L’Italia è una Repubblica fondata…

Dalla Nuova Costituzione dell’Anno zero del Belpaese: Art.1. L’Italia è una repubblica fondata sullo spettacolo.

Più chiaro di così…con tutto il rispetto dovuto a chi lascia questa valle di lacrime (dove però da sempre qualcuno piange più di altri), mi chiedo: aveva senso tributare un funerale di stato a un presentatore? Poco mancava che fosse decretato il lutto nazionale, negozi chiusi, luci spente. E niente per Pavarotti? Enzo Biagi? Ah, no, signora mia, quello era comunista. Noo, peggio, era onesto.

A breve, vista l’età, anche la cara Rita L.M. passerà a miglior vita. Glielo daremo un funerale di Stato? Magari no, anche perchè, proprio lei, l’avrà rifiutato.

Ma tutto ha una sua logica: nel Belpaese tutto è show, e dallo show vengono i nuovi eroi, i nuovi miti. Santi, Poeti, navigatori, una volta. Oggi baldracche, presentatori, candidati al successo. Cambiano i tempi e giustamente nulla sta fermo, tutto è in movimento. Come spesso capita, per forza di gravità, verso il basso.

Confesso la mia estraneità alla comunità nazionale: sarò uno straniero in patria, ma i due “miti” italiani/italioti del secolo scorso mi sono sempre stati sui cabasisi. Alberto Sordi e Mike Bongiorno. Il primo la maschera (quasi mai attore) dell’Italietta in fondo pronta a diventare berluschina: vile, opportunista, amorale, forte coi deboli e debole coi forti. Mike il cantore di una Italietta piccola e ignorante, senza cattiveria ma qualunquista per definizione, l’Italietta che “tuttovamale mac’èilquiz”. Che poi il Belpaese sia talmente sceso e putrefatto da farlo apparire un “grande”, è solo la conferma dei tempi melmosi in cui si vive. Tempi televisivi a tappeto. Con il video che deve essere l’unica finestra sul mondo, un mondo svuotato di senso e di realtà.

Benvenuti nel grande show! Dove ogni giorno succede un disastro, uno scandalo e il giorno dopo l’abbiamo già scordato. Pronti alla puntata seguente della telenovela. Un mondo ridotto a una versione eterna di “Beautiful”, un mondo come un videogioco dove si può dire e fare qualunque cosa, ma basta schiacciare il tasto di “reset” e, via, si ricomincia. Nessuna conseguenza, nessuna responsabilità. Reset.

In quale paese il capo del governo si sarebbe sognato di dire, a fianco di un altro Capo del Governo (Zapatero) le corbellerie, volgari e sessiste, dell’altro giorno alla Maddalena? L’avesse fatto, adesso quel felice paese avrebbe un nuovo Capo del governo. Da noi? Zero. Reset.

Ultima noticina cinematografica. Chi di dichiarazione ferisce…In quel che fu la Mostra del cinema di Venezia (messa male se sui suoi tappeti sfilano Briatore e la fanciullina Noemi) un giornalista estero ebbe l’uzzolo di fare una domanda (usanza ormai desueta ai giornalisti nostrani) al placido regista. Se ne ebbe insulti e cacchinni. Ieri il nano gridolo, che pare abbia un incarico governativo, se l’è presa con “registi parassiti e con il culturame” di scelbiana memoria. Ehh, signora mia, Dio li fa e poi li accoppia. Se prendessimo il placido regista e l’urlante nanerottolo e li mettessimo lì, vicino a Venezia, no, no, non al Lido, un poco più in là: nell’isola di San Servolo, già sede degli ospedali dei matti, non ci guadagneremmo tutti?

La borsa di Mary Poppins..

Vi ricordate della borsa di Mary Poppins? La appoggiava sul tavolo e poi, fra lo stupore dei due pargoli Banks, estraeva di tutto, compresa una lampada da tavolo e una abatjour da pavimento.

