di Leopardi milleottocento anni dopo la sua esistenza”. Quel Gesù nel quale tutte le esigenze elementari del cuore si sono fatte carne.

“Gesù Cristo – è ancora il pensiero di don Giussani ad emergere – si rivela come una presenza che corrisponde in modo eccezionale ai desideri più naturali del cuore e della ragione umani. Davanti al suo ‘vieni e seguimi’, pescatori, mafiosi, prostitute, sapienti, politici sono chiamati a decidere se aderire al vero più che alla propria idea o al proprio tornaconto”. Ma c’è una condizione indispensabile per rispondere a Cristo: prendere coscienza di se stessi e delle proprie esigenze. Altrimenti Cristo diviene un puro nome.

“Realisticamente – ha detto don Alberto – senza l’aiuto di Cristo l’uomo non riesce a vivere a lungo senza farsi del male”. Una fragilità di cui il potere approfitta per ridurre l’ampiezza infinita dei desideri dell’uomo e illuderlo che possa trovare soddisfazione in risposte parziali. “Mentre l’attrattiva che tutte le circostanze hanno – scrive don Giussani – è qualcosa di provvisorio che rimanda all’attrattiva definitiva ed ultima della grande Presenza”.
Questa contemporaneità di Cristo, che da battezzati i cristiani vivono nella Chiesa, è la condizione per la rinascita dell’io, per la trasformazione dei normali connotati dell’esistenza umana: l’amore, l’amicizia, il lavoro, la politica. Dice Benedetto XVI che “il contributo dei cristiani è decisivo solo se l’intelligenza della fede diventa chiave di giudizio e di trasformazione”. Don Alberto conclude con una lettera di Andrea Aziani, un suo caro amico, missionario laico di Cl, morto due anni fa.

“Occorre che qualcuno si innamori di ciò che ha innamorato noi – scrive fra l’altro Aziani, e la voce di don Alberto si incrina – ma per questo noi dobbiamo bruciare, letteralmente ardere di passione per l’uomo, perché Cristo lo raggiunga”.
(D.B.)
Rimini, 24 agosto 2010

 

Che dice Rosalinda Celentano?

meeting-rimini-2010_articleimage.jpgVorrei capire cosa succede a Rimini, al Meeting di Comunione e fatturazione. Ho spulciato l’elenco dei Comunicati stampa ufficiali. Dateci un’occhiata anche voi:

Rosalinda Celentano si confronta con la Sindone

Un impegno per ciascuno. Ognuno al suo lavoro

Conferenza stampa Carfagna – Cota – Alemanno – Vignali

Piccolo è bello, nano ancor meglio

Chi crede si incontra: la natura del dialogo vero

Federalismo: nuovo nome dell’unità d’Italia

“Vorrei diventare il santo protettore dei comici”

Santa messa in rito bizantino slavo

Brian Kazzaniga & the rock ‘n roll band

Dentro e oltre la crisi: incontro con Giulio Tremonti

Desiderare Dio: il “Cineforum” del Cardinale Scola

Il senso religioso e il pensiero cinese

Muisland: terra Naomi e Radiolondra

Conferenza stampa col Cardinale Scola

Al cuore dell’esperienza: perdonare è possibile

Conferenza stampa con Marcegaglia, Geronzi, Lupi

Conferenza stampa con Roberto Maroni

L’ultima parola è dei pavoni

etc…

http://www.meetingrimini.org/default.asp?id=673&edizione=4928&item=5&value=0

Rivoluzione liberale

(Dopo l’attacco di “Famiglia Cristiana”)

