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L’amico Giannifotografo così ha commentato il post di R.Cotroneo di ieri:


Non mi iscrivo al rito collettivo dell’isteria di sinistra sul caso escort-querela-boffo.
Mi da fastidio questa scorciatoia che ci evita di vederci allo specchio privi di idee e progetti, privi di una identità se non quella riflessa e contraria all’immagine del novello Belzebu.
Mi urta molto l’intelligenza questa polemica che vuole la nostra morale meglio della sua, i nostri agguati giornalistici giusti e i suoi illeciti, le nostre querele una difesa le sue un’aggressione.
E trovo desolante essere l’unico a scandalizzarsi del livello in cui ci stiamo dimenando.
Per convenienza, anzi per aggregazione oppositiva, oggi andiam d’accordo con la sottana di Ruini e Bertone, senza capire che non siam neanche invitati al palazzo.
Domani saremo pronti a decretare Santo il Draghi-Montezemolo della rinascita nazionale e sommessamente giudicheremo necessario portare le pensioni a 65 anni anche per le donne del settore privato.
Scusate, ma non mi iscrivo in questa politica.

Parto dalla fine: credo che chiamarsi fuori dalla politica non sia mai una cosa saggia. Ho avviato l’avventura di questo piccolo blog di montagna proprio alla domanda di mia figlia “quando tutto questo sarà finito, cosa diremo di aver fatto mentre succedevano queste cose?”. Chiamarsi fuori è istintivo, magari anche comprensibile (chi potendo scegliere fra un tuffo in piscina e uno nella fanghiglia fognaria non sceglierebbe il primo?) ma la realtà è questa, queste le “condizioni al contorno” come diceva il mio prof di Analisi matematica il secolo scorso. E allora, lo dico subito e chiaramente: aspetto Draghi, Montezemolo, Zoff, Burgnich, Facchetti… e chiunque possa farci salire almeno un centimetro dalla melma dove siamo chiamati a sguazzare ogni giorno. Accetto fino in fondo la teoria del male minore e auspico l’arrivo di una destra “normale” ed “europea” che non ci faccia vergognare ogni giorno. Una destra con cui si possa riprendere a confrontarsi, se e quando anche noi, della “sinistra” avremo qualche idea plausibile, cosa che oggi mi pare latitante. Raccolgo del resto la lezione dei nostri nonni del CLN: figuriamoci se il cattolico Dossetti godeva a discutere con il comunista “Eros” (e viceversa) e Marconi con “Miro”, ma quelle erano le “condizioni al contorno”, le accettarono e andarono avanti, convinti di lavorare per quella cosa divenuta per noi incomprensibile che si chiama “bene comune”. Certo ci fu anche di arricciò il naso, disse “no”, che lui non si sporcava le mani per una questione “borghese”: affiancare i capitalisti nella lotta contro altri capitalisti. Jamais. Che si rompessero le corna fra loro e poi, allora sì, si sarebbe fatta la rivoluzione mondiale. Erano quelli di “Stella rossa”. Duri e puri. Inutili, dannosi e cancellati dalla storia. Per fortuna.

Sulla morale. Io credo che la mia morale, come quella di tante persone che conosco sia meglio di quella degli altri, basta intenderci sul pronome “nostra” che Giannifotografo usa. Crollate le grandi agenzie formative (partiti, scuola, famiglia, chiesa) la morale è quella dei singoli, di quei singoli che si uniscono insieme per scelta. Certo di non condividere la “morale” di una “sinistra” che ha assunto i medesimi riferimenti degli “altri”. Stessi gusti, stesse facce, stesse vacanze, stessa divorante fame di denaro e potere, stesso gusto per l’ignoranza. Non siamo tutti uguali, non accetto la vulgata feltriana della merda diffusa e unificante, c’è un’Italia migliore, probabilmente non tutta collocabile in una delle tradizionali caselle della geografia politica. Una Italia nascosta e (per ora) sconfitta e umiliata ma presente. A me piace pensare di parlare soprattutto a quel tipo di persone, convinto, nella mia senile ingenuità, di non essere finito in un patetico soliloquio.


Class action?

