‘B. ha divorziato dal Paese. Sarà un crepuscolo violento’ (Marco Belpoliti)

Marco Belpoliti: Il dissolvimento è anche del suo corpo, il sogno è diventato insulto

Cadono sassi dal palazzo che crolla. Marco Belpoliti risponde da un’isola sperduta, l’ultimo insulto di Francesco Giro, lontano chilometri, sembra fasullo: “Come dice?”. No, il sottosegretario Giro dice: “L’editoriale di Famiglia Cristiana è pornografia”. L’autore del Corpo del capo e Senza vergogna s’avvicina al telefono: “Tempo fa avevo previsto due eventi: il 25 luglio e l’8 settembre, un disfarsi progressivo di un regime politico e mediatico. Un disfarsi violento”.

E di lingue acuminate: Casini contro Bossi e Bossi contro Verdini, e tutti contro tutti…
Sintomi del pensionamento del capo. La confusione provoca mal di testa e terrore, le truppe lottano per un pezzetto, sbattono i piedi perché sentono il cambiamento. Non parlano di politica per assenza della stessa. Hanno paura del nuovo: la Seconda o Terza Repubblica che verrà, i naufraghi della Prima e di Mani Pulite hanno trovato rifugio in Forza Italia e poi nel Popolo della Libertà. Sarà traumatico conoscere il futuro.

Quando arriva il futuro per noi?
Ho lasciato l’Italia nei giorni dell’espulsione di Fini e dei finiani. Le puntate successive erano facili da pronosticare. La storia italiana replica con facilità, il cammino dal 25 luglio all’8 settembre è ben avviato. Impressiona il 9 settembre, in vent’anni di Berlusconi ne abbiamo sviscerato le contraddizioni ma dimenticato un particolare: cosa accadrà al suo tramonto? Siamo impreparati.

Come rimediare?
Forse la soluzione è nel saggio di Javier Cercas, presto in uscita: Anatomia di un istante, un viaggio nel fallito colpo di Stato spagnolo del 23 febbraio del 1981. Lì erano avanti, Franco era morto e il franchista Adolfo Suàrez trascinava la Spagna nella democrazia. Qui il franchismo è morente e il nostro Suàrez sconosciuto. Siamo così indietro che dobbiamo ricominciare da poco. Dalle basi: dalla democrazia. Succederà…

Quel giorno i dossier di Vittorio Feltri saranno un paragrafo storico?
Berlusconi ha un palese segreto che nelle dittature tradizionali era l’esercito. Ovvero un vasto schieramento mediatico: telegiornali, rotocalchi, quotidiani. Parti che aggrediscono col fuoco di fila, parti che cantano buone novelle. Quando la situazione è sotto controllo, e la legislatura lunga e larga, l’esercito fa ordinaria amministrazione: censura le notizie cattive e gonfia il resto. Ma appena un nemico s’avvicina, l’esercito reagisce con durezza per volere del capo. L’esercito è forte e capace di orientare i cittadini, arruolato grazie a un conflitto d’interessi mai nemmeno sfiorato. Ora siamo a un passo dalla svolta, in fondo a una Prima Repubblica mascherata. Scopriamo le facce più o meno scampate a Tangentopoli.

Come scompare un regime?
All’improvviso. Eppure una sera precisa e discussa che la storia segnerà. Il ciclo di Berlusconi s’è dissolto a Casoria, al compleanno di Noemi Letizia: era l’ultimo atto di onnipotenza, oltre qualsiasi vergogna e qualsiasi limite. In ordine di cronaca seguono due divorzi per liberarsi dalle catene: da Veronica Lario e da Gianfranco Fini. Un doppio divorzio con il Paese. I notisti politici appuntavano il rientro da luna di miele, invece era un matrimonio smontato. Una fuga dai cittadini oltre che da Veronica e da Fini.

Fotogramma: agosto romano di afa e turisti, il presidente del Consiglio passeggia in tuta scolorita e mostra la fatica sul volto.
Non può fare altro. La sua fisicità è il programma politico del Pdl. Chi di corpo colpisce di corpo perisce. Uscirà di scena – e la scena è questa – quando il suo corpo s’incurverà come una candela sempre accesa ormai consumata. L’immagine e il potere di Berlusconi sono una cosa sola. È arrivato il momento del dissolvimento perché il corpo servito è più vecchio di vent’anni e il sogno azzurro è l’insulto.