L’AFFONDO DI FAREFUTURO – Anche FareFuturo, l’associazione culturale vicina al presidente della Camera, Gianfranco Fini, torna ad esprimere critiche sul Pdl e sul suo leader. E lo fa rivolgendosi ai «berlusconiani moderati»: «Ci avete (ci abbiamo) provato, ci avete (ci abbiamo) creduto. La strada che doveva trasformare l’Italia è cambiata, passo dopo passo, sotto i nostri occhi. Si è snaturata. E da liberale è diventata populista (e leghista). Non c’è niente di male ad ammetterlo. E non c’è niente di male a provare a cambiare strada, per provare a ricominciare, per non tradire se stessi, quello in cui si è creduto. Ci sono nuovi percorsi possibili. Niente è sicuro nella vita. Ma vale la pena di provare, almeno». E ancora.: «Ve la ricordate la Rivoluzione liberale? Bei tempi. Ma adesso, siete così convinti, cari pidiellini “moderati”, che la Rivoluzione liberale (quella che guardava alla signora Thatcher e al presidente Reagan con ammirazione e con invidia) possa avere il volto di Vladimir Putin, e possa davvero consumarsi sotto il tendone di Gheddafi? Davvero credete che la Rivoluzione liberale possa essere cantata da Vittorio Feltri e dal suo Giornale? Davvero pensate che la Rivoluzione liberale possa affidarsi alle mani di Cosentino e di Verdini? E possa rispecchiarsi nel senatore Quagliariello che grida ‘assassino’ a Beppino Englaro e a chi ha mostrato solidarietà a un padre travolto da diciassette anni di dolore?». E poi c’è il capitolo Lega: «Davvero pensate che la Rivoluzione liberale possa essere appaltata alla Lega Nord? A Umberto Bossi, Roberto Cota, Roberto Calderoli? Siete sicuri che la rivoluzione liberale sia fatta di medici e presidi spia, di respingimenti in mare, di conflitti con le Nazioni Unite, di schedature? E poi di ‘culattoni!’ e di maiali al guinzaglio? Davvero volete che le vostre idee e i vostri progetti (ma anche, soprattutto, i vostri seggi, parliamoci chiaro….) si tingano di verde padano?».

LA REPLICA DELLA LEGA – A FareFuturo ha subito replicato la Lega Nord, per bocca del senatore Piergiorgio Stiffoni: «Dagli anni ’80 è in atto una rivoluzione copernicana che ha visto Umberto Bossi combattere contro il sopruso, il malaffare, l’inciucio e la distruzione del nord. Questa in atto è la vera rivoluzione cui hanno paura chi aspira a ‘Papa Re’. Quella liberale è una rivoluzione ormai vecchia e stantia che non ha portato negli anni alcun beneficio. Eppoi, chi sono i veri liberali? Fini, Bocchino, Granata, Rutelli, Casini e chi più ne ha più ne metta: non ci pigliamo per i fondelli».

http://www.corriere.it/politica/10_agosto_24/famiglia-cristiana-farefuturo-attacco-berlusconi-pdl_09f09cd6-af7f-11df-bad8-00144f02aabe.shtml

Comunione e…

eni24.jpgCosa c’entri Comunione e Fatturazione con il Vangelo me lo sono sempre chiesto. Ho conosciuto qualche ciellino e la distanza fra lui e un cristiano mi è sempre sembrata galattica, come paragonare Bondi (scusate la parolaccia) a Magris. Ma si sa, il sottoscritto ha già il suo posto prenotato agli Inferi, sebbene ultimamente dall’iniziale girone del lussuriosi pare che finirò in quello degli accidiosi. Eh, si sa..si invecchia..

Ma Comunione e Pianificazione no, quelli sono i veri kristiani, quelli abili, svelti, croce e conto corrente, messa e partita IVA, con tanto, tanto, tanto pelo sullo stomaco, vuoi mettere? E poi loro sono davvero aperti all’umanità. Accolgono tutti. Quelli che contano, ovviamente. Così abbiamo sentito Tremendino Tremonti dirci che la sicurezza sul lavoro è un lusso che non possiamo permetterci (gli ricordiamo che anche gli schiavi che costruivano le piramidi avevano le ferie e la mutua), la Marcegaglia (con il suo stuolo di avvocati, visto i procedimenti giudiziari di papà e ditte varie) osannare le meravigliose e progressive sorti dell’imprenditoria nazionale e poi, finalmente, ieri, l’epifania!