Un’azione collettiva (negli Stati Uniti d’America conosciuta come class action), è un’azione legale condotta da uno o più soggetti che, membri della classe, chiedono che la soluzione di una questione comune di fatto o di diritto avvenga con effetti super partes per tutti i componenti presenti e futuri della classe…Con l’azione collettiva si possono anche esercitare pretese risarcitorie, ad esempio nei casi di illecito plurioffensivo, ma lo strumento oltre alle funzioni di deterrenza realizza anche vantaggi di economia processuale e di riduzione della spesa pubblica.

Così da Wikipedia. E allora: perchè non avviare una class action con richiesta di risarcimento danni per tutto il fango (si fa per dire) che il vecchio satiro (ora anche isterico) ha buttato sul nostro povero paese, riducendolo al pantano che vediamo ogni giorno? Magari si potrebbe vincere almeno l’equivalente dell’ultimo jackpot, concedendo però-come è giusto-al vecchio satiro isterico di rivalersi sui milioni di elettori pirla che l’hanno votato.

Ora le scommesse sono aperte: quale sarà la prossima orrenda mossa del VSI (vecchio satiro isterico?), lascerà ancora liberi i suoi bravi (nel senso manzoniano)di colpire l’ennesimo don Abbondio? Chiuderà il web? Nominerà presidente della Camera il suo fornitore di Viagra? Si nominerà (anti)papa? Girerà vestito di bianco sulla sua “papi-mobile?” Attendiamo fiduciosi, certi che non ci deluderà (si fa per dire).

Mi piacerebbe…

Mi ero appisolato nel meriggiare stanco e assorto. Nel dolce dormiveglia mi venivano in mente cose che mi piacerebbe fossero vere, o almeno possibili. Ho aperto un occhio, ho guardato il cielo, attraversato da una nuvola che sembrava un braccio alto levato. Mi sono riappisolato.

Mi piacerebbe vivere in un paese dove chi non paga le tasse viene considerato un ladro e non un furbo.

Mi piacerebbe vivere in un paese dove il termine “merito” valga per tutti, dove, davvero, anche il figlio di un immigrato possa diventare Presidente di qualcosa (se del Consiglio tanto meglio).

Mi piacerebbe vivere in un paese che si accorgesse che la cultura è decisiva  per il suo futuro e che potremmo vivere quasi di rendita mettendo a frutto il nostro patrimonio storico e artistico.

Mi piacerebbe vivere in un paese dove un cattolico possa essere libero cittadino in libero stato, senza dover temere ogni giorno le reprimende di qualche represso pastore dismesso.

Mi piacerebbe vivere in un paese dove arrangiarsi, fregare, farsi furbo, confondere privato e pubblico siano cose inconciliabili con la morale pubblica (e privata che è la stessa cosa).

Mi piacerebbe vivere in un paese dove ci fosse una morale.

Mi piacerebbe vivere in un paese di cui non devo vergognarmi ogni volta che vado all’estero.

Mi piacerebbe vivere in un paese dove i vescovi non debbano nominare membri in consigli di amministrazione di fondazioni bancarie o simili.

Mi piacerebbe vivere in un paese dove i dirigenti debbano rispondere concretamente del loro operato e del loro stipendio.

Mi piacerebbe vivere in un paese dove non possa esistere un gioco d’azzardo che promette ai cittadini 130 milioni di euro di vincita.

Mi piacerebbe vivere in un paese dove prevalga l’etica della responsabilità.

Intanto continuo il mio pisolino, lasciando ai sogni il loro spazio (economico e politico) secondo il principio che “i sogni son desideri..di felicità”.

Grazie, don Farinella!

“Perché trattate così bene Berlusconi?”
Don Farinella scrive al cardinal Bagnasco
“Io e molti credenti crediamo che così avete perduto autorità. Molti si allontanano dalla Chiesa per la vostra morale elastica”

di don PAOLO FARINELLA

Questa lettera, scritta da don Paolo Farinella, prete e biblista della diocesi di Genova al suo vescovo e cardinale Angelo Bagnasco, è stata inviata qualche settimana fa e circola da giorni su internet. Riguarda la vicenda Berlusconi, vista con gli occhi di un sacerdote. Alla luce degli ultimi fatti e della presa di posizione di Famiglia Cristiana che ha chiesto alla Chiesa di parlare, i suoi contenuti diventano attualissimi.