Più o meno dalla borsa di papi ne escono di tutti i colori, peccato che sia robaccia, che quasi le escort e altre ragazze di gamba svelta sembrano cosucce: i traffici con Gheddafi e con Putin, i rapporti con gli stallieri, il patrimonio nato chissà come e via andando. Compreso un bel caso di simonia: voi vescovi tacete e io vi do quello che volete: una legge sul testamento biologico che manco il card.Bellarmino (quello del processo a Galilei, per intenderci) avrebbe sognato? Voilà, fatto! E tutto questo nella placida indifferenza nazionale. Ha ragione giannifotografo, non è il vecchio satiro il problema. Il problema siamo noi, italiani (o quello che ne resta).

Del resto se a destra s’ode un suono di squillo, a sinistra risponde un’altra squillo. In Puglia cene elettorali con le medesime ragazze per onorevoli del PD. E che siamo i più scemi, si saranno detti? E così anche i “nostri” onorevoli (che ricordo non abbiamo scelto ma abbiamo dovuto votare) si sono dedicati a queste fanciulle (magari prendendo su le seconde scelte…). Come dicevo ieri un po’ di tetteeculi non si nega a nessuno, signora mia! Quante volte abbiamo visto a sinistra dirigenti correre dietro alla “modernità”, magari finendo per diventare “utilizzatori finali” del mestiere più antico del mondo? Che tutto andasse a finire a puttane l’avevamo pensato spesso, ma noi, ingenui “moralisti”, pensavamo fosse un modo di dire, una logora metafora. No. Non era una metafora.

Ma noi cosa possiamo dire, cribbio, noi “gattocomunisti”, noi “moralisti” (per dirla alla panebianco). Siamo mai stati “utilizzatori finali”? No. E allora? La solita presunzione degli intellettuali bolscevici. Parlano senza avere esperienza. Tutta invidia, signora mia. Cosa vuole, il maschio è fatto così, ragiona con le gonadi, altro che il cervello di quella gente che legge e scrive. Le gonadi contano. Tutti lo invidiano sotto sotto. Semplice. E del resto cosa vediamo in giro ogni giorno, pur nella civile Reggio, anche nella nostra sinistra? Taciamo per carità di patria e perchè abbiamo famiglia. E’ lo stile italico. Per vent’anni abbiamo preso la tessera del PNF (Per Necessità famigliari), convinti che, per dirla con Longanesi, “l’adesione è obbligatoria ma non impegnativa”. Ci sono voluti i tedeschi in casa, e non erano turisti, per darci uno scossone di dignità. Ma leggete le lettere dei costituenti del nord, arrivati a portare il “vento del nord” (quello vero, partigiano, mica la fangaglia leghista) di fronte alla Roma repubblicana e democratica del 1946…

Nell’attesa, gambe in spalla e lavorare, questo vale per tutti. Tanto possiamo stare tranquilli l’80% della stampa è comunista….

p.s. circa l’ultima impresa editoriale intitolata “Noi”, come ha detto Benigni a Verona, forse il titolo allude a “noi”, tre, quattro, sei al massimo, rimasti a votare a sinistra (si fa per dire).

Pensierini

Il vento sta calando a Fortezza Bastiani, il cielo è blu, l’estate ormai illanguidisce come una zitella di mezza età e io mi faccio delle domande. Abitudine inveterata e pericolosa, ma, come noto, “nessuno siam perfetti ognuno ci ha i suoi difetti”.

Qualcuno ha scritto che un vaticanologo in fondo è un cremlinologo che ha studiato il latino. Quelli un poco più avanti negli anni si ricorderanno le corrispondenze di Demetrio Volciç da Mosca, la lettura di una frase che sottintendeva, un’allusione che indicava, un sopracciglio alzato che prospettava, un raffreddore che sterminava. Bei tempi. Ogni Putin prima spara e poi spiega. Ma per fortuna c’è il Vaticano. Per fortuna (si fa per dire). Mi viene in mente quella vecchia storiella circa le vacanze della Trinità: il Padre vuole andare al mare, il Figlio in montagna, lo Spirito Santo nell’unico posto al mondo dove non è mai stato. Il Vaticano.

In quel libriccino sovversivo scritto da Luca, Marco, Matteo e Giovanni (ebrei e quindi, forse, comunisti) ho letto tante volte: “Il vostro parlare sia sì, si, no,no, tutto il resto appartiene al demonio”. Quando Cristo salì sul monte a predicare non aveva dietro Navarro Valls e relativo ufficio stampa. Ma si sa, i tempi sono cambiati. Eccome se sono cambiati!