E’ stato proclamato il Vangelo secondo Sergio (Marchionne). Secoli di buio, di lotte (di classe), di conflitti (fra capitale e lavoro) spazzati via in un attimo: un lampo, una punto una panda e una qubo e voilà! Marx ci faceva ridere, Weber? Uno sfigato. Ci vuole uno “scatto” e via! E’ vero, noi siamo i miliardari e voi avete le pezze al culo, ma, signora mia, i soldi non danno la felicità (sapesse poi i debiti…)! Noi giochiamo con i miliardi di euro spostando fabbriche qui e là e voi restate senza lavoro? Colpa dei sindacati! E’ tanto semplice, moderno: noi vi diamo un lavoro e voi state zitti e muti. “Sarà tre volte Natale e festa tutto il giorno”, cantava il piccoletto. Davanti a simile rivelazione la platea di Comunione e Masturbazione è andata in solluchero: “sìììì, Sergio, ancora….” (roba che più neanche la signora Marchionne dice..). Quasi quasi domani entro in una Concessionaria FIAT, salto su una Croma e me ne vengo via, tanto cosa vuoi che sia una miserevole auto in confronto all’eternita? Siamo felici, l’orizzonte è libero e sgombro di nubi. Grazie Comunione e Trattazione!

p.s. I cabasisi ci girano perchè, Vangelo di Sergio a parte, i poveracci (giovani o vecchi poco importa) ci restano sempre con le..dita in mezzo, fra una classe imprenditoriale arcaica (atta più al saccheggio che al rischio di impresa) e un sindacato altrettanto arcaico, diviso fra collaborazionismo e “lotta dura e senza paura”, ma mai “con intelligenza e previdenza…”.

‘B. ha divorziato dal Paese. Sarà un crepuscolo violento’ (Marco Belpoliti)

Marco Belpoliti: Il dissolvimento è anche del suo corpo, il sogno è diventato insulto

Cadono sassi dal palazzo che crolla. Marco Belpoliti risponde da un’isola sperduta, l’ultimo insulto di Francesco Giro, lontano chilometri, sembra fasullo: “Come dice?”. No, il sottosegretario Giro dice: “L’editoriale di Famiglia Cristiana è pornografia”. L’autore del Corpo del capo e Senza vergogna s’avvicina al telefono: “Tempo fa avevo previsto due eventi: il 25 luglio e l’8 settembre, un disfarsi progressivo di un regime politico e mediatico. Un disfarsi violento”.

E di lingue acuminate: Casini contro Bossi e Bossi contro Verdini, e tutti contro tutti…
Sintomi del pensionamento del capo. La confusione provoca mal di testa e terrore, le truppe lottano per un pezzetto, sbattono i piedi perché sentono il cambiamento. Non parlano di politica per assenza della stessa. Hanno paura del nuovo: la Seconda o Terza Repubblica che verrà, i naufraghi della Prima e di Mani Pulite hanno trovato rifugio in Forza Italia e poi nel Popolo della Libertà. Sarà traumatico conoscere il futuro.

Quando arriva il futuro per noi?
Ho lasciato l’Italia nei giorni dell’espulsione di Fini e dei finiani. Le puntate successive erano facili da pronosticare. La storia italiana replica con facilità, il cammino dal 25 luglio all’8 settembre è ben avviato. Impressiona il 9 settembre, in vent’anni di Berlusconi ne abbiamo sviscerato le contraddizioni ma dimenticato un particolare: cosa accadrà al suo tramonto? Siamo impreparati.

Come rimediare?
Forse la soluzione è nel saggio di Javier Cercas, presto in uscita: Anatomia di un istante, un viaggio nel fallito colpo di Stato spagnolo del 23 febbraio del 1981. Lì erano avanti, Franco era morto e il franchista Adolfo Suàrez trascinava la Spagna nella democrazia. Qui il franchismo è morente e il nostro Suàrez sconosciuto. Siamo così indietro che dobbiamo ricominciare da poco. Dalle basi: dalla democrazia. Succederà…

Quel giorno i dossier di Vittorio Feltri saranno un paragrafo storico?
Berlusconi ha un palese segreto che nelle dittature tradizionali era l’esercito. Ovvero un vasto schieramento mediatico: telegiornali, rotocalchi, quotidiani. Parti che aggrediscono col fuoco di fila, parti che cantano buone novelle. Quando la situazione è sotto controllo, e la legislatura lunga e larga, l’esercito fa ordinaria amministrazione: censura le notizie cattive e gonfia il resto. Ma appena un nemico s’avvicina, l’esercito reagisce con durezza per volere del capo. L’esercito è forte e capace di orientare i cittadini, arruolato grazie a un conflitto d’interessi mai nemmeno sfiorato. Ora siamo a un passo dalla svolta, in fondo a una Prima Repubblica mascherata. Scopriamo le facce più o meno scampate a Tangentopoli.