Egregio sig. Cardinale,

viviamo nella stessa città e apparteniamo alla stessa Chiesa: lei vescovo, io prete. Lei è anche capo dei vescovi italiani, dividendosi al 50% tra Genova e Roma. A Genova si dice che lei è poco presente alla vita della diocesi e probabilmente a Roma diranno lo stesso in senso inverso. E’ il destino dei commessi viaggiatori e dei cardinali a percentuale. Con questo documento pubblico, mi rivolgo al 50% del cardinale che fa il Presidente della Cei, ma anche al 50% del cardinale che fa il vescovo di Genova perché le scelte del primo interessano per caduta diretta il popolo della sua città.

Ho letto la sua prolusione alla 59a assemblea generale della Cei (24-29 maggio 2009) e anche la sua conferenza stampa del 29 maggio 2009. Mi ha colpito la delicatezza, quasi il fastidio con cui ha trattato – o meglio non ha trattato – la questione morale (o immorale?) che investe il nostro Paese a causa dei comportamenti del presidente del consiglio, ormai dimostrati in modo inequivocabile: frequentazione abituale di minorenni, spergiuro sui figli, uso della falsità come strumento di governo, pianificazione della bugia sui mass media sotto controllo, calunnia come lotta politica.

Lei e il segretario della Cei avete stemperato le parole fino a diluirle in brodino bevibile anche dalle novizie di un convento. Eppure le accuse sono gravi e le fonti certe: la moglie accusa pubblicamente il marito presidente del consiglio di “frequentare minorenni”, dichiara che deve essere trattato “come un malato”, lo descrive come il “drago al quale vanno offerte vergini in sacrificio”. Le interviste pubblicate da un solo (sic!) quotidiano italiano nel deserto dell’omertà di tutti gli altri e da quasi tutta la stampa estera, hanno confermato, oltre ogni dubbio, che il presidente del consiglio ha mentito spudoratamente alla Nazione e continua a mentire sui suoi processi giudiziari, sull’inazione del suo governo. Una sentenza di tribunale di 1° grado ha certificato che egli è corruttore di testimoni chiamati in giudizio e usa la bugia come strumento ordinario di vita e di governo. Eppure si fa vanto della morale cattolica: Dio, Patria, Famiglia. In una tv compiacente ha trasformato in suo privato in un affaire pubblico per utilizzarlo a scopi elettorali, senza alcun ritegno etico e istituzionale.

Lei, sig. Cardinale, presenta il magistero dei vescovi (e del papa) come garante della Morale, centrata sulla persona e sui valori della famiglia, eppure né lei né i vescovi avete detto una parola inequivocabile su un uomo, capo del governo, che ha portato il nostro popolo al livello più basso del degrado morale, valorizzando gli istinti di seduzione, di forza/furbizia e di egoismo individuale. I vescovi assistono allo sfacelo morale del Paese ciechi e muti, afoni, sepolti in una cortina di incenso che impedisce loro di vedere la “verità” che è la nuda “realtà”. Il vostro atteggiamento è recidivo perché avete usato lo stesso innocuo linguaggio con i respingimenti degli immigrati in violazione di tutti i dettami del diritto e dell’Etica e della Dottrina sociale della Chiesa cattolica, con cui il governo è solito fare i gargarismi a vostro compiacimento e per vostra presa in giro. Avete fatto il diavolo a quattro contro le convivenze (Dico) e le tutele annesse, avete fatto fallire un referendum in nome dei supremi “principi non negoziabili” e ora non avete altro da dire se non che le vostre paroline sono “per tutti”, cioè per nessuno.

Il popolo credente e diversamente credente si divide in due categorie: i disorientati e i rassegnati. I primi non capiscono perché non avete lesinato bacchettate all’integerrimo e cattolico praticante, Prof. Romano Prodi, mentre assolvete ogni immoralità di Berlusconi.
Non date forse un’assoluzione previa, quando vi sforzate di precisare che in campo etico voi “parlate per tutti”? Questa espressione vuota vi permette di non nominare individualmente alcuno e di salvare la capra della morale generica (cioè l’immoralità) e i cavoli degli interessi cospicui in cui siete coinvolti: nella stessa intervista lei ha avanzato la richiesta di maggiori finanziamenti per le scuole private, ponendo da sé in relazione i due fatti. E’ forse un avvertimento che se non arrivano i finanziamenti, voi siete già pronti a scaricare il governo e l’attuale maggioranza che sta in piedi in forza del voto dei cattolici atei? Molti cominciano a lasciare la Chiesa e a devolvere l’8xmille ad altre confessioni religiose: lei sicuramente sa che le offerte alla Chiesa cattolica continuano a diminuire; deve, però, sapere che è una conseguenza diretta dell’inesistente magistero della Cei che ha mutato la profezia in diplomazia e la verità in servilismo.