Leggete un comunicato stampa della Sala stampa Vaticana e/o della CEI (Comunicazioni ermetiche indefinite) e poi dite cosa ci avete capito. Salvo mettersi lì e parola per parola, sottomano il dizionario Vaticano-italiano, una paio di trattati di kabbalah e ergonomia linguistica babilonese, iniziare a decrittare, interpretare, strologare. Roba che si fa prima a tornare all’aruspicina e interrogare le viscere del primo pollo della Coop.

Vabbè, sono un cattolico da poco, sempre più affaticato, però. Però c’è un limite, credo, e quel limite negli ultimi tempi mi sembra sempre più spesso non solo superato ma saltato, bypassato, quasi ridicolizzato. Se in tempi così difficili neppure la Chiesa è in grado di aiutare un povero cristiano, cosa ci si può aspettare?

“Signore, da chi andremo, solo tu hai parole di vita eterna”. Già da chi andremo?

Un paese indecente (R.Cotroneo)

È davvero troppo. Una degenerazione inarrestabile, laida e torbida, si è impadronita di questo paese. Messaggi mafiosi sul direttore di “Avvenire” Boffo. Un meccanismo inarrestabile fatto di giornali che avvertono, di premier che denunciano, di partite giocate su dossier riservati e inopportuni, di giornali che si comportano come guappi: avvertono, intimidiscono, cercano di ottenere vantaggi per il fratello del proprio editore, il fratello di quel Paolo Berlusconi, che di nome fa Silvio. E che a sua volta finisce in scandali di festicciole di compleanno con minorenni napoletane, e poi si lascia ricattare e ridicolizzare da una escort di Bari, che gira per le sue stanze con un registratore. Tutto questo inframmezzato da foto ricordo con Obama e con i più grandi statisti del mondo come se Berlusconi fosse come loro, e invece non lo è.
E nessuno riesce più a tenere un contegno da paese civile. Nessuno ha parlato di inclinazioni omosessuali di Boffo. Nessuno si rende conto che la degenerazione del paese è arrivata a un livello tale, da stupire anche i più cinici, anche quelli che mai avrebbero pensato potesse finire così.
Berlusconi è una iattura. È una iattura per quello che fa, e persino per quello che non fa. È una iattura non tanto perché, come pensa qualcuno, è il male assoluto, ma per la sua assoluta irresponsabilità, perché ormai non ha più il senso dello Stato e non ha il senso delle proporzioni. Perché è inaccettabile per tutto il resto del mondo occidentale e democratico che stia ancora seduto su quella poltrona da presidente del Consiglio. Perché in questa deriva vergognosa in cui è finito il nostro paese lui è il regista assoluto.
E in questo paese, davanti allo sguardo sgomento di tutte le persone per bene, di destra come di sinistra, sta arrivando l’ultimo atto di un degrado che prima aveva molto di ridicolo, e oggi è decisamente drammatico. Se Berlusconi non si dimetterà finiremo nel dramma definitivo. Leggete, vi prego, leggete tutti i giornali del mondo: quelli inglesi, quelli americani, e poi quelli tedeschi, spagnoli e francesi. Leggeteli e capirete in che infimo livello siamo precipitati. Siamo nel grottesco, un grottesco che pagheremo tutti, e che pagheranno in nostri figli. Siamo ormai un paese spaventoso: razzista, spietato, vergognoso, indecente e irresponsabile. Bisogna fare qualcosa. E se non ora, quando?

http://www.unita.it/rubriche/cotroneo

Class action?

Un’azione collettiva (negli Stati Uniti d’America conosciuta come class action), è un’azione legale condotta da uno o più soggetti che, membri della classe, chiedono che la soluzione di una questione comune di fatto o di diritto avvenga con effetti super partes per tutti i componenti presenti e futuri della classe…Con l’azione collettiva si possono anche esercitare pretese risarcitorie, ad esempio nei casi di illecito plurioffensivo, ma lo strumento oltre alle funzioni di deterrenza realizza anche vantaggi di economia processuale e di riduzione della spesa pubblica.