Come scompare un regime?
All’improvviso. Eppure una sera precisa e discussa che la storia segnerà. Il ciclo di Berlusconi s’è dissolto a Casoria, al compleanno di Noemi Letizia: era l’ultimo atto di onnipotenza, oltre qualsiasi vergogna e qualsiasi limite. In ordine di cronaca seguono due divorzi per liberarsi dalle catene: da Veronica Lario e da Gianfranco Fini. Un doppio divorzio con il Paese. I notisti politici appuntavano il rientro da luna di miele, invece era un matrimonio smontato. Una fuga dai cittadini oltre che da Veronica e da Fini.

Fotogramma: agosto romano di afa e turisti, il presidente del Consiglio passeggia in tuta scolorita e mostra la fatica sul volto.
Non può fare altro. La sua fisicità è il programma politico del Pdl. Chi di corpo colpisce di corpo perisce. Uscirà di scena – e la scena è questa – quando il suo corpo s’incurverà come una candela sempre accesa ormai consumata. L’immagine e il potere di Berlusconi sono una cosa sola. È arrivato il momento del dissolvimento perché il corpo servito è più vecchio di vent’anni e il sogno azzurro è l’insulto.

Addio anche al privato che diventa politica con il corpo, le mogli e i figli?
L’italiano ha il comportamento del pendolo, oscilla tra due estremi e oggi siamo al culmine delle foto in bermuda o in montagna su Chi. Spinti da Berlusconi che trasforma il privato in pubblico per fare politica. Un controsenso che, siamo ottimisti, deve finire. Per forza.

Da Il Fatto Quotidiano del 25 agosto 2010

Quei bolscevichi di Famiglia Cristiana…

La Costituzione dimezzata

Il Cavaliere è sempre più insofferente delle “forme” e dei “limiti” previsti dalla Costituzione.

Ecco l’Editoriale di “Famiglia Cristiana” n.35, in edicola dal 25 agosto.

di Beppe Del Colle

Berlusconi ha detto chiaro e tondo che nel cammino verso le elezioni anticipate – qualora il piano dei “cinque punti” non riceva rapidamente la fiducia del Parlamento – non si farà incantare da nessuno, tantomeno dai “formalismi costituzionali”. Così lo sappiamo dalla sua viva voce: in Italia comanda solo lui, grazie alla “sovranità popolare” che finora lo ha votato. La Costituzione in realtà dice: «La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». Berlusconi si ferma a metà della frase, il resto non gli interessa, è puro “formalismo”. Quanti italiani avranno saputo di queste parole? Fra quelli che le hanno apprese, quanti le avranno approvate, quanti le avranno criticate, a quanti non sono importate nulla, alle prese come sono con ben altri problemi? Forse una risposta verrà dalle prossime elezioni, se si faranno presto e comunque, come sostiene Umberto Bossi (con la Lega che spera di conseguire il primato nel Nord e, di conseguenza, il solo potere concreto che conta oggi in Italia). Ma più probabilmente non lo sapremo mai. La situazione politica italiana è assolutamente unica in tutte le attuali democrazie, in Paesi dove – almeno da Machiavelli in poi – la questione del potere, attraverso cento passaggi teorici e pratici, è stata trattata in modo che si arrivasse a sistemi bilanciati, in cui nessun potere può arrogarsi il diritto di fare quello che vuole, avendo per di più in mano la grande maggioranza dei mezzi di comunicazione. Uno dei temi trattati in queste settimane dagli opinionisti è che cosa ci si aspetta dal mondo cattolico, invitato da Gian Enrico Rusconi su La Stampa a fare autocritica. Su che cosa, in particolare? La discesa in campo di Berlusconi ha avuto come risultato quello che nessun politico nel mezzo secolo precedente aveva mai sperato: di spaccare in due il voto cattolico (o, per meglio dire, il voto democristiano). Quale delle due metà deve fare “autocritica”: quella che ha scelto il Cavaliere, o quella che si è divisa fra il Centro e la Sinistra, piena di magoni sui temi “non negoziabili” sui quali la Chiesa insiste in questi anni? A proposito. Ivan Illich, famoso sacerdote, teologo e sociologo critico della modernità, distingueva fra la vie substantive (cioè quella che riassume il concetto di “vita” mettendo insieme, come è giusto, e come risponde all’etica cristiana, tutti i momenti di un’esistenza umana, dalla fase embrionale a quella della morte naturale) e ogni altro aspetto della vita personale o comunitaria, a cui un sistema sociale e politico deve provvedere. Il berlusconismo sembra averne fatto una regola: se promette alla Chiesa di appassionarsi (soprattutto con i suoi atei-devoti) all’embrione e a tutto il resto, con la vita quotidiana degli altri non ha esitazioni: il “metodo Boffo” (chi dissente va distrutto) è fatto apposta.