I cattolici rassegnati stanno ancora peggio perché concludono che se i vescovi non condannano Berlusconi e il berlusconismo, significa che non è grave e passano sopra a stili di vita sessuale con harem incorporato, metodo di governo fondato sulla falsità, sulla bugia e sull’odio dell’avversario pur di vincere a tutti i costi. I cattolici lo votano e le donne cattoliche stravedono per un modello di corruttela, le cui tv e giornali senza scrupoli deformano moralmente il nostro popolo con “modelli televisivi” ignobili, rissosi e immorali.

Agli occhi della nostra gente voi, vescovi taciturni, siete corresponsabili e complici, sia che tacciate sia che, ancora più grave, tentiate di sminuire la portata delle responsabilità personali. Il popolo ha codificato questo reato con il detto: è tanto ladro chi ruba quanto chi para il sacco. Perché parate il sacco a Berlusconi e alla sua sconcia maggioranza? Perché non alzate la voce per dire che il nostro popolo è un popolo drogato dalla tv, al 50% di proprietà personale e per l’altro 50% sotto l’influenza diretta del presidente del consiglio? Perché non dite una parola sul conflitto d’interessi che sta schiacciando la legalità e i fondamentali etici del nostro Paese? Perché continuate a fornicare con un uomo immorale che predica i valori cattolici della famiglia e poi divorzia, si risposa, divorzia ancora e si circonda di minorenni per sollazzare la sua senile svirilità? Perché non dite che con uomini simili non avete nulla da spartire come credenti, come pastori e come garanti della morale cattolica? Perché non lo avete sconfessato quando ha respinto gli immigrati, consegnandoli a morte certa?

Non è lo stesso uomo che ha fatto un decreto per salvare ad ogni costo la vita vegetale di Eluana Englaro? Non siete voi gli stessi che difendete la vita “dal suo sorgere fino al suo concludersi naturale”? La vita dei neri vale meno di quella di una bianca? Fino a questo punto siete stati contaminati dall’eresia della Lega e del berlusconismo? Perché non dite che i cattolici che lo sostengono in qualsiasi modo, sono corresponsabili e complici dei suoi delitti che anche l’etica naturale condanna? Come sono lontani i tempi di Sant’Ambrogio che nel 390 impedì a Teodosio di entrare nel duomo di Milano perché “anche l’imperatore é nella Chiesa, non al disopra della Chiesa”. Voi onorate un vitello d’oro.

Io e, mi creda, molti altri credenti pensiamo che lei e i vescovi avete perduto la vostra autorità e avete rinnegato il vostro magistero perché agite per interesse e non per verità. Per opportunismo, non per vangelo. Un governo dissipatore e una maggioranza, schiavi di un padrone che dispone di ingenti capitali provenienti da “mammona iniquitatis”, si è reso disposto a saldarvi qualsiasi richiesta economica in base al principio che ogni uomo e istituzione hanno il loro prezzo. La promessa prevede il vostro silenzio che – è il caso di dirlo – è un silenzio d’oro? Quando il vostro silenzio non regge l’evidenza dell’ignominia dei fatti, voi, da esperti, pesate le parole e parlate a suocera perché nuora intenda, ma senza disturbarla troppo: “troncare, sopire … sopire, troncare”.

Sig. Cardinale, ricorda il conte zio dei Promessi Sposi? “Veda vostra paternità; son cose, come io le dicevo, da finirsi tra di noi, da seppellirsi qui, cose che a rimestarle troppo … si fa peggio. Lei sa cosa segue: quest’urti, queste picche, principiano talvolta da una bagattella, e vanno avanti, vanno avanti… A voler trovarne il fondo, o non se ne viene a capo, o vengon fuori cent’altri imbrogli. Sopire, troncare, padre molto reverendo: troncare, sopire” (A. Manzoni, Promessi Sposi, cap. IX). Dobbiamo pensare che le accuse di pedofilia al presidente del consiglio e le bugie provate al Paese siano una “bagatella” per il cui perdono bastano “cinque Pater, Ave e Gloria”? La situazione è stata descritta in modo feroce e offensivo per voi dall’ex presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, che voi non avete smentito: “Alla Chiesa molto importa dei comportamenti privati. Ma tra un devoto monogamo [leggi: Prodi] che contesta certe sue direttive e uno sciupa femmine che invece dà una mano concreta, la Chiesa dice bravo allo sciupa femmine. Ecclesia casta et meretrix” (La Stampa, 8-5-2009).