Così da Wikipedia. E allora: perchè non avviare una class action con richiesta di risarcimento danni per tutto il fango (si fa per dire) che il vecchio satiro (ora anche isterico) ha buttato sul nostro povero paese, riducendolo al pantano che vediamo ogni giorno? Magari si potrebbe vincere almeno l’equivalente dell’ultimo jackpot, concedendo però-come è giusto-al vecchio satiro isterico di rivalersi sui milioni di elettori pirla che l’hanno votato.

Ora le scommesse sono aperte: quale sarà la prossima orrenda mossa del VSI (vecchio satiro isterico?), lascerà ancora liberi i suoi bravi (nel senso manzoniano)di colpire l’ennesimo don Abbondio? Chiuderà il web? Nominerà presidente della Camera il suo fornitore di Viagra? Si nominerà (anti)papa? Girerà vestito di bianco sulla sua “papi-mobile?” Attendiamo fiduciosi, certi che non ci deluderà (si fa per dire).

Un nonno di seconda mano…

Il vecchio nonno-satiro proclama di non aver mai organizzato festini, vero, ci pensavano i suoi prosseneti. Ma non è la solita penosa bugia che colpisce, ormai ci stupiremmo del contrario, ma è il media che il vecchio satiro usa. Uno che ha tutto, ma tutto, proprio tutto. Radio, tivu, video, giornali, internet, feltriebelpietro (scusate la parolaccia) dove ti va ad esternare le sue ballucce da marito colto con le braghe a mezz’asta? Su Chi. Un rotocalco da parrucchiere, da sciampiste. Che tristezza. Sì, lo so, il solerte Gianfilippo mi direbbe che il media scelto è studiato perchè quello è il target di riferimento, etc. E và bene, sarà così. Ma la tristezza rimane.

E se mi è consentito un discorso appena machista: uno che può spendere senza limiti, chi ti va a prendere? Una escort di Bari? Roba da vecchio cumenda che s’intrufolava nei camerini delle ballerine dell’avanspettacolo, come in tanti film di Totò e Peppino (a proposito stasera tutti a vedere Toto, Peppina e la malafemmina su rai3!). Ancora quell’Italia piccola e gretta, ipocrita e bigotta, con i preti grassi e ammiccanti, le mogli rassegnate e stuoli di fanciulle in attesa (allora per fame oggi per desiderio di fama).

Onassis quando volle scegliere le sue donne passò dalla Callas a Jacqueline Kennedy, questo vecchio satiro viagrato raspa su le fanciulline di gamba svelta che il primo traffichino gli passa? E che diamine, anche nel peccato ci vuole classe, signora mia! Almeno prenda esempio da quell’altro milord di Cuneo, tale geom.Briatore Flavio, un po’ grossier anche lui, se vogliamo, ma almeno alla sera usciva con Naomi (Campbell) altro che Noemi Cuccurullo (o come piffero si chiama…).

Come un videogioco…

Game over e si ricomincia! Come un videogioco ogni giorno ci gustiamo una nuova partita del successo del momento “Old pig chase” (Caccia al vecchio porcello). Continui colpi di scena, mignotte che imperversano scosciate e languide, avvocati ghignanti, giornalisti venduti. L’obiettivo è catturare il vecchio porcello ormai alle corde ma che continua, nonostante tutto, ad allungare le mani su qualunque cosa vivente di sesso femminile. Sembra spacciato. Cotto, finito. Game over!

Poi, il giorno dopo, si ricomincia. Nuove rivelazioni sempre più laide, di nuovo mignotte a volo radente, avvocati sempre più ghignanti (che si tratti di un crampo o di una paralisi facciale?), avvocati sempre più venduti e leccobardi e ancora…

Sull’altra consolle invece gira in parallelo un altro videogioco, se il primo è per le masse un po’ grossolane, questo, invece, è per palati raffinati, si chiama “History of P(s)D” (Storia del Partito|suicida|democratico). Il plot è più complicato: una tribù di excomunisti, exdemocristiani, ex socialisti, exexex.. si scanna allegramente in vista della riunione di autunno nei grandi pascoli. In quella tribù vige una simpatica usanza: si scannano i capi e capetti, mentre la gente “normale” sta chiusa fuori. Non ha diritto a dir nulla, se non alla fine ad accorrere presso strane costruzioni detti gazebo per sancire con un plebiscito la vittoria già decisa nella grande tenda chiusa.