Addio anche al privato che diventa politica con il corpo, le mogli e i figli?
L’italiano ha il comportamento del pendolo, oscilla tra due estremi e oggi siamo al culmine delle foto in bermuda o in montagna su Chi. Spinti da Berlusconi che trasforma il privato in pubblico per fare politica. Un controsenso che, siamo ottimisti, deve finire. Per forza.

Da Il Fatto Quotidiano del 25 agosto 2010

Ci hanno portato via anche la vergogna (Marco Belpoliti)

Si intitola “Senza vergogna” il nuovo saggio di Marco Belpoliti appena pubblicato da Guanda. Scritto come un racconto, è un’indagine a tutto campo sulla vergogna nell’attuale società. Il libro conduce il lettore dal carcere iracheno di Abu Ghraib, alle camerette degli hikikomori a Tokyo, alla Città del Capo di J. M. Coetzee, alla New York di Andy Warhol, alla Londra multietnica di Salman Rushdie, alla Las Vegas del porno di David Foster Wallace.

senzavergognagrande.jpgIl tempo della vergogna è forse finito? Non passa giorno che uomini politici, affaristi, immobiliaristi, costruttori edili, banchieri, attrici, alti funzionari dello Stato vengano sbugiardati nelle loro affermazioni, messi alla berlina, esposti al pubblico ludibrio, senza che nessuno debba pentirsi di ciò che ha detto o fatto, rassegnare le dimissioni, ritirarsi a vita privata, o chiedere semplicemente scusa. Tutto resta eguale, come se quel sentimento, che per Brunetto Latini era «passione d’animo, e non è virtude», non li pervadesse, sino a spingerli a gesti estremi. Dal Giappone giunge invece la notizia che il conduttore di un treno superveloce, in ritardo di cinque minuti, si è tolto la vita per l’onta. Un gesto eccessivo, probabilmente, ma perfettamente simmetrico a quello che ha invaso la società italiana negli ultimi vent’anni.
La vergogna, sostengono gli psicologi, è un’emozione intrinsecamente sociale e relazionale: si prova davanti a un pubblico più o meno virtuale che ci guarda, ci biasima, ci giudica; ma al tempo stesso la vergogna appare una emozione «focale», cioè selettiva, per cui ci colpisce solo se abbiamo una disposizione a esserne toccati. Per una persona la contestazione d’eccesso di velocità da parte di una pattuglia di vigili urbani è fonte d’indubbia vergogna, per altri è solo una scocciatura. Naturalmente tutto questo dipende dal giudizio che la società in cui si vive attribuisce a quell’infrazione. Se la nostra società non reputa il peculato, l’interesse privato in atto pubblico, il clientelismo, l’affarismo, il conflitto d’interessi, la prostituzione atti morali riprovevoli, allora è evidente che i singoli che v’incorrono difficilmente proveranno vergogna.
Forse per capire se è scomparsa la vergogna nella società italiana basta fare un piccolo esperimento: per quale ragione abbiamo un’immagine negativa di noi stessi? Probabilmente la maggioranza risponderebbe: per la vergogna di non aver successo, di non essere notati, per la terribile vergogna d’essere nessuno. Vige oggi una vergogna di tipo amorale, emozione e sentimento di superficie che non intacca l’immagine profonda di sé. «Il tempo delle figure di merda è finito», dice un amico, rivolto al protagonista del romanzo di Nicolò Ammaniti Che la festa cominci. La frase coglie nel segno e indica il rovesciamento anche di un codice morale. Ma come siamo arrivati a questo? Forse perché le istituzioni deputate ad ammaestrare i singoli circa le norme e i comportamenti sociali, ovvero la scuola, la Chiesa, i partiti tradizionali, i sindacati, sono andate tutte in crisi? Probabilmente sì. Tuttavia il problema è: perché è accaduto?
In un celebre saggio, di cui in questi mesi si è celebrato il trentennale della pubblicazione, La cultura del narcisismo, lo storico americano Christopher Lash metteva in luce il rapporto esistente tra l’affermazione del narcisismo e il dominio delle immagini nell’ambito della vita individuale e collettiva. Viviamo, scriveva, in una sorta di vortice d’immagini e di risonanze che arrestano l’esperienza e la riproducono al rallentatore. In quel periodo, anni 70, si erano diffuse le piccole fotocamere, ma anche i registratori portatili e altri riproduttori, così la vita americana appariva una immensa camera dell’eco, una sala degli specchi. La stessa crescita della televisione rendeva il fenomeno ancora più pervasivo, così che oggi la nostra vita quotidiana è a tal punto mediata dalle immagini elettroniche che nessuno risponde più delle proprie azioni, presi come siamo da questa continua esibizione di noi stessi, e insieme degli altri.