Mi permetta di richiamare alla sua memoria, un passo di un Padre della Chiesa, l’integerrimo sant’Ilario di Poitier, che già nel sec. IV metteva in guardia dalle lusinghe e dai regali dell’imperatore Costanzo, il Berlusconi cesarista di turno: “Noi non abbiamo più un imperatore anticristiano che ci perseguita, ma dobbiamo lottare contro un persecutore ancora più insidioso, un nemico che lusinga; non ci flagella la schiena ma ci accarezza il ventre; non ci confisca i beni (dandoci così la vita), ma ci arricchisce per darci la morte; non ci spinge verso la libertà mettendoci in carcere, ma verso la schiavitù invitandoci e onorandoci nel palazzo; non ci colpisce il corpo, ma prende possesso del cuore; non ci taglia la testa con la spada, ma ci uccide l’anima con il denaro” (Ilario di Poitiers, Contro l’imperatore Costanzo 5).

Egregio sig. Cardinale, in nome di quel Dio che lei dice di rappresentare, ci dia un saggio di profezia, un sussurro di vangelo, un lampo estivo di coerenza di fede e di credibilità. Se non può farlo il 50% di pertinenza del presidente della Cei “per interessi superiori”, lo faccia almeno il 50% di competenza del vescovo di una città dove tanta, tantissima gente si sta allontanando dalla vita della Chiesa a motivo della morale elastica dei vescovi italiani, basata sul principio di opportunismo che è la negazione della verità e del tessuto connettivo della convivenza civile.

Lei ha parlato di “emergenza educativa” che è anche il tema proposto per il prossimo decennio e si è lamentato dei “modelli negativi della tv”. Suppongo che lei sappia che le tv non nascono sotto l’arco di Tito, ma hanno un proprietario che è capo del governo e nella duplice veste condiziona programmi, pubblicità, economia, modelli e stili di vita, etica e comportamenti dei giovani ai quali non sa offrire altro che la prospettiva del “velinismo” o in subordine di parlamentare alle dirette dipendenze del capo che elargisce posti al parlamento come premi di fedeltà a chi si dimostra più servizievole, specialmente se donne. Dicono le cronache che il sultano abbia gongolato di fronte alla sua reazione perché temeva peggio e, se lo dice lui che è un esperto, possiamo credergli. Ora con la benedizione del vostro solletico, può continuare nella sua lasciva intraprendenza e nella tratta delle minorenni da immolare sull’altare del tempio del suo narcisismo paranoico, a beneficio del paese di Berlusconistan, come la stampa inglese ha definito l’Italia.

Egregio sig. Cardinale, possiamo sperare ancora che i vescovi esercitino il servizio della loro autorità con autorevolezza, senza alchimie a copertura dei ricchi potenti e a danno della limpidezza delle verità come insegna Giovanni Battista che all’Erode di turno grida senza paura per la sua stessa vita: “Non licet”? Al Precursore la sua parola di condanna costò la vita, mentre a voi il vostro “tacere” porta fortuna.

In attesa di un suo riscontro porgo distinti saluti.

Genova 31 maggio 2009
Paolo Farinella, prete

http://www.repubblica.it/2009/06/sezioni/politica/berlusconi-divorzio-10/lettera-farinella/lettera-farinella.html

Lazzaro, vieni fuori!