I capi in lizza sono i più prestigiosi: Orso piacentino (che può vantare l’appoggio di Baffo del Salento), contro Puledro ferrarese (sconfitto nella battaglia della UE ma sostenuto dal mezzosangue Uolter l’americano). Una lotta fra titani.

Programma dell’Orso: “un riformismo democratico radicato nel territorio che si confronti con le esigenze della crescita che coniughi sviluppo e lavoro”.

Programma del Puledro:un riformismo democratico, radicato nel territorio, che si confronti con le esigenze della crescita che coniughi sviluppo e lavoro”.

Quelle due virgole rappresentano due mondi, due speranze, due possibilità, due p…

Ma anche per questo videogioco ogni giorno c’è una nuova avventura, una nuova svolta. Poi: “gameover” e si ricomincia.

Come si chiamava la consolle? Nintendo? Già, proprio n(on)intendo…..

Leader, giullari e impostori

Di Umberto Galimberti (sabato 18 luglio, Repubblica):

…perché, anche in presenza di comportamenti poco esemplari, il nostro Presidente del Consiglio non perde, se non marginalmente, seguito e consenso. La risposta è molto semplice, perché è un leader carismatico. “Carisma” è una parola che usiamo di frequente, senza mai indagarne l’essenza che, come scrive il neurolinguista americano Robert Dilts, consiste nella “Capacità di creare, attraverso gesti e parole, un mondo al quale le persone desiderino appartenere”. Di solito quel mondo non è reale, gli obiettivi del leader carismatico restano sempre: la sua affermazione, il suo successo, il suo profitto, ma colorati dell’illusione che questi obiettivi possono essere realizzati da tutti coloro che accettano di seguirlo. Lo psicanalista Manfred Kets de Vries autore del libro Leader, giullari e impostori (Raffaello Cortina) così descrive i tratti che connotano la componente carismatica di un leader. A suo dire: quando il sorriso diventa una maschera e l’ottimismo una condotta, quando la comunicazione ha i toni della sicurezza propria di chi non ha paura, di chi non vede ombre, tanto meno dentro di sé, quando la complessità è semplificata fino all’indicazione di una sola via perché altre non se ne danno, quando si è persuasi che ogni branco ha bisogno di un capo e le metafore tratte dal mondo animale diventano abituali, quando lo sguardo è sempre dall’alto, proiettato nel futuro perché il presente è sotto controllo, quando la dipendenza è ciò che soprattutto so esige dagli altri, e quando negli altri si vede solo il proprio riflesso, che è poi il riflesso di una luce senza ombra, allora siamo in presenza di un leader carismatico, il cui tratto peculiare è ben individuato da Gian Piero Quaglino nella sua prefazione al libro di Manfred Kets de Vries. Tutti i leader hanno un sogno, scrive Quaglino , capace di coinvolgere chi lo segue nel suo sogno, “a sognare si è in due: il capo e i suoi gregari, tutti ugualmente coinvolti e partecipi a credere, ad alimentare, ad inseguire il sogno, tutti che si rispecchiano in esso: un sogno a due, un bi-sogno”. Siccome è una costante della natura umana quella per cui metà del mondo si aspetta che qualcuno dica cosa deve fare e l’altra metà non vede l’ora di dirlo, il leader, che appartiene a questa seconda metà, per fare del sogno un bisogno coinvolgente in cui tutti si ritrovano, è costretto a spingere i confini del sogno fino a quel punto in cui i fatti danno l’impressione, non importa se illusoria, di andare incontro ai desideri, mentre la realtà si lascia contaminare dalla sua allucinazione. Un passo ancora e il sogno può spezzarsi, e allora tutti aprono gli occhi e, come annota Quaglino, alla delusione collettiva che sempre accompagna la fine di un sogno, quasi sempre si aggiunge la violenza distruttiva del leader carismatico, che così esprime la vendetta per un sogno tradito. Senza sogni la storia non cammina, ma anche nei sogni occorre una misura se si vuole evitare un risveglio da incubo.