Siamo sempre davanti a una «camera», come scriveva già negli anni 60 Thomas Pynchon, per cui il nostro atteggiamento è quello dello «Smile!». Il sorriso è sempre stampato sul nostro viso, e tutti conoscono perfettamente l’angolazione fotografica, o televisiva, con cui mettere in luce il lato migliore del proprio viso. Andy Warhol, con la sua arte, è stato uno dei profeti più acuti di tutto questo.
La civiltà dell’immagine ha dunque divorato la vergogna? Probabilmente sì. Come scriveva negli anni 50 Günther Anders, il filosofo tedesco riparato in America durante la guerra, la televisione ha la capacità di defraudarci dell’esperienza e della capacità di prendere posizione. Certo, grazie al video il nostro orizzonte si allarga a dismisura, ma solo attraverso le immagini. Con formula icastica il filosofo, che era stato operaio alla Ford e uomo delle pulizie a Hollywood, affermava che chi consuma nella propria stanza ben riscaldata l’immagine di un’esplosione nucleare fornita a domicilio è defraudato della capacità di concepire la cosa stessa, le sue conseguenze concrete, e dunque di prendere posizione.
La moralità è legata strettamente a esperienze dirette che nell’ambito della vita quotidiana vengono sempre più a mancare, con il loro corollario di giudizio che inevitabilmente vi si forma. La barriera del pudore si è abbassata, e non solo quella del pudore sessuale, ma anche del pudore legato allo scambio delle merci. Il sesso stesso, grazie alla pornografia, è sempre più una merce, separato dalla sfera dei sentimenti, e quindi anche dalla vergogna stessa, o almeno quella cosiddetta morale; le merci si sessualizzano grazie alla pubblicità.

La vergogna amorale appare legata non già a norme, bensì a modelli di consumo, a etichette sociali, in particolare al potere personale. La psiche individuale e collettiva reca non i segni della vergogna, bensì quelli di un transitorio senso d’imbarazzo. Chi nel romanzo di Ammaniti pronuncia la frase sulla «figura», un chirurgo, si siede, accende una sigaretta e aggiunge: «Si è estinta come le lucciole». Con buona pace di Pasolini e della sua mutazione antropologica.

da “La Stampa”, 28 aprile 2010

Una fredda primavera

Buona primavera! Anche se l’aria è fredda e l’inverno sembra non voler andarsene. Ma le gemme stanno già aprendosi anche nel giardino di Fortezza Bastiani. Le ho viste oggi, il sole già calato dietro i monti, 4 gradi e l’aria del crepuscolo tutta intorno. Questo blog fra pochi giorni compie quattro mesi di vita. L’ho aperto quando mia figlia, 18 anni, mi chiese: “Papà, ma un giorno, quando ci chiederanno noi cosa facevamo mentre tutto questo succedeva, cosa diremo?”. Oggi trovo sul bel libro di un amico (Marco Belpoliti “Il corpo del capo”, uscito presso Guanda) una dedica: “Alle mie figlie, affinchè, quando tutto sarà finito, ne resti memoria”. Ecco, detto in termini più nobili ed efficaci (Marco è sempre stato bravo), il senso di non voler tacere in questa Italia che sta andando alla deriva, di voler usare almeno le armi della scrittura (“é capitato, ed è quello che so fare” dice il poeta) per lasciare una traccia di un “No”, per riuscire a capire che c’è un’Italia migliore possibile che deve trovare il suo spazio anche in questo imbrunire continuo, in questo sgretolarsi di principi, idee e per esserci, ancora, magari quando tutto questo sarà finito e ci chiederemo “come è stato possibile?”

Domani andrò a Cervarolo, per il 65° anniversario della strage. 24 persone innocenti uccise sul’aia, proprio l’ultimo giorno di quel’inverno 1944. Poi venne la primavera e l’estate, l’autunno, ancora l’inverno ma la primavera 1945 arrivò davvero quell’anno. E si ricostruì e si riprese a vivere. Abbiamo dimenticato e per quasi tutti “martiri di Cervarolo” è solo una strada in città. Ma ogni anno, d’estate, su quell’aia i discendenti delle vittime mangiano tutti insieme, a riconsacrare con la vita un luogo di morte. Perchè si rinasce sempre, anche attraverso i figli e i nipoti o anche attraverso quelli che hanno le tue stesse idee. Sarebbe bello ricordarcelo più spesso in questo imbrunire continuo, in questo autunno della nostra Repubblica.