ROMA – Il ”limite della decenza” e’ stato superato nel comportamento ”indifendibile” del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, e la Chiesa italiana ”non puo’ ignorare l’emergenza morale”. Cosi’ il direttore di ”Famiglia Cristiana”, don Antonio Sciortino, nel rispondere alle lettere dei lettori a proposito dello scandalo legato alla presenza di escort alle feste nelle dimore del premier. (Agr)

(http://www.corriere.it/notizie-ultima-ora/Politica/Berlusconi-Famiglia-Cristiana-Chiesa-non-puo-ignorare-emergenza-morale/23-06-2009/1-A_000029706.shtml)

Ohhh! La gerarchia si sveglierà dal torpore in cui è dolcemente scivolata negli ultimi anni? Capisco che è facile assopirsi quando c’è chi dice sì a ogni richiesta (scuole private, DiCo, Legge 40, Family Day) lasciandoti in un dolce limbo: basta lasciare quel libriccino sulla scrivania o nello scaffale come ha fatto per tanti anni il card.Ruini. Sempre più soldi e potere e Chiese e seminari vuoti. Basta lasciare quel libriccino nello scaffale e occuparsi di altro. Quel libriccino si chiama Vangelo.

Ma ora è difficile non vedere. O cosa ci si inventerà per difendere l’indifendibile? Chi difenderà gli specchiati difensori della famiglia svelatisi come fornicatori a tariffa variabile? C’è ancora un po’ di senso del decoro (o almeno del ridicolo)? O anche “Famiglia Cristiana” fa parte del complotto?

Parole e parole

Un caro amico mi metteva in guardia dall’usare il termine “satiro” rivolto al nostro premier provvisorio, per evitare rischi di denunce per insulto al capo del Governo. Ora, il dizionario della lingua italiana alla voce “Satiro” riporta: “persona morbosamente lasciva o lussuriosa”. Un 73enne, capelloriportato, liftingato, taccato e mascarato, che si accompagna con 20,30 ninfette (anche minorenni) può definirsi tale? Neppure l’orrido e ghignante Ghedini potrebbe negarlo. Del resto la lingua italiana è così complessa, ricca e predisposta alla perversione, che può vantare un apposito “Dizionario dei sinonimi e dei contrari” che non credo disponibile in tanti altri idiomi. Quindi ritengo, a sfidare eroicamente il ghignante Ghedini, che il capo (provvisorio) del governo sia etichettabile come satiro. Termine che mi richiama, per assonanza, quello di “satrapo”, ma il buon Sartori preferisce quello di “sultano”. Cosa questa che un po’ mi dispiace. Per me il termine “sultano” si lega a Salgari, a reggie favolose, elefanti con il baldacchino, non a baldracche e ville stile cafonal.

Magari meglio “Califfo”, che ci rimembra tale Califano, noto gentleman romano ben apparentabile al suddetto satrapo, pardon satiro, anzi sultano. Mah, ci saranno altri termini disponibili? Corro a consultare il benefico “Dizionario dei sinonimi e dei contrari” e poi vi saprò dire. Nell’attesa godiamoci l’attualità: a Parma panchine solo per anziani e non per le badanti (giusto: staranno in piedi a fianco o accucciate come cagnolini?), a Milano niente assembramenti nei luoghi pubblici come ai tempi di Bava Beccaris e del gen. Roatta. Bella Italia (si fa per dire).