In morte Cossiga

Nessun onore in quelle armi
di Nicola Fangareggi

L’onore delle armi reso da Prospero Gallinari ed ex compagni di lotta in morte di Francesco Cossiga non fa notizia per i cultori del genere. Il presidente emerito, famigerato “ministro di polizia” del periodo più tragico degli anni di piombo, cercò a lungo occasioni di dialogo con i brigatisti una volta presi e sconfitti e vi trovò soddisfazione, avendo gli uni bisogno dell’altro e viceversa.

La relazione fu durevole e si resse sulla simmetria delle avverse posizioni.
Solitario e ciclotimico, Cossiga dovette convivere senza mai liberarsene col peso dell’assassinio di Aldo Moro, di cui avvertiva la responsabilità morale. La ricerca di contatto con i colpevoli materiali ne fu una conseguenza più o meno conscia di alleviare quel peso.

I superstiti non pentiti della lotta armata tra i quali appunto Gallinari necessitavano di una cornice politica a giustificazione dei molti morti innocenti lasciati sul terreno. Non terroristi ma guerriglieri, e nulla importava se il delirio criminale della rivoluzione proletaria avesse prodotto solo sangue, dolore e lacrime.
Di qui lo speculare equilibrio di cui la lettura mediatica prima ancora che storica si è nutrita nell’arco di un trentennio. Gli ex nemici che fanno pace fanno notizia e abbozzano i contorni di un possibile happy end.

La spettacolare simmetria di interessi si è prolungata nel tempo dando luogo a episodi di regolare impatto scandalistico. Cossiga incontrava la Faranda in tv, stringeva la mano agli ex combattenti riciclati alla vita civile, chiedeva la grazia per Curcio e firmava gli appelli per la liberazione dei cosiddetti “prigionieri politici”.
Vi era nell’azione del presidente emerito un tratto narcisistico che solo le precarie condizioni psicologiche nelle quali per sua stessa ammissione versava potevano giustificare. Il tutto avveniva nel più assoluto spregio della memoria delle vittime e delle proteste dei familiari, come sempre ignorati dalla politica e dai media.

Con il passaggio a miglior vita del presidente emerito il cerchio del teatrino delle illusioni si è chiuso, non senza appunto il suo degno epitaffio. 
Il nostro concittadino a piede libero, sedicente guerrigliero in pensione, si concede il lusso della chiosa in morte dell’antico nemico. Un vezzo da star, in fondo, che esprime a sua volta il narcisismo esasperato di chi per rimuovere i morti ammazzati dalla coscienza rivendica una giustificazione tratteggiata di nobile carica ideale.

Chi abbia avuto curiosità di leggerlo, il Gallinari “contadino nella metropoli” edito quattro anni fa da Bompiani, o di seguirne le non rare esternazioni, ne ha incrociato l’orizzonte circoscritto al confine di un marxismo da scuola elementare. L’assenza di qualsiasi segno di compassione per i morti ammazzati sorprende solo chi sia digiuno di fanatismo vecchio e nuovo.

Muove dunque a notevole ripulsa che quella banda di assassini di poliziotti, magistrati, giornalisti e politici colpevoli solo di appartenere al genere umano e alla società del loro tempo si permetta oggi di “rendere l’onore delle armi” al presunto nemico che fu.
La lotta armata nell’Italia degli anni Settanta non fu rivolta popolare né tantomeno guerra civile. Fu invece il frutto di un delirio di branco fondato sull’odio ideologico e sul terrore pratico al quale la storia non ha concesso prove d’appello. In Italia e nel mondo.