Il nemico della stampa (U.Eco)

Riporto integralmente il pezzo di Umberto Eco, uscito oggi su L’Espresso:

 
Sarà il pessimismo della tarda età, sarà la lucidità che l’età porta con sé, ma provo una certa esitazione, frammista a scetticismo, a intervenire, su invito della redazione, in difesa della libertà di stampa. Voglio dire: quando qualcuno deve intervenire a difesa della libertà di stampa vuole dire che la società, e con essa gran parte della stampa, è già malata. Nelle democrazie che definiremo ‘robuste’ non c’è bisogno di difendere la libertà di stampa, perché a nessuno viene in mente di limitarla.

Questa la prima ragione del mio scetticismo, da cui discende un corollario. Il problema italiano non è Silvio Berlusconi. La storia (vorrei dire da Catilina in avanti) è stata ricca di uomini avventurosi, non privi di carisma, con scarso senso dello Stato ma senso altissimo dei propri interessi, che hanno desiderato instaurare un potere personale, scavalcando parlamenti, magistrature e costituzioni, distribuendo favori ai propri cortigiani e (talora) alle proprie cortigiane, identificando il proprio piacere con l’interesse della comunità. È che non sempre questi uomini hanno conquistato il potere a cui aspiravano, perché la società non glielo ha permesso. Quando la società glielo ha permesso, perché prendersela con questi uomini e non con la società che li ha lasciati fare?

Ricorderò sempre una storia che raccontava mia mamma che, ventenne, aveva trovato un bell’impiego come segretaria e dattilografa di un onorevole liberale – e dico liberale. Il giorno dopo la salita di Mussolini al potere quest’uomo aveva detto: “Ma in fondo, con la situazione in cui si trovava l’Italia, forse quest’Uomo troverà il modo di rimettere un po’ d’ordine”. Ecco, a instaurare il fascismo non è stata l’energia di Mussolini (occasione e pretesto) ma l’indulgenza e la rilassatezza di quell’onorevole liberale (rappresentante esemplare di un Paese in crisi).

E quindi è inutile prendersela con Berlusconi che fa, per così dire, il proprio mestiere. È la maggioranza degli italiani che ha accettato il conflitto di interessi, che accetta le ronde, che accetta il lodo Alfano, e che ora avrebbe accettato abbastanza tranquillamente – se il presidente della Repubblica non avesse alzato un sopracciglio – la mordacchia messa (per ora sperimentalmente) alla stampa. La stessa nazione accetterebbe senza esitazione, e anzi con una certa maliziosa complicità, che Berlusconi andasse a veline, se ora non intervenisse a turbare la pubblica coscienza una cauta censura della Chiesa – che sarà però ben presto superata perché è da quel dì che gli italiani, e i buoni cristiani in genere, vanno a mignotte anche se il parroco dice che non si dovrebbe.

Allora perché dedicare a questi allarmi un numero de ‘L’espresso’ se sappiamo che esso arriverà a chi di questi rischi della democrazia è già convinto, ma non sarà letto da chi è disposto ad accettarli purché non gli manchi la sua quota di Grande Fratello – e di molte vicende politico-sessuali sa in fondo pochissimo, perché una informazione in gran parte sotto controllo non gliene parla neppure?

Già, perché farlo? Il perché è molto semplice. Nel 1931 il fascismo aveva imposto ai professori universitari, che erano allora 1.200, un giuramento di fedeltà al regime. Solo 12 (1 per cento) rifiutarono e persero il posto. Alcuni dicono 14, ma questo ci conferma quanto il fenomeno sia all’epoca passato inosservato lasciando memorie vaghe. Tanti altri, che poi sarebbero stati personaggi eminenti dell’antifascismo postbellico, consigliati persino da Palmiro Togliatti o da Benedetto Croce, giurarono, per poter continuare a diffondere il loro insegnamento. Forse i 1.188 che sono rimasti avevano ragione loro, per ragioni diverse e tutte onorevoli. Però quei 12 che hanno detto di no hanno salvato l’onore dell’Università e in definitiva l’onore del Paese.

Ecco perché bisogna talora dire di no anche se, pessimisticamente, si sa che non servirà a niente.

Almeno che un giorno si possa dire che lo si è detto