Giacomo Ulivi, anni 19

Cari amici,
vi vorrei confessare, innanzi tutto, che tre volte ho strappato e scritto questa lettera. L’avevo iniziata con uno sguardo in giro, con un sincero rimpianto per le rovine che ci circondano, ma, nel passare da questo all’ argomento di cui desidero parlarvi, temevo di apparire «falso», di inzuccherare con un preambolo patetico una pillola propagandistica. E questa parola temo come un’offesa immeritata: non si tratta di propaganda ma di un esame che vorrei fare con voi.
Invece dobbiamo guardare ed esaminare insieme: che cosa? Noi stessi. Per abituarci a vedere in noi la parte di responsabilità che abbiamo dei nostri mali. Per riconoscere quanto da parte nostra si è fatto, per giungere ove siamo giunti. Non voglio sembrarvi un Savonarola che richiami al flagello. Vorrei che con me conveniste quanto ci sentiamo impreparati, e gravati di recenti errori, e pensassimo al fatto che tutto noi dobbiamo rifare. …
Ma soprattutto, vedete, dobbiamo fare noi stessi: è la premessa per tutto il resto. Mi chiederete, perché rifare noi stessi, in che senso? Ecco, per esempio, quanti di noi “sperano nella fine di questi casi tremendi, per iniziare una laboriosa e quieta vita, dedicata alla famiglia ed al lavoro? Benissimo: è un sentimento generale, diffuso e soddisfacente. Ma, credo, lavorare non basterà: nel desiderio invincibile di «quiete », anche se laboriosa, è il segno dell’errore. Perché in questo bisogno di quiete è il tentativo di allontanarsi il più possibile da ogni manifestazione politica. E il tremendo, il più terribile, credetemi, risultato di un’opera di diseducazione ventennale, di diseducazione o di educazione negativa, che martellando per vent’anni da ogni lato, è riuscita ad inchiodare in molti di noi dei pregiudizi. Fondamentale quello della «sporcizia» della politica che mi sembra sia stato inspirato per due vie. Tutti i giorni ci hanno detto che la politica è lavoro di «specialisti ».
Duro lavoro, che ha le sue esigenze: e queste esigenze, come ogni giorno si vedeva, erano stranamente consimili a quelle che stanno alla base dell’opera di qualunque ladro e grassatore; Teoria e pratica concorsero a distoglierci e ad allontanarci da ogni attività politica. Comodo, eh? Lasciate fare a chi può e deve; voi lavorate e credete, questo dicevano: e quello che facevano lo vediamo ora che nella vita politica – se vita politica vuol dire soprattutto diretta partecipazione ai casi nostri – ci siamo scaraventati dagli eventi. Qui sta la nostra colpa, io credo: come mai, noi italiani, con tanti secoli di esperienza, usciti da un meraviglioso processo di liberazione, in cui non altri che i nostri nonni dettero prova di qualità uniche in Europa, di un attaccamento alla cosa pubblica, il che vuol dire a se stessi, senza esempio forse, abbiamo abdicato, lasciato ogni diritto, di fronte a qualche vacua, rimbombante parola? Che cosa abbiamo creduto? Creduto grazie al cielo niente ma in ogni modo ci siamo lasciati strappare di mano tutto, da una minoranza inadeguata, moralmente e intellettualmente.
Questa ci ha depredato, buttato in un’avventura senza fine; e questo è il lato più «roseo» io credo. Il brutto è che le parole e gli atti di quella minoranza hanno intaccato la posizione morale, la mentalità di molti di noi. Credetemi, la «cosa pubblica» è noi stessi, ciò che ci lega ad essa non è un luogo comune, una parola grossa e vuota, come « patriottismo » o amore per la madre che in lacrime e in catene ci chiama, visioni barocche, anche se lievito meraviglioso di altre generazioni. Noi siamo falsi con noi stessi, ma non dimentichiamo noi stessi, in una leggerezza tremenda. Al di là di ogni retorica, constatiamo come la cosa pubblica sia noi stessi, la nostra famiglia, il nostro lavoro, il nostro mondo, insomma, che ogni sua sciagura, è sciagura nostra, come ora soffriamo per l’estrema miseria in cui il nostro paese è caduto: se lo avessimo sempre tenuto presente, come sarebbe successo questo? L’egoismo ci dispiace sentire questa parola – è come una doccia fredda, vero? Sempre, tutte le pillole ci sono state propinate col dolce intorno; tutto è stato ammantato di retorica. Facciamoci forza, impariamo a sentire l’amaro; non dobbiamo celarlo con un paravento ideale, perché nell’ombra si dilati indisturbato.

Ricordate, siete uomini, avete il dovere, se il vostro istinto non vi spinge ad esercitare il diritto, di badare ai vostri interessi, di badare a quelli dei vostri figli, dei vostri cari. Avete mai pensato che nei prossimi mesi si deciderà il destino del nostro Paese, di noi stessi: quale peso decisivo avrà la nostra volontà se sapremo farla valere: che nostra sarà la responsabilità, se andremo incontro a un pericolo negativo? Bisognerà fare molto. Provate a chiedervi un giorno, quale stato, per l’idea che avete voi stessi della vera vita, vi pare ben ordinato: per questo informatevi a giudizi obbiettivi. Se credete nella libertà democratica, in cui nei limiti della costituzione, voi stessi potreste indirizzare la cosa pubblica, oppure aspettate una nuova concezione, piu equalitaria della vita e della proprietà. E se accettate la prima soluzione, desiderate che la facoltà di eleggere, per esempio, sia di tutti, in modo che il corpo eletto sia espressione diretta e genuina del nostro Paese, o restringerla ai più preparati oggi, per giungere ad un progressivo allargamento? Questo ed altro dovete chiedervi. Dovete convincervi, e prepararvi a convincere, non a sopraffare gli altri, ma neppure a rinunciare.
Oggi bisogna combattere contro l’oppressore. Questo’ è il primo dovere per noi tutti ma è bene prepararsi a risolvere quei problemi in modo duraturo, e che eviti il risorgere di essi ed il ripetersi di tutto quanto si è abbattuto su di noi.
Termino questa lunga lettera un po’ confusa, lo so, ma spontanea, scusandomi ed augurandoci buon lavoro.