Il signor Gallinari che passeggia oggi placido in via Emilia come un innocuo pensionato deve essere grato a quello Stato che tentò di abbattere col piombo per avergli consentito, malgrado la condanna all’ergastolo, di essere libero dal ’96. Per strada i più non lo riconoscono, lui fa la sua vita e non mi permetto alcun commento.
Tranne che una testimonianza personale. Ogni volta che lo incrocio a passeggio, il Gallinari a piede libero, penso inevitabilmente ai cinque ragazzi della scorta di Moro che alle 9 del mattino del 16 marzo 1978 a Roma egli, vestito da aviatore civile, massacrò a colpi di mitra insieme ai suoi complici (c’era un altro reggiano a sparare, Franco Bonisoli, che credo meriti la citazione).

Chiudo questo articolo ricordando i loro nomi: Oreste Leonardi, Raffaele Iozzino, Domenico Ricci, Giulio Rivera, Francesco Zizzi.
viafani_1.jpgE per far capire ai più giovani di cosa si trattò, pubblico anche qualche fotografia di quel massacro, in modo che i lettori possano comprendere il senso di ribrezzo che provo da ieri quando ho sentito parlare di “onore delle armi”.

http://www.reggio24ore.com/Sezione.jsp?titolo=Nessun+onore+in+quelle+armi&idSezione=16497

Antipatico 2

La sinistra impose in tv la sottocultura
di Marcello Veneziani

La sinistra continua a raccontare la favola di un’Italia imbarbarita dalle tv di Berlusconi. Ma l’egemonia della volgarità parte da più lontano. Prima di Amici c’era Carramba. E prima di Zelig vennero i film di Franco e Ciccio

C’era una volta un’Italia bella che viveva all’ombra dell’egemonia culturale della sinistra. Poi arrivò la destra neoliberista e il popolo passò da Gramsci al gossip, e si abbruttì sotto l’egemonia sottoculturale del berlusconismo. Dall’intellettuale collettivo la bella Italia degradò al regno delle veline, dei tronisti, delle iene, dei grandi fratelli. Questa è la favola che ci viene raccontata ogni giorno dai piangenti cantori della barbarie italiana, di cui è uscita di recente anche una summa intitolata appunto L’egemonia sottoculturale di Massimiliano Panarari, edito da Einaudi (che, guarda un po’, è di proprietà berlusconiana).

È una favola reazionaria per nostalgici progressisti che vagheggiano un mondo che non c’è mai stato. Perché l’egemonia culturale della sinistra c’è stata e c’è ancora, ma non è mai stata egemonia della cultura popolare. È stata ed è un’egemonia che esercita il suo dominio nell’ambito delle minoranze intellettuali e dei poteri culturali; ma non ha mai pervaso il sentire comune. E quando dominava il gramscismo nella cultura, al potere c’era la Democrazia cristiana, il capitalismo degli Agnelli e dei Cuccia, la protezione della Nato. Quando Gramsci andava forte, la cultura popolare del nostro Paese era nelle mani di Mamma Rai di Ettore Bernabei, dei suoi sceneggiati e del suo intrattenimento, di Santa Madre Chiesa con le sue parrocchie e i suoi oratori, e del fantastico mondo di Sanremo, un disco per l’estate, Canzonissima, Miss Italia, tutto il calcio minuto per minuto, la Lotteria e il Lotto. Quando non c’era ancora la De Filippi con la tv berlusconiana c’era la Carrà sulla tv di stato, nel suo viaggio dal tuca tuca a Carramba che sorpresa. Se la tv è oggi quella corrida a cui l’avrebbe ridotta il berlusconismo, secondo Umberto Eco, è perché c’era in Rai la Corrida di Corrado che coglionava i dilettanti allo sbaraglio, alimentando narcisismo e derisione. Quando in tv non c’era Zelig berlusconiano, in Rai c’erano Franco e Ciccio; erano forse più colti e gramsciani? Se la De Filippi evoca in Panarari addirittura Nietzsche, allora Fantozzi è l’erede di Marx. E poi che senso ha attribuire questo mondo alla destra neoliberista: il Gramsci dell’egemonia sottoculturale è stato Maurizio Costanzo, nato e cresciuto in Rai e sdoganatore di opinioni, vizi e gusti «de sinistra», salvo l’ossequio all’editore. Simona Ventura, «la protovelina» per eccellenza secondo Panarari, veicola una sottoideologia antiberlusconiana, vagamente sinistrese. E molti comici e cineasti dell’era volgare berlusconiana sono succedanei gramsciani da sballo.
Alberto Asor Rosa scorge nel Grande Fratello l’ideologia dominante dell’Italia berlusconiana: chi glielo dice al Professore che il format è stato importato dalla progressista Olanda e ha fatto il giro del mondo? Chi glielo dice ai predicatori dell’Italia perduta che Amici, il becero format di Maria De Filippi, non nasce dalle viscere del berlusconismo ma è un format inglese, Pop Idol, importato in tutto il mondo, che va forte anche nell’ex sovietico Kazakistan? O che le telenovelas, la tv dei palestrati e delle rifatte, non vengono fuori dal lifting berlusconiano ma dalla tv sudamericana, colombiana e brasiliana in particolare? E quanto viene attribuito al berlusconismo, da Drive in alle sit com e ai reality, è in realtà made in Usa, cioè figlio dell’internazional-popolare?