GIACOMO ULIVI
Di anni 19 – studente di terzo anno alla facoltà di legge dell’Università di Parma – nato a Baccanelli San Pancrazio (Parma) il 29 ottobre 1925 -. Dal febbraio 1944 è incaricato dei collegamenti fra il C.L.N. di Parma ed il C.L.N. di Carrara nonché con ufficiali inglesi – collabora all’avvio ed all’organizzazione di renitenti alla leva sull’ Appennino tosco-emiliano – cat- turato una prima volta 1’11 marzo 1944, riesce a fuggire rifugiandosi a Modena, mentre la madre viene anch’essa arrestata e sottoposta ad interrogatori e minacce – riprende il lavoro organizzativo – è catturato una seconda volta dai tedeschi nei dintorni di Modena – riesce ancora a fuggire -. Catturato una terza volta il 30 ottobre 1944 in Via Farini a Modena, ad opera di militi delle Brigate Nere – tradotto nelle carceri dell’Accademia Militare – torturato -. Dapprima amnistiato, poi fucilato per rappresaglia il mattino del 10 novembre 1944, sulla Piazza Grande di Modena, da plotone della G.N.R., con Alfonso Piazza e Emilio Po -Medaglia d’ Argento al Valor Militare.
(Lettera scritta agli amici fra il secondo e l’ultimo arresto.)

Liberi, e poi?

So bene che uno storico non dovrebbe mai occuparsi di futuro, ma queste pagine sono una specie di territorio franco in cui esprimere idee e varie cose senza troppe preoccupazioni (al massimo i miei 25 lettori con un semplice click cambieranno pagina). Quindi posso pormi una domanda sul futuro, sul “dopo-liberazione” ad opera del nostro Silvio nazionale: una volta liberi cosa faremo/faranno? Perchè è chiaro che indietro non si torna. Viviamo forse in un incubo ma dal quale non possiamo aspettarci un risveglio dolce, con la mammina o la moglie a dirci “tranquillo, tutto va bene…”. Indietro non si torna, ergo andiamo avanti, ma dove, come e, soprattutto, con chi?

Perchè una delle cose peggiori accadute in questi ultimi 15 anni è la spaccatura, quasi antropologica, fra due Italie, diverse, divise e, ormai, incomunicabili. E’ una lacerazione drammatica, su cui è inutile, ora, stare a strologare le motivazioni e/o la tempistica. Esiste e basta. Esistono ampi territori in questo paese in cui le regole di convivenza democratica sono un ricordo. Esistono fasce di popolazione che trovano normale essere razzisti, xenofobi, omofobi e delizie simili. Fasce di popolazione nelle zone più ricche ma non per questo più evolute del paese. che non mostrano più alcuna remora etica o morale. Mentre intere regioni del sud sono sottratte ad ogni forma di legalità. Come convivere con tutto ciò, come agire perchè si possa convivere ancora all’interno della medesima identità repubblicana? Una delle cose che non posso perdonare a questi presunti e provvisori governanti è di farmi avere spesso idee che non condivido, idee in contrasto con quei famosi “principi” di cui si parlava qualche giorno fa. Ma tant’è: come non provare un senso di esasperazione di fronte ai leghisti (scusate la parolaccia) e alle loro ronde e barbarie varie? Come non sentire inadeguata l’opposizione culturale al diffondersi di negazionisti, fascisti e altro?

Allora che futuro davanti? Quando ci sveglieremo dall’incubo perchè picchieremo (tutti) il naso, non basterà dire “noi l’avevamo detto”. Per noi storici si apriranno nuovi, inesplorati, campi di ricerca sul tema: “Come si torna alla barbarie nel XXI secolo”, ma per il nostro povero paese che domani ci sarà?