Ma poi vi ricordate quante canzoni stupide, quanti filmazzi idioti, quanta comicità demente c’erano nell’Italia «gramsciana» degli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta? Non era anche quella egemonia sottoculturale di massa? E quando Pier Paolo Pasolini voleva spegnere la stupida tv e piangeva le macerie morali e spirituali non c’era ancora la tv commerciale e Berlusconi andava ancora per crociere. E quando Eco scriveva la fenomenologia di Mike Bongiorno non c’era ancora il biscione ma la sua tv era la Rai di Stato. Quanto al gossip il nome è nuovo ma la molla è antica: si chiamava pettegolezzo e una volta si applicava al condominio o al villaggio locale. Ora si applica a internet e al villaggio globale. C’è un degrado? Sì, lo credo anch’io, ma perché discendiamo da quei presupposti e in discesa tutto acquista velocità.

Allora riassumiamo: l’egemonia sottoculturale accompagna la società consumistica di massa dal suo nascere e non è un frutto dell’anomalìa italiana e del berlusconismo. È piuttosto legata al sorgere e allo svilupparsi della tv, all’americanizzazione del mondo, al primato assoluto del vivere e del piacere, del divertirsi e dell’apparire. Sul caso italiano sono anch’io convinto che le tv commerciali abbiano contribuito a involgarire i gusti e i linguaggi, in una gara al ribasso. Ma l’egemonia sottoculturale della volgarità è descritta da Ortega y Gasset, già nel 1930, ne La ribellione delle masse.

Sul caso italiano vorrei infine che fossero considerate tre cose. Uno: quanto ha contato in questa trivializzazione di gusti e linguaggi, l’orda liberatoria del Sessantotto, e il passaggio dalla società inibita e pudica alla società esibizionista e volgare? Due, il Panarari rimpiange il Pci che «teneva sveglia la ragione»; ma quanto ha contato sull’edonismo degli anni Ottanta la voglia di fuggire dagli anni di piombo, dai totalitarismi, i gulag e le persecuzioni, il manicheismo cupo e intollerante degli anni settanta? Non fu una liberazione Drive in, Quelli della notte e loro succedanei, dal peso funesto della storia? E infine: parlate di egemonia sottoculturale; ma la cultura dov’è, come reagisce a questa egemonia, che opere sforna, come sa parlare alla gente, cosa indica di positivo oltre la dissoluzione, il nichilismo, la morte di Dio, della filosofia, della tradizione, della famiglia e della comunità? Non offre nulla. E poi non lamentatevi se qualcuno quel nulla poi lo vuole perlomeno divertente.

http://www.ilgiornale.it/cultura/la_sinistra_impose_tv_sottocultura/05-08-2010/articolo-id=465427-page=1-comments=1

Antipatico

25 aprile 1.jpgNon si può essere sempre simpatici. Gli amici servono anche a dire cose che magari subito ci danno un po’ fastidio ma poi magari…

Festa Reggio apre il 19 agosto (giorno del mio genetliaco, troppo gentili) con un dibattito dal titolo “Resistenza come risorsa politica”. Il commento di Reggio 24H è stato “Frattanto si avvicina la ripresa post ferragostana. Per la serie “Fracassiamoci i coglioni subito”, Festareggio aprirà le danze con un interessantissimo dibattito intitolato “La Resistenza come risorsa politica”. E chi se lo perde?”

Io me lo perdo e non solo perchè sarò impegnato in bagordi (ho qualche bottiglia a FB che attende la sua ora, a proposito: c’è da da bere anche per gli amici…) ma perchè quando ho saputo dell’iniziativa il mio commento è stato “Risorsa per chi? Per Filippi e amici?”

In una città che ha cancellato la propria memoria, che spende soldi nella Fottigrafia Europea e chiude gli Archivi, che non trova quattro eurini per i Viaggi della Memoria, un’approccio simile mi sembra davvero…inadeguato.

Abbiamo passato anni a descrivere i danni fatti dalla politica sulla storia della Resistenza e sui suoi valori e adesso andiamo ad offrirci a chi, oltretutto, dimostra -nei fatti- di credere così poco proprio in quei valori? Torniamo a fare della Resistenza una cosa di parte, e di una piccola e confusa parte?

Fracassiamo i cabasisi ai pochi, allontaniamo i tanti. Comunicazione zero. Ce la suoniamo e ce la cantiamo fra noi. Rimaniamo come siamo: MARGINALI, noiosi, vecchi, un piccolo bacino di voti da mantenere col minimo sforzo (quattro chiacchiere e 1/2 euro).

Per dirla con Nanni: “Continuiamo a farci del male…”

Digital divide

Cari amici e 25 lettori,

avrete pensato che anche il sottoscritto sia andato in ferie, magari in qualche isoletta trendy o in quel di Capalbio? Tranquilli, nulla di tutto ciò. Vigilo dall’alto di Fortezza Bastiani i movimenti nella valle fra Tassobio e Monteduro. Sentinella, a che punto è la notte? Notte fonda, si direbbe, ululati di iene e tanfo di guano come sottofondo. Confesso, ormai rieco a vedere solo i notiziari della BBC, come si faceva una volta con Radio Londra. Solo che oggi sul terreno le parti sono quasi invertite: la maggioranza sguazza nella brodazza, la corte del Regno dei Birboni ha dichiarato guerra aperta alle regole, allo Stato, a tutto. L’opposizione non c’è. Sfumata, evaporata, disciolta (forse al mare? Il sole fa brutti scherzi alle teste di burro…).

In questo povero paese ci tocca sentire risuonare ancora la demenza leghista e qualche cefalopenico dell sinistra (?) magari pensa che, sì, forse, il federalismo e pippe simili, negli USA Obama con un discorso nobile e alto riafferma l’uguaglianza di tutte le religioni in uno stato laico, ma non a parole, autorizzando la costruzione di una moschea a Ground Zero.

Ascolto il cardinale aperto per turno e capisco perchè da anni ho scelto di dare l’8 p.m. alla Chiesa Valdese.

Leggo che l’ancora on. Dell’Utri, condannato già in II grado per mafia, per ferragosto se ne va a visitare le carceri, piene di detenuti in attesa di giudizio o condannati in I grado, e mi auguro che il suddetto sia andato ad effettuare un sopralluogo della sua prossima residenza. Ottimista?

Reggio è sempre all’avanguardia (e lo sapevamo): anche a Ferragosto ci siamo meritati le prime pagine della stampa più qualificata. Come? L’Università, la Fottigrafia Europea? Notti variocolorate? Naah! Balotelli a Reggio a trovare una “fanciulla”. Pensate, lui, il grande, parcheggia in Piazzale Fiume, cento metri da casa mia e io dov’ero? Chiuso a Fortezza Bastiani a perdere un appuntamento con la storia, quella vera. Oddio, ho pensato, anche se ci fossi stato, anche se il pedatore fosse passato sotto le mie finestre…io non l’avrei riconosciuto. Sicuro al 100%! Che vergogna, confesso, essere così ignorante! Ma, tranquilli, studierò, mi metterò in pari, a ottobre inizierò la collezione di figurine Panini…

p.s. che c’entra il titolo del post? “Digital divide”? Facile, a FB il cellulare prende appena, per usare internet ho allestito un I.point sugli spalti, all’aperto e, vi garantisco, che nonostante l’amore per i miei 25 lettori, starsene lì sotto la pioggia dei giorni scorsi era dura, veramente dura…